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sabato 31 maggio 2014

Ue: Commissione, presidenza, Merkel spiazza Renzi

Scritto per EurActiv.it e, in altra versione, il blog de Il Fatto Quotidiano il 31/05/2014

La Merkel fa inversione di marcia e magari spiazza Renzi, che stava pregustando strategie di mediazione europee. Per la presidenza della Commissione europea, la cancelliera tedesca, che alla cena dei leader dei 28 -martedì a Bruxelles- aveva traccheggiato, dice che il candidato Ppe Jean-Claude Juncker deve avere quel posto. Proprio mentre la stampa britannica più autorevole, come il FT, tiene bordone al premier David Cameron e invita i leader dell’Ue a scaricare l’ex premier lussemburghese perché ci vuole un volto nuovo.

Dalla cena di Bruxelles, si è usciti con due plenipotenziari, Junker come uomo di fiducia del Parlamento e Herman Van Rompuy come voce dei leader, incaricati di sondare il terreno in vista di una decisione al Vertice europeo del 26 e 27 giugno.

Nella sua intervista euro-buonista di questa mattina a La Stampa e al altri prestigiosi quotidiani, Renzi dichiara la Germania un modello e ostenta stima per la Merkel, che “non è un nemico”. Ma, almeno teoricamente, sul pacchetto delle nomine, Italia e Germania possono ora trovarsi in campi diversi.

In realtà, le scuole di pensiero sulla presidenza della Commissione sono almeno tre, dopo che le elezioni hanno prodotto un Parlamento europeo in cui i popolari sono i più numerosi, davanti ai socialisti, ma dove né gli uni, che hanno perso quasi 60 seggi, né gli altri, che ne hanno perso una decina, possono davvero affermare di avere vinto.

Sia i popolari che i socialisti avevano espresso un candidato alla presidenza della Commissione, il lussemburghese Juncker, ex premier ed ex presidente dell’Eurogruppo, e il tedesco Martin Schulz, presidente uscente del Parlamento. Anche liberali, verdi e sinistra radicale avevano loro candidati, ma hanno preso un quinto dei seggi di popolari e socialisti.

C’è il partito del ‘rispetto del voto’ di cui s’è fatto recentemente interprete, fra gli altri, Lorenzo Bini Smaghi su La Stampa: gli elettori sono stati interpellati, anche se magari molti di essi non erano consci che votavano anche per esprimere una preferenza per il presidente dell’Esecutivo e del loro parere bisogna tenere conto.

C’è il partito del “si scelga il meglio”, e né Juncker né Schulz lo sono, perché al più rappresentano l’usato sicuro di questa Unione. Tesi suggestiva, anche se, poi, alla prova dei fatti, il meglio è relativo all’interesse di ciascuno: così, per i britannici, che s’iscrivono in questo partito, il meglio è un presidente quanto più scolorito e quanto meno europeista possibile. Il premier svedese Fredrik Reinfeldt vuole riunire il 9 giugno un ‘mini-vertice’ con la Merkel, Cameron e l’olandese Mark Rutte, per portare avanti questa tesi. E, secondo der Spiegel, Cameron avrebbe avvertito la Merkel che Londra sarebbe pronta a uscire dall’Ue, in caso di nomina di Juncker.

Infine, c’è il partito che scarta Juncker e Schulz, perché né l’uno né l’altro hanno vinto le elezioni, e punta a legare tutte le scelte in un unico pacchetto, sul quale Renzi possa mediare, essendo l’Italia dal 1.o luglio alla presidenza di turno del Consiglio dell’Ue.

Perché, di qui alla fine dell’anno, di posti da riempire l’Unione europea ne ha un sacco: il presidente della Commissione, e tutti i membri dell’Esecutivo, ovviamente anche l’italiano; il presidente del Consiglio europeo, dove il belga Herman Van Rompuy va esaurendo il mandato; l’alto commissario per le politiche estera e di sicurezza comuni, con la britannica Catherine Ashton a fine corsa; il presidente dell’Eurogruppo, dove il ministro olandese Jeroen Dijsselbloem pare avere il fiato corso.

Un discorso a parte è quello del presidente dell’Assemblea di Strasburgo, che gli eurodeputati eleggeranno alla loro prima plenaria, all’inizio di luglio, quando Renzi presenterà al Parlamento il programma della presidenza italiana.

Per mediare, l’Italia sarebbe in posizione privilegiata: presidente di turno e senza ambizioni in proprio, perché la presenza di Mario Draghi alla presidenza della Banca centrale europea esclude, in linea di massima, che ci tocchino fette della torta.

In attesa dei giochi che contano, l’Italia è, però, per il momento, senza commissario nell’Esecutivo di Bruxelles: Antonio Tajani, eletto a Strasburgo, è ormai fuori e va sostituito. Con chi? La parola, qui, spetta solo a Renzi: può tappare il buco subito; o aspettare tenendosi la mossa in serbo sulla scacchiera delle nomine.

venerdì 30 maggio 2014

Italia/Ue: raccomandazioni, subito caldo il giugno europeo

Scritto per EurActiv.it il 30/05/2014

Subito caldo, il giugno europeo per l’Italia. E, a luglio, il primo Ecofin sotto presidenza di turno italiana, l’8 luglio, sarà cruciale: per il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, l’esordio non sarà semplice.

Lunedì 2, giugno, la Commissione europea presenterà le raccomandazioni economiche specifiche Paese per Paese, che, per quanto riguarda l’Italia, tengono conto del Def e del Pnr recentemente presentati. Le raccomandazioni si collocano sullo sfondo delle previsioni economiche di primavera pubblicate un mese fa circa dall’esecutivo comunitario.

Inoltre, il 2 giugno la Commissione dirà se intende portare avanti la procedura avviata contro Italia, Slovenia e Croazia per eccesso di potenziali squilibri macroeconomici. Se l’Esecutivo decidesse d’andare avanti, si aprirebbe, su questo punto, un ping-pong di risposte dei governi interessati e valutazioni della Commissione che potrebbe condurre alla comminazione di multe –finora, non ci si è mai arrivati-. I tempi di questa procedura non sono prevedibili.

Le raccomandazioni economiche specifiche Paese per Paese saranno esaminate e adottate dall’Ecofin di giugno –l’Ecofin è il Consiglio dei Ministri dell’Economia dei 28- e saranno quindi avallate dal Consiglio europeo del 26 e 27 giugno, per essere poi formalmente adottate dall’Ecofin di luglio.

Successivamente, gli Stati dovranno tenere conto delle raccomandazioni Ue nei processi decisionali dei loro bilanci 2015.

giovedì 29 maggio 2014

Italia/Ue: il carro di Renzi davanti ai buoi della Merkel

Scritto per EurActiv.it e il blog de Il Fatto Quotidiano il 29/05/2014

Eccoci qui tutti a mettere il carro di Renzi davanti ai buoi della Merkel, che restano quelli che tirano l’Unione. Tutti (o quasi), politici, economisti, giornalisti, commentatori di professione. Solo perché Matteo ha vinto le europee in Italia –e che vittoria!, nessuno lo discute-, allora di qui in avanti tutto gli (e ci) sarà in discesa in Europa: mitigare il rigore, spingere la crescita, creare posti di lavoro, ripensare la politica dell’immigrazione; persino le nomine, con italiani distribuiti nei posti chiave dell’Ue, la presidenza della Commissione europea, dell’Eurogruppo, del Parlamento europeo, dimentichi che già c’è un italiano –e per fortuna!- alla presidenza della Banca centrale europea.

Calma, ragazzi! Matteo ha (stra)vinto in Italia; ed il Pd è stato il partito percentualmente più votato in un grande Paese Ue e magari il più votato in assoluto. Ma Angela in Germania non ha mica perso: il suo partito ha preso oltre il 36% dei suffragi; e i risultati hanno ribadito la sua legittimità come cancelliere e la solidità della grande coalizione -Cdu/Csu con Spd-.

Quindi, Matteo è più forte, ma Angela non è più debole.

E non è neppure che quelli che hanno perso adesso si metteranno a tappetino. Prendete Hollande, una sberla storica, mai così in basso i socialisti francesi. Eppure, s’è presentato al Vertice europeo del 27 maggio affermando con prosopopea che senza la Francia, e senza l’intesa franco-tedesca, l’Europa non va da nessuna parte. Il concetto potrà pure dispiacerci, e potremo pure trovare patetico il presidente francese, ma è così.

E prendiamo Cameron: i suoi conservatori sono stati retrocessi a terza forza. Eppure, a Bruxelles, fa la voce grossa e minaccia un veto, che non ha il potere di mettere, anche se la stampa italiana glielo attribuisce, sulla nomina del presidente della Commissione e sulle altre cariche pendenti. Non gli piace neppure il lussemburghese Juncker, che giudica troppo ‘europeo’, nonostante abbia già dato prova di acquiescenza alla volontà dei Grandi e non abbia condotto una campagna  da kamikaze federalista.

Ora, in Europa, e forse pure in Italia –ma è un altro discorso-, è il momento di tessere, con la forza che deriva dall'ampiezza della vittoria, alleanze e rapporti durevoli e credibili. Non battere i pugni sul tavolo, non maramaldeggiare sui partner in difficoltà, ma costruire politiche e ottenere risultati. Da questo punto di vista, la presidenza di turno italiana del Consiglio dell’Ue, dal 1° luglio, non poteva cadere meglio: è un’occasione da sfruttare per riaffermare il ruolo dell’Italia in Europa e correggere la rotta dell’Unione. Senza borie né smargiassate. Con competenza e concretezza.

