Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 06/01/2016
Fra le vittime collaterali, ma non troppo, dello
scontro fra Arabia saudita e Iran, rischiano di esserci i negoziati per la
transizione in Siria, che devono - o dovevano? - aprirsi a Ginevra il 25
gennaio, presenti il regime e gli oppositori moderati. L’Onu ne mantiene la data
e ne alimenta la speranza; ma Emma Bonino, ex ministro degli Esteri, e profonda
conoscitrice di quella regione, giudica “impensabile” che le trattative s’avviino,
in queste condizioni, cioè con Riad, capofila degli arabi anti-Assad, e
Teheran, sostenitore del regime alauita, ai ferri corti.
E la tensione tra Riad e Damasco non si stempera. Dopo
Bahrain, Sudan ed Emirati Arabi Uniti, anche un altro emirato sunnita del
Golfo, il Kuwait, ha richiamato il proprio ambasciatore in Iran, senza però
annunciare la rottura delle relazioni diplomatiche. Ciò dopo che il Consiglio
di Sicurezza dell’Onu aveva condannato gli attacchi a sedi diplomatiche saudite
in Iran compiuti tra sabato e domenica, come reazione all’annuncio
dell’esecuzione dell’imam sciita Nimr al-Nimr responsabile di avere contestato,
nella primavera 2011, la monarchia saudita.
Nei corridoi del Palazzo di Vetro a New York, c’era
ottimismo sui negoziati di transizione in Siria e di pace in Yemen, un fronte
di guerra aperta tra miliziani sciiti sostenuti dall’Iran e regime legittimo sunnita
sostenuto dall’Arabia saudita e da una malcerta coalizione sunnita.
L'ambasciatore saudita all’Onu Abdallah al-Mouallimi
ritiene che la rottura delle relazioni tra Riad e Teheran non avrà impatto
sulle trattative: "Da parte nostra, continueremo a lavorare per sostenere
gli sforzi di pace in Siria e Yemen … Parteciperemo ai colloqui sulla Siria e
non li boicotteremo". Mouallimi scarica, però, a priori le responsabilità
su Teheran, sostenendo che "gli iraniani, anche prima della rottura delle
relazioni diplomatiche, non davano un grande sostegno agli sforzi di pace, non
erano tanto positivi", assumendo, piuttosto, “posizioni provocatorie e
negative”. Il diplomatico non s’illude che la rottura delle relazioni “servirà
a dissuaderli dal tenere questi comportamenti".
Dichiarazioni di circostanza a parte, l'escalation
della tensione tra sauditi e iraniani mette a rischio lo sforzo diplomatico per
raggiungere una soluzione negoziata al conflitto siriano, che è nel suo quinto
anno e ha fatto oltre 250mila vittime. Non è neppure escluso che l’onda lunga
dello scontro tra sauditi e iraniani vada a infrangersi sugli accordi in Libia
per un governo di unità nazionale, inducendo l’una o l‘altra fazione a denunciare
l’intesa raggiunta in Marocco a dicembre.
"Questa nuova, improvvisa e acuta crisi
saudita-iraniana è uno sviluppo molto preoccupante: dobbiamo evitare ad ogni
costo che provochi una catena di conseguenze violente nella regione",
avverte l’inviato dell’Onu in Siria Staffan de Mistura, in contatto con Riad e
con Teheran..
In una dichiarazione di condanna approvata
all'unanimità i 15 membri del Consiglio di Sicurezza, oltre alla condanna, esprimono
"profonda preoccupazione" e chiedono all’Iran di proteggere “proprietà
e personale diplomatico e di rispettare in pieno gli obblighi internazionali".
Senza dare peso alle parole dell’Onu, il presidente
iraniano Rohani ha rilanciato le accuse a Riad, che "non può coprire il
suo crimine, l'avere decapitato un religioso, interrompendo le relazioni".
Incontrando il ministro degli Esteri danese Jensen, Rohani ha auspicato che i "Paesi
europei, sempre sensibili in materia di diritti umani, prendano posizione”. Per
l’Iran, la rottura dei rapporti da parte di Riad e dei "suoi
vassalli" non recherà danno economico, anzi si rivelerà un boomerang. E
tanto per cominciare, i fedeli iraniani hanno sospeso i loro pellegrinaggi alla
Mecca.
In questo contesto confuso, dalla Siria sono però
giunte, nelle ultime ore, due notizie che positive: la liberazione di padre
Azziz, un francescano già rapito due volte; e il completamento, certificato
dall’Opac, l’Organizzazione anti-armi chimiche, della distruzione dell’arsenale
chimico dichiarato da Damasco nel 2013. Gli ultimi a essere stati smaltiti sono
stati 75 cilindri di fluoruro di idrogeno presso l'impianto di Veolia in Texas.
Una missione investigativa congiunta Apac-Onu prosegue per accertare presunti
episodi di utilizzo di armi chimiche, anche iprite, da più parti.
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