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venerdì 31 ottobre 2014

Usa: Mid-term -4: Wall Street e le imprese puntano sui repubblicani

Scritto per il mio blog GpNewsUsa2016.eu il 31/10/2014

A un certo punto del percorso mediatico di avvicinamento a qualsiasi elezione americana, c’è sempre un pezzo che dice che “Wall Street punta sui repubblicani”, così come c’è n’è un altro che assicura che “Hollywood sta con i democratici” –salvo poi produrre, come suo unico presidente, il repubblicanissimo Ronald Reagan-. Che la finanza stia con i cultori della libera impresa è abbastanza scontato, mentre le imprese, soprattutto le grandi, hanno ormai imparato, a distribuire un po’ a destra e un po’ a manca i loro contributi elettorali, che sono il modo concreto di manifestare il loro appoggio all’uno o all’altro partito. Il fatto nuovo è che, negli ultimi tempi, c’è stato un appoggio più marcato ai candidati repubblicani, soprattutto negli Stati più in bilico nella corsa al Senato. Finanza e imprese si attendono un ritorno dai loro investimenti politici e, opportunisticamente, puntano all’ultimo sui favoriti e scommettono su una vittoria repubblicana, con la conquista del Senato, oltre che della Camera. Sperando, poi, di capitalizzare al massimo se nel 2016 anche la Casa Bianca sarà repubblicana. Ma questa è un’altra storia, tutta da scrivere.


 Mid-term: Fec, gli ultimi dati sui finanziamenti elettorali

Gli ultimi dati della Federal Election Commission indicano che, negli ultimi sei mesi, nei cosiddetti 'swing state', gli Stati in bilico, il fiume di denaro messo a disposizione dei candidati alle elezioni di Mid-term dalle imprese è stato deviato dai democratici ai conservatori. Fino a giugno i democratici facevano la parte del leone nei cosiddetti 'business Pac', i comitati per l'azione politica finanziati dai grandi gruppi, raccogliendo oltre il 6o% delle donazioni. Da luglio a settembre, la loro percentuale è scesa al 42%, mentre le risorse versate ai candidati repubblicani si sono impennate al 58%. Lo scrive sull’ANSA Ugo Caltagirone, citando il Wall Street Journal, che spiega: “In gran parte, questo 'voltafaccia' è legato ai sondaggi delle ultime settimane, che danno i repubblicani in corsa per il Senato in vantaggio un po' ovunque negli Stati più incerti”. Dunque, una scelta di opportunismo da parte delle imprese.   C'è poi la convinzione - come si spiega nell'ambiente delle lobbies - che in questa fase un Congresso totalmente in mano ai repubblicani sia "meno rischioso" rispetto alle posizioni più dure di parte democratici nei confronti del mondo delle imprese.

giovedì 30 ottobre 2014

Usa: Mid-term -5; Michelle senatrice?, più facile Papa


Scritto per il mio blog GpNewsUsa2016.eu il 30/10/2014

Michelle come Hillary?, che divenne senatrice dello Stato di New York dopo che Bill Clinton era stato alla Casa Bianca. La first lady Michelle Obama gode di una grande popolarità – quella che oggi manca al marito presidente -, ma chi la conosce bene continua a escludere l’eventualità. "E' più facile che si candidi per diventare il prossimo Papa", ha detto con una battuta la sua ex direttrice della comunicazione Kristina Schake. Lo stesso Barack, tempo fa, in un'intervista aveva scherzato: "Michelle non si candiderà mai. Se lo facesse, direi che un extraterrestre s’è impadronito di lei". E lo staff va oltre: nega categoricamente qualsiasi ipotesi di candidatura a una carica pubblica, anche se indica che la first lady, conclusa la presidenza del marito, intende avere “un ruolo attivo”. Secondo quanto scrive Politico, le ennesime voci su una possibile candidatura al Senato sono state messe in giro da Orbmagazine: alcuni sostenitori del presidente Obama starebbero letteralmente implorando Michelle di fare il grande passo, trasferendosi in California e candidandosi al seggio che resterà scoperto se la senatrice Dianne Feinstein decidesse di non ripresentarsi nel 2018 –tempi comunque lunghi, dunque-.

Casa Bianca: sicurezza fa acqua, anche hacker all’attacco

Il rilancio della guerra al terrorismo coincide con una serie di allarmi alla Casa Bianca, le cui difese sarebbero sguarnite o, almeno, non efficienti. Il Secret Service, che è responsabile della sicurezza del presidente, ha pagato, con inchieste e avvicendamenti al vertice, le proprie pecche. Adesso, s’ha notizia d’un attacco di hacker alla rete presidenziale: i pirati informatici hanno puntato al network dei computer utilizzato dall'ufficio esecutivo di Barack Obama. Secondo una fonte dell'Amministrazione, citata da media Usa, i pc finiti sotto attacco non contengono dati classificati, ma si tratta comunque di un'intrusione in uno dei sistemi informatici più blindati del mondo, o che almeno dovrebbe esserlo. Per il Washington Post, che non identifica le proprie fonti, gli hacker potrebbero lavorare per il governo russo.  "Nel corso di una valutazioni di recenti minacce, abbiamo identificato un'attività sul network non classificato dell'ufficio esecutivo del presidente", ammette una fonte della Casa Bianca. "Abbiamo preso misure immediate per valutare e attenuare l’attività". Nell'affrontare l'attacco, e' stato limitato l'accesso alla rete. Sul caso indagano Secret Service, Fbi e Nsa.

mercoledì 29 ottobre 2014

Usa: mid-term -6; polls, Senato in bilico, repubblicani possono conquistarlo

Scritto per il mio blog GpNewsUsa2016.eu il 29/10/2014

Nuova raffica di sondaggi concordi: Nbc e Marist, come Abc e Washington Post e pure Cnn e Orc, indicano favoriti i repubblicani nella corsa al Senato, che il 4 novembre potrebbe così passare all’opposizione. Contro i democratici, continua a pesare l’insoddisfazione degli elettori rispetto al presidente Barack Obama: sei americani su 10 dicono di non fidarsi dell’attuale Amministrazione, sette su 10 sono ‘irritati’ dalla gestione dell’Unione, il 53% disapprova l’operato della Casa Bianca. Il rilevamento Nbc e Marist è stato effettuato in sei Stati i cui seggi in palio al Senato potrebbero risultare decisivi: Arkansas, Colorado, Iowa, Kansas, Nord Carolina e Sud Dakota. Ovunque, i repubblicani possono vincere. Ma, va detto, nessuna partita è chiusa, tranne, forse, quella del South Dakota, dove il repubblicano Mike Rounds ha un vantaggio a doppia cifra sul rivale democratico Rick Weiland. In Arkansas, Colorado e Iowa, i candidati repubblicani sono leggermente in vantaggio, in North Carolina i due contendenti sono praticamente pari. 