Francia: gli immigrati di Calais fanno le spese delle 'europee'

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 29/05/2014

François Hollande gliele canta chiare a Marine Le Pen, che lo ha appena stracciato alle europee: fa sgomberare i campi di centinaia d’immigrati in attesa da settimane d’imbarcarsi –clandestinamente- da Calais per l’Inghilterra, e mostra di volersi battere con la ‘Marianna populista’ sul suo terreno d’elezione, la xenofobia.

Gli immigrati, molti dei quali vittime di un’epidemia di scabbia per le condizioni d’igiene pessime in cui vivevano, sono stati evacuati dalle forze dell’ordine francesi dall'area del porto di Calais. Così, la ‘Lampedusa del Nord’ è stata ‘ripulita’. Ma nessuno si fa illusioni: gli immigrati, il cui numero s’è moltiplicato nelle ultime settimane, torneranno.

L’epidemia di scabbia ha consentito al ministro dell’interno Bernard Cazeneuve di sostenere che l’operazione non rispondeva a criteri di ordine pubblico, ma aveva finalità sanitarie e umanitarie. Ma l’intervento, annunciato una settimana fa, è stato vivamente criticato da Amnesty International, Medecins du Monde e associazioni cattoliche.

L’intervento di circa 200 poliziotti e gendarmi per sgomberare tre campi con almeno 550 immigrati, secondo stime ufficiali, è scattato mentre la Francia s’interroga sulle scelte del governo socialista e sulle ragioni della deriva reazionaria.

Ieri mattina, le forze dell’ordine sono arrivate dopo le 07 nel ‘campo dei siriani’, il più grosso, poco lontano dal molo dei traghetti per l’Inghilterra. Poi, hanno evacuato quello degli africani e un terzo, più piccolo. L’azione –riferiscono testimoni- è stata silenziosa, senza violenza: la maggior parte degli immigrati aveva già lasciato l’accampamento, per spostarsi sulle dune lungo la Manica, un’area detta ‘la giungla’, già fatta sgomberare nel 2009 dal governo Sarkozy.

L’operazione è durata un’ora. Gli unici a fare resistenza in loco, un gruppo di afghani. Altre persone  restavano barricate dietro mezzi della nettezza urbana, in un centro per la distribuzione del cibo. Alle 12, quel che restava dei campi era già stato raso al suolo dalle pale meccaniche.

Le autorità francesi insistono sul carattere sanitario e umanitario delle misure prese: agli evacuati, sono state offerte cure contro la scabbia, docce e servizi igienici, cibo e alloggio. Ma la prefettura sottolinea pure “l’esigenza di garantire l’ordine pubblico”, denunciando “episodi di violenza tangibili e problemi d'igiene".

Calais è il porto d’imbarco francese per il Regno Unito: di fronte, ci sono le scogliere di Dover. E qui inizia il tunnel sotto la Manica in cui s’infila l’Eurostar, il treno che avvicina Parigi a Londra. La città è spesso teatro di fatti di cronaca tragici, legati al traffico di persone. Solo nel 2000 Calais finì sui giornali con una bella favola: la squadra di calcio, dilettanti di IV divisione, giunse in finale della Coppa di Francia contro il Nantes, battuta 2 a 1 da un calcio di rigore all’89°.

Dall’inizio dell’anno, nel porto di Calais sono stati intercettati 3000 clandestini, dieci volte più che nel 2013: afghani, siriani, palestinesi, egiziani, iracheni, eritrei, somali, ucraini, tutti entrati nell’Ue da Italia, Grecia, Bulgaria, e tutti decisi a raggiungere la Gran Bretagna, il loro eldorado.

Nel 2002, il governo Chirac aveva chiuso, dopo forti pressioni inglesi, un centro della Croce Rossa, divenuto una sorta di stazione di transito per chi voleva entrare illegalmente nel Regno Unito.

mercoledì 28 maggio 2014

Ue: Le Pen lancia referendum anti-Ue, medicina indigesta

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 28/05/2014

L’Unione europea, che s’è presa un febbrone da cavallo da euro-scetticismo, è ora scossa da brividi da referendum: una parola che evoca incubi del passato e suona foriera di disastri futuri; una specie di tabù che, oggi, dopo le elezioni europee di domenica scorsa, infrangono in tanti. Marine Le Pen, leader del  Front National, uscito dal voto in Francia come primo partito, dice che, se diventerà presidente, organizzerà “un referendum per chiedere ai francesi se vogliono uscire dall'Ue".

La Le Pen, che finora ce l’aveva essenzialmente con l’euro, alza la posta. L’eventualità (che Marine diventi presidente e convochi il referendum) è remota, perché i francesi, di fronte a un’eventualità del genere, farebbero appello a quello che loro chiamano “lo spirito repubblicano” e voterebbero tutti compatti –moderati e progressisti- contro. E’ già accaduto nel 2002, quando il socialista Jospin si suicidò politicamente al primo turno delle elezioni presidenziali e regalò il ballottaggio al padre di Marine, Jean-Marie Le Pen: nel testa a testa, Chirac ebbe l’82% dei voti, Le Pen meno di quelli che aveva avuto al primo turno.

Oggi però è un po’ diverso: Marine è quasi sola sulla scena politica francese; il presidente Hollande ha portato i socialisti al loro minimo storico; e i gollisti sono lacerati dalle dimissioni del loro leader Copé, per una vicenda di false fatture. Da Juppé a Chirac, da Sarkozy a Copé, il partito della destra non è nuovo a scandali giudiziari. Ma, questa volta, s’intrecciano disorientamento politico, regolamenti di conti personali e contestazioni giudiziarie.

I referendum, in questa Unione che cerca di raccapezzarsi, dopo l’uragano elettorale, appaiono come la medicina di tutti i mali. In Austria, gli euro-scettici ne chiedono uno sull’euro.

In Gran Bretagna, il premier conservatore Cameron lo prevedeva per il 2017 –dopo le politiche-, ma potrebbe anticiparlo, per rispondere alla bufera Ukip, il movimento anti-Ue vincitore delle europee, che, intanto, lancia l’operazione ‘Brexit’ per l’uscita dall’Unione. I laburisti, invece, vedono “il futuro della Gran Bretagna dentro l’Ue, non fuori” e giudicano il referendum “non una priorità”.

In Italia, ci sono le iniziative della Lega. E l’obiezione che i trattati internazionali non sono materia di referendum ha un valore più giuridico che politico: difficile ignorare un no popolare, quale che sia la Costituzione.

Poi, ci sono, i referendum indipendentisti in Scozia –già fissato per il 18 settembre- e in Catalogna: sono problemi nazionali, per Gran Bretagna e Spagna, ma possono diventare un rompicapo europeo perché Scozia e Catalogna, se divenissero indipendenti, dovrebbero poi rinegoziare l’adesione all’Unione.
I referendum fanno spesso male all'Europa. Per due volte, la Norvegia negoziò la propria adesione e, per due volte, un referendum rese quei negoziati carta straccia, nel ‘72 e nel ‘94; e un referendum, nel 1985, decise l’uscita della Groenlandia dall'allora Cee –caso finora unico di ‘recessione’-.

Il Trattato di Maastricht, che, agli inizi degli Anni 90, segnò la nascita dell’Unione e il rilancio dell’integrazione, fu bocciato da un referendum in Danimarca nel 1992 –modificato, venne poi approvato-; allo stesso modo, vennero superati i no popolari irlandesi ai Trattati di Nizza nel 2001 e di Lisbona nel 2008. Sempre, l’intoppo del referendum ritardò l’entrata in vigore degli accordi.

Letali al progetto di Costituzione europea furono, invece, il 29 maggio e il 1° giugno 2005, i no popolari di Francia e Olanda: il documento finì in un cassetto senza più uscirne. Di quello shock, è frutto il Trattato di Lisbona, in vigore dal 1° novembre 2009.

martedì 27 maggio 2014

Ue: Commissione, autostrada per Juncker a presidenza

Scritto per EurActiv.it il 27/05/2014

Prima le scelte sul da farsi, poi i nomi, dice il premier italiano Matteo Renzi al Vertice informale fra i capi di Stato o di governo dell’Ue. Ma la strada della presidenza della Commissione europea appare spianata per il popolare Jean-Claude Juncker, cui proprio il presidente del Parlamento europeo, e suo rivale, il socialista Martin Schulz, affida il compito di cercare una maggioranza necessaria a ottenere l’investitura dell’Assemblea di Strasburgo. Bisogna, però, superare l'ostilità britannica ed evitare le trappole sul percorso.

Renzi si presenta a Bruxelles –dice- con la consapevolezza di guidare il partito che alle elezioni europee ha ottenuto il miglior risultato nei grandi Paesi Ue e di governare il paese con la maggiore affluenza alle urne. E ai partner riuniti per valutare le conseguenze del voto, che ha visto abbattersi sull’Ue un uragano euro-scettico, spiega che "se vogliamo salvare l'Europa, dobbiamo cambiare l'Europa". Ai colleghi che si congratulano con lui, Renzi dichiara: "Vi dico che anche chi ha votato per noi ha chiesto di cambiare l'Europa".

I confini della discussione li traccia, però, la cancelliera tedesca Angela Merkel: si parla "di come condurre le consultazioni con il Parlamento" per decidere il presidente della Commissione europea”: "Daremo al presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy il mandato per farlo – anticipa la Merkel -, in collaborazione con Juncker che e' stato scelto dal Parlamento per condurre le consultazioni". Un dialogo fra due ex premier, entrambi popolari, entrambi beneluxiani, entrambi espressione del primo nucleo dell’integrazione europea: un accordo pare fattibile.

