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giovedì 31 luglio 2014

Nomine: penuria di donne, Commissione Juncker rischia di slittare


Scritto per EurActiv.it il 31/07/2014, su dispacci d'agenzie

Causa penuria di donne, la Commissione Juncker potrebbe nascere in ritardo. Infatti, se i 28 Stati dell’Unione non presenteranno abbastanza candidature femminili per la Commissione europea, è possibile che il presidente eletto Jean-Claude Juncker decida di rinviare la formazione del nuovo Esecutivo, che dovrebbe entrare in funzione il 1° novembre.

Lo ha oggi detto la portavoce Natasha Bertaud, ricordando che, come indicato dallo stesso Juncker, i 28 hanno tempo fino alla mezzanotte per indicare i rispettivi commissari –uno per Paese -. Secondo numerose indicazioni, mancano all’appello almeno una manciata di Stati, forse più.

"E' una scelta degli Stati se annunciare o meno i nomi che hanno scelto - ha aggiunto la portavoce-. Noi non diremo niente fin quando tutto il collegio non sarà stato completato e le attribuzioni decise, cioè dopo il vertice del 30 agosto che nominerà l'alto rappresentante” per la politica estera europea, che è pure vice-presidente dell’Esecutivo.

Al momento, le donne designate sarebbero solo tre: il governo svedese ha confermato proprio oggi la commissaria uscente per gli Affari Interni Cecilia Malmstroem; il governo bulgaro ha confermato la commissaria uscente agli Aiuti umanitari e d’emergenza Kristalina Georgieva; e il governo ceco ha indicato Vera Jourova. C’è la candidatura italiana del ministro degli Esteri Federica Mogherini ad alto rappresentante, che è però legata alle decisioni del 30 agosto.

Un numero di donne adeguato, per Juncker, significa "più di quelle del precedente Esecutivo, cioè almeno nove, come ha chiarito il Parlamento europeo, che in caso contrario non darà il via libera", ha ricordato la portavoce. Ecco, quindi, la possibilità "di un rinvio nella formazione del collegio".

La Bertaud ha anche distinto "i due diversi processi: quello delle nomine dell'alto rappresentante e del presidente del Consiglio europeo, che spettano ai capi di Stato e/o di governo", nella riunione del 30 agosto; "e quello della scelta dei commissari e dell'attribuzione delle responsabilità”, che spetta al presidente della Commissione, che deve "essere anche d'accordo sull'alto rappresentante".

Sulla base delle intense consultazioni con tutti i paesi dal 16 luglio, data del Vertice delle Nomine, e dei nomi propostigli, Juncker studierà tutte le possibilità e, se non si arriverà subito a una soluzione, con un adeguato numero di donne, rinvierà la formazione del collegio".

La designazione da parte della Svezia della Malmstroem, che se n’è detta “onorata”, rende meno critica la situazione. "L'Europa - ha detto la responsabile degli Affari Interni, protagonista di polemiche con l’Italia sull’immigrazione  - è a un punto di svolta, con i conflitti nei paesi vicini e una crisi economica dalla quale, dopo molti anni difficili, stiamo cominciando a uscire. Le forze xenofobe e isolazioniste hanno guadagnato terreno in tutta l'Unione. Sono convinta che abbiamo bisogno di forti voci liberali nella nuova Commissione per assicurare un'Unione che sia aperta, unita e con uno sguardo rivolto all'esterno".

Le attribuzioni dei portafogli da parte del presidente Juncker avverranno nelle prossime settimane. Si sa che Juncker sta pensando a un commissario per l’immigrazione e che vorrebbe scorporare gli attuali ‘mega-portafogli’ dell’Economia – in crescita e disciplina di bilancio - e del Mercato interno – in mercato interno e servizi finanziari -. Impossibile, quindi, dire se la Malmstroem continuerà a gestire i flussi migratori nel Mediterraneo.

mercoledì 30 luglio 2014

Nomine: Ue, ipotesi ripartizione portafoglio economia

Scritto per EurActiv.it, su dispacci d'agenzia

Il presidente eletto della Commissione europea Jean-Claude Juncker sta considerando la possibilità di ripartire il portafoglio di commissario all'economia in due diversi incarichi, uno per la crescita e l'altra per la disciplina di bilancio. Lo fa sapere una fonte europea, citata dall’Agi.

La ripartizione del portafoglio consentirebbe alla Francia di piazzare l'ex ministro Pierre Moscovici in un portafoglio economico, tenendo nel contempo conto delle perplessità tedesche nell’affidare il compito di guardiano dei conti a un socialista francese, visto che Parigi ha dal 2012 un deficit oltre ai limiti previsti dagli accordi Ue.

"Tutte le opzioni restano aperte, ma ancora nessuna decisione è stata presa," precisa la fonte. Juncker aveva chiesto agli Stati di designare il loro commissario entro il 31 luglio. La fonte indica che finora 22 dei 28 Stati dell’Ue hanno presentato ufficialmente i loro candidati: le eccezioni sono Italia, Belgio, Paesi Bassi, Portogallo, Romania e Slovenia.

Ieri, la Francia ha candidato Moscovici, anche se solo informalmente, visto che nessuna lettera ufficiale al riguardo è ancora giunta a Bruxelles. La designazione di Moscovici eliminerebbe l’ipotesi di Elisabeth Guigou come alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza europea, un’alternativa al ministro degli Esteri italiano Federica Mogherini.

Il premier italiano Matteo Renzi ha fatto capire che non designerà alcun candidato, perché la partita
sulla Mogherini al posto attualmente tenuto da Lady Ashton è sempre aperta. La candidatura Mogherini è però complicata sia dai continui commenti sulla sua inesperienza (il Guardian pubblica un appello firmato da vari ex ministri europei perché si scelga qualcuno di maggiore esperienza) sia dalle perplessità di chi la considera troppo vicina alla Russia.

Anche l'Olanda non ha indicato nessuno, per ragioni in parte simili all'Italia. Il premier Mark Rutte, scrive oggi la stampa locale, è in pista per il posto di presidente del Consiglio europeo. Anzi, "se dipendesse dalla Merkel, lo sarebbe già", scrive il Volkskrant. Inoltre, è sempre in piedi l'ipotesi che il ministro dell'Economia Jeroen Dijsselbloem, presidente dell'Eurogruppo, gradito alla Merkel, vada a occuparsi in Commissione della disciplina di bilancio, in tandem con il francese Moscovici. Ma c’è sempre la possibilità che il finlandese Olli Rehn venga parzialmente rimpiazzato da un altro finlandese, l’ex premier Jyrki Katainen.

C'è, inoltre, il problema dell'equilibrio di genere. Juncker per ora ha solo due donne: la ceca Vera Jourova –una new entry- e la bulgara Kristalina Georgieva –confermata-.




lunedì 28 luglio 2014

Razzismo: calcio, Ue dopo Fifa entra in tackle su Figc per Tavecchio

Scritto per EurActiv.it, su dispacci d'agenzia

La Commissione europea entra in tackle scivolato sulla gaffe razzista di Carlo Tavecchio, principale candidato alla presidenza della Federazione italiana gioco calcio. E viene in appoggio alla Fifa, sottolineando che "la non discriminazione è la pietra angolare della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea".

La vicenda Tavecchio diventa, così, un altro tassello del malessere italiano a stare in Europa senza fare gaffes o derogare alle regole, anche solo di buona condotta.

Mentre i media italiani sono palestra di una corsa al ‘volemose bene’ e al ridimensionamento dell’incidente, l’Ue avalla il richiamo  il richiamo della Fifa e sottolinea che "il razzismo e ogni altra forma di discriminazione non devono aver posto nel calcio".

Lo ha detto Dennis Abbott, portavoce della Commissione europea per sport, cultura, istruzione e politiche giovanili, rispondendo ad una domanda dei giornalisti sul caso Tavecchio.

Abbott ricorda che "la Commissione riconosce in pieno l'autonomia delle federazioni sportive”, ma aggiunge che essa considera tuttavia che il calcio, in quanto sport più popolare in Europa, ha “responsabilità particolari nella lotta al razzismo".

