Scritto per il blog de Il Fatto ieri e in altra versione per Il Fatto Quotidiano del 19/01/2016
Un po’ di paura, Hillary Clinton ce l’ha: l’autunno,
le è andato alla grande; l’inverno, agita le ansie del 2008, quando il voto
nello Iowa diede corpo alle spettro di quel rivale nero, giovane e un po’
sottovalutato, che l’avrebbe poi battuta, Barack Obama. Certo, l’avversario,
questa volta, ha meno carisma: Bernie Sanders, senatore del Vermont, 75 anni –
lei passa per una ragazzina coi suoi 69 -, ha dalla sua una certa genuinità e
lo spirito pionieristico di un ‘socialista d’America’, ma gli manca l’esperienza
e fors’anche la convinzione per fare il presidente degli Stati Uniti.
L’altra sera, sul palco di Charleston divenuto un
ring e in diretta televisiva in prime time sulla Nbc, Hillary e Sanders si sono
sfilati i guanti con cui s’erano finora trattati, hanno infilato i guantoni –
quelli da dilettanti, che sono più imbottiti - e se le sono verbalmente date di
santa ragione: un po’ nella sostanza e molto per la scena. Assistenza
sanitaria, tasse, controlli sulle armi: è stato un gioco a sorpassarsi a sinistra,
solo che così il senatore va a finire fuori strada, mentre la ex first lady è
sempre in grado di prendersi i voti al centro, oltre che quelli ‘liberal’.
Poche ore prima del 4° e ultimo dibattito fra gli
aspiranti alla nomination democratica –c’era pure l’ex governatore del Maryland
Martin O’Malley, ma non se lo filava nessuno: a un certo punto ha implorato “30
secondi” per dire qualcosa -, un sondaggio WSJ/Nbs indicava che l’ex segretario
di Stato ha incrementato il suo vantaggio su Sanders: 59% a 34% a livello
nazionale –a dicembre, lo stesso rilevamento dava un margine di 19 punti-,
anche se Sanders insidia da vicino Hillary nello Iowa (dove si vota il 1°
febbraio) e le è davanti nel New Hampshire (dove si vota il 9 febbraio). Invece,
un altro sondaggio meno recente dà a Hillary un margine nazionale di soli 8
punti.
Sta succedendo qualcosa di analogo fra i
repubblicani: Donald Trump, il battistrada, è messo sotto pressione e incalzato
dai suoi rivali. Lì, però, è partita vera: 12 in lizza e almeno quattro
potenziali vincitori (oltre a Trump, Ted Cruz, Marco Rubio, Jeb Bush). Fra i
democratici, è solo un simulacro di match: che il dibattito sia più aspro dei
precedenti all’insegna del fair play serve ad alzare un po’ la tensione e
l’attenzione e fa pure gioco ad Hillary, che sfoggia il suo pragmatismo.
Così, la Clinton contesta a Sanders di avere
ripetutamente votato in Senato seguendo le indicazioni della lobby delle armi,
la National Rifle Association, e commenta con favore la svolta del rivale, che
s’è appena schierato a favore dei controlli sulle vendite di armi introdotti da
Obama. Sanders, che viene da uno Stato di cacciatori e di ‘libertari’, respinge
come “per nulla sincere” le accuse e ricorda che la Nra lo ha sempre bocciato
nelle sue pagelle. Dà un brivido che il dibattito si svolga poco lontano dalla
chiesa metodista teatro l’estate scorsa d’una strage di neri ad opera d’un
giovane razzista bianco armato fino ai denti.
Sull'assistenza sanitaria, il senatore illustra un
piano nuovo di zecca per andare oltre l’Obamacare - la riforma di Obama - e
darla a tutti gli americani. La Clinton boccia come irrealistico il disegno troppo
costoso di Sanders, suggerendo, piuttosto, correttivi alla riforma di Obama.
Fronte tasse, lui vuole aumentarle per finanziare il suo progetto; l’ex first
lady si impegna a non toccarle per chi guadagna meno di 250 mila dollari l’anno,
mentre farà pagare di più ai paperoni. Ma il senatore qui piazza un colpo: "Io non prendo soldi dalle grandi banche né onorari da
Goldman Sachs", dice.
Strizzando l’occhio al voto nero della South
Carolina, tutti e due citano Martin Luther King. Forte del suo passato, Hillary
si dice più qualificata di Sanders per assumere la presidenza. E, quando si
parla di politica estera, sfoggia la competenza dell’ex segretario di Stato -lì,
Sanders gioca fuori casa e si vede-: l’Iran resta “sotto
osservazione” per i suoi test sui missili balistici, anche dopo l’accordo sul
nucleare e la revoca delle sanzioni; nella crisi siriana, ok alla via
diplomatica, ma Putin fa troppo l’amico di Assad; e – stilettata a Trump - i
musulmani americani sono “la migliore difesa” dell’Unione contro il terrorismo.
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