Merkel auspica "progressi", anche se "nessuno dei gruppi ha da solo la maggioranza: si trattera' di trovare ampie maggioranze", un presagio di larghe intese alla tedesca (ancor più che all'italiana). Nel menù della cena di lavoro, vi sono pure l’Ucraina e, su richiesta dell’Italia, la Libia, tema che il premier Renzi potrebbe avere affrontato nella telefonata avuta, dopo il voto di domenica, con il presidente Usa Barack Obama.

Aprendo i lavori, Van Rompuy afferma che, al di là dei distinguo nazionali, “gli elettori hanno mandato un messaggio forte: il quadro più ampio mostra un mix di continuità e cambiamento".. "Mentre i nostri paesi continuano sulla strada della ripresa -osserva Van Rompuy - abbiamo bisogno di un'agenda positiva per l'Unione europea nel suo insieme".

Il presidente francese Francois Hollande ha sfoggiato a Bruxelles spavalderia, nonostante la batosta elettorale subita. "La Francia non s’è indebolita", ha detto al suo arrivo, "ed è il paese che conta, insieme alla Germania … è il paese senza il quale l'Europa non può avanzare”. Il premier britannico David Cameron non ha nascosto la sua ostilità a una presidenza Juncker, giudicata troppo europeista e troppo federalista.

lunedì 26 maggio 2014

Ue: elezioni; pochi vincitori (e Renzi fra questi), tanti vinti

Scritto, in versioni diverse, per AffarInternazionali, EurActiv.it e il blog de Il Fatto il 26/05/2014

E’ una Torre di Babele l’Europa del voto. E le lingue non c’entrano. Perdono molti governi, ma non in Germania e in Italia; vincono gli euro-scettici e gli euro-critici, ma in Gran Bretagna e in Francia sono di destra, anti-Ue o anti-euro, e non vanno d’accordo fra di loro; e in Grecia sono di sinistra, vogliono cambiare l’Unione dal di dentro.

Se la Merkel sorride e Renzi ride, altrove popolari e socialisti hanno preso sonore bastonate. Ma sono ancora tentati di riproporre in Europa le ricette delle larghe intese con un mix tra rigore e crescita. A meno che i risultati non diano una scossa ai leader che hanno preso le scoppole maggiori e li spingano a cambiare strada: il socialista Hollande, il popolare Rajoy, il conservatore Cameron si leccano le ferite.

Anche per euro-scettici ed euro-critici non è una marcia trionfale. Sono il primo partito in Francia, in Gran Bretagna e, con valenze diverse, in Grecia e in Danimarca, ma arretrano in Italia e pure nell’Europa centro-orientale. E restano una galassia composita, senza la massa critica d’un gruppo grande e coeso.

C’è il rischio che queste elezioni europee siano come le ciliegie: una tira l’altra. Ne potrebbero conseguire elezioni politiche in Grecia, Bulgaria, Portogallo. In Italia, invece, la prospettiva pare allontanarsi.

Per cercare di capirci qualcosa, e soprattutto di trovare una parata, i leader dei 28 si vedranno domani sera a Bruxelles: una cena di lavoro, per valutare i risultati e cominciare a impostare, almeno, il valzer delle poltrone, partendo dal nuovo presidente della Commissione europea.

L’erosione della partecipazione arrestata

Probabilmente, non ne usciranno subito decisioni. Ma l’esito del voto colloca in pole position, come successore di Manuel Barroso, il popolare Juncker, ex premier lussemburghese ed ex presidente dell’Eurogruppo, non esattamente il nuovo che avanza. Il Ppe perde una sessantina di seggi, ma resta il gruppo più numeroso dell’Assemblea di Strasburgo, con una ventina di seggi di vantaggio sul Pse, che pure ne perde a manciata. Verdi a parte, stabili, tutte le forze tradizionali, anche liberali e conservatori, arretrano. Né consola la lievissima risalita della partecipazione popolare: questione di decimali, rispetto al 2009, ma è la prima volta dal 1979 che non si va giù –e ciò nonostante il tracollo italiano, circa 10 punti in meno-.

In Italia, il Pd domina il voto europeo ad di là di ogni previsione e sfiora il 41%, meglio di sempre (e meglio di tutti nell’Unione, ad eccezione del partito al potere in Ungheria). Il Pd fa il doppio, quasi, del M5S, che supera appena il 21%. Forza Italia s’attesta sul 16,7%. Più indietro, però sopra la soglia del 4% la Lega al 6,3% e Ncd / Udc al 4,4%. ‘L’Altra Europa’, costola italiana del conglomerato Tsipras, il leader greco della sinistra radicale, ce la fa d’un soffio.

In attesa di vedere quali saranno le ripercussioni nazionali, emerge l’impegno di Renzi a lavorare “per un’Italia che cambi l’Europa”, a partire dalla presidenza di turno del Consiglio dell’Ue, che proprio l’Italia assumerà il 1° luglio. Oltre che gestire gli avvicendamenti ai vertici delle Istituzioni –e l’essere ora il maggiore partito socialista europeo autorizza il Pd ad ambire alla presidenza dell’Assemblea di Strasburgo, magari puntando su Gianni Pittella-, bisogna provare a mettere la barra su occupazione e solidarietà.

Non sarà facile. Il voto tedesco non incoraggia la Merkel ad allentare il rigore. I moltissimi suffragi raccolti da xenofobi e anti-islam non sono un viatico per promuovere l’accoglienza, sul fronte dell’immigrazione. Ancora prima che i risultati fossero noti, il presidente della Bce Draghi diceva che “gli elettori si sono chiaramente allontanati … e attendono delle risposte”. Che non possono venire, sempre e solo, dalla Banca centrale europea, sulle cui decisioni, ai primi di giugno, s’accentrano già le attenzioni dell’economia e della politica.\

Ue: elezioni; Italia, Pd stravince, stacca M5S e straccia FI

Scritto per EurActiv.it il 26/05/2014

Il Pd è il primo partito, forse vicino al 40%, forse addirittura al di sopra: un risultato assolutamente inatteso, nelle sue dimensioni. Il M5S è il secondo partito, ma non va oltre tra il 23%. Forza Italia è il terzo partito, ma scende intorno al 16%. Supera sicuramente la soglia del 4% anche la Lega Nord, mentre sono sul filo del rasoio Ncd/Udc, l’Altra Europa e Fratelli d’Italia.

Queste le indicazioni che vengono dalle proiezioni delle elezioni europee in Italia, mentre lo spoglio è in corso. A seconda delle fonti, le forchette dei risultati sono ancora abbastanza ampie, ma vanno restringendosi e convergono sulle cifre sopra indicate.

Il principale partito di governo italiano, il Pd del premier Matteo Renzi, esce nettamente rafforzato dal voto e diventa il maggiore partito della sinistra europea. Non è però detto che l’area di governo nel suo complesso esca rafforzata, perché gli alleati del Pd, cioè i centristi dell’Ncd/Udc, ottengono un risultato molto inferiore alle attese –e non sono ancora sicuri di entrare nel Parlamento europeo-.

L’Italia, insieme alla Germania, è l’eccezione, in un contesto europeo in cui le aree di governo escono per lo più ‘bastonate’ da queste elezioni, come avviene in Francia, Spagna, Gran Bretagna.

Il successo del Pd non compensa, a livello europeo, il tracollo dei socialisti in Francia e in Spagna. Mentre la tenuta della Cdu di Angela Merkel in Germania consente ai popolari di restare, malgrado un calo dei seggi, la prima forza politica europea e di rivendicare al loro candidato Jean-Claude Juncker la presidenza della Commissione europea.


M5S e Lega contribuiscono, con i loro risultati, all’avanzata euro-scettica in tutta l’Unione. Ma M5S ribadisce l’indisponibilità a collaborare con l’Alleanza intorno al FN di Marine Le Pen, cui, invece, partecipa la Lega.

domenica 25 maggio 2014

Ue: elezioni, partecipazione forse risale per prima volta

Scritto per EurActiv.it il 25/05/2014

L’Italia va maluccio, l’Unione pare andare un po’ meglio: parliamo dell’affluenza alle urne per le europee, che, globalmente, sembra essere in risalita, sia pure leggerissima, rispetto al 43% netto del 2009 nell’Ue (65% in Italia).

Le proiezioni danno una crescita di decimi di punto. Se questa tendenza sarà confermata, sarà comunque la prima volta dal 1979, le prime elezioni del Parlamento europeo a suffragio universale, che la partecipazione non cala, ma sale.

In Germania e in Francia, l’affluenza alle urne risulta maggiore di cinque anni or sono. Anche portoghesi e croati hanno votato più numerosi dell’ultima volta –per i croati, l’anno scorso, perché sono appena entrati nell’Unione-.

Ma il panorama è ancora incompleto e i dati, che cominciano ad affluire, sono lacunosi. Meglio, quindi, trattarli con prudenza. Del resto, i timidi segnali europeisti che potrebbero essere tratti da un incremento della partecipazione contrastano con le anticipazioni dei risultati, che vedono partiti euro-scettici o euro-critici in testa allo scrutinio, ad esempio, in Francia e in Grecia e non solo.

