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domenica 31 ottobre 2010

USA: midterm, il voto di al Qaida nell'urna yankee

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 31/10/2010

E’ come se Osama bin Laden e Barack Obama avessero sincronizzato i loro orologi: l’incubo terrorismo torna a incombere sugli Stati Uniti a meno di 96 ore dalle elezioni di ‘mid-term’, da cui, stando ai sondaggi, il presidente e il partito democratico usciranno battuti. Era già successo quando alla Casa Bianca c’era George W. Bush: all’approssimarsi di un voto, il livello di allerta si alzava e il semaforo del terrore passava dal giallo all’arancione; l’America snetiva un brivido d’insicurezza; e il comandante in capo della guerra al terrorismo e il suo partito ne uscivano bene, o comunque meglio del previsto.

C’era chi pensava a una manipolazione da parte dell’Amministrazione. Ma, questa volta, l’equazione “sussulto d’insicurezza = vantaggio al presidente” non è necessariamente esatta, perché Obama non è visto come un campione della lotta al terrorismo. E, infatti, il presidente s’è subito preoccupato del rischio reale, ma anche, e forse soprattutto, di quello percepito: va in tv e non minimizza, anzi dice che la minaccia è credibile; e poi rinnova l’impegno a distruggere le basi
dei terroristi nello Yemen –in Afghanistan, una coalizione internazionale ci prova da nove anni senza esserci riuscita-. Ma aggiunge pure una nota di cautela: i pacchi sospetti intercettati contenevano –dice- “apparentemente” esplosivo.

Con il passare delle ore, l’allarme acquista, però, intensità e drammaticità, anche perché viene dopo una serie di avvertimenti in Europa e una ridda di false allerte che avevano, comunque, fatto risalire la tensione attentato. Difficile, però, anticipare l’impatto che gli episodi di venerdì avranno sul voto di martedì negli Usa.

Che cos’è accaduto, in sintesi? Nell’Inghilterra centrale, sull’aeroporto di East Midlands, e a Dubai, in un centro di smistamento della FedEx, vengono intercettati pacchi bomba partiti dallo Yemen, uno dei Paesi più infiltrati dal terrorismo integralista, e quasi ‘firmati’ al Qaida per il tipo d’esplosivo. I plichi letali erano indirizzati a organizzazioni religiose ebraiche di Chicago, la città
di Obama e dove il presidente trascorre l’ultima notte del suo frenetico tour elettorale.

L’allarme è partito dall’Arabia saudita, che ha servizi efficientissimi. I cieli d’America sono teatro di scene ormai dare: caccia scortano dal Canada fino all’atterraggio sul JFK di New York un aereo di linea della Emirates, che i controlli troveranno ‘pulito’. La segretaria alla sicurezza interna Usa Janet Napolitano spiega che i pacchi bomba contenevan, nascosto nella cartuccia di una stampante, Petn (tetranitrato di pentaeritrite): è l’esplosivo che doveva usare il giovane nigeriano imbarcatosi, a Natale 2009, su un aereo di linea per gli Stati Uniti; ed è l’esplosivo dell’attacco a Times Square fallito quest’anno. Secondo la sicurezza di Dubai, il pacco “era preparato in modo professionale e un circuito elettrico chiuso era connesso alla sim di un cellulare nascosta nell’apparato”.

Ci sarebbero in circolazione altri pacchi: fonti Usa parlano di 15, le autorità yemenite ne avrebbero sequestrati 26 (e fermato una donna). Nello Yemen, al Qaida era già radicata ben prima dell’11 Settembre, come mostrò, nell’ottobre 2000, il riuscito attacco al cacciatorpediniere Cole all’ingresso nel porto di Sanaa. Washington sollecita il presidente yemenita Ali Abdallah Saleh a “lavorare insieme”: Stati Uniti, Gran Bretagna ed Arabia saudita “sono pronti a fornire assistenza”. Saleh manifesta “determinazione” a combattere il terrorismo “in collaborazione con la comunità internazionale”, ma respinge “ingerenze”.