"Eliminare il razzismo dal calcio deve continuare a essere una priorità a tutti i livelli del calcio", conclude Abbott, rilevando che la Commissione "ha accolto con favore il fatto che la Fifa abbia chiesto alla Figc di aprire un'indagine sulle dichiarazioni" di Tavecchio.

domenica 27 luglio 2014

Italia/Ue: pugni sul tavolo e parole come pietre. Ma i fatti?


Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano e per EurActiv.it il 27/07/2014

Nel suo editoriale, Antonio Padellaro, direttore de Il Fatto Quotidiano, evidenzia, oggi, “la continua esibizione muscolare del premier e dei suoi accoliti”, “la strategia dello scazzo permanente”, il “qui si fa come dico io”. Sono scelte, o meglio comportamenti, che il premier Renzi e il suo Governo tendono ad adottare anche in Europa, specie dopo che l’Italia ha assunto, il 1° luglio, la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue, una posizione che dovrebbe essere più di mediazione che di potere.

Alcuni ministri lo seguono per convinzione, altri per imitazione, altri, forse i migliori, o i più timidi, o i più esperti, esitano a farlo. Perché nell’Unione quegli atteggiamenti non premiano. Anzi, penalizzano. Ed erodono il capitale di credibilità e di simpatia su cui il premier Renzi poteva inizialmente contare. Che si discuta di nomine o di riforme (e, quindi, di flessibilità).

Tanto più quando il contesto economico non induce ad avere fiducia nell’Italia, di cui le Istituzioni internazionali –Fmi, Ocse, Ue- e nazionali –BankItalia, Confindustria- non fanno che abbassare le previsioni di crescita 2014, dallo 0,8% iniziale –già modesto- allo 0,3% delle ultime stime del Fondo monetario (a fronte di un 1,1% medio della zona euro). Va peggio del previsto pure la Francia di Hollande, il miglior amichetto europeo di Renzi, Vanno meglio del previsto Germania e Spagna e, fuori dall’euro, meglio di tutti i Grandi dell’Ue, la Gran Bretagna.

Il Governo italiano non prova più ad arginare il pessimismo degli esperti, che saranno ‘tecnocrati’, ma con le cifre ci vanno a nozze. E così lo spauracchio di una correzione dei conti pubblici in autunno diventa concreto: una manovra che gli analisti prevedono fino a 20 miliardi di euro. Anche se, per scongiurare l’ipotesi, o contenerla, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan lavora sodo sul capitolo privatizzazioni: obiettivo, raccogliere complessivamente 11 miliardi.

Quando il neo commissario agli Affari economici e monetari, Jyrki Katainen, ex premier finlandese che ha scelto l’approdo europeo, dice al quotidiano tedesco Die Welt, che "la cosa più importante per l'Italia … è attuare le riforme promesse dagli ultimi governi" fa una constatazione condivisibile. Che l’importante sia fare e non annunciare, nessuno può contestarlo.

Inutile metterla sulla rissa verbale, come fanno il sottosegretario agli Affari Europei Sandro Gozi e pure Palazzo Chigi. Gozi dice: "Con tutto il rispetto per Katainen, ciò che è giusto e ciò che è sbagliato in Europa non lo decide il commissario pro tempore finlandese, ma il Vertice dell'Unione", che “ha parlato chiaro su crescita e flessibilità: di solo rigore l'Europa non campa" (ma neppure di solo promesse).

La rissa sta in quel ‘pro tempore’. Perché Katainen è a Bruxelles per restarci, non solo lo scorcio che resta della Commissione Barroso, ma pure tutto il quinquennio della Commissione Juncker. Sarebbe meglio dialogarci, invece che usare le parole come pietre.

Come fa pure Palazzo Chigi:  “Non siamo scolaretti indisciplinati: ciò che fa l'Italia, specie le riforme .. , lo decide il popolo italiano, non certo il commissario pro tempore finlandese” –e dalli!-. E, poi, la stoccata che vuole essere decisiva: “Portiamo in Europa milioni di voti e miliardi di euro”.

Argomento un po’ logoro e un po’ scivoloso. Perché di miliardi ne porteremmo di meno, se solo sapessimo spendere quelli messici a disposizione dall’Unione. E perché i voti i partner s’aspettano che Renzi li usi per fare le riforme: quelle utili a rilanciare la crescita e il lavoro.

Discorsi analoghi valgono sul fronte aperto delle nomine europee: l’affondo del premier per mettere Federica Mogherini al posto di alto rappresentante della politica estera e di sicurezza europea non è riuscito a metà luglio e tutte le decisioni sono slittate al 30 agosto; e chi era in pole position 10 giorni fa potrebbe ritrovarsi fuori dalla griglia fra un mese.

Per il momento, il premier e il governo difendono in trincea le chances della Mogherini, mentre c’è chi lavora a costruirle alternative credibili. Ma l’Italia potrebbe prendere due piccioni con la fava del rinvio: tenersi un ministro degli Esteri giovane, ma preparato e competente, che nell’Unione farebbe fatica a sottrarsi al destino di basso profilo toccato a Lady Ashton (che, a dire il vero, l’ha più accettato che subito); e mandare a Bruxelles come commissario un ‘culo di pietra’ che possa seguire i lavori dell’Esecutivo, senza essere sempre in missione, ed occuparsi dei dossier ‘italiani’, oltre che dei propri. A Bruxelles, di grane da risolvere ce ne sono sempre. Ed è meglio essere presenti, piuttosto che in viaggio, quando si decide; e avere buoni rapporti con tutti i colleghi. Anche i finlandesi.

sabato 26 luglio 2014

MO: Kerry ottiene da Israele solo mini-tregua, collera palestinese

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 26/07/2014

Dopo la strage di donne e bambini nella scuola dell’Onu a Beit Hanoun, e quando ormai il conflitto contagia la CisGiordania, l’accelerazione diplomatica statunitense arriva a un passo dalla tregua nella striscia di Gaza, ma s’infrange, almeno per il momento, davanti al no di Israele, che, a sera, concede solo uno stop umanitario di 12 ore –dalle 07.00 di oggi, giorno della fine del Ramadan-.

Forte del mandato conferitogli dal presidente Obama, il segretario di Stato Usa John Kerry ottiene un consenso di massima da Hamas, seppure condizionato, ma non convince Israele: il premier Netanyahu sarebbe pronto ad accattare, anche perché gli obiettivi dell’offensiva sarebbero già stati in parte centrati, ma il consiglio di gabinetto mette paletti a una tregua più consistente.

Pure il leader di Hamas Khaled Meshaal fa richieste aggiuntive: ad esempio, il rilascio dei detenuti.

Tutto ciò avviene al 18° giorno di combattimenti tra israeliani e Hamas: le vittime palestinesi sono almeno 815, in gran parte civili; quelle israeliane 35, di cui 33 soldati -l'ultimo caduto ieri mattina-, più un bracciante thailandese.

Nelle ultime ore, Kerry ha avuto contatti con tutte le parti dell’area vicine ad Hamas, ha visto e rivisto gli egiziani e il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon. Intanto, il ministro degli Esteri turco Davutoglu è in Qatar, dopo una telefonata con Kerry e colloqui con responsabili palestinesi che della Turchia si fidano più che dell’Egitto. Scopo della missione nel Qatar, la possibile tregua tra Israele e Hamas.

La bozza di accordo proposta dagli Stati Uniti prevede una settimana di stop ai combattimenti, durante la quale lavorare a un’intesa più duratura e comprensiva. Nella settimana di sospensione delle ostilità, l'Esercito israeliano rimarrebbe nella Striscia per continuare a localizzare e distruggere i tunnel –e ciò non piace ai palestinesi-. Una volta entrato in vigore il cessate-il-fuoco ampliato, Israele e Hamas dovrebbero trattare al Cairo un accordo più vasto, politico ed economico.