In questo contesto, tuttavia, le indicazioni che arrivano dall’Italia appaiono contro corrente. Alle 23.00, cioè alla chiusura dei seggi, i votanti risultavano circa il 10 % in meno che nel 2009, circa il 54%. Però, cinque anni or sono s’era votato pure il sabato sera e il confronto non è del tutto valido. Nel contempo, ci sono stavolta a fare da traino due elezioni regionali e migliaia di elezioni comunali.

sabato 24 maggio 2014

Ue: elezioni; -1, dati, poste in gioco, istruzioni per l'uso

Scritto per EurActiv il 24/05/2014

La maratona elettorale europea, quattro giorni di seggi aperti, è in corso da giovedì e si concluderà domani. I primi seggi si erano aperti il 22 in Gran Bretagna e in Olanda; gli ultimi si chiuderanno proprio in Italia alle 23.00. Solo dopo, cominceranno ad affluire i risultati ufficiali, anche se exit poll e indiscrezioni sui voti già espressi fioccano e lasciano presagire sorprese.
Le elezioni europee prevedono in Italia la soglia del 4%, nonostante il  Tribunale di Venezia abbia recentemente rinviato alla Corte Costituzionale la legge elettorale accogliendo un ricorso presentato proprio contro lo sbarramento. In attesa dell’esito del rinvio, il voto si svolge però come previsto dalla legge vigente.
Nell’Unione, l’attenzione è soprattutto puntata su tre dati: l’affluenza alle urne, che è andata sempre calando di legislatura in legislatura; l’impatto di euro-scettici ed euro-critici di varia tendenza, che potrebbero ottenere tra un quarto e un terzo degli euro-deputati, ma che costituiscono una galassia di movimenti non omogenei; e quale sarà il gruppo più forte, tra popolari –in leggero vantaggio, negli ultimi sondaggi- e socialisti, entrambi accreditati di poco più di 200 seggi su 751.
L’esito della corsa tra Ppe e Pse è legato alla scelta del presidente della Commissione europea: alcuni partiti europei, fra cui i popolari e i socialisti, hanno infatti espresso un proprio candidato.
I dati italiani
Le elezioni dei 73 membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia interesseranno, sul territorio nazionale, 49.256.864 elettori, di cui 23.694.586 di sesso maschile e 25.562.278 di sesso femminile. Lo rende noto il Viminale, aggiornando i dati finora disponibili e ribadendo le ‘istruzioni per il voto’.
Le sezioni elettorali complessive saranno 61.592. Nelle 754 sezioni elettorali appositamente istituite negli altri Paesi dell'Unione europea voteranno, inoltre, 1.398.307 elettori italiani.
Le elezioni nelle due Regioni a statuto ordinario, Piemonte e Abruzzo interesseranno 4.848.122 elettori, di cui 2.343.707 maschi e 2.504.415 femmine; le sezioni saranno 6.476. Le elezioni in 3.918 comuni di Regioni a statuto ordinario e della Sardegna interesseranno 16.852.215 elettori, di cui 8.180.596 di sesso maschile e 8.671.619 di sesso femminile; le sezioni saranno 21.058.
Il ministero dell'Interno ricorda che per le elezioni europee, l'elettore riceverà un'unica scheda, di colore diverso a seconda della circoscrizione elettorale nelle cui liste è iscritto: grigio per l'Italia nord-occidentale (Piemonte, Valle d'Aosta, Liguria, Lombardia); marrone per l'Italia nord-orientale (Veneto, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia, Emilia Romagna); rosso per l'Italia centrale (Toscana, Umbria, Marche, Lazio); arancione per l'Italia meridionale (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria); rosa per l'Italia insulare (Sicilia, Sardegna).
Le modalità del voto
Il voto di lista si esprime tracciando sulla scheda, con la matita copiativa, un segno sul contrassegno corrispondente alla lista prescelta. Ciascun elettore può anche esprimere voti di preferenza. Il voto di preferenza deve essere espresso esclusivamente per candidati compresi nella lista votata.
E' possibile esprimere fino a un massimo di tre voti di preferenza per candidati di una lista. Nel caso di tre preferenze espresse, queste devono riguardare candidati di sesso diverso, pena l'annullamento della terza preferenza.
Un solo voto di preferenza può essere espresso per un candidato delle liste rappresentative delle minoranze di lingua francese della Valle d'Aosta, di lingua tedesca della provincia di Bolzano o di lingua slovena del Friuli Venezia Giulia, che sia collegata ad altra lista presente in tutte le circoscrizioni nazionali
I voti si esprimono scrivendo, nelle apposite righe tracciate a fianco del contrassegno della lista votata, il nome e cognome o solo il cognome dei candidati preferiti compresi nella lista medesima; in caso di identità di cognome fra più candidati, si deve scrivere sempre il nome e il cognome e, se occorre, la data e il luogo di nascita.
Il quadro europeo
Il voto di oltre 400 milioni di cittadini europei per eleggere i 751 membri del nuovo Parlamento europeo è scaglionato nel tempo: giovedì 22 maggio, hanno votato britannici, olandesi e croati (questi ultimi possono andare alle urne fino a domani). Venerdì 23, toccava a irlandesi e cechi (questi ultimi pure oggi). Oggi, sabato 24, si vota in Lettonia, Malta e Slovacchia.
Domenica 25, si voterà in tutti gli altri Paesi: Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lituania, Lussemburgo, Polonia, Portogallo, Romania, Slovenia, Spagna, Svezia e Ungheria.
La Germania, che è il Paese più popoloso dell’Ue, avrà il maggior numero di europarlamentari: 96. Seguono Francia (74), Gran Bretagna e Italia (73), Spagna (54), Polonia (51), Romania (32), Olanda (26), Belgio, Grecia, Portogallo, Repubblica Ceca e Ungheria (21), Svezia (20), Austria (18), Bulgaria (17), Danimarca, Finlandia e Slovacchia (13), Croazia, Irlanda, Lituania (11), Lettonia e Slovenia (8), Cipro, Estonia, Lussemburgo e Malta (6).
Nel Parlamento uscente, presieduto dal socialista Martin Schulz, il Ppe ha la maggioranza relativa (274 seggi). Seguono Pse e Democratici con 195 seggi, Alde (liberali) con 83, Verdi con 58, conservatori con 57, Sinistra unitaria con 35, Europa della libertà e della democrazia con 31. I non iscritti sono 33.
Delle liste italiane che potrebbero superare la soglia del 4%, FI e Ndc con Udc si collegano al Ppe; il Pd sta nel Pse; la lista per Tsipras con la sinistra unitaria; la Lega, attualmente nell’Europa della libertà, è nell’Alleanza degli Euro-scettici; mentre il Movimento 5 Stelle non si identifica per ora con alcun gruppo europeo esistente.
Nelle elezioni del 2009, l'affluenza alle urne fu la più bassa di sempre (43%). La più alta si registrò nelle prime elezioni europee, quelle del 1979, con il 61,99% dei votanti. Negli anni, è invece salito il numero dei Paesi coinvolti: dai 9 del 1979 ai 28 attuali.

Ue: elezioni, una spilla e tante domande, nell'Italia a due facce

Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano il 24/05/2014

Sono giorni che vado in giro portando appuntata sul bavero della giacca una spilla con su scritto  ‘Io voto, elezioni europee, 22/25 maggio 2014’. La spilla, vistosa non per i colori - nero e grigio, allegri come l’Unione della crisi-, ma per le dimensioni, m’è finora valsa qualche domanda imbarazzante e molti sguardi tra il commiserevole e l’astioso. E non mi ha molto aiutato a risolvere i miei dubbi, perché le scelte europee paiono essere tante, ma, in Italia, rischiano di ridursi da cinque a due. Ho ancora modo di pensarci, mentre altrove nell’Ue già s’è votato o si sta votando.

Andiamo con ordine. La spilla innesca una domanda che, in realtà, imbarazza chi la fa, non me: “Quali elezioni?, per che cosa si vota?”. Gli sguardi, invece, vengono da euro-scettici: sansepolcristi o dell’ultim’ora, se ne trovano in giro un sacco di questi tempi, in tv o nelle piazze. Anzi, difficile è trovare europeisti che si dichiarino.

Quegli sguardi sottintendono: “Ecco uno che vota per l’euro e il rigore, per l’Europa delle banche e ‘alla tedesca’, per l’eurocrazia e la burocrazia”. Invece di vedere uno che vota per la solidarietà, l’accoglienza, la crescita, il lavoro, anche per l’euro certo.  E per la pace e la libertà, che l’integrazione ha consolidato e allargato; magari pure, da giornalista, per il pluralismo dei media, visto che c’è un’Iniziativa dei cittadini in atto che lo promuove a livello europeo.

Fin qui, ho le spalle larghe: un voto in più, anche euro-critico o euro-scettico, rafforzerà l’Unione, ne sono convinto, accrescendo la legittimità democratica del nuovo Parlamento europeo e, quindi, dandogli maggiore peso politico.

Il mio problema è che, in Italia, la scelta fra i candidati alla presidenza della Commissione europea è fortemente limitata: dimezzata, come minimo, o ridotta alla pallida alternativa socialisti-popolari.

Alcuni partiti europei, popolari, socialisti, liberali, verdi, sinistra euro-critica, hanno loro candidati alla presidenza dell’Esecutivo comunitario, che sarà decisa nelle prossime settimane dal ping-pong tra Consiglio europeo e Assemblea di Strasburgo che dovrà tenere conto dei risultati elettorali. Populisti ed euro-scettici non hanno espresso un loro candidato.

Però, chi in Italia sostiene il liberale, Guy Verhofstadt, ex premier belga, federalista convinto, oppure la coppia verde Ska Keller, ecologista tedesca, e José Bové, anti-globalista francese, ha pochissime possibilità di superare la soglia del 4%. E anche la lista ‘L’Altra Europa’, che appoggia Alexis Tsipras, greco, leader di Syriza, faceva fatica a farlo, negli ultimi sondaggi ‘legali’.

Restano i candidati del Ppe Jean-Claude Juncker, appoggiato da Forza Italia, Ncd, Udc, e del Pse Martin Schulz, appoggiato dal Pd: lussemburghese l’uno, tedesco l’altro, due veterani europei. Altro che i tre faccioni ben distinti della campagna italiana, Renzi, Grillo, Berlusconi; qui –se la bussola è il voto utile- di facce ne abbiamo solo due e sono entrambe scolorite.

