Scritto per Il Fatto Quotidiano del 15/01/2016
La geografia del terrore del sedicente Stato
islamico s’allarga al Sud-Est asiatico: l’azione nel cuore di Giacarta, la
capitale del più popoloso Paese islamico al Mondo, l’Indonesia, evoca le
carneficine di Parigi del 12 novembre o l’attacco recente di Istanbul, ma
richiama anche operazioni terroristiche d’altri tempi – Mumbai, novembre 2008 –
e d’altre longitudini – il centro commerciale di Nairobi nel settembre 2013 –.
Rispetto ai precedenti più recenti, c’è il minimo comune denominatore d’avere nel
mirino il turismo e gli stranieri.
A conti fatti, il bilancio è relativamente
leggero, rispetto ammolteplicità degli assalti e determinazione degli autori:
sette vittime, fra cui – pare – cinque terroristi (due i kamikaze che si fanno
esplodere). L’autoproclamato Califfato rivendica l’azione, in questa sua
tentacolarità che pare frutto d’una
sorta di franchising del terrore: gruppi locali
più o meno autonomi, spesso derivazioni di gruppi già esistenti, magari in
passato collegati ad al Qaida, agiscono, utilizzando – e sarebbe questo il caso
– ‘foreign fighters’ di ritorno o aspiranti tali e ricevono poi l’autentica da
chi detiene il marchio della lotta jihadista.
Secondo fonti di stampa locali e agenzie
internazionali, le prime deflagrazioni sarebbero avvenute vicino a un mall
della capitale, il Sarinah, e nei pressi di una stazione di polizia. Poi, tutta
la zona del trafficatissimo centro commerciale, Thamrin Street, vicino al
palazzo presidenziale e agli uffici delle Nazioni Unite, in quello che è anche
il quartiere delle ambasciate, è stata teatro per cinque ore di una serie
d’attacchi coordinati: esplosioni e scambi di tiri d’arma da fuoco hanno
alimentato paura e panico. Un’esplosione è avvenuta all’esterno della sede
dell’Onu, un'altra in uno Starbucks, un’altra ancora davanti a un hotel: le
immagini facevano presagire un bilancio ben più tragico.
Le ricostruzioni sono ancora frammentarie. Gli attacchi, cominciati intorno alle 10.30
locali, si sono conclusi intorno alla 15.20. Dopo, c’è stato un ulteriore
sussulto, quando sono state avvertite delle esplosioni, che la polizia ha però
derubricato a ‘falso allarme’. Fra le vittime dei terroristi, ci sono un
canadese e un indonesiano; fra i feriti gravi, un funzionario olandese dell’Onu.
L'operazione è stata rivendicata da un gruppo legato all'Is: fra gli obiettivi indicati,
cittadini stranieri e postazioni di polizia. "Volevano colpire come a
Parigi" ha detto un portavoce della polizia. Il capo delle forze di
sicurezza, il generale Tito Karnavian, sostiene che dietro l'attacco ci sia
Bahrun Naim, un indonesiano che combatte con gli jihadisti in Siria.
L'obiettivo di Naim, noto alle forze dell'ordine, è
assumere la leadership della Katibah
Nusantara, un gruppo composto da miliziani provenienti da Indonesia e
Malaysia. Lo Stato islamico aveva
già minacciato di mettere il Paese sotto i riflettori della stampa
internazionale. E un allarme era giunto dall’Australia, Paese duramente colpito
dall’attentato di matrice islamista compiuto a Bali nel 2002, dove morirono 202
persone, in gran parte turisti australiani.
L'Indonesia, fino a pochi mesi fa era
considerata immune al contagio integralista. Ora, si stima che l’autoproclamato
Califfo abbia un migliaio di seguaci nell'arcipelago: i ‘foreign fighters’
indonesiani sarebbero 500/600, tra i 100 e i 300 sarebbero rientrati nel Paese dalla
Siria.
Considerata la grande democrazia
musulmana, l’Indonesia era stata per anni esempio di coesistenza tra le religioni,
ma tra il 2002 e il 2009 aveva poi subito una serie di attentati di stampo
islamista – sette stragi, quella di Bali la peggiore di tutte -. Poi, c’era
stata una sorta di tregua, ora esauritasi. Scontata la litania delle condanna
da Onu, Usa, Ue e tutta la comunità internazionale.
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