La mediazione sarebbe egiziana, ma Onu, Usa ed Ue si farebbero garanti con entrambe le parti che le trattative riguarderanno temi essenziali: per Israele, disarmo dei razzi di Gaza e smantellamento dei tunnel; per Hamas, fine del blocco, estensione dei diritti di pesca, riparazione dei danni subiti nei raid e nelle incursioni.

Se le cronache da Gaza sono da tregenda - l'Organizzazione mondiale della Sanità chiede di potere evacuare i feriti e far entrare beni di prima necessità-, la tensione è altissima pure in Cisgiordania. Almeno 5 palestinesi sono stati uccisi in 48 ore tra Hebron e Nablus, dove un ragazzo di 18 anni è stato vittima –pare- dei colpi di arma da fuoco sparati da una donna colono, la cui auto era stata presa a sassate.

Due persone avevano perso la vita e 200 erano rimaste ferite, alcuni gravemente, in scontri notturni tra giovedì e venerdì a Qalandiya, durante una marcia di protesta tra Ramallah e Gerusalemme Est. Il corteo, partito dal campo profughi di al-Amari, è stato il più grande dalla seconda Intifada Per la radio militare israeliana, i dimostranti, circa 10 mila, hanno attaccato i soldati con molotov e hanno anche sparato. I militari hanno risposto con proiettili di gomma e veri e granate assordanti.

L'attacco ai soldati è stato rivendicato dalle Brigate Al-Aqsa. Contemporaneamente, sulla Spianata delle Moschee di Gerusalemme, dimostranti hanno appiccavano il fuoco a una stazione di polizia.

Le proteste sono coincise con il Laylat al-Qadr, la 'notte del Destino', l'ultimo venerdì del Ramadan. Le fazioni palestinesi hanno proclamato la 'Giornata della Collera' e la polizia ha vietato agli uomini sotto i 50 anni di avvicinarsi alla moschea di al-Aqsa.

giovedì 24 luglio 2014

Califfato e infibulazioni: guerre di religione, vittima la verità

Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano il 24/07/2014 

Una vittima di tutte le guerre è la verità. E se la guerra è ideologica, o religiosa, la verità, lì, muore più volte. Complice, magari, l’approssimazione dei media, perché la notizia falsa, o gonfiata, è sempre più ‘bella’ di quella vera, e rigorosa. E, poi, il califfo Abu Bakr al Baghdadi e le sue milizie jihadiste si sono già visti attribuire tante di quelle infamie che una in più non fa neppure specie.

La notizia, falsa, ma battuta come se fosse vera, dice che tutte le donne del neo-costituito Stato islamico, che si estende da Aleppo in Siria a Mosul in Iraq e fin nella Valle dell’Eufrate, devono subire l'infibulazione: lo prevede un "decreto" promulgato dall'autoproclamato califfo “per impedire la diffusione del peccato”.

I dubbi sull’autenticità del documento sono subito numerosi (ed evidenti agli esperti): il decreto, ad esempio, è datato 21 luglio 2013, quando il califfato ancora non esisteva; e il testo  -come evidenzia sull’ANSA Lorenzo Trombetta, cronista esperto e affidabile- presenta numerosi errori tipografici e utilizza fonti inconsuete per sostenere i presunti riferimenti alla tradizione profetica.

Il califfo al Baghdadi, alfiere della contrapposizione tra sunniti e sciiti ed epigono di al Qaeda, suscita ostilità nel mondo islamico: la sua pretesa di rivitalizzare il califfato, morto con la fine dell’impero ottomano, non è avallata dalle maggiori autorità religiose islamiche. E i cristiani gli rimproverano la persecuzione delle chiese a Mosul e altrove nei territori da lui controllati.

L’avanzata delle milizie è stata costellata da episodi di crudeltà. E agli jihadisti è stata attribuita anche una ‘caccia alle spose’ nei territori man mano occupati: una versione moderna, non meno violenta, del ‘ratto delle Sabine’.

Il decreto dell’infibulazione è un abominio da sfruttare mediaticamente. L’Osservatore Romano titola in prima pagina "Il califfato della brutalità”, raccontando "l'ultimo farneticante ordine impartito dal sedicente leader dell'Isil, che ha chiesto l'infibulazione per tutte le donne, bambine comprese, adducendo alla brutale disposizione inesistenti motivazioni religiose". Il giornale cita "fonti indipendenti", secondo cui "circa trenta bambine sarebbero già state sottoposte alla pratica dell'infibulazione negli ultimi giorni, mentre due donne sarebbero state lapidate senza che venissero rese note le accuse mosse loro".

Fioccano le reazioni, politiche, governative. "Se l'Isil conferma l'infibulazione di massa –commenta su twitter, con formula prudenziale, il sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova- sarebbe una cosa raccapricciante", "un'intollerabile violenza, come la scristianizzazione forzata".

 Non è probabilmente vero. Ma si sceglie di fare come se lo sia. Ora, nessuno vuole difendere –sia ben chiaro- la pratica dell’infibulazione, del resto più volte denunciate dalle autorità religiose musulmane. E nessuno vuole neppure recitare la parte dell’avvocato del califfo. Ma attribuirgli infamie con documenti fabbricati non serve la causa della verità e neppure quella della giustizia.

mercoledì 23 luglio 2014

Nomine: Mogherini resta candidata, ma i giochi sono aperti

Scritto per EurActiv.it il 23/07/2014, su dispacci d'agenzia

La partita delle nomine nell’Ue continua a giocarsi sotto traccia, dopo il rinvio delle decisioni al 30 agosto deciso dal Consiglio europeo del 16 luglio. Nelle dichiarazioni pubbliche, le posizioni sono ancorate alla scorsa settimana. Ma i giochi sono ben avviati e chi era in pole position a metà giugno potrebbe ritrovarsi fuori dalla griglia a fine agosto.

Le indiscrezioni a mezzo stampa rientrano nella ‘partita a scacchi’ in atto. Per Federica Mogherini,  le possibilità di prendere il posto di Catherine Ashton come alto rappresentante della politica estera e di sicurezza dell'Ue ''sono notevolmente calate'', scrive Der Spiegel, mentre salgono le quotazioni della francese Elisabeth Guigou, 67 anni, socialista ex ministro a più riprese, molto conosciuta nell’Ue.

In visita a Roma, la scorsa settimana, la stessa Guigou non aveva escluso una collocazione europea. ''E' una candidata estremamente qualificata'', su cui ci sarebbe l’accordo di “molti Paesi”, commenta il presidente della commissione Esteri del Parlamento europeo, il popolare tedesco Elmar Brok, consigliere della cancelliera Angela Merkel.

Dietro il ‘soffietto’ di Der Spiegel per la Guigou, la sensazione di un’altra tentativo popolare d’influenzare le scelte socialiste: prima del Vertice delle Nomine del 16 luglio, c’era stata l’ipotesi Enrico Letta –un Pd molto gradito al Ppe- alla presidenza del Consiglio europeo, che escludeva l’ipotesi Mogherini agli Esteri; adesso, l’idea Guigou.

Insomma, pare che i popolari –specie tedeschi- cerchino alternative socialiste al ministro italiano, mentre circola la voce che lady Ashton, l’attuale alto rappresentante, una laburista britannica, continuerebbe ad occuparsi - anche dopo la fine del suo mandato - dei negoziati con l’Iran, dove non ha fatto male.

Per il momento, Il Governo Renzi tiene il punto: “La Mogherini resta la nostra candidata al posto d’alto rappresentante”, ha oggi ribadito a Bruxelles il sottosegretario della presidenza del Consiglio con delega agli Affari europei Sandro Gozi, che ha presieduto il primo Consiglio Affari Generali del semestre italiano.

Gozi non sapeva dell'incontro di stamane fra l'ex premier Massimo D'Alema e il presidente eletto della Commissione europea Jean-Claude Juncker -altro focolaio d'ipotesi e sospetti- e s’è detto non "a conoscenza di alcun piano B" rispetto alla candidatura del ministro degli Esteri.