Repubblicani: nomination, Bob Dole chiede a Mitt Romney di ripresentarsi 

Bob Dole, 91 anni, candidato repubblicano alle presidenziali 1996 –nettamente sconfitto da Bill Clinton-, ex leader della maggioranza al Senato proprio durante l’Amministrazione Clinton, reduce della Seconda Guerra Mondiale, chiede a Mitt Romney di scendere di nuovo in campo per la nomination repubblicana alle presidenziali 2016. Nel 2012, Romney, un mormone, organizzatore dei Giochi invernali di Salt Lake City nel 2002, poi governatore del Massachusetts, fu il candidato repubblicano alla Casa Bianca, battuto da Obama. Dole parlava a un comizio del senatore del Kansas Pat Roberts., in vista del voto di mid-term di martedì prossimo. "Voglio che Mitt corra di nuovo", ha detto. Interpellato sulla sortita di Dole, Romney se l’è cavata con una battuta: "Non sai mai quello che sta per dire un novantenne. O no?". Per il 2016, i repubblicani non hanno un battistrada nella corsa alla nomination. E’ però raro che un candidato battuto venga riproposto, anche se vi sono precedenti: Adlai Stevenson, candidato democratico nel 1952 e nel 1956, sempre battuto dal generale Eisenhower; e Richard Nixon, battuto da Kennedy nel 1960, ma eletto poi presidente nel 1968. 

Mid-term: Ebola, il fattore paura può pesare sul voto 

Il 54% degli americani ritiene che l'Amministrazione Obama stia facendo "un buon lavoro" nella gestione dell'emergenza Ebola e sette su 10 sono fiduciosi che le autorità federali riusciranno a fermare l'epidemia (o, almeno, ad evitare che si propaghi nell’Unione). E' quando emerge da un sondaggio della Cnn/Orc pubblicato sul sito dell'emittente: il risultato colpisce particolarmente perché la popolarità del presidente è appena al 45%. Il fattore Ebola, dunque, e la pausa connessa potrebbe giovare più che nuocere ai democratici. Gli americani sembrano preparati al fatto che ci saranno nuovi casi di contagio negli Stati Uniti, otto su 10 danno per scontato che ciò accadrà presto, nelle prossime settimane. Nonostante le polemiche sulle restrizioni imposte da diversi Stati al personale medico di rientro dall'Africa occidentale, pochi reclamano un giro di vite sugli ingressi negli Usa: appena tre americani su 10 sono favorevoli a proibire l'ingresso agli stranieri provenienti dai Paesi colpiti dall'ebola e solo due su dieci lo impedirebbero ai propri connazionali.

martedì 28 ottobre 2014

Usa: mid-term -7, giù nei sondaggi, Obama si consola coi voti altrui

Scritto per il mio blog GpNewsUsa2016.eu il 28/10/2014

Più politica estera che politica interna per Barack Obama in questi giorni, nonostante l’avvicinarsi del voto di mid-term: giù nei sondaggi, il presidente Usa si consola con i voti altrui. Domenica sera, a urne ancora aperte, la Casa Bianca s’è congratulata con la Tunisia per “le elezioni democratiche” svoltesi in quel Paese, il cui esito, se ufficialmente confermato, con la vittoria dei laici e la sconfitta dei musulmani moderati, non dispiace a Washington. Obama s’è poi rallegrato con Dilma Rousseff, presidente brasiliana, che, nel ballottaggio, ha sconfitto il candidato conservatore Aecio Neves –pur appartenendo entrambi al campo progressista, Obama e la Rousseff non hanno un rapporto particolarmente positivo-. Infine, la Casa Bianca ha giudicato “una pietra miliare per la democrazia” le elezioni in Ucraina, nonostante il voto sia stato regolare solo nell’Ovest del Paese, mentre nell’Est russofono i seggi sono rimasti chiusi. Il successo dei partiti filo-europei e occidentali è comunque ben visto a Washington. Nessuna di queste tre votazioni dovrebbe condizionare le scelte degli elettori americani martedì 4 novembre.

Mid-term: nozze omosessuali, ok in 32 Stati leggi federali

Sono saliti a 32, oltre al District of Columbia, quello di Washington, gli Stati dell’Unione dove le coppie omosessuali possono godere dei benefici previsti dalle leggi federali, fra cui la pensione di reversibilità, l’assistenza sanitaria, i benefici per i veterani. L’Amministrazione Obama ha annunciato, la scorsa settimana, che Alaska, Arizona, Idaho, North Carolina, West Virginia e Wyoming si sono aggiunti alla lista che già ne comprendeva 26, fra cui i due più popolosi dell’Unione, lo Stato di New York e la California. Il ministro della Giustizia Eric Holder, che dopo le elezioni di mid-term lascerà l’incarico, ha detto: “Il nostro Paese si avvicina al raggiungimento della piena parità per tutti gli americani”. Lo statuto legale delle unioni omosessuali resta tuttavia confuso negli Stati Uniti, tra norme federali e statali talora contraddittorie e sentenze di tribunali di vario livello, anche della Corte Suprema. La parità dei diritti civili per gay e lesbiche è stata la nuova frontiera del secondo mandato del presidente Obama. Il voto omosessuale è in larga parte appannaggio, anche se non esclusiva, dei democratici.

Mid-term: Nobel Pace sollecitano Obama contro tortura

Le cattive pratiche della guerra al terrorismo di George W. Bush creano imbarazzi a Barack Obama, alla vigilia del voto di mid-term: una decina di vincitori del Nobel per la Pace stanno esercitando pressioni sulla Casa Bianca perché dia informazioni chiare e complete sul ricorso alla tortura da parte degli Usa. I Nobel sollecitano una relazione al Senato sul trattamento riservato dalla Cia ai presunti terroristi dopo gli attentati dell’11 Settembre 2001. Al loro pari Obama –il Nobel per la Pace gli venne assegnato nel 2009, prima che potesse meritarselo-, gli altri premiati chiedono di affrettarsi a chiudere un periodo buio, durante il quale gli Stati Uniti non diedero il buon esempio, in tema di rispetto dei diritti umani. Per il New York Times, la lettera è stata redatta, in particolare, da Desmond Tutu, arcivescovo sudafricano, e José Ramos-Horta, ex presidente di Timor Est, nell’ambito della campagna TheCommunity.com. Al giornale, una fonte del National Security Council ha detto che Obama riconosce che alcune pratiche dell’era Bush “non sono coerenti con i valori dell’America”. E la fonte rinnova l’impegno del presidente a che quei metodi non siano più usati.

Usa: mid-term; Obama, la botola dell'inferno

Pubblicato da AffarInternazionali il 27/10/2014

Barack Obama pare avere fretta di lasciarsi alle spalle il voto di mid-term, che, il 4 novembre, potrebbe aprirgli sotto i piedi la botola dell’inferno: un ultimo biennio alla Casa Bianca con tutto il Congresso contro, la Camera, che già lo è, e pure il Senato nelle mani dei repubblicani. Un’ipotesi non remota, per come vanno i sondaggi. Anzi, molto probabile.

Nelle elezioni di ‘mid-term’, gli americani rinnovano tutta la Camera -435 seggi- e un terzo del Senato, oltre a eleggere numerosi governatori e loro vice. C’è poi il consueto corredo di una miriade di voti locali e di referendum.

A una settimana dal voto, i repubblicani hanno ampliato il loro vantaggio sui democratici da 5 a 11 punti. Lo rivela l’ultimo sondaggio di Wall Street Journal/ NBC News: il 52% degli intervistati vuole un Congresso a maggioranza repubblicana, il 41% lo vuole controllatiodai democratici. Non è una situazione insolita, negli Usa, che Amministrazione e Congresso abbiano colori diversi: la sperimentò pure Bill Clinton; e Obama ha sempre avuto contro la Camera, tranne che nei suoi primi due anni.

Barack manda Michelle  

Il presidente ha già votato, in largo anticipo, il 20 ottobre, in un seggio di Chicago, dove partecipava a una raccolta di fondi per i democratici: si è messo in fila con altri elettori solleciti, ha smanettato al computer, ha ritirato il certificato timbrato. E s’è messo in posa con il personale del seggio, per una foto ricordo.

