Pubblicato da AffarInternazionali.it lo 01/01/2016
Il percorso verso le elezioni presidenziali negli
Stati Uniti, l’8 novembre, attraversa tutto il 2016, dal 1° febbraio, con le
assemblee di partito nello Iowa, che segnano l’inizio delle primarie,
all’Election Day, passando attraverso le conventions di fine luglio - repubblicana
a Cleveland e democratica a Filadelfia -. Man mano che s’avvicina il momento
della scelta del nuovo presidente, andrà sbiadendo alla Casa Bianca la figura e
il potere d’influenza internazionale di quello uscente: Barack Obama s’avvia ad
esaurire il suo secondo mandato e uscirà di scena. In un Mondo zeppo d’ansie e
di crisi, i cittadini americani devono estrarre un asso dal mazzo dei candidati:
potrebbe essere una donna, Hillary Rodham Clinton, ex first lady, ex senatore,
ex segretario di Stato, la più qualificata fra gli aspiranti presidenti dal
punto di vista dell’esperienza internazionale.
Il 2016 è un anno bisestile e, quindi, oltre alle
elezioni presidenziali negli Stati Uniti, porta in dote le Olimpiadi, stavolta
in Brasile, ad agosto, tra timori di flop e tensioni sociali, in un Paese che
sembra avere perso, nel tracollo dei Mondiali di Calcio 2014, la sua spinta e
il suo ottimismo e dove la presidente Dilma Rousseff non gode più della fiducia
dei cittadini. E pure un anno di anniversari da 2.0: il 18 gennaio, Wikipedia
compirà 15 anni; il 21 marzo, Twitter compirà 10 anni; e ad aprile – ma qui dai
‘social media’ passiamo alla grande scienza - ricorre il 100° anniversario
della teoria della relatività generale di Albert Einstein.
All'orgia elettorale negli Stati Uniti, l’anno che
inizia contrappone una sorta di tregua elettorale nell’Unione europea: nessuno
dei Grandi dell’Ue andrà alle urne, o almeno nessuno dovrebbe andarci. In
Spagna, s’è appena votato – si rischia, però, un bis a breve -; Francia e
Germania avranno nel 2017 le loro consultazioni più importanti; la Gran
Bretagna prevede il referendum sull’uscita dall’Unione pure nel 2017; l’Italia
ha in calendario solo nel 2018 le prossime politiche (l’autunno porterà il
referendum sulle riforme istituzionali); e le istituzioni europee, rinnovate
nel 2014, resteranno operative fino al 2019.
Ci sono, quindi, condizioni sulla carta favorevoli ad
affrontare senza pressioni i problemi dell’integrazione, anche se le presidenze
di turno del Consiglio dell’Ue che si alterneranno non sono ideali: l’Olanda è sperimentata
ma ha un approccio esclusivamente prammatico ai problemi europei; la Slovacchia
è all’esordio è ha l’impostazione neo-nazionalista comune a molti Paesi usciti
dall’esperienza comunista.
Fra i temi da affrontare nell’anno, vi sono: il
negoziato con Londra per evitare, nel 2017, il Brexit, cioè l’uscita del Regno
Unito dall’Unione europea; il completamento dell’Unione bancaria, l’avanzamento
verso l’Unione energetica, la riforma della governance, soprattutto in questa
fase la questione immigrazione, dove si tratta di attuare decisioni già prese e
di rivedere i criteri dell’asilo.
L’agenda 2016 è inoltre intessuta dei tradizionali
appuntamenti dei Vertici internazionali. A parte quelli europei, il cui primo
sarà a febbraio, sul Brexit, tutti gli altri si svolgeranno sul Pacifico: il G7
in Giappone a maggio, il G20 in Cina a ottobre, l’Apec in Perù a novembre.
Per il resto, le previsioni del 2016 sono incise sulla
roccia dei temi ineludibili (e probabilmente irrisolvibili): la minaccia del
terrorismo alla sicurezza, che in Italia si legge soprattutto in chiave
Giubileo – l’Anno della Misericordia finirà a novembre-; la lotta contro il
sedicente Stato islamico tra Iraq e Siria e la transizione a Damasco dal regime
di al-Assad a un nuovo assetto stabile e condiviso; la ‘normalizzazione’ della
Libia; l’ ‘Intifada dei Coltelli’ tra Israele e i Territori; gli effetti
perversi dell’infatuazione per le armi negli Stati Uniti, che – scrive il Los
Angelese Times - “confina con l’impulso suicida della società”, mentre il New York
Times si chiede se l’orrore non stia diventando normalità negli Usa. Senza
dimenticare, più vicina a noi, l’irrisolta crisi ucraina, dove le mosse della
Nato - l’invito al Montenegro a entrare nell’Alleanza - e dell’Ue - la proroga delle sanzioni alla
Russia – rischiano di allontanare una soluzione invece che di avvicinarla.
Nessuno s’immagina che tutti questi problemi escano,
nel 2016, dall’agenda internazionale: se ne risolvesse già uno, sarebbe un
successo. E probabilmente torneremo ad ascoltare appelli come quello che Papa
Francesco – lui, un protagonista sicuro - ha lanciato tra Natale e Santo
Stefano, denunciando “il silenzio vergognoso” che accompagna le persecuzioni
dei cristiani e di quanti, “martiri d’oggi, subiscono violenza in nome della
fede”. Parole suscitate dalla notizia che, a Natale, nelle cattolicissime Filippine,
attacchi integralisti islamici avevano fatto vittime fra i fedeli cristiani in
diverse province.
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