Nei tre dibattiti in diretta televisiva e anche nel faccia a faccia su una tv tedesca, le loro prestazioni sono state incolori e generiche. Juncker, premier del GranDucato per 18 anni e presidente dell’Eurogruppo per sette, e Schulz, parlamentare europeo da vent’anni e presidente uscente dell’Assemblea di Strasburgo, esprimono posizioni spesso sovrapponibili, annacquano le differenze, smorzano le critiche ai leader dei 28 ed alle Istituzioni dell’Ue. Insomma, fanno melassa e odorano di larghe intese. A Schulz, viene voglia di gridargli l’abusato ‘Di’ una cosa di sinistra’. A Juncker, le cose democristiane vengono naturali, ma un po’ farfugliate.

Io voto. Ma ancora cerco come esprimere un’alternativa –utile- all’assenza di alternative.

venerdì 23 maggio 2014

Ue: Commissione; presidenza, i leader tramano una sorpresa

Pubblicato su AffarInternazionali il 23/05/2014, con lo pseudonimo Adriano Metz

"Sarà troppo presto per decidere sui nomi": queste parole, una pietra tombale, stanno nella lettera che il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy ha mandato ai leader dei 28, prima del Vertice informale di martedì sera 27 maggio: da quella cena, a meno di 48 ore dall’apertura delle urne delle elezioni europee, non uscirà di sicuro il nome del nuovo presidente ‘in pectore’ della Commissione europea.

Era stata la cancelliera tedesca Angela Merkel a smorzare, nei giorni scorsi, l'ipotesi di un accordo ‘sul tamburo’ per la presidenza della Commissione. La riunione del 27 sarà solo un giro di tavolo, l’inizio di un processo. E si parlerà pure - avverte Van Rompuy- di Ucraina e delle crisi in atto. "Prima di arrivare alle decisioni - aveva avvertito la cancelliera - ci vorranno diverse settimane".

Il nuovo presidente della Commissione europea, che sostituirà il portoghese Manuel Barroso, deve entrare in carica il 1° novembre per cinque anni. A indicarne il nome, saranno i capi di Stato e/o di governo dei 28, tenendo conto dei risultati delle elezioni. Il Parlamento europeo dovrà poi votarne, al più presto a luglio, l’investitura; oppure, bocciarlo.

La volontà degli elettori e la voglia dei leader

Cinque partiti europei hanno espresso un loro candidato alla testa dell’Esecutivo di Bruxelles: il Ppe punta su Jean-Claude Juncker, ex premier lussemburghese ed ex presidente dell’Eurogruppo; il Pse su Martin Schulz, tedesco, da vent’anni al Parlamento europeo, presidente uscente dell’Assemblea di Strasburgo; i liberali su Guy Verhofstadt, ex premier belga, federalista convinto; la sinistra radicale ed euro-critica su Alexis Tsipras, greco, leader di Syriza; i verdi sul duo Ska Keller, ecologa tedesca, e José Bové, anti-globalizzazione francese.

Per la Merkel, i leader dei 28 faranno “tutto il possibile” per rispettare la volontà degli elettori, ma ci possono essere difficoltà a farlo. Una battuta che molti leggono come un mettere le mani avanti: se Ppe e Pse escono dal voto quasi alla pari, quanto a seggi a Strasburgo, allora il Consiglio europeo potrebbe ipotizzare un’alternativa a Schultz e a Juncker, che si eliderebbero a vicenda.

È uno scenario che non piace, ad esempio, al ministro degli Esteri italiano Federica Mogherini, che vuole che le famiglie politiche rispettino il patto cogli elettori sulla presidenza della Commissione. Altrimenti, dice, i cittadini “verranno a Bruxelles a dare l'assalto al Palazzo d'Inverno” dell’Ue.

La spilla ‘Io voto’ e il Palazzo d’Inverno dell’Ue

Un rischio non solo metaforico, nel clima attuale. Chi come me va in giro in questi giorni portando appuntata sul bavero della giacca una spilla con su scritto ‘Io voto, elezioni europee, 22/25 maggio 2014’ - in inglese, come se dirlo in italiano stonasse - si attira domande imbarazzanti e molti sguardi tra il commiserevole e l’astioso. Eppure la spilla non è vistosa: nera e grigia, colori da crisi. Dimensioni a parte, pare concepita per passare inosservata.

Le domande, in realtà, imbarazzano chi la fa, non chi le riceve: “Quali elezioni?, per che cosa si vota?”. Gli sguardi sono di alcuni dei molti euro-scettici, sansepolcristi o più spesso dell’ultim’ora, che si trovano in giro di questi tempi, in tv e nelle piazze.

Sottintendono disprezzo per uno che vota per l’euro e per il rigore, per l’Europa delle banche e ‘alla tedesca’, per l’eurocrazia e la burocrazia. Invece di vedere uno che vota per la solidarietà, l’accoglienza, la crescita, il lavoro, anche per l’euro certo; e per la pace e per la libertà, che l’integrazione ha consolidate e allargate.

Se questa è l’aria, chiaro che farsi beffe del voto degli elettori e tirare fuori dal cilindro del Vertice il coniglio d’un presidente ‘a sorpresa’ sarebbe mal percepito dall’opinione pubblica.

E l’Italia ha motivo di preoccuparsene, perché la presidenza di turno italiana del Consiglio dell’Ue, che inizierà il 1° luglio, avrà un ruolo importante “per assicurare una transizione normale" in una fase delicata: in pochi mesi, cambieranno gli assetti di tutte le maggiori Istituzioni europee, l’intero Parlamento, l’intera Commissione, il presidente del Consiglio europeo e l’alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune.

Ostacoli sulla via della presidenza italiana

Senza esperienza europea, il premier Renzi e la sua squadra hanno un compito difficile. E non li avvantaggia presentarsi al via della presidenza con un fardello di 114 contenziosi aperti con l’Ue, dieci in più in soli tre mesi - cifre ufficiali, del Dipartimento delle Politiche europee-: 22 sull’ambiente, 16 sui trasporti, 13 su fiscalità e dogane, e poi salute, sociale e via via gli altri settori. Ben 41 le procedure sugli aiuti di Stato.

Se i leader dei 28 dovessero uscire dal seminato dei candidati in lizza, allora tutte le ipotesi finora fatte andrebbero riviste. Oppure, potrebbero pure risalire le quotazioni di candidati apparentemente senza speranza, come il liberale Verhofstadt. Ma è difficile che si delinei un’ipotesi italiana: fin quando alla Bce c’è Mario Draghi, il tricolore non sventolerà sul Berlaymont, la stella di cristallo che ospita la Commissione.

In questo contesto, anche la scelta del prossimo commissario europeo italiano, la cui designazione spetta al governo italiano, potrebbe riaprirsi, dopo che molti indicavano Massimo D’Alema come grande favorito, anche se l’ex premier non s’è mai sbilanciato in tal senso.

Matteo Renzi, che ha già mostrato dosi di spregiudicatezza nel fare cose diverse da quelle dette, potrebbe anteporgli un altro ex premier, Enrico Letta, oppure l’attuale sottosegretario agli Affari europei Sandro Gozi.

E c’è chi pensa che un ottimo commissario potrebbe essere il predecessore di Gozi, Enzo Moavero Milanesi. Ma le ragioni della politica e quelle della competenza non sempre vanno di pari passo.

giovedì 22 maggio 2014

Ue: Commissione, presidenza, da un 27 all’altro

Scritto per EurActiv.it il 22/05/2014

Il 27 maggio, due giorni dopo il voto europeo, gli italiani cui spettano si troveranno in busta paga gli 80 euro in più loro promessi dal Governo Renzi. Invece, i cittadini europei non sapranno il nome del nuovo presidente della Commissione europea. E dovranno aspettare almeno un mese ancora, fino al Consiglio europeo del 26 e 27 giugno, ultimo atto del semestre di presidenza di turno greca.

“Sarà troppo presto per decidere sui nomi”: papali papali, queste parole sono scritte nella lettera che il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy ha mandato ai leader dei 28, come traccia del Vertice informale di martedì sera 27 maggio: da quella cena, a meno di 48 ore dall’apertura delle urne delle elezioni europee, non uscirà di sicuro il nome del nuovo presidente ‘in pectore’ della Commissione europea.

Era stata la cancelliera tedesca Angela Merkel a smorzare, nei giorni scorsi, l'ipotesi di un accordo ‘sul tamburo’ per la presidenza della Commissione. La riunione del 27 sarà solo un giro di tavolo, l’inizio di un processo. E si parlerà pure –fa sapere Van Rompuy- di Ucraina e delle crisi in atto. "Prima di arrivare alle decisioni – aveva avvertito la cancelliera  - ci vorranno diverse settimane".

Il nuovo presidente della Commissione europea, che sostituirà il portoghese Manuel Barroso, deve entrare in carica il 1° novembre per cinque anni. A indicarne il nome, saranno i capi di Stato e/o di governo dei 28, tenendo conto dei risultati delle elezioni. Il Parlamento europeo dovrà poi votarne, al più presto a luglio, l’investitura; oppure, bocciarlo.

Cinque partiti europei hanno espresso un loro candidato alla testa dell’Esecutivo di Bruxelles: il Ppe punta su Jean-Claude Juncker, ex premier lussemburghese ed ex presidente dell’Eurogruppo; il Pse su Martin Schulz, tedesco, da vent’anni al Parlamento europeo, presidente uscente dell’Assemblea di Strasburgo; i liberali su Guy Verhofstadt, ex premier belga, federalista convinto; la sinistra radicale ed euro-critica su Alexis Tsipras, greco, leader di Syriza; i verdi sul duo Ska Keller, ecologa tedesca, e José Bové, anti-globalizzazione francese.

