Negli Stati Uniti, la lobby delle armi,
potentissima, racconta che non sono le pistole che uccidono: sono le cattive persone
che ne fanno un uso cattivo. Chissà come s’adatta questa melensa frase fatta
con la storia di Ashley Doby, 27 anni, uccisa l’ultimo dell’anno dalla madre
Sherry Campbell, che l’ha scambiata per un ladro introdottosi nella loro casa
di St.Cloud, Osceola County, Florida. Sherry s’è svegliata di colpo, ha preso
la calibro 0.38 che teneva accanto al letto e, senza accendere la luce, ha
sparato: un colpo solo, nel buio, letale. La donna e il suo compagno sono nelle
forze dell’ordine.
E il giorno di Natale, nei pressi di
Detroit, un bambino di 8 anni che giocava in casa con i regali appena ricevuti,
insieme a un’amichetta di 7 anni, è stato ucciso da pallottole sparate sulla
strada davanti all’abitazione: i colpi, si ignora se accidentali o
intenzionali, hanno attraversato l’uscio.
Non si sa se e quanto questi ultimi
episodi, insieme alle statistiche sulle vittime di armi da fuoco negli Usa –
mille i morti ammazzati dalla polizia in un anno -, abbiano inciso sulla decisione
del presidente Obama di dare un giro di vite all’acquisto di armi nell’Unione.
Dopo la strage di San Bernardino il 30 novembre, Obama aveva già rinnovato l’appello
al Congresso a muoversi in tal senso, scontrandosi, però, con l’insensibilità
della maggioranza di deputati e senatori.
Preso ora atto che il Congresso ha
affossato le norme da lui proposte, il presidente ha finalmente annunciato, nel
primo discorso all’America del Nuovo Anno, che procederà con ‘executive orders’, cioè con
decreti presidenziali che sono un po’ l’equivalente dei nostri decreti legge. Sinceramente,
non si capisce bene perché non l’abbia fatto prima, vista importanza che
annette al tema.
Domani, lunedì 4 gennaio, Obama vedrà il
ministro della Giustizia, Loretta Lynch, per confrontarsi "sulle opzioni a
disposizione" per ridurre il numero di vittime delle armi da fuoco:
"Il mio proposito per il nuovo anno è andare avanti per quanto potrò”, ha
detto Obama, per "porre fine alla epidemia della violenza con le
armi", Il LAT denuncia “gli effetti perversi della infatuazione per le
armi” nell’Unione, che “confina con l’impulso suicida della società”; e il NYT
si chiede se “l’orrore non stia diventando normalità negli Usa”.
Mentre
il presidente scopriva le carte, un milione di texani venivano autorizzati ad
andare in giro come un tempo nel Far West, con la pistola in bella vista,
ovunque essi siano, per strada, al lavoro, in un ristorante, in un mall o al cinema:
è, infatti, entrata in vigore la legge sull’ ‘open carry’, cioè sul portare un’arma
senza nasconderla. Ne può profittare chi ha già il porto d’armi, a patto, però,
che si lasci prendere le impronte digitali e si presti ai ‘background check’, controlli
per verificare che la fedina penale sia in ordine.
Una
quarantina di Stati prevedono qualche forma di ‘open carry’. Ma il Texas, il
terzo dell’Unione per popolazione, e uno dei più conservatori, dà alla notizia
un rilievo nazionale. C.J. Grisham, leader dei pro ‘open carry’, un ex sergente
dell’esercito di 41 anni, si lascia fotografare con la figlia di 12 anni cui, a
Natale, ha regalato un fucile calibro 22 colore rosa.
Di segno contrario la misura decisa a Seattle, nello Stato di Washington: una tassa sugli acquisti d’armi da fuoco, 25 dollari su pistole o fucili, tra i 2 e i 5 centesimi a proiettile. La NRA, la lobby dei produttori e dei mercanti d’armi, s’è messa di traverso, invocando il secondo emendamento della Costituzione, su cui si basa il diritto alle armi. Ma i giudici hanno fin qui respinto ogni ricorso.
Di segno contrario la misura decisa a Seattle, nello Stato di Washington: una tassa sugli acquisti d’armi da fuoco, 25 dollari su pistole o fucili, tra i 2 e i 5 centesimi a proiettile. La NRA, la lobby dei produttori e dei mercanti d’armi, s’è messa di traverso, invocando il secondo emendamento della Costituzione, su cui si basa il diritto alle armi. Ma i giudici hanno fin qui respinto ogni ricorso.
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