Obama s’è fatto vedere relativamente poco, in questa campagna. Di buone scuse, per restare a fare il comandante in capo alla Casa Bianca, ne ha: l’Ebola, per dirne una, che unisce l’America nell’ansia, e anche la guerra al terrorismo e al sedicente Stato islamico. Ma, in realtà, il presidente, molti non lo vogliono accanto sul palco: i candidati democratici temono il contagio della sua bassa popolarità.

A un comizio in Maryland, per sostenere il candidato governatore democratico Anthony Brown, una parte del pubblico se n’è andata prima che Obama finisse di parlare, in segno di disappunto. Così, il peso della campagna è più sulla moglie, Michelle, che su di lui: carisma e grinta, Michelle, in un video, sprona gli elettori democratici ad essere “affamati”, a meritarsi “un congresso che lavori per voi e per le vostre famiglie”.

Anche Hillary, che gli fu segretario di Stato nel primo mandato, tiene le distanze e, almeno in politica estera, non gli risparmia critiche, come un altro ‘clintoniano’, l’ex segretario alla difesa Leon Panetta, o come l’ex presidente, e pure Nobel per la Pace, Jimmy Carter. E proprio i Clinton, e persino il vice-presidente Joe Biden, sono testimonial elettorali più ambiti del presidente.

Disaffezione e freddezza

Gli Stati Uniti si avvicinano al voto di mid-term in un clima di sfiducia e disaffezione alla politica che accomuna Congresso e Casa Bianca e che fa tanto Italia. Solo il 9% di quanti intendono recarsi alle urne –saranno probabilmente il 50% dei potenziali elettori, non di più- sono "entusiasti" del presidente: siamo ben lontani dal fervore e quasi dall’entusiasmo che salutò, nel 2008, l’ingresso alla Casa Bianca del primo presidente nero degli Stati Uniti.

Il sondaggio che ha tastato il polso dell’emozione politica dell'elettorato statunitense è stato condotto da Ap-Gfk: alla domanda più scontata se approvassero o meno l’operato di Obama, il 17% ha risposto di sì con forza e il 44% di no con pari forza. Ma davanti alla scelta che sollecitava l’entusiasmo o la delusione dell'elettorato solo il 9% s’è detto "entusiasta" di Obama, mentre il 34% ce l’ha con il presidente.

E nonostante il lavoro ci sia, con la disoccupazione su valori fisiologici, e la crescita sia robusta, anche la fiducia degli americani nelle capacità di Obama di gestire l'economia è ai minimi dal 2009.
In un sondaggio della Cnbc, solo il 24% degli intervistati si dice "estremamente o abbastanza soddisfatto" dai risultati ottenuti dalle politiche economiche dell’Amministrazione. Un crollo rispetto al già modesto 33% del gennaio 2013, all’insediamento di Obama per il secondo mandato, quando però la situazione economica era oggettivamente più incerta. 

L’economia ‘tira’, ma non scalda

Il 44% degli intervistati dice, invece, di non avere fiducia nella leadership del presidente in economia. Un dato che preoccupa la Casa Bianca, già colpita anche da fuoco amico sul fronte della politica estera, per le incertezze e le mezze misure nella guerra al terrorismo, ma anche il partito democratico. Il presidente ha fatto un tour elettorale per rivendicare i successi dell’Amministrazione in campo economico, dopo che lui prese il potere nel pieno della crisi. Ma pare che gli americani non gli riconoscano meriti e non riescano ancora a percepire i buoni risultati raggiunti, anche perché la crescita dei redditi delle famiglie non rispecchia ancora la ripresa.

Pure quando sono buoni, i sondaggi non sono necessariamente forieri di buone notizie per Obama e per i democratici: per la Gallup, il presidente, in crisi di popolarità nell’elettorato tradizionale, piace ai musulmani d’America –più dei 2/3 l’appoggiano- ed ha seguito pure agli ebrei. Di che, però, alimentare più diffidenze che simpatie. 

Dopo il voto, Ebola e baruffe

Destra o sinistra, una cosa che accomuna democratici e repubblicani, in questa vigilia, è il record dei candidati di colore: oltre cento, che gli esperti definiscono l’ “effetto Obama". Oltre 80 neri, democratici o repubblicani, corrono per la Camera; e almeno 25 per un posto da senatore o da governatore o da vice. Il record precedente risaliva al 2012, in coincidenza con la rielezione di Obama: 72 candidati di colore alla Camera. Quando, nel 2002, se ne presentarono 17 fu un primato. 

Cosa succederà dopo le elezioni, nella politica americana? L’Ebola li mette d’accordo tutti (più o meno). Sul resto, che vincano i democratici o i repubblicani i prossimi due anni avranno segni diversi, nel segno della corsa a Usa2016 per tenersi, o riprendersi, la Casa Bianca: la guerra al terrorismo e le relazioni con l’Europa, la Russia, la Cina; i negoziati per la zona di libero scambio transatlantica; la gestione dell’economia e, soprattutto, delle finanze pubbliche; la riforma dell’immigrazione e l’estensione dei diritti civili –sono appena saliti a 32 gli Stati che riconoscono i matrimoni fra persone dello stesso sesso-.

lunedì 27 ottobre 2014

Usa: mid-term - 8, democratici in dietro, verso Congresso repubblicano

Scritto per il mio blog GpNewsUsa2016.eu il 27/10/2014

A una settimana dal voto di mid-term, i repubblicani ampliano vantaggio sui democratici da 5 a 11 punti. Lo indica l’ultimo sondaggio di Wall Street Journal/ NBC News: il 52% degli intervistati vuole un Congresso a maggioranza repubblicana, il 41% lo vuole controllato dai democratici. Non è una situazione insolita, negli Usa, che Amministrazione e Congresso abbiano colori diversi: la sperimentò pure Bill Clinton; e Obama ha sempre avuto contro la Camera, tranne che nei primi due anni. Nel voto di mid-term, si rinnovano tutta la Camera -435 seggi- e un terzo del Senato e s’eleggono numerosi governatori e loro vice. C’è poi il consueto corredo di una miriade di voti locali e referendum. L’alternanza della maggioranza al Senato dai democratici ai repubblicani dipenderà dalle dinamiche Stato per Stato di circa una dozzina di confronti ancora incerti. L’intensa campagna di questi ultimi giorni può consentire rimonte e sorpassi a candidati sulla carta oggi battuti. 