Se la reazione americana è ferma e sobria, quella britannica è venata da polemiche perché il premier David Cameron non venne informato per ore di quanto stava avvenendo. Cameron era a Bruxelles, al Vertice Ue, quando il gruppo Cobra, che coordina le risposte all’emergenza nel Regno Unito, entrava in azione. Ma ci sono volute 12 ore per informare Downing Street, mentre a Washington sarebbero bastati 7 minuti perché l’allarme giungesse nello Studio Ovale. La spiegazione non lascia per nulla tranquilli: la polizia locale non avrebbe subito capito la gravità della situazione e non avrebbe neppure individuato il pacco all’esplosivo.

SPIGOLI: Italia-Shanghai, i Marco Polo del XXI Secolo

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 31/10/2010

I Marco Polo del Terzo Millennio sono arrivati a destinazione seguiti metro per metro dallo spazio e su internet e accompagnati nel loro viaggio dalla curiosità della stampa internazionale. Ed El Pais e USAToday hanno fatto loro festa grande, quando sono ‘sbarcati’ all’Expo di Shanghai poco prima della chiusura. Quattro veicoli elettrici senza conducente, con batterie alimentate ad energia solare, hanno completato in tre mesi un percorso di 13mila km dall’Italia alla Cina: è la prima volta che mezzi del genere compiono un viaggio transcontinentale. I veicoli, che non hanno nulla di robotico, ma hanno l’apparenza di furgoncini, sono stati ideati e allestiti dal Vislab Autonomous Challenge dell’Università di Parma: hanno una velocità massima di 60 km/h (ma ogni tre ore di viaggio ce ne vogliono otto di sosta per ricaricare le batterie). I ricercatori erano a bordo, ma il loro intervento è stato necessario solo per pagare i pedaggi sulle autostrade e a Mosca, quando i Marco Polo sono rimasti imbottigliati in un ingorgo. Per il resto, i veicoli se la sono cavata bene con i loro sensori e con il sistema di visione artificiale che individua gli ostacoli, decide la direzione e regola le frenate. Hanno anche attraversato la Siberia e il deserto di Gobi senza perdersi e senza patire gli sbalzi di clima. Una volta, hanno pure fatto salire un autostoppista, che magari non sarà stato entusiasta di scoprire che non c’era un autista a bordo.

sabato 30 ottobre 2010

UE: l'asse franco-tedesco trascina i 27 verso nuovo Patto

Scritto per Il fatto Quotidiano del 30/10/2010

Alla fine, la linea franco-tedesca, tracciata a Deaville da Nicolas Sarkozy e Angela Merkel, prevale: le Istituzioni comunitarie e molti Stati mettono la sordina alle obiezioni e concordano sul via libera a un Fondo ‘salva-Stati’ e a una "modifica limitata" del Trattato di Lisbona. Sarkò esulta. Angela gongola: nonostante indispettisca i partner perché ha sapore di direttorio, l'intesa tra Berlino e Parigi “fa fare passi avanti all’Ue". Storicamente, è vero: l’integrazione europea s’approfondisce solo quando la sintonia tra Francia e Germania è forte.

E l’Italia? Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi non teme la stretta sui debiti pubblici; e, con altri 11 leader, mette la firma in calce a una lettera del premier britannico David Cameron, contrario a una riforma del bilancio dell’Ue. Molti dei temi del Vertice torneranno sul tavolo dei capi di Stato o di governo dei 27 a dicembre.

La strada appena abbozzata per una modifica del Trattato, che è in vigore da appena 11 mesi, è lunga e insidiosa: il precedente esercizio richiese otto anni, molti patemi, referendum bocciati, ratifiche difficili. E se pure si progettano ora solo ritocchi, c’è sempre la possibilità che uno Stato, o anche un’Istituzione, appesantisca il processo con proprie richieste. L'obiettivo è di fare in fretta e di realizzare la riforma del Patto di Stabilità e di crescita, con un giro di vite a requisiti e sanzioni, e il meccanismo anticrisi per sostenere Paesi euro in gravi difficoltà finanziarie (un frutto della crisi della Grecia dell’estate scorsa, che dovrebbe essere operativo dalla metà del 2013).

