Scritto per Il Fatto Quotidiano del 26/01/2016
Lungo il canale su cui si affaccia il Museo marittimo
di Amsterdam, dove i responsabili dell’Interno dei 28 sono riuniti, scivola un
barcone che issa le bandiere di Amnesty: è stracarico di manichini di profughi,
perché i ministri abbiano davanti agli occhi un simulacro del dramma di cui
discutono. L’incontro ‘salva’, almeno per il momento, l’accordo di Schengen,
che, però, secondo l’Austria, “sta per saltare”, e la libertà di circolazione
nell’Ue; ma non salva le vite che si perdono nel Mediterraneo o lungo i cammini
dei Balcani.
E’ una sopravvivenza a termine, condizionata. Come
ammette pure il ministro Alfano: “Abbiamo poche settimane per evitare che Schengen
si dissolva fra gli egoismi e le preoccupazioni nazionali, davanti a un’Europa
che si dimostra incapace non tanto di decidere quanto di attuare le decisioni”.
In realtà, l’attuazione delle decisioni spetta più ai
governi che all’Unione. E, anzi, una soluzione, che consentirebbe di guadagnare
in efficienza risparmiando denaro, ci sarebbe: affidare all’Ue,
dandogliene le
risorse, le frontiere esterne dell’Europa dei 28. In tal modo, la diffidenza
reciproca verso i controlli effettuati da altri verrebbe meno e sicurezza,
accoglienza, hotspots, respingimenti e redistribuzione sarebbero competenza
comunitaria.
Come spesso capita, la risposta giusta, e pure
vantaggiosa, dal punto di vista economico, sarebbe più Europa, non meno Europa.
Ma i governi sono gelosi di prerogative e sovranità. Ad Amsterdam, ieri, i
ministri hanno cominciato a lavorare alla proposta della Commissione di
Bruxelles di creare un corpo di guardie di frontiera europeo che contribuisca a
fronteggiare il flusso dei migranti, così come l’operazione Triton dell’agenzia
Frontex contribuisce a ridurre le vittime in mare. Ma sono solo tasselli di un
disegno che deve essere più ampio per risultare efficace.
Suonano, quindi, corrette, ma demagogiche, le parole
del premier Renzi sulla sua e-news: "Mettere in discussione l'idea di
Schengen significa uccidere l'idea di Europa. Abbiamo lottato per decenni per
abbattere i muri: pensare oggi di ricostruirli significa tradire noi stessi".
Per non farlo, bisogna che i Governi prendano le decisioni giuste e le mettano
in pratica.
Invece, le decisioni dello scorso autunno vengono
attuate con il contagocce. Come la ridistribuzione dei richiedenti asilo: solo
331 sono stati già trasferiti da Italia e Grecia verso altri Paesi dei 160 mila
che i 28 si sono impegnati a trasferire in due anni. Al ritmo di cento al mese,
ci vorranno cent’anni. Quanto a chi non ha diritto all’asilo, i dati sono
parziali, ma i rimpatriati sono poche centinaia.
E ci sono pure decisioni di anni or sono che non sono state
attuate, come i controlli su chi arriva: quelle che sono valse a dicembre
all’Italia e ad altri Paesi procedure d’infrazione assurdamente contestate. E
l’Italia mette in discussione gli aiuti alla Turchia, ‘invasa’ da milioni di
siriani in fuga, per tre miliardi di euro, nonostante ne abbia condiviso a
novembre l’assegnazione.
La riunione di ieri, la prima sul tema del semestre di
presidenza di turno olandese del Consiglio dell’Ue, era informale e non poteva
quindi portare a decisioni: quelle sono attese “al più tardi entro giugno”. Alcuni
dei Paesi che hanno già reintrodotto controlli alle frontiere – Germania,
Austria, Francia, Danimarca, Svezia, fra gli altri - chiedono alla Commissione
di avviare la procedura che ne consente il prolungamento: si tratta di attivare
l'articolo 26 dell’accordo di Schengen, che prevede proroghe di sei mesi
ciascuna fino a un massimo di due anni. In Austria e Germania, i controlli in
atto dovrebbero scadere a maggio.
Il ministro Alfano ha ricordato la posizione italiana,
per maggiori controlli alle frontiere esterne, lasciando aperte quelle interne.
Il tedesco de Maiziere ha insistito perché la Grecia registri, come previsto, i
migranti. La Slovenia chiede un sostegno alla Macedonia perché filtri i profughi
dalla Grecia.
Ad Amsterdam, s’è pure parlato del contrasto alla minaccia terroristica, partendo dalla condivisione di informazioni e banche dati.
Ad Amsterdam, s’è pure parlato del contrasto alla minaccia terroristica, partendo dalla condivisione di informazioni e banche dati.
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