Mid-term: Obama in sordina, Michelle e Hillary vanno forte

Il presidente Barack Obama s’è fatto vedere relativamente poco, in questa campagna. Di ragioni, per restare a fare il comandante in capo alla Casa Bianca, ne ha: l’Ebola, per dirne una che unisce l’America nell’ansia, ma anche la guerra al terrorismo e al sedicente Stato islamico. Ma, in realtà, molti candidati democratici non lo vogliono accanto sul palco  temono il contagio della sua bassa popolarità. A un comizio nel Maryland, per sostenere il candidato governatore democratico Anthony Brown, una parte del pubblico, delusa, se n’è andata prima che Obama finisse di parlare. Così, il peso della campagna è più sulla moglie, Michelle, che su di lui: carisma e grinta, Michelle, in un video, sprona gli elettori democratici ad essere “affamati”, a meritarsi “un congresso che lavori per voi e per le vostre famiglie”. Pure i Clinton –Bill, l’ex presidente, e Hillary, che punta a diventarlo nel 2016-, e persino l’impalpabile vice-presidente Joe Biden, sono testimonial elettorali più ambiti del presidente

Mid-term: l’impatto del risultato sulle presidenziali 2016

Chi esce dal ‘mid-term’ con le ossa rotte, come partito o candidato, parte con l’handicap nella corsa, che viene lanciata poco dopo, a Usa 2016, le elezioni presidenziali dell’8 novembre 2016, quando Barack Obama non potrà più ripresentarsi. Fra i democratici, c’è da tempo un battistrada, nella corsa alla nomination: Hillary Rodham Clinton, già in lizza nel 2008, quando Obama la eliminò nelle primarie, che sarebbe la prima donna, e pure la prima moglie di presidente, alla Casa Bianca; fra i repubblicani, la rosa è ampia, ma ancora vaga. Gli Stati Uniti si avvicinano al voto di mid-term in un clima di sfiducia e disaffezione alla politica che accomuna Congresso e Casa Bianca e che fa tanto Italia. Le critiche al presidente, soprattutto per la politica estera, fioccano.  Anche Hillary, che gli fu segretario di Stato nel primo mandato, prende le distanze e non gli risparmia critiche, come un altro clintoniano, l’ex segretario alla difesa Leon Panetta, o l’ex presidente, e pure Nobel per la Pace, Jimmy Carter.

domenica 26 ottobre 2014

Presidenti e magistrati: quando toccò a Clinton, tutto fu pubblicato

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 26/10/2014

Non era mai successo a un presidente degli Stati Uniti, neppure a Andrew Johnson, vice di Lincoln, l’uomo che comprò l’Alaska dalla Russia: entrato alla Casa Bianca dopo l’assassinio del presidente, messo sotto accusa dal Congresso, Johnson scampò alla procedura di destituzione, l’impeachment, per un solo voto. Ma non fu mai chiamato a testimoniare davanti a una corte ordinaria.

Bill Clinton, il 17 agosto1998, depose davanti a un grand giurì che indagava sulla sua condotta, quando il procedimento di impeachment doveva ancora essere avviato (sarebbe poi naufragato).

Negli aspetti organizzativi, la deposizione di Clinton ha punti in comune con quella che martedì renderà il presidente Napolitano. Ma le situazioni giudiziarie sono totalmente differenti: esempio, Clinton era inquisito, mentre Napolitano è solo un teste. Subito dopo la deposizione, Clinton comparve in tv; e, successivamente, ma non immediatamente, tutti i contenuti di quella udienza furono divulgati.

Quel giorno, un lunedì, il presidente americano rispose per 5 ore nella Map Room della Casa Bianca alle imbarazzanti domande del magistrato Kenneth Starr sul caso Monica Lewinsky. Il confronto tra il procuratore e l’inquisito cominciò alle 12.59, con un minuto di anticipo sull'orario fissato. Le due parti avevano concordato che la deposizione non avrebbe superato le quattro ore di tempo effettivo: come in una partita di basket, l’orologio veniva fermato durante intervalli e interruzioni.

La Map Room, situata al piano terra della Casa Bianca, era collegata in video (a circuito chiuso) con i 23 membri del gran giurì. Il presidente era accompagnato da tre avvocati (Hillary, la first lady, era rimasta nelle sue stanze). Il magistrato, che per sette mesi si era preparato a quel momento, era con i suoi vice Jackie Bennett e Robert Bittman.

Clinton aveva ottenuto diversi privilegi per lo storico evento. Oltre ad avere al fianco gli avvocati (vantaggio generalmente negato agli inquisiti), il presidente era interrogato a casa sua, non davanti al grand giurì che stava in un tribunale federale a pochi isolati dalla Casa Bianca. Il segnale video era stato criptato dai tecnici militari che curavano le riprese, per evitare che la testimonianza fosse intercettata da pirati elettronici.

Clinton ammise a Starr quello che per sette mesi aveva negato, anche in sortite televisive spontanee - lo scandalo risaliva a gennaio -: la natura sessuale della relazione con la Lewinsky, una stagista. Il presidente, tuttavia, sostenne di non avere commesso spergiuro e di non avere intralciato la giustizia (i due reati che potevano fare scattare l'impeachment).

Le arzigogolate cavillose disquisizioni sulle differenze fra ‘rapporto sessuale’ e ‘sesso orale’ sono ormai entrate nel vissuto dell’America. Come i 267 ‘non ricordo’ con cui Clinton aveva costellato un precedente colloquio con gli avvocati di un’altra sua ‘fiamma’, Paula Jones.

A settembre, il procuratore Starr, su richiesta della Camera, inviò al Congresso un documento lungo 453 pagine e 36 scatoloni di prove, rapporti, referti, testimonianze, video, verbali riguardanti il caso. I repubblicani diffusero il documento di Starr con le deposizioni di Clinton su internet: allora la rete era meno capillare di oggi, ma già efficace. Tutto diventa pubblico. Compreso il passaggio in cui Starr chiede conto a Clinton dell’affermazione fatta nel processo per le molestie alla Jones, quando negò la relazione con la Lewinsky.

Il presidente spiega che non aveva considerato il sesso orale un “atto sessuale” perché, ricevendolo, non era entrato in contatto con nessuna delle parti del corpo della Lewinsky indicate nella domanda come “zone sessuali”, né era sua intenzione “gratificarla” dal punto di vista sessuale. Quindi dice che la sua risposta era “legalmente corretta”, ma riconosce di non essere stato preciso. Ammette, quindi, “relazioni inappropriate”, ma rivendica di non avere mai costretto nessuno a mentire. E’ dispiaciuto e pentito, chiede di rispettare la privacy della sua famiglia e si dichiara pronto ad assumersi tutte le responsabilità per il suo comportamento e i suoi errori.

Dopo le elezioni di midterm nel novembre del 1998, il partito democratico si trovò in minoranza sia alla Camera che al Senato. La procedura di impeachment venne lanciata, per intralcio alla giustizia e spergiuro. Ma a dicembre la vicenda si chiuse con un voto di assoluzione: alcuni repubblicani votarono a favore di Clinton.

Iran: Reyhaneh "balla sulla forca"; battuta d'arresto nei rapporti

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 26/10/2014

L’immagine agghiacciante di Reyhaneh Jabbari, 26 anni, che “danza sulla forca” impiccata all’alba, è, da ieri, un ostacolo in più al controverso riavvicinamento tra Teheran e l’Occidente: un percorso di per sé difficile, reso più accidentato da un intreccio di contraddizioni. L’Iran è presenza regionale ineludibile nella guerra al Califfato ed è partner commerciale ed energetico pesante per molti Paesi, fra cui l’Italia; ma è pure sospettato di volere l’atomica ed è nemico giurato degli Stati Uniti, 'satana' da combattere, così come Israele va distrutta.

E la natura teocratica dello Stato iraniano, la cui guida suprema è l’ayatollah Khamenei, è elemento d’ulteriore diffidenza. L’elezione alla presidenza, nell’agosto 2013, del moderato Hassan Rouhani ha creato i presupposti per migliori relazioni. Ma vicende come quella di Reyhaneh – o come quella a lieto fine di Sakineh Mohammadi Ashtiani – testimoniano, però, la distanza che resta fra l’Iran e l’Occidente e che innesca contraddizioni: Emma Bonino, che è stata recentemente a Teheran e sostiene la necessità di dare credito a Rouhani, è anche una convinta avvocata dei diritti umani.