Che, ha aggiunto, "ha tutte le qualità per essere un ottimo alto rappresentante. Sinceramente, non ho mai capito tutte le critiche attorno al suo nome per una presunta mancanza di esperienza: si occupa da 20 anni di politica internazionale, ha iniziato giovanissima ad occuparsene per il nostro partito".

Gozi ha pure detto: "Quando si parla di nuova partenza per l'Europa, trovo difficile che la si faccia solo con politici uomini di alta esperienza: dovremmo sostenere la parità di genere in Commissione. Tutti punti a favore della conferma della Mogherini come candidata".

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L’incontro tra D’Alema e Juncker è avvenuto nell'ufficio del presidente allo Charlemagne, di fronte
alla sede dell'Esecutivo europeo. Il colloquio, a quanto si apprende, è durato una ventina di minuti e s’è svolto nell'ambito delle consultazioni di Juncker per le nomine europee. Una portavoce di D’Alema, che è presidente della Feps (Fondazione europea per gli studi progressisti), ha definito l’incontro “un colloquio cordiale tra due personalità che si conoscono da molto tempo per esaminare la situazione e le prospettive delle istituzioni europee. Dell'incontro era stato informato il presidente del Consiglio Matteo Renzi". Che non per questo ne sarà stato particolarmente felice. 

Nei giorni scorsi, la Mogherini, col sottosegretario Benedetto Della Vedova e il segretario generale della Farnesina Michele Valenzise, hanno illustrato le priorità della presidenza di turno italiana al corpo diplomatico in tre riunioni per gruppi regionali. Il motto del semestre, "Europe: a fresh start", è stato il filo conduttore degli incontri, articolati sui tre pilastri: crescita e occupazione; cittadinanza e diritti; maggior ruolo dell'Unione europea sulla scena internazionale.

martedì 22 luglio 2014

MO: l'impotenza perfetta della diplomazia

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 22/07/2014 

Dall’ennesima cruenta crisi mediorientale, Super-Potenze e potenze regionali, vicini volenterosi e organizzazioni internazionali, girano tutti alla larga. Non perché chi tocca i fili muore, ché, a Gaza, a morire sono centinaia di palestinesi e decine di israeliani; e nessun aereo civile ne traversa il cielo, solcato da caccia israeliani e razzi palestinesi. In 14 giorni d’offensiva israeliana sulla Striscia, la conta delle vittime è di oltre 550 palestinesi uccisi, e oltre 3000 feriti, contro una ventina di militari israeliani caduti.

Girano alla larga perché, a occuparsene, non si cava un ragno dal buco e si rischia di collezionare magre diplomatiche. Salvo, poi, quando i buoi sono scappati –e gli israeliani hanno già raggiunto, almeno in parte, i loro obiettivi- precipitarsi sui luoghi. Dove, in queste ore, convergono Usa, Russia e Onu. E l’Ue? C’è, c’è stata, l’hanno vista da quelle parti. Ma il segno non l’ha lasciato.

Il presidente Obama spedisce al Cairo il segretario di Stato John Kerry per “una tregua immediata” a Gaza e in Israele: vuol dire stop alle operazioni di terra e ai raid e stop ai razzi. “La priorità nostra e della comunità internazionale –sostiene Obama, sempre bravo a parole- è un cessate-il-fuoco che salvi la vita a civili innocenti … Il compito non sarà semplice: c’è molta passione e ci sono grosse difficoltà strategiche, ma ho chiesto a Kerry di fare tutto il possibile”. E Obama rileva che Israele “ha già inflitto danni significativi alle infrastrutture terroristiche di Hamas a Gaza”. Cioè, “Netanyahu, hai già avuto quel che cercavi, ora basta”: il linguaggio più esplicito che gli Usa possono permettersi con Israele, che criticano solo ‘fuori onda’ –come fa Kerry, un infortunio che casca bene-.

Se Washington si muove, Mosca non può stare a guardare. Ecco dal Cremlino l’appello alla tregua e ad “un’azione concertata della comunità internazionale”. Il cui linguaggio è più schierato di quello della Casa Bianca: “La situazione a Gaza è letteralmente degenerata, dopo l’avvio dell’offensiva terrestre israeliana”. Mosca appoggia gli sforzi dell’Egitto, ma non c’è feeling tra Hamas e il regime del generale al Sisi, anche se fonti iraniane riferiscono di “significativi progressi” fatti nel Qatar, nei negoziati tra Fatah e Hamas sulla proposta di tregua egiziana.

All’Onu, il Consiglio di Sicurezza non va oltre “la grave preoccupazione” per il numero crescente delle vittime e il rinnovato appello “a cessare immediatamente le ostilità”, sulla base dell’accordo fra Israele e Hamas del novembre 2012. Il segretario generale Ban Ky-moon è in Medio Oriente, finora con scarso costrutto, anche sul fronte umanitario, nonostante “gli enormi bisogni” delle 83 mila persone rifugiatesi nelle strutture delle Nazioni Unite.

E l’Italia, che dal 1° luglio guida il Consiglio dell’Ue? La politica estera e di sicurezza europea è nelle mani di Lady Ashton, che non ha mai mostrato grande sintonia con le vicende mediorientali. Federica Mogherini, che aspira a succederle, è stata nella Regione e ieri ha ricevuto il collega turco Mevlüt Cavusoglu: c’è l’idea “d’un ripensamento generale del quadro mediorientale e mediterraneo e di un approccio globale” alle problematiche regionali –MO, ma anche Siria, Iraq, Libia- verso “soluzioni sistemiche” alle crisi di quello scacchiere.

La presidenza italiana progettava di lavorare sul contesto mediterraneo e, in particolare, sulla Libia, che resta una priorità della Farnesina e non solo. Il sussulto di guerra tra israeliani e palestinesi manda all’aria i piani. E l’equidistanza diplomatica fra israeliani e palestinesi suscita mal di pancia nel Pd, dove Gianni Cuperlo, in un post su Facebook, chiede spirito d’iniziativa alla segreteria, denuncia la ‘guerra asimmetrica’ e propone che se ne parli alle Feste dell’Unità. Non piovessero le bombe, a Gaza sorriderebbero.

sabato 19 luglio 2014

Ucraina: Boeing abbattuto, la diplomazia del terrorismo

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 19/07/2014

Quanta suggestione!, in un anniversario: se sono cent’anni poi, pochi vi sfuggono. E, così, i media si riempiono di paralleli tra l’abbattimento del Boeing malese nei cieli dell’Ucraina orientale e l’assassinio -28 giugno 1914, a Sarajevo- dell’arciduca Francesco Ferdinando e della moglie Sofia ad opera d’un irredentista bosniaco, pretesto scatenante della Grande Guerra.

Ma la storia non (sempre) si ripete. Che sia stato un errore –comunque, criminale-, oppure un vero e proprio atto di terrorismo deliberato, l’abbattimento del Boeing non sarà la miccia d’una guerra senza quartiere su larga scala. Certo, può innescare un’escalation della violenza nella Regione. Ma può anche dare una chance alla pace. Perché mette ucraini e russi, e la diplomazia internazionale, davanti all’orrore, ed ai rischi, d’un conflitto fuori controllo.

Il terrorismo è spesso utilizzato dagli architetti di catastrofi per esasperare le tensioni e innescare reazioni. Non di rado, però, i risultati sono stati di segno opposto rispetto a quelli perseguiti: la scia d’attentati anti-americani fatti da al Qaida negli ultimi anni del XX Secolo culminò, l’11 Settembre 2001, nell’attacco combinato su New York e Washington, complessivamente oltre 3000 vittime. Ne derivò una guerra, dichiarata e condotta dagli Stati Uniti contro il terrorismo integralista.

La Russia di Putin ha già dimostrato di sapere utilizzare con il disinvolto cinismo dei servizi segreti provocazioni terroristiche per legittimare, ad esempio, la repressione in Cecenia.

