Scritto per Il Fatto Quotidiano del 24/01/2016 e, in forma diversa, per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 24/01/2016
Febbraio,
e i risultati delle prime primarie, porteranno consiglio a Mike Bloomberg, 73
anni, magnate dell’informazione ed ex sindaco di New York, che, entro i primi
di marzo, cioè al più tardi dopo il Super-Martedì del 1° marzo, deciderà se scendere
in lizza come indipendente. Lo scriveva, ieri, il New York Times, dando
spessore a voci già circolate e già riprese da questo sito.
Come se 15
candidati non bastassero -12 repubblicani e tre democratici-, eccone dunque
spuntare, anzi rispuntare un 16°: l’indipendente, l’uomo di mezzo, che
potrebbe, però, risultare quello giusto. Bloomberg è una sorta di mostro di
Lochness di questa campagna, perché periodicamente riaffiora. Inizialmente
ipotizzato come contenente repubblicano, ora starebbe seriamente valutando se
scendere in lizza per conto suo, cioè fuori dagli apparati dei partiti.
L’ex sindaco
di New York per tre mandati dal 2002 al 2014 – come nessun altro mai -, è pronto
– dicono fonti a lui vicine citate dal NYT - a metterci un miliardo di dollari
del suo per arrivare alla Casa Bianca; e vorrebbe prendersi tempo per decidere fino
a inizio marzo, giusto per capire come vanno le primarie (il 1° marzo ci sarà
il Super-Martedì). Intanto, commissiona sondaggi, i cui dati sarebbero fin qui
incoraggianti: un altro sarà fatto dopo le primarie in Iowa e New Hampshire. E
una squadra di esperti traccia il programma e la stratergia. Dei soldi, non
deve preoccuparsi: per Forbes, è il 14° uomo più ricco del pianeta –quel ‘poveraccio’
di Donald Trump è soltanto 72°-.
Repubblicano
non ortodosso, con inclinazioni democratiche, e sindaco d’una città fortemente
democratica, Bloomberg, dopo essere stato eletto successore di Rudolph
Giuliani, s’è man mano allontanato dal partito e dal 2007 si colloca come indipendente.
Ora, lo preoccupano – sempre secondo le fonti a lui vicine citate dal NYT – due
preoccupazioni: lo strapotere di Trump fra i repubblicani e l’infittirsi fra i
democratici delle difficoltà di Hillary Clinton.
Se la
candidatura del magnate dell’editoria dovesse essere confermata, sarebbe una
cattiva notizia per entrambi gli schieramenti. Con il suo profilo, infatti, Bloomberg,
un ebreo che ama essere considerato “un filantropo”, attirerebbe molti voti dell’elettorato
conservatore e farebbe concorrenza a Trump sul terreno del successo in affari e
pure della competenza imprenditoriale.
Ma l’ex
sindaco è anche capace di ottenere consensi tra ‘centristi’ e indipendenti,
sottraendoli, così, al candidato democratico; e, inoltre, è popolare
soprattutto a New York e nel New England, serbatoi di voti tradizionali di
progressisti e ‘liberal’.
Le notizie
del NYT ridanno corpo al fantasma del terzo uomo che aleggiava sulla campagna
fino all’autunno scorso, quando sia Trump che l’ex neurochirurgo nero Ben
Carson, due ‘corpi estranei’ al partito repubblicano, smentirono formalmente l’intenzione
loro attribuita di correre da soli se non avessero ottenuto la nomination. Ipotesi
di per sé improponibile per Carson, perché troppo costosa, ma percorribile per
Trump, che soldi ne ha (anche se meno di Bloomberg).
A gettare
un velo di dubbio, c’è la consapevolezza che il terzo uomo, negli Usa, non
vince mai, ma piuttosto fa perdere. Nel 1992, il miliardario Ross Perot, che
per molti versi ricorda Trump, non s’impose in nessuno Stato, ma sottrasse al
presidente uscente George Bush i voti che gli servivano per battere Bill
Clinton. Nel 2000, il verde Ralph Nader, con un seguito modesto a livello
nazionale, causò la sconfitta di Al Gore –e il successo di Bush figlio- con
migliaia di voti in Florida ‘sottratti’ proprio a Gore, cui ne sarebbero
bastati 258 in più in quello Stato per conquistare la Casa Bianca. Quanto a
John Anderson, ricco ‘liberal’ in corsa nel 1980, contribuì alla sconfitta di
Jimmy Carter, ma la vittoria di Ronald Reagan fu più netta di ogni
recriminazione.
Questa volta, però, le cose potrebbero essere diverse soprattutto se democratici e repubblicani dovessero presentare candidati fortemente polarizzati, come Sanders ‘il socialista’ e Trump ‘il populista’ o anche Cruz ‘il Tea Party’. In questo caso, si aprirebbe al centro una falla che il profilo di Bloomberg può agevolmente colmare. E se in corsa ci fosse una Hillary ‘debole’, Bloomberg potrebbe danneggiare più lei che Trump, i cui sostenitori sono irredimibili: l’ex sindaco è a favore del controllo delle armi e ha posizioni moderate e razionali in tema di immigrazione ed economia, tesi che piacciono a chi vota democratico. A New York, lo chiamavano il ‘sindaco badante’ perché attento alla salute dei suoi cittadini, con campagne contro il fumo, i cibi nocivi, le bevande gassate, e per l’ambiente. (fonti vv - gp)
Questa volta, però, le cose potrebbero essere diverse soprattutto se democratici e repubblicani dovessero presentare candidati fortemente polarizzati, come Sanders ‘il socialista’ e Trump ‘il populista’ o anche Cruz ‘il Tea Party’. In questo caso, si aprirebbe al centro una falla che il profilo di Bloomberg può agevolmente colmare. E se in corsa ci fosse una Hillary ‘debole’, Bloomberg potrebbe danneggiare più lei che Trump, i cui sostenitori sono irredimibili: l’ex sindaco è a favore del controllo delle armi e ha posizioni moderate e razionali in tema di immigrazione ed economia, tesi che piacciono a chi vota democratico. A New York, lo chiamavano il ‘sindaco badante’ perché attento alla salute dei suoi cittadini, con campagne contro il fumo, i cibi nocivi, le bevande gassate, e per l’ambiente. (fonti vv - gp)
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