C’è molta pietà, e un po’ d’ipocrisia, nelle reazioni all’esecuzione di Reyhaneh: condanne unanimi, da ogni dove. La pena di morte non è un’esclusiva iraniana, neppure per giovani la cui colpa è incerta – negli Usa, ci volle la storia di Paula Cooper per svegliare le coscienze sulla questione, non troppo tempo fa -. L’impiccagione di ieri non fermerà il dialogo d’interesse con Teheran, ma alimenterà sottofondi di diffidenza.

La Jabbari uccise nel 2007, non ancora ventenne, un ex agente dei servizi segreti iracheni, Morteza Abdolali Sarbandi, che l’avrebbe stuprata: lo pugnalò alle spalle, un gesto che per i giudici avalla la tesi della premeditazione e indebolisce quella della legittima difesa.

Per l'Alto Commissariato per i diritti umani dell'Onu, il processo del 2009 fu viziato da irregolarità: la confessione di Reyhaneh sarebbe stata estorta con minacce e pressioni. Sarbandi avrebbe attirato la Jabbari nel suo appartamento col pretesto di offrirle un incarico e avrebbe poi tentato di abusarne.

La giovane, un’arredatrice d’interni, era da cinque anni nel braccio della morte. A suo favore, c'erano stati numerosi appelli internazionali: Papa Francesco, Amnesty International, il ministro degli Esteri Federica Mogherini e tanti intellettuali iraniani mobilitati dalla madre Shole Pakravan, un’attrice di teatro molto nota.

Proprio la madre ha postato su Facebook quelle tragiche parole: “Mia figlia con la febbre ha ballato sulla forca”. La donna era fuori dal carcere, con un centinaio di persone, familiari, amici, attivisti dei diritti dell’uomo. La campagna per salvare la giovane ha scritto "Riposa in pace". 

L’esecuzione della sentenza era stata fissata al 30 settembre, ma era stata poi rinviata, facendo sperare in un atto di clemenza. Venerdì, la madre aveva potuto visitare Reyhaneh per un'ora: segno che l'impiccagione era imminente. Amnesty aveva subito rilanciato la mobilitazione, questa volta senza esito. Nelle ultime settimane, una petizione per sospendere l’esecuzione era stata firmata da quasi 250.000 persone.

Il perdono della famiglia della vittima avrebbe salvato la giovane dalla forca, ma il figlio dell'uomo voleva che Reyhaneh negasse il tentato stupro e lei s’è sempre rifiutata di farlo. Per le leggi iraniane il perdono dei parenti della persona uccisa può evitare la legge del taglione al condannato.

Il ministro Mogherini, voce italiana, ma ormai pure europea, ha espresso dolore per l'impiccagione di Reyhaneh, "vittima due volte" prima di uno stupratore e poi del sistema giudiziario. Questo "conferma che è proprio sulla difesa dei diritti fondamentali che il dialogo tra i Paesi resta più difficile. Eppure, la difesa dei diritti umani e l'abolizione della pena di morte sono battaglie fondamentali che l'Unione e l’Italia non rinunceranno mai a portare avanti in tutte le sedi".

Dopo la Cina, l’Iran, con circa 250 esecuzioni quest’anno, è la maggiore ‘fabbrica di omicidi legali’ al Mondo, ben davanti agli Stati Uniti.

venerdì 24 ottobre 2014

Vertice: ‘finanziarie’ e conguagli, baruffe e (quasi) accordi

Scritto per EurActiv.it il 24/10, su dispacci d'agenzia
Movimentato dalle baruffe tra il presidente del Consiglio Matteo Renzi e la Commissione europea, e dalla richiesta di conguagli dopo gli adeguamenti del Pil all’economia sommersa, il Consiglio europeo s’è oggi chiuso a Bruxelles. Un accordo sarebbe vicino sugli aggiustamenti delle ‘finanziarie’ di Italia, Francia e altri Paesi. E il presidente della Banca centrale europea invita i leade a “unire gli sforzi”, come fecero nel 2011/‘12 sventando il collasso dell’euro, per evitare “un ritorno della recessione”
Renzi ha avuto al suo fianco alleati scontati: così, il premier britannico David Cameron ha condiviso la sua denuncia di un’Europa dominata dai burocrati: "Sono d'accordo con ogni singola parola" di Renzi, ha sottolineato Cameron. Il consenso britannico è un’infallibile cartina di tornasole della valenza euro-scettica di qualsiasi discorso.
I lavori chiusi da un ‘Euro Summit’
Energia e clima’, Ebola, crisi internazionali, le prospettive economiche: questi i temi del Vertice che ha segnato il passaggio delle consegne, a Bruxelles ai vertici delle istituzioni comunitarie: è stato l’ultimo impegno di questo livello per i presidenti del Consiglio europeo Herman Van Rompuy (al 41o summit) e della Commissione europea Manuel Barroso (al 71o) e per l’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza europea Catherine Ashton. Dal 1° novembre, i tre saranno rispettivamente sostituiti da Donald Tusk, Jean-Claude Juncker e Federica Mogherini.
Il Consiglio europeo s’è concluso nel primo pomeriggio. Subito dopo, s’è riunito il cosiddetto ‘Euro Summit’, formato dai leader dei Paesi dell’euro -18-, più la Lituania che entrerà nella moneta unica l’anno prossimo.
Al termine, la consueta litania di scontata soddisfazione per gli accordi raggiunti e quelli (quasi) fatti. La cancelliera Angela Merkel ringrazia Draghi per il suo intervento. Il premier Renzi parla di discussione “tosta e accesa”: L’Italia rispetta tutti, ma non prende ordini, dice, riprendendo il filo del discorso di ieri; la burocrazia rischia di distruggere l’Europa, persino Adenauer e De Gasperi diventerebbero euro-scettici vedendo questa deriva.
Da Roma, suonano sostegno a Renzi le parole del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: “L’Europa non è un mostro che impone leggi inapplicabili: è uno strumento di straordinari avanzamenti e progressi. Ma ora basta austerity”.
Draghi, unire gli sforzi contro i rischi di recessione
Il presidente della Bce ha chiesto ai leader della zona euro di unire gli sforzi per evitare un "ritorno alla recessione". Secondo un portavoce, Draghi ha detto: "Nel 2011/’12, abbiamo evitato il collasso dell'euro con uno sforzo comune. Ora, il nostro sforzo deve essere quello di unire ancora le forze per evitare una ricaduta nella recessione".
Draghi non ha parlato di deflazione, ma ha detto che sarebbe preoccupante se una prolungata bassa inflazione portasse a un secondo round di effetti sui salari e sui prezzi. Il presidente ha ribadito che la Bce è pronta ad usare "ulteriori misure straordinarie se necessario"; e ha affermato che i paesi che dispongono di spazio di manovra nel bilancio dovrebbero “considerare la possibilità” di stimolare la domanda –una tesi poi ripresa da Barroso-.
Per Draghi, le regole di bilancio dell’Ue devono fungere da ancoraggio per la politica. E i governi devono presentare agende nazionali per le riforme strutturali in vista del Vertice di dicembre.
Renzi, l’Ue cresca come gli Usa
Nel suo intervento nella sessione dedicata alla situazione economica, il premier Renzi ha avvertito che la crisi è più profonda di quel che si dice e che l'austerità sta minacciando la ripresa. Ai partner Renzi ha spiegato che il suo governo sta facendo le riforme e gli aggiustamenti di bilancio non perché lo chiede la Commissione ma perché è giusto per l'Italia.
L'Ue, però, deve capire che bisogna crescere: gli Stati Uniti, per esempio, hanno fatto una politica di investimenti che ha fatto svoltare la loro economia. E di fronte “ai milioni di persone che protestano contro le riforme”, “serve un ripensamento della politica economica: non badare solo ai decimali dei parametri, ma tenere anche conto delle condizioni eccezionali dell'economia”.
Discussione sui conguagli animata, il giallo dell' 'arma letale'
Vivace la discussione sui contributi aggiuntivi che alcuni Paesi, fra cui l’Italia, dovrebbero versare al bilancio Ue dopo il ricalcolo del Pil secondo i nuovi criteri Eurostat (che tengono conto dell'economia sommersa). Per il sottosegretario agli Affari europei Sandro Gozi, la richiesta all’Italia di 340 milioni di euro per il periodo pregresso non è ancora definitiva.
Ci saranno valutazioni, in ambito Ecofin. Il tema è stato affrontato dai leader nella sessione dedicata alle questioni economiche: Cameron, il cui paese dovrebbe versare oltre 2,125 miliardi di euro, usa toni animati e chiede alla presidenza italiana di indire una riunione straordinaria del Consiglio Ecofin.
Il premier britannico tira in causa il collega italiano. "Quando queste cifre sono state presentate - dice ai giornalisti -, Renzi ha detto che questo non è un numero, ma un'arma letale. Sono d'accordo con lui". Renzi, però, smentisce d’avere mai pronunciato quell’espressione: una traduzione colorita, forse.

