Scritto per Il Fatto Quotidiano del 18/02/2016
Bisognava metterlo in conto, che qualcosa del genere
sarebbe successo: le avvisaglie c’erano state, 6 morti e decine di feriti il 14
gennaio per un’autobomba a Cinar, nei pressi di un commissariato, attacco
firmato Pkk, l’organizzazione para-militare curda. A forza di prendersela con i
curdi, dentro i confini nazionali e fuori, di cercare di soffocarne la voce in
patria, di frenarne l’azione contro il sedicente Stato islamico in Siria per il
timore che si creino i presupposti d’uno Stato curdo – 50 milioni, l’etnia più
numerosa al Mondo senza una patria di riferimento -, il rischio di contraccolpi
anche sanguinosi era grande e crescente.
La Turchia della deriva autoritaria e islamista del
presidente padrone Erdogan ha sperimentato in otto mesi attentati d’ogni
matrice: dal terrorismo che noi chiamiamo ‘di Stato’ agli attacchi di ispirazione
jihadista, militarmente organizzati od opera di ‘cani sciolti’, alle azioni
curde, di solito condotte contro l’apparato militare e di sicurezza. Come
quella di ieri ad Ankara: un’autobomba contro un camion di soldati, non lontano
dalle sedi delle istituzioni repubblicane.
Nell’incerta coalizione anti-jihadisti messa insieme
dagli Stati Uniti, la Turchia è entrata l’autunno scorso – è subito parso
evidente – solo per avere liceità di colpire in patria i curdi del Pkk. Così come,
dopo l’attacco all’America dell’11 Settembre 2001, la Russia di Putin si alleò
agli Usa di Bush nella guerra al terrorismo ottenendo la patente per schiacciare
l’insurrezione cecena.
Del resto, l’essere in guerra contro gli jihadisti non
impedisce ad Ankara di fare affari con loro, di acquisirne e raffinarne il
petrolio, di fornire loro armi – come documentato da inchieste giornalistiche
-, di lasciare filtrare attraverso la lunga e porosissima frontiera
turco-siriana ‘foreign fighters’ e approvvigionamenti. E, intanto, i turchi
abbattono un caccia-bombardiere russo – Mosca combatte il Califfo, ma
soprattutto sostiene il regime di Assad, che Ankara vuole rovesciare – e
martellano le postazioni dei curdi siriani, gli eroi di Kobane e gli unici
capaci di riprendere da soli, senza supporto aereo specifico, terreno agli
jihadisti. E quando si parla di negoziati, Ankara non vuole che al tavolo ci
siano i curdi, perché sarebbero terroristi.
La solidarietà alla Turchia, dovuta in quanto membro
dell’Alleanza atlantica, diventa una palla al piede dell’Occidente, che non
solo trangugia, ma avalla comportamenti inaccettabili, esponendosi pure ai
ricatti e ai voltafaccia di Ankara, che prima negozia con l’Ue e ottiene 3
miliardi di euro di aiuti per gestire il flusso dei profughi dalla Siria –
oltre 2 milioni sul territorio turco, un peso drammatico – e poi chiude le frontiere
a chi fugge dai combattimenti.
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