Ed episodi come quello di giovedì sull’Ucraina sono già avvenuti, pur tralasciando gli attentati più ‘classici’ contro aerei in volo: la strage di Lockerbie è l’episodio più famoso, ma vi fu anche tutta una mini-serie misteriosamente firmata Nord Corea, senza un’apparente logica politica dietro-. Nella carrellata, l’Italia entra con il ‘caso Mattei’ –il presidente dell’Eni Enrico Mattei morì in un incidente aereo mai chiarito, il 27 ottobre 1962-, oltre che con la strage di Ustica -27 giugno 1980, 81 le vittime-.

Negli archivi della Guerra Fredda, c’è il volo Kal007: un Boeing sudcoreano abbattuto da un Sukoi il 1° settembre 1983, mentre volava sulla penisola di Kamciatka. Tutte le 269 persone a bordo perirono. L’aereo era fuori rotta e aveva violato lo spazio aereo sovietico.

In tempi più recenti, un alone di sospetto, magari artificioso, continua a circondare l’incidente all’aereo del presidente polacco Lech Kaczynski: il Tupolev Tu-154 si schiantò il 10 aprile 2010, tentando di atterrare sull’aeroporto di Smolensk nonostante una fittissima nebbia. Nessun superstite fra i 96 a bordo. I polacchi andavano a una cerimonia di commemorazione delle vittime dell’eccidio di Katyn, perpetrato dai sovietici nella Seconda Guerra Mondiale, ma attribuito ai nazisti.

E c’è pure un caso Usa. Il 3 luglio 1988, il volo IranAir 655 venne abbattuto da un missile lanciato dall’incrociatore Vincennes, sullo stretto di Hormuz: l’Airbus A300, decollato da Bandar Abbas e diretto a Dubai, aveva a bordo 290 persone, 66 bambini, tutti morti. Un errore, per gli americani: l’A300 fu scambiato per un caccia F-14 Tomcat dell’aeronautica iraniana. Un crimine deliberato, per il governo iraniano. Ma il tragico episodio, in un’area delicatissima, fra due Paesi ostili, non portò a un conflitto: tutto si risolse in tribunale, davanti a una corte internazionale. Gli Stati Uniti pagarono 61,8 milioni di dollari a titolo di risarcimento alle famiglie delle vittime, senza ammettere responsabilità né esprimere scuse formali. Anche la pace ha un prezzo.

venerdì 18 luglio 2014

Ucraina: Boeing abbattuto; rischio di guerra, o chance di pace

Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano il 18/07/2014

Che sia stato un errore o un atto di terrorismo deliberato, l’abbattimento del Boeing malese nei cieli dell’Ucraina orientale può innescare un’escalation della violenza nella Regione. Oppure, può dare una chance alla pace. Perché mette ucraini e russi e la diplomazia internazionale di fronte all’orrore, ed ai rischi, d’un conflitto fuori controllo.

Lasciamo qui stare i discorsi sulla dinamica dell’incidente e sulle responsabilità. Registriamo che gli Usa hanno elementi per dire che il missile killer è stato lanciato dalla zona dei ribelli filo-russi e riconosciamo di non avere informazioni di prima mano per aggiungere qualcosa di significativo all'intreccio delle versioni e dei dati.

Parliamo, qui, dell’impatto che l’incidente avrà, o potrebbe avere. Aldo Ferrari, un esperto dell’Ispi, ipotizza un aumento della tensione e un peggioramento della crisi. Perché negli Stati Uniti, e anche nell’Unione europea, chi mira ad ‘azzoppare’ la Russia ed a frenarne il percorso di ritorno al rango di Super-Potenza, invece che cercare un accordo con essa, potrà utilizzare l’accaduto per portare avanti una politica d’inasprimento delle sanzioni e di radicalizzazione del confronto.

Ma c’è pure la possibilità, non remota e non solo teorica, che l’orrore universale di questa tragedia, che tocca l’Europa e l’Asia, l’America e l’Oceania, faccia capire alla diplomazia internazionale, oltre che a Kiev e a Mosca, che la questione ucraina va risolta per via negoziale, senza lasciare che il conflitto sul terreno s’incancrenisca in una guerra civile a bassa intensità. Che, in ogni momento, può produrre fiammate come l’abbattimento del Boeing.

Il Washington Post fa un’osservazione analoga: l’alto numero di vittime europee può innescare un’internazionalizzazione della crisi, ma può anche segnarne un punto di svolta. E, nell'immediato, la proclamazione di una tregua per chiarire le circostanze dell’abbattimento è un primo piccolo dato positivo.

Certo, l’ipotesi positiva ha debolezze ‘buoniste’: presuppone che tutte le parti in gioco, la Russia e l’Ucraina in primo luogo, ma anche gli Usa, l’Ue, l’Onu, riconoscano i loro errori e soprattutto rinuncino ai loro pregiudizi. Partendo dalla constatazione che il gioco della tensione è andato troppo oltre e può loro sfuggire di mano. Anzi, è già sfuggito loro di mano.

Ucraina: Boeing abbattuto, rovelli timing disastro e ineluttabilità Putin

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 18/07/2014

Il sussulto, tragico, arriva quando la crisi ucraina è fuori dai radar della diplomazia internazionale da prima pagina, il giorno dopo che Usa e Ue coordinano un inasprimento delle sanzioni contro russi e filo-russi. L’abbattimento di un Boeing 777 della Malaysian Airlines nei cieli dell’Ucraina riaccende i fari sulle tensioni mai sopite nel triangolo tra Kiev, Mosca e le regioni dell’Est del Paese, dove i separatisti tengono in piedi un santuario d’autonomia, la repubblica di Lugansk.

Sulla dinamica dell’abbattimento, c’è incertezza e confusione: Kiev accusa i filo-russi; questi replicano sostenendo che l’azione è opera d’un caccia ucraino; Mosca si chiama fuori, negando qualsiasi coinvolgimento; il Pentagono per il momento tace, certo in attesa di raccogliere tutti i dati dei satelliti spia.

Ci sono coincidenze da brivido: l’aereo in viaggio da Amsterdam a Kuala Lumpur con 295 persone a bordo –presumibilmente, tutte morte- era dello stesso modello e della stessa compagnia di quello misteriosamente scomparso l’8 marzo, tra Kuala Lumpur e Pechino. L’abbattimento è avvenuto dove il traffico aereo è interdetto, per ragioni di sicurezza, perché lì sono già stati abbattuti velivoli militari ucraini –l’ultimo, martedì-, fino alla quota di 7900 metri. Ma una quota di 10mila metri era ritenuta sicura.

Nessuno, chiaramente, ipotizza un’azione criminale freddamente voluta e pianificata, anche se, dagli archivi della Guerra Fredda, esce il ricordo del Boeing sudcoreano abbattuto da un caccia Sukoi sovietico il 1° settembre 1983, alle ore 03.26, mentre volava sulla penisola di Kamciatka: tutte le 269 persone a bordo perirono. Il volo 007 era fuori rotta di circa 300 miglia nautiche: aveva inavvertitamente violato lo spazio aereo sovietico.

I presidenti americano e russo Barack Obama e Vladimir Putin si sono parlati al telefono. E’ chiaro che, se la matrice filo-russa dell’abbattimento sarà confermata, la causa dei separatisti ne uscirà indebolita. Ma il messaggio forte è che la diplomazia internazionale non può distrarsi, o limitarsi, come fa a caldo il segretario generale dell’Onu Ban Ky-moon, a esprimere sgomento.

Bisogna continuare a dialogare con Putin, magari anche duramente, come fa la cancelliera tedesca Angela Merkel, e mantenere la pressione su di lui e sul presidente ucraino Petro Poroshenko perché cerchino una soluzione alla crisi.

E l’Ue deve uscire dalle logiche divisorie degli anti-russi per storia, i Baltici e i Paesi dell’ex blocco comunista, e dei filo-russi per convenienze economiche ed energetiche –ad esempio, Germania e Italia-. La contrapposizione è andata in scena mercoledì a Bruxelles, al Vertice delle Nomine, dove la candidatura della Mogherini alla guida della politica estera europea non è passata anche per il suo asserito ‘approccio morbido’ verso la Russia.

