... Mesi di fughe in avanti a parole e di passi indietro quando si profila il momento di passare ai fatti hanno ormai convinto molti interlocutori europei ed americani che l’Italia si augura, in cuor suo, che il governo libico di unità nazionale, quello che potrà poi sollecitare l’intervento internazionale, resti nel limbo: se davvero lunedì ci sarà il sì del Parlamento di Tobruk, l’insediamento a Tripoli è lungi dall’essere sicuro, visto che buona parte delle milizie islamiste sono ostili all’Esecutivo.
Un ex capo di Stato Maggiore
italiano, il generale Mario Arpino, è esplicito: in Libia, bisogna “invertire
le priorità”, cioè "prima debellare la presenza dell’autoproclamato Stato
islamico” e poi pensare a un nuovo governo. E’ una linea che piace al Cairo, trova
condivisioni altrove ed ha un interprete convinto nel generale Haftar, l’uomo
più forte, e il più discusso, del governo di Tobruk, impegnato con i suoi
uomini – e un supporto francese - a ‘ripulire’ Bengasi dalle milizie jihadiste.
Un altro ex capo di Stato Maggiore
italiano, il generale Enzo Camporini, dice e scrive: “Gli Usa hanno chiarito in
modo assai esplicito che non intendono impegnarsi in forze sul terreno in Libia,
ma stanno applicando in modo sistematico la cosiddetta ‘dottrina Gates’”, dal nome
di un ex capo del Pentagono. “Le azioni fuori area delle forze armate Usa si
limitano a quelle di tipo punitivo, senza più la pretesa di ricostruire le
istituzioni altrui secondo modelli democratici: ok a operazioni di forze
speciali, a raid aerei condotti con armamento di precisione, ma no ad
operazioni durevoli e di massa, lasciate agli alleati se e quando ne fossero
capaci”.
S’inquadra in questo contesto il
raid su un centro d’addestramento degli jihadisti vicino a Sabrata, lunedì, e
la richiesta di utilizzare droni in partenza da Sigonella per missioni libiche
(purché usati solo a scopo difensivo, un requisito “autenticamente italiano” e difficile
da verificare).
Nessun commento:
Posta un commento