Il Parlamento vorrà dire la sua fino all'ultimo sulla nomina del presidente della Commissione. E, come EurActiv.it aveva già anticipato, una riunione dei presidenti dei gruppi dell’Assemblea – quelli uscenti – è prevista la mattina del 27, prima dell’arrivo a Bruxelles dei leader.

A questo punto, il Consiglio europeo del 26 e 27 giugno appare decisivo per la nomina. A luglio, nella sua prima plenaria, il nuovo Parlamento dovrà eleggere i propri vertici, presidente e vice; e, nella successiva plenaria, dovrebbe votare l’investitura del presidente della Commissione.

La formazione dei gruppi parlamentari deve avvenire entro il 23 giugno –un gruppo deve disporre di almeno 25 deputati di almeno sette Paesi diversi-. Gli eurodeputati che resteranno senza gruppo faranno parte del cosiddetto ‘gruppo misto’, ma avranno meno possibilità d’incidere sull'attività dell’Assemblea.

Ue: elezioni: lo sbarco dei dibattiti in tv sul pianeta Europa

Pubblicato da AffarInternazionali il 22/05/2014

Avete presente i dibattiti presidenziali negli Stati Uniti, quelli che dal 1960 decidono quasi sempre chi andrà alla Casa Bianca?, la tensione dei candidati?, la maniacale minuta precisione di regole e  conduttori?, le decine di milioni di spettatori, che solo il SuperBowl ne fa di più negli Usa? Bene: qui è un’altra cosa.

I dibattiti presidenziali nell’Unione europea non sono -per ora- nulla di tutto questo: share dell’audience da prefisso telefonico, diffusione confinata su reti minori, gestione dei tempi a volte un po’ caotica, l’intreccio delle lingue a complicare il tutto. Se li fai in inglese, penalizzi chi, come il greco Alexis Tsipras, non si sente a suo agio in quella lingua; se li fai che ciascuno parla la sua, devi affidarti agli interpreti, la voce che arriva al pubblico non è l’originale, le frasi perdono fluidità, la percezione dei personaggi non è né immediata né piena.

Eppure, con tutti i loro limiti, i dibattiti in diretta tv, corollario delle candidature alla presidenza della Commissione europea, sono stati la vera novità mediatica di questa campagna elettorale europea, anche se i protagonisti non hanno mostrato l’aggressività dialettica che, spesso, fa la forza dei confronti americani. Assente, pure, la retorica positiva in stile Usa: “Non voglio un’Europa che sogna”, sono state le prime parole del Ppe Juncker. In America, gli avrebbero spento le tv in faccia; qui non è successo, anche perché di televisori accesi ce n’erano pochi.

Difficile dire quanto i dibattiti abbiano pesato sui pronostici di questa vigilia. L’ultimo rilevamento comparato europeo, diffuso il 20 maggio, dà i popolari -217- in calo rispetto al Parlamento uscente, ma in vantaggio d’una quindicina di seggi sui socialisti -201, in leggerissima ascesa. La terza forza sono la galassia degli ‘euro-scettici’ di destra, xenofobi, anti-euro, separatisti, che però a Strasburgo non faranno massa unica. Poi, i liberali, la sinistra radicale euro-critica, i conservatori. Ppe e Pse insieme avranno la maggioranza dei 751 seggi.

Nell’arco dei tre dibattiti, il primo da Maastricht il 28 aprile –regia EuroNews-, il secondo da Firenze il 9 maggio –regia RaiNews-; il terzo da Bruxelles il 15 maggio –regia Eurovisione e audience molto maggiore degli altri-, il migliore è stato l’ex premier belga Guy Verhofstadt, liberale, federalista, che rivendica alla Commissione un ruolo pilota dell’integrazione europea e contesta il presidente uscente Manuel Barroso per l’abitudine di telefonare a Berlino ed a Parigi prima di decidere che fare.

A Maastricht, Verhofstadt aveva vinto di misura e senza convincere, un 6 pieno, con un 6- agli altri. A Firenze, aveva vinto a mani basse: in termini ciclistici, visto che è in corso il Giro d’Italia, era già sotto la doccia quando sono arrivati gli altri. A Bruxelles, s’è limitato a controllare.

I due favoriti, il popolare Jean Claude Juncker, ex premier lussemburghese ed ex presidente dell’Eurogruppo, e il socialista Martin Schulz, attuale presidente del Parlamento europeo, sono stati soprattutto attenti a non farsi male l’un l’altro e a non inciampare in qualche gaffe: federalismo, eurobond, solidarietà erano parole per loro scivolose. Impegnati a marcarsi a vicenda e preoccupati di non sciorinare le differenze, Schulz e Juncker si sono spesso impelagati nei tecnicismi più ostici della costruzione europea (il ‘modello comunitario’ contrapposto al ‘sistema inter-governativo’, l’intreccio dei poteri delle Istituzioni, i vincoli dei Trattati).

Così, mentre Schulz e Juncker traccheggiavano, badando a non inciampare e a non farsi l’un l’altro lo sgambetto , Verhofstadt tirava diritto, in sella al cavallo di battaglia di una Commissione europea che non sia segretariato del Consiglio dei Ministri dell’Ue, cioè cane da riporto dei Governi dei 28, ma che guidi il processo d’integrazione, come avveniva ai tempi, ormai mitici, di Jacques Delors (e un pochino pure sotto la presidenza di Romano Prodi).

Forte di una sua linea, e di una legittimità conferitagli dall’indicazione popolare e dall’investitura del Parlamento, il presidente dell’Esecutivo di Bruxelles dovrebbe guidare l’Unione a rilanciare crescita e occupazione, sfruttando a pieno la dimensione europea nei settori dei trasporti, dell’energia, della banda larga, della difesa, specialmente della difesa; dotando l’Ue di risorse; e seppellendo, così, nazionalismi e populismi, sotto la “nuova ondata” di un’integrazione concreta ed efficace, che profitti ai cittadini.

Quanto agli outsiders, i verdi Ska Keller –al primo e al terzo- e José Bové –al secondo- hanno fatto la loro parte, portando lei freschezza e lui aggressività. All’ultimo giro, ha esordito Tsipras, campione della sinistra euro-scettica, che ha (un po’) sparigliato le carte, senza, però, fare il botto. E il terzo dibattito è stato il più moscio: a parte la relativa spregiudicatezza di chi parte battuto e ha poco da perdere, la melassa delle banalità ha prevalso.

Tsipras, l’unico senza cravatta, strizza l’occhio al voto italiano: chiama in causa Juncker, che c’era, per il vertice di Cannes dove, dice, dietro le quinte furono rovesciati due governi democraticamente eletti, il greco e l’italiano –un’eco delle polemiche sul complotto di questi giorni-; e cita l’impegno dei giudici contro la mafia.

Ma se c’è un po’ d’Italia nel dibattito europeo, è pure merito, anzi demerito, di Silvio Berlusconi: con la sua campagna anti-tedesca e anti-Schulz, diventa l’ ‘uomo nero’ del primo confronto. Dove tutti lo evocano e lo criticano, tranne Schulz che può permettersi d’ignorarlo. Juncker tradisce l’imbarazzo dei popolari per quell’alleato scomodo e invadente, che però non cacciano perché, senza Forza Italia, non sarebbero più la prima forza del Parlamento europeo.

Su un punto sono tutti d’accordo: la scelta del presidente della Commissione dovrà avvenire nell’ambito dei candidati, dal cappello a cilindro dei capi di Stato o di governo dell’Ue non potrà uscire un nome a sorpresa. Persino Juncker, di gran lunga il meno spericolato, dice: “Se non sarà uno di noi, nel 2019 non andrà più a votare nessuno, perché gli elettori si sentiranno presi in giro”.

Recitano un copione?, o sono davvero convinti? Intanto, è già chiaro che non saranno brevi i tempi di decisione sul presidente della Commissione europea, dopo le elezioni del 25 maggio. E anche i giochi che parevano già delineati potrebbero riaprirsi, nell’Unione e pure in Italia.

mercoledì 21 maggio 2014

Elezioni europee: ‘Io voto’, per il lavoro, l’euro, la pace. E la libertà d’informare

Scritto per il blog di Media Duemila il 21/05/2014

Da lunedì scorso, e almeno fino a lunedì prossimo, vado in giro portando appuntata sul bavero della giacca una spilla con su scritto ‘Io voto, elezioni europee, 22/25 maggio 2014’ –in inglese, come se dirlo in italiano stonasse-. La spilla, vistosa non per i colori - nero e grigio, un mortorio -, ma per le dimensioni, m’è finora valsa qualche domanda imbarazzante e molti sguardi tra il commiserevole e l’astioso.

La domanda, in realtà, imbarazza chi la fa, non me: “Quali elezioni?, per che cosa si vota?”. Gli sguardi sono di alcuni dei molti euro-scettici, sansepolcristi o dell’ultim’ora, che si trovano in giro di questi tempi, in tv o nelle piazze.

Quegli sguardi sottintendono: “Ecco uno che vota per l’euro e per il rigore, per l’Europa delle banche e ‘alla tedesca’, per l'eurocrazia e la burocrazia”. Invece di vedere uno che vota per la solidarietà, l’accoglienza, la crescita, il lavoro, anche per l’euro certo.  E per la pace. E per la libertà, che l’integrazione ha consolidato e allargato.