I traguardi sono ambiziosi e i tempi paiono strettissimi, dovendo rispettare i riti comunitari. I leader intendono discutere a dicembre le modalità di funzionamento del Fondo e si mostrano possibilisti sull’ipotesi di coinvolgimento delle banche, sostenuta da Berlino. Per la riforma del Patto, invece, l’accordo dovrebbe maturare entro l'estate prossima: si tratta di decidere come attuare la stretta sui debiti pubblici (l’Italia sta al 119% del Pil e dovrebbe rientrare sotto il 60%) e quale forza dare al nuovo sistema di sanzioni finanziarie, che molti - a partire dalla Bce e dalla Germania - vogliono più automatiche di quanto finora previsto.

C’è poi il nodo delle sanzioni politiche nei confronti d’un Paese inadempiente (come la sospensione dal diritto di voto nel Consiglio dei Ministri). La Merkel considera che “il tema resta sul tavolo”, ma il presidente dell'Eurogruppo, che riunisce i Paesi dell’euro, Jean-Claude Juncker nota: "Mi pare che la questione sia stata rinviata alle calende greche". Nelle conclusioni del Vertice, il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy s’impegna a vagliare l’ipotesi “in un secondo tempo" (ed essa, comunque, sarà presa in considerazione solo "in caso di minaccia permanente alla stabilità dell'Eurozona nel suo complesso"). Il presidente della Commissione, José Manuel Barroso, è il più netto di tutti: "E' escluso che le modifiche del Trattato di Lisbona possano riguardare la sospensione del diritto di voto".

I 27 hanno definito la posizione europea al G20 di Seul e ai negoziati sul clima. Per Seul, lanciano un appello per evitare che si scateni una guerra delle monete, insistendo “sulla necessità di evitare tutte le forme di protezionismo e le mosse sui tassi di cambio mirate a ottenere vantaggi competitivi nel breve termine".. Sul clima, l’Ue è pronta a tagliare ulteriormente le emissioni di CO2 solo “insieme a tutti gli altri Paesi della comunità internazionale”, a cominciare da Usa e Cina.

Mr B e il bunga-bunga fanno il giro del Mondo della stampa

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 30/10/2010

Mr B fa di nuovo felice la stampa estera, a costo d’intristire un po’ i lettori italiani. Il bunga-bunga, che suona bene in tutte le lingue di questo mondo, fa il giro del pianeta e schizza in alto sui siti d’Europa e d’America. Non che l’immagine del premier e dell’Italia esca esemplare da titoli, articoli, post e video. Ma se Silvio canta “Fede, io vorrei che tu, Lele ed io” facessimo bunga-bunga con Ruby Rubacuori, la musica è questa e la danza è quella. Vatti poi a lamentare per un Sapientino con dentro la mafia.

Il primo a balzare sulla storia era stato, fin da giovedì, il Telegraph, con un titolo sulla ‘modella’ marocchina adolescente: “Berlusconi m’ha pagato cash, dopo che abbiamo fatto sesso”. Titolo e citazioni, ovviamente, datati e che non stanno al passo con la ridda di precisazioni, smentite, ritrattazioni che si sono succedute nelle ultime 48 ore.

Ieri, il bunga-bunga era valanga mediatica mondiale. Ma, sui titoli e sui pezzi, pare quasi esserci una patina opaca: Noemi e Papi, lo sfogo di Veronica, Patrizia e le sue ‘escort’, le storie di Mr B finiscono con l’assomigliarsi tutte: giovani donne, non proprio tutte di intemerata virtù, amici, festini, soldi, baldorie, sesso. Pare quasi che la stampa estera, consumato lo stupore e un po’ a corto di aggettivi, cominci ad averne abbastanza.