La telefonata tra Putin e Obama doveva servire a discutere l’inasprimento delle sanzioni, che colpiscono soprattutto il gigante degli idrocarburi russo Rosneft e la banca di Gazprom. Washington  stigmatizza il gioco della Russia nella crisi e vuole che Mosca non incoraggi, e soprattutto non assista militarmente, i separatisti.

L’iniziativa della chiamata è stata di Putin, “fortemente deluso” dalle decisioni americane ed europee: le sanzioni non sono “costruttive” e possono “danneggiare” le relazioni bilaterali e “compromettere” gli sforzi per superare la crisi.

Obama e Putin hanno pure parlato dell’abbattimento del Boeing, che cambia le carte in tavola. La notizia era appena arrivata: il russo ha informato l’americano di un rapporto che indicava che un aereo malaysiano s’era schiantato al suolo in Ucraina.

giovedì 17 luglio 2014

Italia/Ue: Vertice delle Nomine, Renzi fa flop con la Mogherini

Scritto per AffarInternazionali e per EurActiv.it il 17/07/2014

Sei settimane d’estate: non c’è neppure una suggestione cinematografica, a stemperare la delusione per il rinvio delle nomine dei vertici dell’Ue deciso, alla mezzanotte del 16 luglio, dai leader dei 28. La nuova data cerchiata sull'agenda europea è il 30 agosto, un sabato, alle 16.00.

In sé, nulla di grave, perché gli incarichi da rinnovare scadono al 1° novembre: tempo per scegliere ce n’è. Ma la candidatura italiana di Federica Mogherini ad alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza europea esce ammaccata dal Vertice. E i metodi guasconi del ‘negoziato all’italiana’ non è detto che giovino a tenerla a galla.

Lasciando il Vertice - il primo, nel semestre di presidenza di turno italiana del Consiglio dell’Ue -, il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha lamentato che l’incontro "avrebbe potuto essere un po' più incisivo se fosse stato organizzato meglio". "Siamo venuti tutti a Bruxelles per sentirci dire che l'accordo non c'era: la prossima volta Van Rompuy può mandare un sms e farci risparmiare il volo di stato".

E, la vigilia del Vertice, il sottosegretario agli Affari Europei Sandro Gozi, constatata l’opposizione alla Mogherini di “10/11 Paesi” –la conta l’aveva fatta il neo-presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker-, aveva lanciato la sfida: “Decideremo a maggioranza”. Forse, un’altra volta.

E c’è chi, esperto delle dinamiche europee –ex premier, ex commissari, eurodeputati, diplomatici-, pensa che il flop del Vertice delle Nomine offra al Governo Renzi l’occasione per ripensarci: l’Italia, infatti, avrebbe più interesse a una presenza solida e costante nell’Esecutivo comunitario, dove transitano molti dossier per lei cruciali, invece del prestigio di facciata dell’alto rappresentante –spesso assente dalle riunioni del collegio-.

Doroteo per tradizione democristiana, il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy l’ha presa larga e tonda, per spiegare il rinvio: “Non abbiamo voluto concentrarci su un nome solo, quello dell’alto commissario… Vogliamo arrivare a un pacchetto di nomine, anche sul presidente del Consiglio europeo e dell’Eurogruppo” e, magari, sulla ripartizione degli incarichi più pesanti nella Commissione europea.

"O l'accordo sarà globale o non ci sarà –aggiunge Van Rompuy-. Sono sicuro che il 30 agosto avremo la decisione finale". Nel frattempo, andranno avanti le consultazioni fra i 28, mentre Juncker lavorerà alla composizione dell’Esecutivo: fra i nodi da sciogliere, l’ipotesi di creare agglomerati di competenze intorno a commissari ‘seniores’, magari con il ruolo di vice-presidenti, come rimedio alla ‘parcellizzazione’ degli incarichi; e l’assegnazione di posti chiave, come quello di responsabile per gli affari economici e monetari, dove potrebbe andare l’ex ministro francese Pierre Moscovici.

Il 16, Juncker è stato invitato a uno scambio di vedute coi leader sulle priorità della legislatura e pure sulla composizione della Commissione. Nel discorso programmatico al Parlamento europeo, prima dl’investitura dell’Assemblea il 15, Juncker aveva sollecitato i Paesi a proporre molti nomi femminili per il prossimo Esecutivo e aveva auspicato per la politica estera “una figura d’esperienza” –la Mogherini è ministro degli Esteri da meno di 6 mesi-. L’alto rappresentante ha più ruoli: è vice-presidente della Commissione e presiede il Consiglio dei Ministri degli Esteri.

Il Vertice delle Nomine, che doveva proprio designare il successore di Catherine Ashton alla guida della politica estera europea per i prossimi 5 anni, ha registrato molte opposizioni alla candidatura italiana sostenuta dai leader socialisti, che, come ha confermato il presidente Francois Hollande, puntano a quel posto, dopo che il popolare Juncker ha avuto la presidenza della Commissione.

L'opposizione d’un gruppo di paesi baltici –Lituania in testa- e dell'Europa centro-orientale, diffidenti per un’asserita posizione ‘filo-russa’ dell’Italia nella vicenda ucraina, e, inoltre, l'inesperienza hanno costituito ostacoli insormontabili in questa fase.

La stampa britannica, meno reticente di quella italiana, scrive che “l’Italia spinge un ministro senza esperienza – Daily Telegraph - a succedere alla Ashton”, che, dal canto suo, quando venne scelta, non ne aveva –e gli effetti si sono poi visti-. Per The Guardian, la vicenda porta “un serio smacco al fresco prestigio” del premier Renzi.

Una candidata alternativa è quella della bulgara Kristalina Georgieva, attualmente commissaria Ue agli aiuti umanitari e d’emergenza. In realtà, sia la Mogherini che la Georgieva rispondono a priori a un profilo di alto rappresentante simile a quello dello Ashton: una personalità non di statura tale da fare ombra ai ministri degli Esteri nazionali dei Grandi Paesi. Per preoccupare gli interlocutori, Renzi agita il drappo rosso di una scelta autorevole: “l’uomo con i baffi”, cioè Massimo D’Alema; e, in Francia, c’è chi pensa a Elisabeth Guigou.

A fine riunione, il premier racconta un altro film. Al Consiglio europeo, "non c'e' stata nessun veto sulla candidatura italiana", dice: "Non ho visto opposizioni a Federica Mogherini, non c'è stato nessun tipo di messaggio negativo sull'ipotesi della sua candidatura". “L'obiettivo dell'Italia – prosegue Renzi - non è avere una poltrona: l'abbiamo detto fin dall'inizio".

Ecco perchè, aggiunge ancora il premier, "noi siamo aperti a tutte le soluzioni, pure su temi italiani. Se c'è un nome italiano, e oggi ho sentito quelli di Letta e Monti, noi siamo disponibilissimi da tutti i punti di vista a qualsiasi soluzione". Battute che provano che il negoziato è in alto mare e che l’incertezza resta elevata: Angela Merkel, del resto, aveva prospettato un possibile rinvio, prima che il Vertice iniziasse.

Il confronto fra i leader è stato preceduto da incontri preparatori delle principali famiglie politiche europee, i socialisti, i popolari, i liberali. I socialisti –annuncia a fine consulto Gianni Pittella, capogruppo S&D al Parlamento europeo- puntano ufficialmente sulla Mogherini e sulla premier danese Helle Thorning Schmidt come presidente del Consiglio europeo. Ma la Thorning Schmidt si schermisce per l’ennesima volta: “Non sono candidata”.

E, secondo fonti vicine al Partito popolare europeo, Van Rompuy non avrebbe abbandonato l’idea d’esplorare una soluzione che riceverebbe molti consensi: l’ex premier italiano Enrico Letta presidente del Consiglio europeo –è un Pd, ma è molto gradito ai popolari- e la bulgara Georgieva Alto Rappresentante. Altre fonti, però, lo escludono: “Ritorni di fiamma di voci vecchie e superate”.