Se poi, come giornalisti, vogliamo trovare un motivo in più per andare alle urne domenica –un voto in più, anche euro-critico o euro-scettico, rafforzerà l’Unione, accrescendo la legittimità democratica del nuovo Parlamento europeo-, pensiamo all'iniziativa dei cittadini per un’azione dell’Unione a favore del pluralismo dei media e della libertà di stampa e d’espressione.

Se n’è discusso oggi a Roma, presso la Federazione della Stampa, confrontando la diversità delle campagne nei Paesi dell’Ue, le varie letture dell’attualità europea e, in Italia, gli spazi attribuiti dai media a liste e partiti. Nell’occasione, sono stati pure discussi gli esiti delle ricerche effettuate dall’Osservatorio di Pavia e dall’AgCom e le notazioni della cattedra di Comunicazione politica di Roma Tre.

Media Initiative è la campagna europea che sta raccogliendo in tutta l’Unione il milione di firme necessario per chiedere alla Commissione di Bruxelles di avviare l’iter legislativo a tutela del pluralismo dei media e della libertà d’informazione. Una tutela che, nei singoli Paesi, può soccombere a conflitti d’interesse o tentazioni autoritarie: la dimensione europea, anche in questo caso, sarebbe garanzia e scudo.

martedì 20 maggio 2014

Italia/Ue: presidenza, elezioni, la Giannini e un’occasione (mancata) per astenersi

Scritto per EurActiv.it e il blog de Il Fatto Quotidiano il 20/05/2014

Sala monumentale di Palazzo Chigi, ora 11.00: il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini presenta il logo ufficiale del semestre di presidenza italiana del Consiglio Ue, lungamente atteso – e più volte rinviato: è dalla fine di febbraio che lo si dà per pronto -.

Con la Giannini, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio per gli Affari europei Sandro Gozi e un testimonial della presidenza, l’astronauta Luca Parmitano. Gestisce l’appuntamento il portavoce della presidenza Federico Garimberti. Tutte presenze competenti e/o pertinenti.

Invece, uno pensa, che c’entra la Giannini con il logo della presidenza? Il nesso c’è: il logo viene fuori da un concorso nelle scuole. E la sala monumentale è zeppa di studenti attenti ed emozionati.

Ma la senatrice Giannini, linguista, glottologa, già rettore dell’Università per Stranieri di Perugia per dieci anni, oltre che segretario e coordinatore di Scelta Civica, è candidata alle elezioni europee, capolista di Scelta Europea nella Circoscrizione Centro – per chi non l’ha chiaro, Scelta europea è la formazione che sostiene la candidatura a presidente della Commissione europea del leader liberale e federalista belga Guy Verhofstadt -.

La candidatura della Giannini è una di quelle civetta, che servono ad attirare voti –ma davvero ne attira tanti?-, anche se il candidato non ha nessuna intenzione di ricoprire la carica cui sarà eventualmente eletto. Una prassi poco condivisibile e che, fuori dall’Italia, dove è diffusissima, ha rari emuli.

Allora, la senatrice ministro coordinatore ex rettore e capolista poteva ‘astenersi’ dalla comparsata: un’occasione di pubblicità, davanti a ragazzi, giornalisti e una selva di telecamere.

Se proprio voleva testimoniare il suo interesse per l’integrazione europea, il ministro Giannini poteva andare, oggi, a Bruxelles, a rappresentare l’Italia in quel Consiglio dei Ministri dell’Istruzione dei 28 che, il prossimo semestre, le toccherà presiedere –era un’occasione, l’ultima, per conoscere i colleghi e familiarizzarsi con i temi e le procedure-.

Invece, a Bruxelles ha mandato il sottosegretario Roberto Reggi. Perché? Là, la Giannini avrebbe di sicuro trovato meno telecamere. Ma, dopo tanti rinvii, si poteva sicuramente scegliere per la presentazione del logo una data diversa da quella del Consiglio dell'Istruzione, senza mettere in conflitto il dovere del ministro e l'interesse della candidata.

Ue: elezioni, tempesta di interviste (senza Europa) sul voto

Scritto per EurActiv il 20/05/2012

Tempesta di interviste con tanta Italia e poca Europa, sulle elezioni del 25 maggio: toni forti, scambi vivaci sul piano personale –ma meno che in piazza- e zero novità, almeno per quanto riguarda le posizioni sull’integrazione.

I tre principali leader politici italiani sono tutti comparsi ieri sera in tv: per due di essi, è la norma; per il terzo, Beppe Grillo, è stato un evento eccezionale, il ritorno in Rai dopo 21 anni. Il premier Matteo Renzi era su La7; il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi era su una delle sue reti, Rete4; e il leader del Movimento Cinque Stelle Beppe Grillo a Porta a Porta, il talk show di Bruno Vespa.

Dopo le polemiche dei giorni scorsi, il confronto televisivo a distanza era molto atteso, ma è stato essenzialmente dedicato alla politica interna. Del resto, Grillo ha subito chiarito: "Il 25 è un voto politico: o loro o noi". E ha aggiunto: “C'é da resettare, da mandarli a casa tutti; e prima di mandarli a casa, facciamo una verifica fiscale, vediamo quanti soldi avevano prima di entrare in politica e quanti ne hanno oggi. Se non saranno 'congrui' devono ridare i soldi, come i mafiosi".

I pochi che s’aspettavano squarci europei sono rimasti delusi: unico tratto europeo comune l’impegno a cambiare le norme sull’immigrazione, anche se nessuno ha indiicato come. I paragoni con Hitler e Stalin e l’evocazione della ‘lupara bianca’ di cui sarà vittima ‘l’ebetino’ –come Grillo chiama Renzi-, che stanno segnando la campagna, sono riecheggiati nelle sortite televisive.

Il leader del M5S ha ribadito il suo no al Patto di Bilancio e all’euro, per il quale è tornato sull’idea del referendum. E, per semplificare il rapporto tra l’Italia e i suoi partner europei, ha detto: "Renzi è andato dalla Merkel e le ha dato due slinguate".

Invece, Renzi è "convinto che la credibilità internazionale di FI e M5S non e' all'altezza dell'Italia". E, all’opposto di Grillo, dice di non considerare “le europee un voto politico: un risultato positivo sarà quello che mi consente di andare in Europa e dire l'Italia è tornata, non sta a guardare, non si fa fare la morale da Paesi che non rispettano le regole dell'Europa".

Per il premier, l’Unione può “rimettere in gioco” l’Italia, ma l’Italia deve coglierne le opportunità: “Se ci sono 183 miliardi di euro da spendere, o le regioni li spendono, o li spendiamo noi. Non e' accettabile restituire soldi all'Ue".

Su un tono diverso lo show di Berlusconi, giocato molto sulla sua vicenda personale. L’ex premier doveva rientrare a casa entro le 23.00, per ottemperare ai termini della condanna che sta scontando ai servizi sociali: “Avevo chiesto di rientrare questa sera a mezzanotte, ma mi hanno risposto che non sono Cenerentola”, ha scherzato. Berlusconi è pure caduto in un lapsus che può essere significativo: “Ora c’è Grillo a Palazzo Chigi”, ha detto, invece di Renzi. Forse, l’idea di Grillo premier è uno spauracchio pure per lui,oltre che per Renzi.

venerdì 16 maggio 2014

Commissione: presidenza; dibattito 3, c’è Tsipras, ma tutto è moscio

Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano ed EurActiv.it il 16/05/2014

All’ultimo giro, compare, per la prima volta, Alexis Tsipras. E il leader greco di Syriza e de ‘L’Altra Europa’ spariglia (un po’) le carte ai rivali. Ma il terzo dibattito in diretta televisiva fra i candidati alla presidenza della Commissione europea è il meno pungente, forse perché Guy Verhofstadt, il liberale, e Ska Keller, la verde, stavolta proprio tutta di verde vestita, hanno già esaurito la loro carica e si ripetono, mentre Martin Schulz, il socialista, e Jean Claude Juncker, il popolare, girano sempre a basso regime, più attenti a non dire una parola fuori posto che a conquistare consensi.

Tsipras, l’unico senza cravatta, sceglie di esserci quando i candidati possono esprimersi ciascuno nella lingua che preferisce (e non devono farlo in inglese). Ma il confronto, tradotto, manca d’efficacia: la voce che arriva è quella dell’interprete, le frasi perdono fluidità. E se, all’inizio, il greco e la tedeschina, che sono gli outsiders, paiono andare forte, anche perché sono più spregiudicati, non avendo nulla da perdere, a conti fatti la melassa delle banalità e delle affermazioni scontate prevale.

Nello Spazio Europa del palazzo delle Istituzioni comunitarie a Roma, centinaia di persone seguono il dibattito. Domanda dopo domanda, il pubblico vota chi se l’è cavata meglio: Tsipras piace di più sul Patto di Bilancio (cioè contro); Schulz sull’occupazione dei giovani; Verhofstadt sull’Unione bancaria ed anche sulla speranza che l’Unione deve trasmettere; la Keller sull’Ucraina –l’Europa è ipocrita: critica Putin e vende armi alla Russia-; e ancora la Keller e Tsipras sugli indipendentismi; sempre la Keller sulla politica dell’immigrazione –l’Europa del Nobel per la Pace deve mostrare solidarietà-; Schulz e Tsipras sul ‘no’ fermo ai simboli religiosi nei luoghi pubblici; ancora Schulz e Tsipras sulla riluttanza dei cittadini ad andare alle urne, di nuovo Schulz sulla lotta alla corruzione e alle lobbies.

Su un punto sono tutti d’accordo: la scelta del presidente della Commissione deve avvenire nell’ambito dei candidati, dal cappello a cilindro dei capi di Stato o di governo dell’Ue non può uscire il nome a sorpresa. Persino Juncker sbotta: “Se non sarà uno di noi, nel 2019 non andrà più a votare nessuno, perché gli elettori si sentiranno presi in giro”.