Sul chi vive è pure il premier olandese Mark Rutte, mentre Germania e Francia, che beneficiano del ricalcolo, rispettivamente per 779 e 1020 milioni, difendono il principio dell'applicazione delle regole.

Italia/Ue: buttala in caciara che ci guadagni (voti)

Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano il 24/10/2014
Chiariamo subito che il Vertice europeo che si conclude oggi a Bruxelles conta poco, anzi non conta quasi nulla: si salutano gli ‘amici’ che partono, Van Rompuy, Barroso, la baronessa Ashton, di cui molti non si erano neppur accorti che ci fosse, in questi cinque anni. E si augura buon lavoro a quelli che arrivano, Tusk, Juncker, Federica Mogherini. In termini calcistici, un ‘homenaje’, una di quelle partite finte e inutili che si giocano per rendere onore a un campione che lascia.
Certo, in agenda ci sono temi importanti, l’energia e il clima, Ebola, le crisi internazionali. Ma molte decisioni sono precotte. E le strategie anti-crisi, per la crescita e l’occupazione, è tempo quasi perso discuterle qui: a dicembre, quando –detto fra due trattini- il semestre di presidenza di turno italiana del Consiglio dell’Ue se ne sarà scivolato via, Juncker porterà il suo piano da 300 miliardi di investimenti più o meno freschi e ci sarà di che discutere e di che spingere per la crescita.
Anche il dialogo di stagione tra la Commissione europea e i governi dei Paesi con i bilanci non proprio in ordine, fra cui l’Italia non manca mai, è routine: richieste di chiarimenti, risposte, una trafila che si ripete ogni anno. E che stavolta comincia con interlocutori per i governi ‘provvisori’, perché il negoziato andrà avanti con la prossima Commissione.
E, allora, uno si aspetterebbe un Vertice europeo da tarallucci e vino: è stato bello, alla prossima, che, per Van Rompuy, che si presenta con i suoi cinque nipotini, e per Barroso magari non ci sarà.
Invece, Matteo Renzi la butta in caciara e ci guadagna (voti, di sicuro): il premier è bravissimo a cogliere l’assist fornitogli da Barroso, che prende cappello perché l’Italia rende pubblica la lettera con cui la Commissione chiede chiarimenti sulla Legge di Stabilità. Il presidente dell’Esecutivo parla di "decisione unilaterale del governo italiano", cui la Commissione "non era favorevole".
Il premier coglie l’occasione al volo. I dispacci d’agenzia riferiscono concordi le sue parole: "Sono stupito della reazione di Barroso. La lettera era stata anticipata dal Financial Times. E’ il momento della trasparenza totale. E' finito il tempo delle lettere segrete … Ogni dato sensibile dev'essere pubblicato", anche "le spese dei palazzi" delle istituzioni europee.
Renzi ignora agenda e programmi e si prende tutta l’attenzione. Almeno quella dei media, almeno di quelli italiani. Perché non è detto che capi di Stato e di governo ne prestino altrettanta, a battute dove due miliardi diventano bruscolini e il rispetto delle regole dell’Unione “questione di virgole”.
"Stiamo discutendo di 2 miliardi di differenza", prosegue il premier, su una manovra da 36 miliardi, dentro un bilancio da 800 miliardi, “per un Paese che ogni anno dà 20 miliardi all'Europa", anche perché - ma questo Renzi non lo dice - non è capace di spendere i soldi messi a sua disposizione.
"I 2 miliardi che potrebbero, in teoria, essere necessari – continua il premier - corrispondono a un piccolissimo sforzo", anche se, poi, quando li si vanno a cercare, i soldi non è mai facile trovarli, a meno di tagliare i servizi o di prenderli dalle tasche dei cittadini –il che è la stessa cosa-.
Poi, l’affondo polemico, intriso di quel mix di qualunquismo ed euroscetticismo che gli dà impatto nazional-popolare e ne garantisce il successo mediatico: da oggi, "pubblicheremo tutti i dati di quel che si spende in questi palazzi”, cioè nelle sedi dell’Ue; “sarà molto divertente". Già. E sai come si divertono i cittadini a sapere come si spendono i soldi nei nostri palazzi.
Renzi avverte che la Commissione in fase di transizione è vulnerabile, sa che la Germania non cerca qui lo scontro, che la Francia e altri Paesi hanno le difficoltà dell’Italia –hanno pure ricevuto lettere da Bruxelles analoghe, ma non ne fanno una bandiera-. E conclude trionfalmente: "Abbiamo fatto una grande manovra per ridurre le tasse, che era quello che ci chiedeva l'Europa. Ora che l’abbiamo fatta, non sarà certo una discussione sulle virgole a fermare il nostro percorso".
A riportare la questione nel suo ambito è il presidente Hollande, che uscendo dal Vertice dà lezione sia a Barroso che a Renzi: “Non pubblichiamo –dice- lettere banali, in cui si chiedono solo spiegazioni. Ne parliamo di continuo con la Commissione, il dialogo prosegue in un clima positivo. Risponderemo entro la settimana e, mi spiace, ma ancora non usiamo twitter”. Roba che, se Renzi lo avesse saputo in tempo reale, gli avrebbe subito replicato con un tweet.

giovedì 23 ottobre 2014

Vertice: Renzi a Ue, miliardi come bruscolini e virgole

Scritto per EurActiv.it il 23/10/2014, su dispacci di agenzie

Matteo Renzi diserta il pre-Vertice socialista a Parigi e il Vertice tripartito con le parti sociali, ma, quando arriva a Bruxelles per il Consiglio europeo del ‘cambio della guardia’ alla guida delle Istituzioni comunitarie, manda all'aria agenda e programmi e si prende tutta l’attenzione. Almeno quella dei media, almeno di quelli italiani. Perché non è detto che capi di Stato e di governo ne prestino altrettanta, alle sue battute, dove due miliardi diventano bruscolini e il rispetto delle regole dell’Unione “questione di virgole”.