Il flop riporta tutti alla casella di partenza. E le sei settimane d’estate di Van Rompuy saranno calde.

A Bruxelles, i leader dei 28 non hanno parlato solo di nomine. Con un occhio alle crisi in atto, hanno ribadito la necessità di rilanciare il processo diplomatico per la pace in Medio Oriente e hanno deciso d’inasprire le sanzioni a responsabili (pure russi) della crisi ucraina. “Su questo punto, la linea dell'Italia è la stessa degli altri paesi europei”, sottolinea Renzi. Noi filo-russi? Quando mai!

mercoledì 16 luglio 2014

Italia/Ue: Vertice delle Nomine, spunta Letta, c'è Mogherini

Scritto per EurActiv.it il 16/07/2014, redatto su dispacci d'agenzia

Fra divisioni ed incertezze, i capi di Stato e/o di governo dei 28 dell'Ue hanno aperto, a Bruxelles, in serata, il Vertice delle Nomine per decidere l'attribuzione di alcuni fra i più importanti incarichi alla guida delle istituzioni comunitarie, in particolare quelli di presidente del Consiglio europeo e d’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza. Per quest’ultimo incarico è in corsa il ministro degli Esteri italiano Federica Mogherini.

La "riunione speciale", scrive nella lettera d’invito il presidente del Vertice Herman Van Rompuy, prevede pure consultazioni sull’Ucraina e sul Medio Oriente.

Il confronto fra i leader è stato preceduto da incontri preparatori delle principali famiglie politiche europee, i socialisti, i popolari, i liberali. La famiglia socialista punta ufficialmente sulla Mogherini e sulla premier danese Helle Thorning Schmidt come presidente del Consiglio europeo.

Ma secondo fonti vicine al Partito popolare europeo, il presidente Van Rompuy starebbe esplorando una possibile alternativa che riceverebbe molti consensi: l’ex premier italiano Enrico Letta andrebbe alla presidenza del Consiglio europeo e la commissaria bulgara Kristalina Georgieva diventerebbe Alto Rappresentante.

Per il presidente del Parlamento europeo, il socialista Martin Schulz, la Mogherini è “competente” ed ha “molte chances”, anche se una decina di Paesi –Baltici e dell’Europa centro-orientale- ne osteggiano la nomina, contestando a lei e all’Italia una posizione eccessivamente filo-russa.

Sull’agenda dei leader dei 28, c’è pure la scelta del presidente dell'Eurogruppo. Jean-Claude Juncker, neo-eletto presidente della Commissione europea, è stato invitato a uno scambio di vedute coi leader sulle priorità della legislatura e pure sulla composizione dell’Esecutivo comunitario.

Nel discorso programmatico al Parlamento europeo, Juncker ha sollecitato i Paesi a proporre molti nomi femminili per la prossima Commissione e, nel contempo, ha auspicato una figura d’esperienza per il posto di Alto Rappresentante –la Mogherini è ministro degli esteri da meno di 6 mesi-, che, secondo i Trattati, è anche vice-presidente dell’Esecutivo e presidente del Consiglio dei Ministri degli Esteri dei 28.

MO: i razzi di Hamas spazzano via la mini-tregua egiziana

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 16/07/2014

In Medio Oriente, il no di Hamas alla tregua mette fuori gioco la diplomazia internazionale e suona via libera a Israele perché rilanci intensifichi l’azione militare. Hamas respinge il ‘cessate-il-fuoco’ d’ispirazione egiziana; e il conflitto, rimasto sospeso per sei ore, riprende. Il bilancio delle vittime supera le 200 fra i palestinesi ed ha già maggiore di quello dell’ultima vampata tra Israele e Hamas nel 2012.

Il governo israeliano aveva accettato di sospendere, alle 0600 gmt, le 0800 del mattino in Italia, raid e bombardamenti. Hamas non ha però cessato i suoi attacchi, sparando 47 razzi, dice Peter Lerner, un portavoce militare -840 quelli tirati complessivamente, 200 quelli intercettati-. Intorno alle 1400, Israele ha così ripreso le operazioni nella Striscia di Gaza.

Il premier Netanyahu aveva avvertito che, se Hamas non avesse osservato la tregua, Israele, forte d’un’ulteriore legittimazione internazionale,  oltre al diritto all’autodifesa che tutti le riconoscono, avrebbe amplificato i suoi attacchi, “per riportare la calma” nella Strascia di Gaza –una calma che s’annuncia spettrale-.

Difficile decifrare in modo univoco le ragioni del rifiuto di Hamas di accettare la tregua egiziana, quando l’alternativa è il protrarsi di un confronto impari, in cui il divario dei danni inflitti all’avversario può solo ampliarsi a vantaggio degli israeliani.

Diversi i fattori che hanno contribuito alla risposta negativa: il rapporto di diffidenza, se non proprio di sfiducia, tra Hamas e l’Egitto del generale al Sisi, persecutore della Fratellanza musulmana; l’eco del vento dell’oltranzismo che la nascita del califfato tra Siria e Iraq fa arrivare fin sui Territori e nella Striscia; il tentativo di riguadagnare, fra la popolazione palestinese, credibilità e influenza, dopo i recenti segnali d’intesa tra Fatah e Hamas.

Che il fronte interno palestinese sia diviso e incerto sul da farsi si deduce anche dalla discrezione, nella crisi, del presidente Abu Mazen, che, però, aveva invitato le due parti a rispettare la tregua. Abu Mazen deve recarsi nelle prossime ore in Egitto e in Turchia, alleata di Hamas, il cui premier Erdogan accusa Israele di “terrorismo di Stato” e di perpetrare “massacri” della popolazione civile.

"L'iniziativa egiziana rappresenta un tentativo di sconfiggerci", spiega uno dei portavoce di Hamas, Fawzi Barhum, citato daYnet, sito web di Yedioth Ahronoth. Le condizioni della tregua proposta sono equiparate a quelle di una resa: “Siamo in guerra e, in guerra, non si cessa di combattere prima di negoziare le condizioni”.

Sami Abu Zuhri, altro portavoce di Hamas, osserva che il movimento "non è stato informato” prima della proposta egiziana: "Abbiamo saputo tutto dai mezzi di informazione - ha detto, citato dall’agenzia di stampa palestinese Maan -. Nessuno ci ha consultato su questa iniziativa… E’ ovvio che non la consideriamo vincolante".

Hamas scarta ogni ipotesi di ‘cessate-il-fuoco’ che non preveda una soluzione globale del conflitto israeliano-palestinese. Il movimento integralista chiede lo stop ai bombardamenti, la fine del blocco di Gaza in atto dal 2006, l’apertura del posto di frontiera di Rafah chiuso dall’Egitto e la liberazione dei militanti di nuovo arrestati dopo essere stati scambiati con un soldato israeliano preso nel 2011.

L’ala militare di Hamas, le brigate Ezzedin al-Qassam, ha subito bollato la proposta egiziana come “una resa” e ha poi rivendicato  il lancio contro Israele dei razzi.

La diplomazie cercano ancora di stemperare il conflitto. E,prima della ripresa dei raid, il segretario di Stato Usa Kerry s’era inquietato al Cairo dei “rischi di escalation della violenza”, dicendo che l’America è pronta “a fare di tutto” perché le due parti si avvicinino e si parlino.

La missione di Kerry s’intreccia con quelle dei ministri degli esteri italiano Mogherini – una visita programmata, all’inizio della presidenza italiana del Consiglio Ue, e tedesco Steinmeier. Arrivando in Israele, la Mogherini dice: “La cosa più importante è la tenuta della tregua”. Manco un’ora dopo, il no di Hamas e le bombe israeliane l’avevano seppellita.

martedì 15 luglio 2014

Italia/Ue: Vertice delle Nomine, il nodo della Mogherini

Scritto per EurActiv.it il 15/07/2014

Il ‘nodo Mogherini’ nel Vertice delle Nomine, domani, a Bruxelles. Ma a discutere di chi saranno, dal 1° novembre, i nuovi presidente del Consiglio europeo e alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune, i capi di Stato e di governo dei 28 arriveranno solo a fine giornata.

