Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 05/01/2016
In un circolo vizioso tra impotenza e imbarazzo,
l’Amministrazione Obama assiste, quasi silente, all’ennesimo deterioramento del
suo ruolo e della sua capacità d’influenza nel Mondo islamico, mentre la Russia
di Putin cerca spazio per una mediazione fra Riad e Teheran. Il premier
britannico Cameron s’espone. La Farnesina chiede d’abbassare la tensione,
ricordando a Riad e a Teheran quello che sarebbe il nemico comune, il
terrorismo. Il Califfo gongola: le divisioni fra sunniti e sciiti vanno a suo
vantaggio.
In realtà, spiragli di dialogo tra le due capitali per
ora quasi non esistono. Mosca è pronta a ospitare un incontro tra i ministri
degli esteri Adel al-Jubeir e Mohammad Javad Zarif, anche se l’iniziativa non
ha una precisa paternità politica; il segretario di Stato Usa Kerry chiama i
colleghi al telefono, predicando calma e moderazione; e il segretario generale
dell’Onu Ban Ki-moon, costernato, spedisce d’urgenza l’inviato in Siria Staffan
de Mistura a fare la spola tra Riad e Teheran.
A volte, è meglio tenere separati gli alleati fra loro
nemici. Gli Stati Uniti, invece, vogliono tenere tutti insieme in una grande
coalizione anti-terrorismo: hanno riammesso l’Iran nel salotto buono della
diplomazia internazionale, con l’accordo sul nucleare, e così facendo hanno
indispettito e insospettito l’alleato tradizionale nella Regione, l’Arabia
saudita; poi hanno voluto mettere Teheran e Riad nella stessa coalizione
anti-Califfo, ignorando il fatto che sciiti e sunniti si fanno una guerra,
aperta per quanto dimenticata, nello Yemen. Risultato, la Casa Bianca ha perso
influenza sui sauditi senza acquisirne sugli iraniani. Teheran continua ad
avere un interlocutore privilegiato nella Russia, che ne condivide in Siria la
strategia pro-Assad, osteggiata, invece, dagli americani e dai sauditi.
Così, Obama non avrebbe neppure provato – dicono i
suoi critici ‘liberal’ negli Usa – a distogliere Riad dal compiere le 47
esecuzioni del 2 gennaio, fra cui quella dell’imam sciita Nimr al Nimr, macabra
riprova dello spregio saudita per i diritti umani; del resto, se ci avesse
provato, non avrebbe probabilmente sortito effetto alcuno. Quello che Washington
sperimenta ora tra Riad e Teheran è simile a quanto già sperimentato tra Mosca
e Ankara, dopo l’abbattimento d’un aereo russo da parte della caccia turca: sentirsi 'presi in tenaglia' e quasi 'tenuti
ostaggio' dai propri interlocutori, condannati a non fare nulla di concreto per
non dispiacere all'uno o all'altro.
Perché più che a compiacere l’Occidente ed a combattere
il Califfo, i sauditi pensano a contrastare l’influenza regionale dell’Iran ed
a difendere i propri interessi, con metodi che, per barbarie, e incuria del
diritto, non sono poi molto diversi da quelli dei boia jihadisti. Le tradizioni
secolari sono le stesse.
La rottura delle relazioni tra Teheran e Riad, dopo
gli assalti a sedi diplomatiche saudite in Iran, innesca un effetto domino tra
Paesi sunniti: Bahrein – nel 2011, all’epoca delle Primavere arabe, truppe
saudite intervennero a Manama per domare una rivolta della maggioranza sciita -
e Sudan seguono l'iniziativa del regno saudita, non pago delle decine di
arresti effettuati dalle forze dell’ordine iraniane; gli Emirati arabi uniti
riducono il livello delle relazioni diplomatiche. L’elenco potrebbe allungarsi,
mentre la guida suprema iraniana, Alì Khamenei, invoca la “vendetta divina” sul
regime sunnita.
L’Iran accusa i sauditi di cercare il confronto per
risolvere suoi problemi interni, “esportandoli e alimentando tensioni e
scontri”; e in effetti le esecuzioni di
sabato sono giunte senza preavviso, quasi a freddo. Le petro-monarchie dell’area,
strette nel Consiglio di Cooperazione del Golfo, accusano l’Iran di "crescenti
e flagranti ingerenze" nei loro affari interni.
L’effetto è un acuirsi delle tensione tra le due
grandi famiglie dell'Islam: la sunnita, maggioritaria, e la sciita,
minoritaria, ma maggioritaria nella regione. “Rompendo le relazioni
diplomatiche", afferma il vice-ministro iraniano Hossein Amir Abdollahian,
Riad "non farà dimenticare il grande errore commesso giustiziando un
religioso".
Lo scontro non è solo diplomatico, ma agita rancori
secolari. E il contagio è rapido: due moschee sunnite sono state fatte
esplodere in Iraq nella zona di Hilla, a circa 80 km dalla capitale Baghdad; e
un muezzin è stato ucciso a Iskandariyah.
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