Il Consiglio europeo ha in agenda i temi dell’energia e del clima, su cui una bozza d’accordo c’è già, la prevenzione della diffusione dell’epidemia di Ebola, le crisi internazionali e, domani, una discussione sulle ‘finanziarie’ traballanti di alcuni Stati, fra cui l’Italia e la Francia.

Ma il premier, che è leader del Paese che ha la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue, parla solo della richiesta di chiarimenti sulla Legge di Stabilità giunta oggi a Roma da Bruxelles e resa pubblica. "Stiamo discutendo di due miliardi di differenza" su una manovra da 36 miliardi, dentro un bilancio da 800 miliardi, “per un Paese che ogni anno dà 20 miliardi all'Europa", anche perché - ma questo Renzi non lo dice - non è capace di spendere i soldi messi a sua disposizione.

"Il problema dei due miliardi che potrebbero, in teoria, essere necessari – continua Renzi - corrisponde a un piccolissimo sforzo", anche se, poi, quando si vanno a cercare i soldi non è mai facile trovarli. Quello che "forse è in discussione, e sarà interessante approfondirlo – attacca però il premier - è chi decide cosa, come e quali sono le valutazioni politiche sulle circostanze eccezionali di cui parlano i Trattati e i regolamenti" per fare scattare le clausole di flessibilità.

Forse, Renzi avverte che la Commissione in fase di transizione da una presidenza all’altra – Juncker darà il cambio a Barroso il 1° novembre – è vulnerabile, che la Germania non cerca lo scontro, che la Francia e altri Paesi hanno le difficoltà dell’Italia. Prosegue: "Abbiamo fatto una grande manovra per ridurre le tasse, che era quello che ci chiedeva l'Europa. Ora che l’abbiamo fatta, non sarà certo una discussione sulle virgole a fermare il nostro percorso".

Poi, l’affondo polemico, intriso di quel mix di qualunquismo ed euroscetticismo che gli dà impatto nazional-popolare e ne garantisce il successo mediatico: da oggi, "pubblicheremo tutti i dati di quel che si spende in questi palazzi”, cioè nelle sedi dell’Ue, “sarà molto divertente".

Nella lettera trasmessa al governo italiano, la Commissione constata che la Legge di Stabilità segna "una deviazione significativa" dal percorso di avvicinamento agli obiettivi di bilancio nel 2015. Basta la pubblicazione della lettera a scatenare un botta e risposta tra Renzi e il presidente uscente dell’Esecutivo Manuel Barroso, che se ne irrita, precisando che è stata "una decisione unilaterale del governo italiano" cui la Commissione "non era favorevole".

Il premier, piccato, replica: "Sono stupito della reazione di Barroso. La lettera era stata anticipata dal Financial Times. E’ il momento della trasparenza totale. E' finito il tempo delle lettere segrete … Ogni dato sensibile dev'essere pubblicato", anche "le spese dei palazzi" delle istituzioni europee.

Nella lettera, la Commissione esprime la necessità di sapere "come l'Italia possa garantire il rispetto dei suoi obblighi di politica finanziaria" per il 2015, ma assicura la volontà a "proseguire un dialogo costruttivo … per arrivare ad una valutazione finale". Il Mef progetta di trasmettere a Bruxelles chiarimenti "entro domani".

La lettera di Bruxelles non è il giudizio sulla ‘finanziaria’ atteso a fine mese, ma solo una richiesta di dettagli sui motivi dello scostamento dagli obiettivi sui conti pubblici fissati per il 2015, dopo il varo della Legge di Stabilità precedente. Il documento trasmesso alla Commissione una settimana fa prevede una correzione del deficit strutturale dello 0,1% di Pil, rispetto alo 0,7 previsto, facendo così slittare di due anni, cioè al 2017, il pareggio di bilancio. La decisione è stata presa in funzione del ciclo economico negativo che per l'Italia, che non esce dalla recessione, si protrae.

mercoledì 22 ottobre 2014

Ue: Vertice; Renzi, "l'Europa volta pagina". Nuovi leader = nuove scelte?

Scritto per EurActiv il 22/10/2014

L’Europa volta pagina. La frase non è originale. E non è neppure detto che sia vera, nella sostanza. Ma è così che il premier Matteo Renzi presenta, in Parlamento, il momento dell’Unione, alla vigilia di un Vertice europeo che –battute a parte-  sarà interlocutorio, perché, il 1° novembre, s’insedierà la nuova Commissione europea presieduta da Jean-Claude Juncker, che ha oggi ottenuto la fiducia del Parlamento europeo.

Il programma del Vertice, l’ultimo sotto presidenza di Herman Van Rompuy, con Manuel Barroso alla guida dell’Esecutivo Ue, prevede che i capi di Stato o di governo dei 28 discutano, a partire dalle 17.00 di domani fino alla cena, di energia e di clima, in vista del Vertice sul clima di Parigi, nel 2015, sotto l’egida dell’Onu, e nell’ambito del progetto per una Unione dell’Energia. Dopo cena, il dibattito verterà sulle crisi internazionali, specie quella ucraina, e sulle misure per contrare l’epidemia di Ebola.

La mattina di venerdì sarà dedicata all’esame della situazione economica nell’Unione europea, prima di un ‘Euro Summit’, cioè un Vertice ristretto ai Paesi della zona euro.

In Parlamento, Renzi s’è soprattutto concentrato sui temi di venerdì: “Basta con il rigore –ripete-, è ora di puntare sulla crescita”. E poi, con un occhio alla trattativa tra Bruxelles e Roma sulla Legge di Stabilità, afferma che l’Italia non è un’osservata speciale e non subisce diktat della Commissione. “L'Italia –dice- deve sapere fare le riforme che da anni promette per sua convinzione interna".

L’accento sulle “priorità” crescita e occupazione l’ha messo pure il presidente Juncker, presentando il suo programma al Parlamento europeo. Juncker vuole presentare il suo ‘piatto forte’, cioè il piano d’investimenti da 300 miliardi, “entro Natale”: un regalo sotto l’Albero dell’Ue, perché nessuno s’attendeva che il documento sarebbe arrivato prima dell’anno nuovo.

Per Renzi, il Vertice di domani e venerdì è “un passaggio rilevante”, se non altro perché “l’Europa volta pagina alla guida delle istituzioni”: siamo al passaggio delle consegne tra Barroso e Juncker, tra Van Rompuy e Donald Tusk, tra Catherine Ashton e Federica Mogherini.

Poi, il premier recita un atto di fede: "Le questioni principali oggetto di discussione fra partner Ue e 'stressate' dalla presidenza italiana troveranno compimento con la nuova Commissione".

Renzi sostiene che “il clima della comunità economica internazionale sta rapidamente cambiando": a metà novembre, il vertice del G20 in Australia “metterà al centro la parola crescita". E il premier giudica “non più rinviabile una discussione" su come l'Unione intenda uscire “dai margini ristretti del solo rigore per puntare ad una strategia di crescita. Non è solo un problema italiano, ma dell'intera zona euro".

Renzi s’attribuisce una vittoria nell’Ue, “la più grande”: “Avere proposto e per certi versi imposto” il piano di investimenti di 300 miliardi”, che è “il primo segno di attenzione non solo al rigore, ma anche a crescita e investimenti".

