Scritto per Il Fatto Quotidiano del 31/01/2016
Quando venne eletto la prima volta sindaco di New
York, battendo il democratico Mark Green, Michael ‘Mike’ Bloomberg aveva al suo
attivo un patrimonio stimato a quattro miliardi di dollari, ma nessuna
esperienza politica né di Amministrazione della cosa pubblica: era un uomo d’affari,
capace di creare dal nulla un enorme impero mediatico; e di disfarsene, nel
segno della trasparenza.
Se quest’anno diventasse presidente degli Stati Uniti,
sarebbe il più ricco nella storia - per Forbes, è il 14° uomo più facoltoso del
pianeta, mentre quel ‘poveraccio’ di Donald Trump è soltanto 72°-, e avrebbe
nel suo background 12 anni alla guida della città assurta a simbolo del nostro
mondo.
Bloomberg divenne sindaco il 6 novembre 2001: neppure
due mesi prima la Grande Mela era stata colpita dall’attacco terroristico più
devastante mai condotto sul territorio degli Stati Uniti, con quasi 3000
vittime nel crollo delle Torri Gemelle, al World Trade Center. Succedeva al
sindaco ‘law and order’ Rudolph Giuliani, un ex capo della polizia divenuto da
sceriffo eroe nel giorno più tragico.
Magnate dell’editoria e dell'informazione finanziaria,
ebreo, allora 59 anni, Bloomberg aveva puntato la sua campagna sullo slogan ‘Un
leader, non un politico’, che sarebbe ancora valido, tagliando l’erba sotto i
piedi a neofiti aggressivi come Trump e Ben Carson, e sulla sua capacità imprenditoriale
di risollevare le sorti d’una città colpita nel morale dagli attentati e alle
prese pure con una grave crisi economica e occupazionale.
Il 1° gennaio 2003, il giorno dell’insediamento, andò
al lavoro in metro –e continuò poi a farlo-, facendo scalpore: “New York è
sicura ed è aperta al business”, proclamò, rinunciando ad abitare nella
residenza ufficiale, ma comprandosi in primavera una villa alle Bermuda – suo
vicino era Silvio Berlusconi -.
Il suo percorso politico, con due successive
rielezioni ottenute a mani basse, seguiva una carriera nel mondo della finanza
cominciata nel 1981 alla Solomon Brothers, dopo una laurea di prestigio alla
Harvard Business School. Incassato il primo milione di dollari prima d’avere quarant'anni,
Bloomberg lasciò la Salomon con una buonuscita di 10 milioni di dollari e fondò
la 'Bloomberg Lp'.
L’agenzia di stampa, nata economica, ma con attenzione
all’informazione politica e generalista, s’impose in fretta come una nuova
aggressiva realtà nel panorama dell’informazione americana e mondiale:
Bloomberg capì subito l’impatto delle tecnologie e di internet, abbinò all’agenzia
una tv e sbarcò in Europa con una rete di alleanze. Tra il 1995 e il ’96,
negoziò e chiuse accordi con Ansa, Afp ed Efe – a Roma, il suggello furono un convegno
a San Michele a Ripa nel gennaio del ’96 ed un ricevimento a Palazzo Taverna -.
Franco al punto di essere rude, diretto, raramente
simpatico, poco incline al sorriso, Bloomberg scriveva, nel 1997, in una sua precoce
autobiografia, che la politica non gli interessava. Ma poco dopo divenne invece
chiaro che il salto l’attirava.
Nonostante manifeste inclinazioni democratiche, nel
2001, trovando lì la strada sbarrata, si candidò per i repubblicani e investì
nella campagna 150 milioni di dollari: così, la Grande Mela, che pure è una
metropoli democratica, ebbe per cinque mandati consecutivi un sindaco repubblicano
– due Giuliani, tre Bloomberg: non era mai successo -. Mike s’è però man mano
allontanato dal partito e dal 2007 si colloca come indipendente: l’ex sindaco è
favorevole l controllo delle armi e ha posizioni moderate e razionali in tema
di immigrazione ed economia, tesi che piacciono a chi vota democratico. A New
York, era il ‘sindaco badante’ perché attento alla salute dei suoi cittadini: campagne
contro il fumo, il rumore, i cibi nocivi, le bevande gassate e per l’ambiente –
salvò dei giardinetti a Manhattan, ma condusse pure una crociata per liberare
le strade dagli homeless -.
I sindaci italiani gli professarono grande amicizia:
da Roma, Walter Veltroni ‘l’americano’ lo volle incontrare prima di cedere il
testimone a Francesco Rutelli; da Milano, Gabriele Albertini lo andò a trovare “da
imprenditore a imprenditore”, “fatte le debite proporzioni” – ammise -. La
principessa Ines Torlonia lo descrisse come “un amico speciale”. Le cronache
dell’epoca azzardarono spesso paragoni con Berlusconi: magnati dell’editoria,
uomini d’affari passati alla politica; ma Bloomberg si sbarazzò del suo impero,
prima di fare il sindaco (compenso: un dollaro l’anno).
Adesso, fuori gioco dal 2014 –il sindaco più longevo
nella storia di New York -, è pronto a metterci un miliardo di dollari per
arrivare alla Casa Bianca, se i risultati delle prime primarie, lo indurranno a
scendere in lizza come indipendente, l’uomo di mezzo, che potrebbe, però,
risultare quello giusto. Bloomberg è una sorta di mostro di Lochness di questa
campagna, perché periodicamente riaffiora: oggi, lo preoccupano lo strapotere
di Trump fra i repubblicani e le difficoltà fra i democratici d’Hillary
Clinton.
Con il suo profilo, Bloomberg, che ama essere
considerato “un filantropo”, attirerebbe molti voti dell’elettorato
conservatore e farebbe concorrenza a Trump sul terreno del successo in affari.
E sarebbe capace di ottenere consensi tra centristi e indipendenti, a scapito
del candidato democratico. Ma l'attuale sindaco di New York Bill de Blasio, che
non lo ama e che sostiene Hillary, lo boccia perché troppo ricco e lo accusa di
non essere attento alle diseguaglianze: "Il popolo di questo Paese non si
rivolgerà a un miliardario per risolvere problemi creati soprattutto da
miliardari". Dell’ipotesi di candidatura di Bloomberg, ha anche parlato il
‘collega’ Rupert Murdoch: per Mike –ha detto-, questa è “l’ultima chance”.
Questione di età, e un po’ anche d’invidia: l’Australia è una monarchia e
Murdoch non ha speranze di succedere alla regina Elisabetta.