Il terrorismo sta vincendo: a un anno dalla strage di
Charlie Hebdo, ci penso con un brivido di angoscia. Si ripetono gli attacchi,
perché non abbiamo trovato risposte efficaci sul piano di sicurezza e
prevenzione -e forse non ce ne sono-; e le nostre reazioni si radicalizzano e
s’imbarbariscono, ispirate dalla paura e dettate dalla rabbia.
E’ stato scritto e sostenuto –ed io sono pienamente
d’accordo- che rinunciare ai propri principi e cambiare le proprie abitudini di
fronte alla minaccia del terrorismo sarebbe un dargliela vinta. E noi europei
stiamo, magari comprensibilmente, ripetendo comportamenti (ed errori) che
furono degli americani dopo l’11 Settembre 2001.
La prigione di Guantanamo, il Patriot Act, l’invasione
dell’Iraq furono violazioni dei diritti e restringimenti delle libertà e aperto
spregio delle norme internazionali: hanno gettato altri semi d’odio e
d’integralismo, hanno acuito i sentimenti d’astio e d’ingiustizia, hanno in
definitiva alzato il livello dello scontro. Il sedicente Stato islamico ne è un
frutto.
E noi europei, a un anno dalla strage che era un attacco
alla libertà d’espressione, stiamo ancora cercando di definirne i limiti, come
se metterci un bavaglio fosse la soluzione; e, dopo le carneficine del 13
novembre, sempre a Parigi, la Francia s’è ridotta alla legge del taglione con
le bombe sulla Siria, indiscriminate quanto, probabilmente, controproducenti, e
ora vorrebbe rendere definitive le misure dello stato di emergenza.
E, intanto, per tenere insieme una raccogliticcia coalizione
contro l’auto-proclamato Califfo, l’America e l’Europa annoverano come alleati
regimi che hanno dei diritti umani una mancanza di rispetto paragonabile a
quella dei tagliagole jihadisti. Gli stessi regimi, del resto, con cui hanno
sempre fatto affari; così come altri nostri alleati li fanno con le bande
integraliste. Politici europei ed americani propongono di chiudere le
frontiere e di tenere al bando i musulmani, come se gli assassini del Bataclan
o quelli di San Bernardino venissero da fuori e non fossero, invece, un
prodotto delle nostre disuguaglianze ed esasperazioni.
Certo, criticare è facile; e trovare risposte giuste ed
efficaci non lo è affatto – né io ho da suggerirne, valide nel breve termine -.
Ma le critiche alla copertina di Charlie Hebdo un anno dopo mi sembrano
riportarci non un anno indietro, ma indietro di secoli: quel dio armato che si
muove furtivamente come un terrorista, che è il dio cristiano e quello di
Abramo (e pure quello di Maometto, che loro non disegnano) – ma de dio è uno è
sempre lo stesso -, offende gli adepti di ogni integralismo che parlano di “fede
manipolata”.
Come se la fede la si rispettasse con la censura – e non con
la testimonianza -; e come se la fede non la manipolassero per primi proprio gli
integralisti, da qualsiasi parte essi stiano, quando entrano sparando e
uccidendo in una redazione, una scuola, un teatro o un centro dove si pratica
il controllo delle nascite; quando mettono a morte un ‘infedele’ o quando
eseguono in pubblico la condanna di un oppositore.
Un anno fa, eravamo tutti Charlie. Oggi, non rinneghiamo
Charlie per combattere il terrorismo.
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