Qui, il premier innesca il negoziato sulla Legge di Stabilità: sdrammatizza come normale la lettera della Commissione europea, con rilievi e richieste di correzione; e invita “la comunità italiana, l'opinione pubblica, gli editorialisti, a fare un salto di qualità nella discussione". Renzi spiega: "Se, quando un portavoce dell’Ue dice mezza parola vengono fuori titoloni come 'L'Europa minaccia l'Italia’”, allora “viviamo una subalternità culturale".

Diritti online: dal 27 ottobre, una consultazione sulla Carta aperta a tutti

Scritto per Media Duemila online il 22/10/2014
Diritti online: da fare valere, ma pure da rispettare. E’ una nuova frontiera dei diritti civili, che si sposta in avanti –e si complica- molto rapidamente. Ora i cittadini italiani avranno un’opportunità mai offerta loro prima: da lunedì 27 ottobre, potranno partecipare ad una consultazione per mettere a punto la Carta dei diritti in internet. La bozza del documento è stata presentata la scorsa settimana, alla riunione dei presidenti delle commissioni del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali dell'Ue competenti in materia di diritti fondamentali –un appuntamento del semestre di presidenza di turno italiana del Consiglio dell’Ue-.
La bozza è stata preparata dalla commissione di studio per i diritti e doveri in Internet, istituita presso la Camera dalla presidente Laura Boldrini. Il documento consta, per ora, di un preambolo e di 14 articoli. La consultazione pubblica avverrà tramite la piattaforma  camera.civi.ci: chi lo vorrà potrà contribuire alla stesura definitiva dell’innovativo testo con commenti, opinioni e proposte.
La consultazione pubblica, ha spiegato la Boldrini presentando l’iniziativa, vuole consentire "la più ampia partecipazione dei cittadini e dei soggetti interessati". Ma c’è la consapevolezza che i diritti in rete non possono essere pienamente affermati e tutelati a livello nazionale: la materie sollecita interventi dell'Ue e dell'Onu, essendo internet di per sé globale. E l’azione non deve essere solo difensiva, a tutela, garantista, ma deve anche essere affermativa: se l’abuso - in rete e di rete - va sanzionato, la privazione, o la limitazione, di internet rappresenta una lesione dei diritti e un fattore d’esclusione inaccettabile.
E, quando ci sono da proteggere i valori dell'Unione, le istituzioni europee devono "parlare all'unisono, con una voce sola". E' il messaggio lanciato, alla riunione di Roma, dalla commissaria alla Giustizia Martine Reicherts, una lussemburghese, di fronte a parlamentari europei e nazionali. E c’erano i presidenti di Camera e Senato, la Boldrini e Pietro Grasso.
L’Europa, ricorda la Reicherts, ha diversi "strumenti per garantire il rispetto dei diritti fondamentali, della democrazia e dello Stato di diritto”: il Consiglio d'Europa, la Convenzione e la Corte europea dei diritti dell'uomo, le istituzioni dell'Unione e la Carta dei diritti fondamentali. "Ma tutto questo non è sufficiente”, avverte la commissaria: perché la tutela dei diritti sia garantita, occorrono "sinergia e complementarità” fra competenze e interventi e “un dialogo continuo a tutti i livelli” fra tutte le istituzioni coinvolte.
Il rispetto dei diritti fondamentali è, inoltre, un salvacondotto da esibire per l’ingresso nell'Unione. Per la Boldrini, è uno dei temi “su cui si misura a livello internazionale il valore speciale dell'esperienza europea" e su cui si giocano le prospettive d’un ulteriore "avanzamento del processo di integrazione". Sulla stessa linea, il presidente del Senato Grasso, per cui "i diritti individuali sono l’alfa e l’omega, il principio e la fine del lungo appassionante percorso dell’integrazione europea".

martedì 21 ottobre 2014

Ue: Commissione Juncker, verso ok Pe tra dubbi e incertezze

Scritto per EurActiv.it il 21/10/2014

Caduti gli ultimi ostacoli politici e procedurali, la Commissione Juncker s’appresta a ottenere, domani, la fiducia del Parlamento europeo e ad assumere le sue funzioni, come previsto, il 1.o novembre, dando il cambio alla Barroso 2.

Jean-Claude Juncker e la sua squadra, con Federica Mogherini vice-presidente di diritto, in quanto Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune, arrivano alla fiducia tra dubbi e perplessità, ma anche fra attese e speranze.

Il momento politico ed economico dell’Europa e di molti suoi Stati membri non è buono. Diffidenze e scetticismi frenano le prospettive dell’integrazione. I programmi di Juncker, soprattutto il piano d’investimenti da 300 miliardi di euro, restano indefiniti. Il capitale umano del nuovo Esecutivo deve ancora essere messo alla prova. E, infine, la struttura con sette vice e 20 commissari, ciascuno dei quali riporta a un vice, desta interrogativi.

La struttura Juncker - Nessuno sa se e come l’architettura ideata dall’ex premier lussemburghese terrà e funzionerà: ci sono difficoltà burocratiche –con dg divise fra due o più commissari-; incognite diplomatiche –chi, tra il vice ‘coordinatore’ e il commissario ‘specialista’ volta a volta difenderà un dossier nel Consiglio dei Ministri competente, di fronte al Parlamento europeo?, oppure in sala stampa?-; diffidenze legate alla qualità ed alla preparazione di alcuni componenti della squadra Juncker.

Il capitale umano - I parlamentari, che hanno fatto l’esame scritto e orale a vice-presidenti e commissari, sono stati di manica larga, nelle loro valutazioni. L’elemento dominante è stata la fretta di vedere insediata la nuova Commissione e di sbarazzarsi della Barroso 2, di cui ora tutti parlano apertamente male.

Gli eurodeputati hanno bocciato la slovena Alenka Bratusek, una ex premier, la cui colpa era essenzialmente politica –s’era autodesignata a Bruxelles, subito dopo avere perso le elezioni e poco prima di lasciare l’incarico-. Juncker le aveva affidato l’Unione dell’Energia, uno dei capitoli forti del suo quinquennio.

Juncker non se l’è però sentita di mettere al posto della Bratusek la sua sostituta, Violeta Bulc, personaggio singolare, con poca esperienza politica e pochissima europea. Così la Bulc è stata destinata ai trasporti, da dove è stato riesumato una figura di maggiore esperienza, Maros Sefcovic, slovacco, che nella commissione Barroso 2 si occupava fra l’altro di relazioni con il Parlamento.

La manica larga - La Bulc è parsa claudicante anche ai trasporti, ma il Parlamento, alla fine, ha deciso di chiudere un occhio. O, almeno, hanno deciso di farlo i tre gruppi che, insieme, detengono la maggioranza dell’assemblea, popolari, socialisti e liberali.

Così, la Bulc è stata graziata, come lo erano già stati l’ungherese Tibor Navracsics, sulla cui designazione alla Cultura la commissione parlamentare aveva espresso un parere negativo, e anche lo spagnolo Miguel Arias Canete, energia e clima, uscito provato dalla sua audizione. Ne deriva l’impressione di una grande debolezza dell’asse energia, che doveva essere uno di quelli portanti e che è raffazzonato con Sefkovic e zoppicante con Canete.

Luci ed ombre. Che tolgono credibilità ai proclami parlamentari d’una Commissione Juncker ambiziosa sul fronte dell’integrazione, coraggiosa rispetto ai governi, decisa a rispettare le priorità “della stabilità e della crescita”, che abbia “una visione” e che sappia “assumere il comando” per realizzarla.