Titoli piatti, situazioni ripetitive: “E che capiti una volta a Barack Obama, di fare il bunga-bunga nello Studio Ovale” (in fondo, Bill Clinton c’era pure andato vicino); o ad Angela Merkel, che invece deve accontentarsi del ‘cucù’ impostole a Trieste da Silvio, dopo il ‘popi-popi’ (sulle spalle, per carità) subito da Bush a un G8 in Germania. Giusto giusto, c’è Nicolas Sarkozy che sa mettere un pizzico di piccante sulla politica francese (ma da quando Carlà lo controlla, c’è poco gossip pure all’Eliseo).

Scorriamo titoli e pezzi, spesso ispirati dalle agenzie, che del bunga-bunga non perdono il ritmo: Afp, Reuters, Ap, Bloomberg irrorano di dispacci i media di tutto il mondo: Il Guardian parla di “legami” di Mr B “con una ragazza di 17 anni”. L’Independent scrive che il premier “smentisce le voci su una minorenne”. Libèration trova un accento alla Saint-Exupery (“Berlusconi e la piccola ladra”), ma poi chiosa “Come al cinema” (per un porno a luci rosse). Les Echos la butta in politica (“La sinistra chiede spiegazioni”). Le Figaro, che ha sempre un occhio di riguardo per l’amico italiano del presidente Sarkozy, ci mette un punto interrogativo: “Nuovo scandalo sessuale?”. Senza peli sul web il sito francese Rue 89: “Il bunga-bunga era finora ignoto a gran parte degli italiani… Nel giro del premier, vuol dire sesso di gruppo anale”.

La stampa spagnola è la più virulenta: El Mundo, “Uno scandalo erotico festaiolo torna a infangare Berlusconi”; El Pais, “Una minorenne marocchina coinvolge Berlusconi in un altro torbido episodio sessuale” (e poi la telefonata del premier in Questura, “Liberatela, è la nipote di Mubarak”). Sui siti Usa, notizia e smentita convivono: “Berlusconi liquida la storia della prostituta come spazzatura” (WP e altri e pure il caustico blog Huffington Post).

E poi ancora il Courrier International (“La vita privata di Berlusconi di nuovo in prima pagina”), fino all’Argentina (La Nacion) e persino all’Hindustan Times. Il virus dello scandalo non contagia, però, le stampe libica e russa: Muammar e Vlady, che va in giro con un occhio pesto e tutti si chiedono chi glielo abbia fatto, non tradiscono Silvio.

SPIGOLI: Italia, mosaico di città tra orrori e tesori

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 30/10/2010

Da Napoli a Venezia, da Roma a Milano, l’Italia delle città è protagonista sulla stampa estera: orrori, ma anche tesori; storie vecchie, ma pure scoperte (o riscoperte). Dopo Newsweek, il NYT dedica un servizio in homepage al tormentone dei rifiuti della Campania, che molti altri giornali seguono passo passo (la Bbc, la Cnn, il Times, il Guardian, il Telegraph, il Daily Mail, Le Figaro, Les Echos, Libération, il Nouvel Obs, El Mundo, El Economista), mentre il Los Angeles Times antepone alle montagne d’immondizie le glorie barocche della metropoli partenopea (e s’inventa pure una guida alla pizza ‘verace’). Da Roma, arrivano copiosi echi della protesta sul tappeto rosso al festival del Cinema: Bbc, Independent, Wp e molti altri danno più spazio alla manifestazione che al film d’apertura, peraltro noiosissimo, Last Night. Risalendo verso Nord, la Bbc fa un reportage da Prato raccontando “la nuova moda di un tocco cinese sui vestiti italiani”. Ed El Pais ci racconta una Milano divisa dal ‘problema moschea’. Venezia in 36 ore è il suggerimento questa settimana del NYT, per il week-end che ogni americano sogna tutta la vita (ma almeno due di quelle 36 ore Les Echos suggerisce di dedicarle al Canaletto, pittore fotografo della vita e degli affari.

venerdì 29 ottobre 2010

Corruzione: non c'è del marcio in Danimarca; in Italia sì

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 29/10/2010

Per una volta, non c’è del marcio in Danimarca, con buona pace di Amleto e di Shakespeare, che mette la battuta in obba a Marcello, Atto I, scena V. Anzi, è esattamente il contrario: non c’è posto al mondo dove la corruzione attecchisce di meno che in Danimarca, pari merito con Nuova Zelanda e, oihbò, Singapore, città Stato dove pure la cicca per terra è reato. Lo dice la classifica dell’indice di percezione della corruzione calcolato da Transparency International, l’ente che da 15 anni misura le sensazioni di manager, imprenditori e analisti politici, basandosi soprattutto su notizie dei media e sondaggi indipendenti.