La lettera d’invito loro mandata dall’attuale presidente del Consiglio europeo, l’ex premier belga Herman van Rompuy, prevede che, dopo l’incontro di rito con il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz, la prima sessione del loro meeting sia dedicata alle crisi ucraina e in Medio Oriente.

A cena, i leader dei 28 saranno raggiunti dal presidente della Commissione europea oggi designato dall’Assemblea di Strasburgo, Jean-Claude Juncker. Con lui, discuteranno le priorità dell’agenda del nuovo Esecutivo e, magari, anche della composizione dello stesso, specie con riferimento a ruoli chiave –come il responsabile per gli affari economici e monetari, che potrebbe essere il francese Pierre Moscovici-, o l’ipotesi di un commissario all’immigrazione –avanzata dallo stesso Juncker- o l’idea della creazione di agglomerati di competenze intorno a commissari ‘seniores’, magari con il ruolo di vice-presidenti.

Ai colleghi, poi, Van Rompuy riferirà sulle consultazioni che ha condotto sulle nomine da decidere. La candidatura del ministro degli esteri italiano Federica Mogherini a succedere a Catherine Ashton gode del sostegno dei governi socialisti, ma è osteggiata –dice Juncker- da 10/11 Paesi, e fortemente dalla Lituania. Una candidata alternativa sarebbe la bulgara Kristalina Georgieva, commissaria uscente agli aiuti umanitari e d’emergenza.

Il sottosegretario italiano agli Affari Europei Sandro Gozi ha oggi espresso l'intenzione di andare a una decisione anche a maggioranza. Ma non si può neppure escludere un rinvio delle decisioni a una fase di consenso più matura. In ogni caso, sia la Mogherini che la Georgieva rispondono a priori a un profilo di alto rappresentante simile a quello dello Ashton: una personalità non di spicco tale da fare ombra ai ministri degli Esteri nazionali dei Grandi Paesi.

lunedì 14 luglio 2014

Mondiali: l’Europa del rigore batte i campioni del default

Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano e per EurActiv.it il 14/07/2014

Alla fine, vince l’Europa –per la prima volta in America-: la Germania del rigore (e, nell'antologia dei luoghi comuni, dell’organizzazione) batte l’Argentina, campione di default (e, a priori, di estro). E fanno 11 Mondiali all’Unione –quattro ciascuno Italia e Germania, uno ciascuno Gran Bretagna, Francia e Spagna- contro 9 al Resto del Mondo –cinque al Brasile, due ciascuno a Uruguay e Argentina-.

Certo, la svelta –e piccola- Olanda faceva più simpatia della massiccia –e grande- Germania. Però, gli olandesi, fuori contro l’Argentina ai rigori, sono politicamente portatori dello stesso messaggio: prima i conti in ordine, poi la flessibilità. I cui alfieri, al Mondiale in Brasile, non sono stati brillanti: Italia e Spagna fuori subito, come l’Inghilterra –che non rientra in nessuna categoria Ue-, Grecia agli ottavi, Francia ai quarti.

La metafora calcistica vale quel che vale, cioè poco. Ma l’Italia, presidente di turno del Consiglio dell’Ue, farà bene a non sottovalutare, nel dibattito sulla flessibilità, dove per ora si una melina persino stucchevole, la determinazione dei suoi interlocutori: quelli del rigore sono tosti, sanno trasformare le stagioni di difficoltà in momenti di crescita di rinnovamento.

Così, dopo la delusione casalinga inflittale dall'Italia 2006, la Germania calcistica campione 2014 ha fatto il percorso dell’integrazione riuscito per prima all'Olanda degli Anni ’70, con molucchesi e surinamesi, e poi alla Francia del ’98, con la sua nazionale multi-etnica. E senza nulla perdere nell'organizzazione ha acquisito diversità e pizzichi di fantasia.

Il calcio è un’altra cosa? Certo. Ma dalla Germania che chiedeva –e otteneva- flessibilità agli albori dell’euro sono uscite le riforme e un’economia ora solida. Mentre dai nostri anni di riforme sempre promesse e mai fatte è uscita quest’Italia che non cresce, afflitta dalla sindrome del Gattopardo e che rischia di confondere il cambiamento con la rottamazione della competenza.

domenica 13 luglio 2014

Italia/Ue: presidenza, nomine scacciano flessibilità

Scritto per EurActiv.it il 13/07/2014

Nomine in corso nell’Unione europea: quelle relative alla Commissione europea s’intrecciano con le designazioni del presidente del Consiglio europeo – dopo Herman van Rompuy - ed eventualmente del presidente dell’Eurogruppo, oltre che dell’alto responsabile per la politica estera e di sicurezza comune, che, come vice-presidente, è pure membro dell’Esecutivo.

La prossima settimana, è fitta di scadenze: lunedì, il Parlamento europeo farà l’esame ai quattro neo-commissari europei che sono succeduti ai colleghi eletti a Strasburgo.

Alcuni Paesi, come la Finlandia, hanno già scelto quello che sarà il commissario del prossimo mandato, mandando a Bruxelles, al posto di Olli Rehn, l’ex premier Jyrki Katainen. Altri Paesi, come l’Italia, hanno fatto una scelta ponte, mandando a Bruxelles non un politico, ma una personalità competente, come l’ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci.

La scelta dell’Italia per la prossima Commissione è subordinata alla possibilità di ottenere per Federica Mogherini il posto attualmente tenuto da Lady Ashton.

Martedì, l’Assemblea di Strasburgo voterà l’investitura al presidente designato della Commissione europea Jean-Claude Juncker, che non pare compromessa dall’intreccio di dichiarazioni –contraddittorie- fatte dallo stesso Juncker, incontrando la scorsa settimana i gruppi politici.

L’ex premier lussemburghese e presidente dell’Eurogruppo è stato soprattutto sollecitato sulle sue intenzioni per la responsabilità degli affari economici e monetari che i socialisti rivendicano all’ex ministro francese Pierre Moscovici, ma che pareva destinato al popolare Katainen.

Mercoledì, il Vertice potrebbe mettere qualche punto fermo. In questi giorni, viene preparato da consulti ‘di partito’, come quello fra i leader socialisti promosso sabato dal presidente francese François Hollande, o ‘di ruolo’, come quelli fatti venerdì dal premier Renzi, avendo l’Italia la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue, chiamando, in particolare, la cancelliera Angela Merkel e il cancelliere austriaco Werner Faymann, oltre a Hollande e van Rompuy.

La composizione della Commissione –esercizio che impegnerà Juncker tra estate ed autunno- sarà un puzzle, nel quale tenere conto di vari fattori: facile quello di base nazionale –un commissario per Paese-; più complicati quelli ‘di genere’ e ancora di più ‘partitici’. E l’assegnazione dei portafogli dovrà tenere conto dei desideri nazionali.

A Juncker si presta l’intenzione di creare qualche ‘portafoglio’ nuovo, come l’immigrazione, o il Mediterraneo; ma c’è pure chi gli suggerisce, piuttosto che ‘disintegrare’ ulteriormente le competenze esistenti, di ‘aggregare’ commissari sui temi forti.

Di recente, su ‘l’Unità’, Pier Virgilio Dastoli evidenziava possibili clusters: energia, ambiente e clima; industria, innovazione e ricerca; dimensione sociale, cultura e formazione; cittadinanza, affari interni, giustizia e libertà; affari economici e monetari, bilancio e fiscalità; coesione territoriale e agricoltura e pesca; tutto l’insieme delle relazioni esterne. Una difficoltà starebbe nell’avere poi commissari ‘senior’ e altri ‘junior’, come ministri e sotto-segretari.

La settimana delle nomine potrebbe allontanare per qualche giorno l’attenzione dal dibattito, fin stucchevole, nella sua prevedibilità, sulla flessibilità, i cui termini stanno nelle dichiarazioni di Juncker: il Patto di Stabilità sarà applicato con buon senso, ferma restando la sua “allergia” a deficit e debito.