Tsipras strizza l’occhio al voto italiano: attacca Juncker, che c’era, per il vertice di Cannes dove, dice, dietro le quinte vennero rovesciati due governi democraticamente eletti, cioè quello greco e l’italiano –un’eco delle polemiche sul complotto di questi giorni-; e poi cita l’impegno dei giudici contro la mafia. Verhofstadt si rigioca la carta della denuncia della carenza di leadership della Commissione, con il presidente Barroso che telefona sempre a Berlino e a Parigi, prima di prendere qualsiasi decisione; ma è la terza volta che lo fa e suona stantio.

Il dibattito corre veloce. Fin troppo: un minuto a intervento è davvero poco, nessuno sta mai nei tempi. Fioccano i tweets con l’hashtag #telleurope, dillo all’Europa: ne arrivano 63 mila, 700 al minuto, dieci ogni secondo. Alla fine, il pubblico dello Spazio Europa ‘vota’ Tsipras e Schulz, dietro Verhofstadt e Keller, ultimo Juncker. Un test che vale quel che vale: Schulz e Juncker restano i favoriti. E il coniglio che potrebbe mangiare la carota resta, per ora, nascosto nel cilindro dei leader.

giovedì 15 maggio 2014

Ue: Commissione; presidenza, se tempi lunghi, giochi riaperti


Scritto per EurActiv il 15/05/2014

Non saranno brevi i tempi di decisione sul presidente della Commissione europea, dopo le elezioni del 25 maggio. E anche i giochi che parevano già delineati potrebbero riaprirsi, nell’Unione e pure in Italia.

E’ stata la cancelliera tedesca Angela Merkel a smorzare, nei giorni scorsi, l'ipotesi di un accordo ‘sul tamburo’ per la presidenza della Commissione. E’ confermato che i leader dei 28 si riuniranno a Bruxelles la sera del 27 maggio –una cena di lavoro-. Ma, secondo la Merkel, sarà un’occasione per discutere “di politica e non di candidati”.

"Prima di arrivare alle decisioni – ha sostenuto nei giorni scorsi la cancelliera  - ci vorranno di certo diverse settimane".   Il nuovo presidente della Commissione europea, che sostituirà il portoghese Jose' Manuel Barroso, deve entrare in carica, in linea di massima da novembre, per cinque anni.

A indicarne il nome, saranno i capi di Stato e/o di governo dei 28, tenendo però conto dei risultati delle elezioni. Il Parlamento europeo dovrà poi votare l’investitura del nuovo presidente, oppure bocciarlo.

Cinque partiti europei hanno espresso un candidato alla presidenza della Commissione: i popolari, Jean Claude Juncker; i socialisti, Martin Schulz; i liberali, Guy Verhofstadt; la sinistra radicale, Alexis Tsipras; e i Verdi, con un’accoppiata uomo/donna José Bové e Ska Keller.

La Merkel aveva aggiunto che i leader dei 28 faranno “tutto il possibile” per rispettare la volontà degli elettori, ma che ci sono difficoltà a riuscirci. Una battuta che molti leggono come un mettere le mani avanti: se popolari e socialisti escono dal voto quasi alla pari, quanto a seggi a Strasburgo, allora il Consiglio europeo potrebbe essere tentato di proporre un’alternativa a Schultz e a Juncker, che, a quel punto, potrebbero elidersi a vicenda.

E’ uno scenario che non piace, ad esempio, al ministro degli Esteri italiano Federica Mogherini, che s’aspetta che le "famiglie politiche" restino unite e rispettino il patto con gli elettori sulla presidenza della Commissione. Per la Mogherini, "è assodato che il candidato presidente del gruppo più numeroso deve essere sostenuto per guidare la Commissione".

Il ministro spiega: "Se politicizziamo le scelte, allora dobbiamo rispettare la volontà degli elettori e non passare mesi a litigare tra istituzioni”. Altrimenti, i cittadini “verranno a Bruxelles a dare l'assalto al Palazzo d'Inverno” dell’Ue.

In questa fase, la presidenza di turno italiana del Consiglio dell’Ue, che inizierà il 1° luglio, giocherà un ruolo importante “per assicurare una transizione normale": in pochi mesi, cambieranno gli assetti di tutte le maggiori Istituzioni europee, l’intero Parlamento, l’intera Commissione, il presidente del Consiglio europeo e l’alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune.

Se i leader dei 28 dovessero uscire dal seminato dei candidati in lizza, allora tutte le ipotesi finora fatte, e puntualmente riprese da EurActiv.it, andrebbero riviste. E potrebbero pure risalire le quotazioni di candidati apparentemente senza speranza, come il liberale Verhofstadt.

In questo contesto, anche la scelta del prossimo commissario europeo italiano, la cui designazione spetta al governo italiano, potrebbe riaprirsi, dopo che molti indicavano Massimo D’Alema come grande favorito, anche se l’ex premier non s’è mai sbilanciato in tal senso. Matteo Renzi, che ha già mostrato dosi di spregiudicatezza nel fare cose diverse da quelle dette, potrebbe anteporgli un altro ex premier, Enrico Letta, oppure l’attuale sottosegretario agli Affari Europei Sandro Gozi.

Expo 2015: Ban (Onu) fa levare dal sito la sua foto


Scritto per Il Fatto Quotidiano del 15/05/2014
 Sul sito ufficiale dell’Expo 2015, la pagina dell’Onu, dominata dallo slogan “Sfida fame zero – Uniti per un mondo sostenibile”,  ha un solo miserrimo ‘mi piace’ su Facebook. E non c’è la foto del segretario generale delle Nazioni Unite, il coreano Ban Ki-moon. In realtà, la foto c’era, ma è stata rimossa. Dopo lo scoppio della ‘Tangentopoli dell’Expo’.
A rivelarlo, è Le Figaro. L’espertissimo corrispondente del quotidiano francese, Richard Heuzé, dedica un servizio al “ritorno dei grandi scandali a vent’anni dall’operazione ‘Mani Pulite’” : un terremoto tale da indurre Ban, che la settimana scorsa era stato a Roma, accolto come si conviene “in pompa magna”, a fare ritirare la propria foto dal sito dell’Expo.
Al telefono con Il Fatto, Heuzè, un’istituzione fra i corrispondenti esteri in Italia, conferma quanto scritto: una fonte affidabile gli ha detto che la foto c’era e che ne è stato chiesto il ritiro. Fonti dell'Expo confermano che la foto è stata rimossa su richiesta dell'Onu, "ma –affermano- per una loro politica informativa istituzionale che preferisce dare spazio all'evento e non alla persona".
Sulla pagina, ora, non c’è nessuna immagine, ma soltanto una pappardella che spiega il significato della partecipazione dell’Onu all’Expo.
Ban è in viaggio in Europa, a Stoccolma. Ma, a New York, l’ufficio del portavoce del segretario dell’Onu risponde a Il Fatto, dopo avere acquisito la necessaria documentazione –la polemica non era ancora arrivata al Palazzo di Vetro-: “Il sito in questione è dell’Expo, non dell’Onu. E’ quindi gestito da loro ed è a loro che va rivolta la domanda –già fatto, grazie, ndr-, perché la responsabilità non è nostra”.
Insomma, il fatto sussiste: la foto c’era ed è stata tolta. Perché? L’Expo dice per policy Onu, ma l’Onu non fa riferimento a tale policy.
Quel che è certo è che la foto viene levata dopo gli arresti per le mazzette dell’Expo, avvenuti giovedì 8 maggio. Il giorno prima, Ban, appena arrivato a Roma, dove si sarebbe poi trattenuto fino al 9, vedendo tutti quanti, Napolitano, Renzi, papa Francesco, era intervenuto a un ricevimento dato a Palazzo Doria Pamphili dal ministro degli Esteri Federica Mogherini  proprio per la presentazione ufficiale di Expo 2015 ai vertici delle Nazioni Unite, presente il ‘numero 1’ dell’iniziativa milanese Giuseppe Sala.
E, lì, Ban aveva detto: "L'Expo avviene nel 2015, un anno cruciale per le Nazioni Unite: non solo valuteremo il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del Millennio, ma lanceremo anche una nuova agenda di sviluppo globale". Progetti importanti. Resta da vedere ora se saranno mantenuti.
Già il 25 marzo 2013, il segretario generale aveva nominato Eduardo Rojas-Briales,  vice-direttore dell’Agenzia dell’Onu per l’alimentazione e l’agricoltura, la Fao, che sta a Roma, commissario generale per il coordinamento delle iniziative dell’Onu all’Expo. E la foto di Rojas-Briales è tuttora sul sito.
L’episodio è, in fondo, minimo. Ma è un segnale di come la ‘Tangentopoli dell’Expo’ impatti sull’immagine dell’iniziativa, di Milano e dell’Italia, ben al di là dei tentativi di minimizzarne le conseguenze. Per Die Welt, l’eventualità di un fallimento “è dietro l’angolo”, con  il rischio “di fare crollare anche uno degli ultimi lati buoni di un Paese sconquassato dalla crisi”.
Né suona meglio l’atteggiamento un po’ distaccato del Financial Times, che titola “Le accuse di corruzione paiono normali nella politica e negli affari italiani”. Più o meno come fa, in Spagna, La Vanguardia, che, almeno, accomuna la Spagna al nostro male: “L’ondata di arresti per l’Expo mette il dito nella piaga di un problema cronico italiano, ma anche spagnolo, la corruzione che produce scandali quasi quotidiani”.
Ban toglie la foto. C’è da sperare che altri non tolgano investimenti. O padiglioni.