Dietro i tre Paesi sul podio, Finlandia e Svezia e poi il Canada. E l’Italia? Sta a metà classifica, 67.a su 178, con un balzo indietro di quattro posti rispetto al 2009, giusto dietro il Rwanda –possibile?- e davanti alla Georgia –beh, almeno questo!-, quart’ultima fra i 27 dell’Ue –dopo, solo Romania, Bulgaria e Grecia. In coda, ultimissimi, Birmania, Afghanistan e Somalia. Se 10 è il voto massimo, tre quarti dei Paesi ‘misurati’ non vanno sopra il 5.

I criteri e il calcolo dell’indice possono anche essere contestati, ma fare spallucce è difficile. Che l’Italia (3,9) non sia un Paese virtuoso, dal punto di vista della corruzione, ci sorprende poco. L’ultimo anno –nota Transparency International- è stato segnato dal riemergere di episodi sospetti, a tutti i livelli di governo e trasversali a tutti gli schieramenti politici”. E se un metro di giudizio è il clamore che ne fa la stampa, non stupisce neppure che il Rwanda stia davanti all’Italia, dove, almeno, i giornali strillano quando qualcuno è preso con la bustarella in mano.

Fra i 36 Paesi industrializzati che hanno firmato la convenzione anti-corruzione dell’Ocse, che proibisce, in particolare, di ‘foraggiare’ funzionari stranieri, una ventina, fra cui Gran Bretagna, Stati Uniti, Francia, tutti tra il 20.o e il 25.o posto, fanno come i gamberi. La Russia viaggia verso il fondo della classifica la Cina, che pure manda a morte i corrotti, non è messa bene.

Ma che cos’è che rende così virtuosa la Danimarca (9,3), la più vicina a noi dei Paesi in vetta? Uno può metterla sull’etnico-filosofico-religioso: quelli sono scandinavi, per quanto del Sud, gente tetra, che per divertirsi al massimo si ubriaca –tutti e cinque i Paesi Nordici stanno fra i primi 11-; e poi che cosa vuoi aspettarti da un popolo che ha prodotto, come massime glorie culturali, due ‘mattoni’ come il filosofo Soeren Kierkegaard e il regista Carl Theodor Dreyer; e poi, peggio ancora, sono protestanti, luterani, hanno la fissa che il paradiso bisogna guadagnarselo in terra e, magari, poi scopri che non serve a nulla perché c’è la predestinazione.

Tutto (quasi) vero, detto un po’ frettolosamente. Ma non è mica solo questo. In Danimarca, organizzazioni pubbliche e private sottoscrivono iniziative contro la corruzione e tutti prendono molto sul serio la Convenzione contro la corruzione delle Nazioni Unite e quella dell’Ocse. Perché non è che al Mondo manchino leggi contro la corruzione: il fatto è che pochi le fanno rispettare. Invece, la Danimarca ha una forte tradizione di trasparenza negli scambi e negli investimenti e ha norme efficaci di solito ben applicate. Inoltre, le autorità di Copenaghen hanno creato e incoraggiato un sistema giudiziario forte e indipendente, che tutela la priorità e vigila sulla correttezza delle pratiche commerciali e imprenditoriali.

C’è, visitabile su internet, tutto in inglese, un ‘portale degli affari’ contro la corruzione, che certifica le buone pratiche, ad esempio, dell’Agenzia per lo sviluppo Danida, dell’Agenzia per il credito all’export, dell’ente per il commercio, del fondo per l’industrializzazione del Terzo Mondo. La Confindustria danese pubblica un manuale anti-corruzione per i suoi membri, ma chiunque lo può ordinare sul web, se serve una guida per guadagnare posizioni l’anno prossimo.

Mariano A. Davies, un uomo d’affari danese, spiega: “La nostra mentalità è largamente permeata dalla tradizione culturale scandinava, la ‘legge di Jante’: modestia, precisione, senso di uguaglianza e di responsabilità danno la misura del modo di vivere dei danesi, che hanno ben presente quello che debbono, e non debbono, fare. Pochi di noi sono davvero ricchi e pochissimi davvero poveri”. C’è del marcio altrove, ma non in Danimarca.

SPIGOLI: la guerra d'Italia contro Google e Street View

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 29/10/2010

L’inchiesta della Procura di Roma su Google fa rumore sul web, ma anche sulla buona vecchia carta stampata: in Francia (Le Figaro, La Tribune e altri) e in Spagna (El Pais, El Mundo e altri), negli Usa e ovunque nel Mondo, fa notizia che i magistrati italiani vogliano vederci chiaro sull’uso delle informazioni sensibili che le ‘Google Cars’ captano dalle reti wi-fi, girando per le città e scattando foto da pubblicare nel cliccatissimo servizio Street View. I media collocano, alla base delle indagini, “le vive preoccupazioni per la privacy” dei pm romani, per altro messi in allarme proprio dal garante Francesco Pizzetti. Google, rilevano i media internazionali, collabora all’inchiesta e avrebbe, anzi, informato per prima le autorità di avere captato dati sensibili. Il motore di ricerca principe al mondo affida la propria difesa a un duo di avvocati d’eccezione, Giulia Buongiorno e Giuliano Pisapia: “Siamo pronti a collaborare e non abbiamo mai utilizzato o comunicato a terzi i dati raccolti dalle nostre apparecchiature”. Ma al garante non basta: vuole che le ‘Google Cars’ si rendano riconoscibili e che i loro percorsi siano annunciati e pubblicizzati. Google potrebbe pure starci: in fondo, è come adottare una forma di pubblicità arcaica per un gigante dell’informatica, l’auto coi simboli dell’azienda sulle fiancate e, perché no?, un omino al microfono, “Donne -e pure uomini-, attenti alla privacy: è arrivato l’occhio di Internet”.

giovedì 28 ottobre 2010

SPIGOLI: Cheerie Blair vende su eBay il regalo di Mr B

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 28/10/2010

Cielo, come passa il tempo! Il giorno prima sei un ricco e potente, il giorno dopo resti magari ricco ma non conti più nulla. Forse, l’orologio che Silvio Berlusconi aveva regalato a Tony Blair, quando i due erano compagni di merende in Iraq sulle orme del loro amichetto George W. Bush, correva troppo. E così Cherie Blair, la moglie avvocato dell’ex premier britannico, se n’è sbarazzata vendendolo su eBay per 98 sterline, un terzo del suo valore: il Locman Marc Titanium da polso varrebbe, infatti, secondo il Daily Telegraph, che svela la storia, almeno tre volte tanto. Nell’offrirlo al miglior acquirente, Cherie, brava imbonitrice, decantava l’oggetto come “intatto e mai usato, nella sua custodia originale, con tanto di garanzia”. L’orologio sarebbe uno dei nove regalati da Berlusconi ai Blair, che, al momento di lasciare Downing Street, decisero di riscattarli e di tenerseli. L’informazione è ghiotta pure in Spagna –sta su Abc ed El Mundo- e altrove, perché Cheerie non si sbarazza solo dei regali di Mr B. Secondo il Telegraph, i Blair, negli anni d’oro, avevano fatto su un gruzzolo da 20 milioni di sterline. Ma Cheerie “ha una passione per contare i pennies”: e così, mentre il marito guadagna fino a 6.000 sterline al minuto come conferenziere, lei si disfa su eBay, di cui è una fanatica frequentatrice, dei regali illustri inutili o che non le piacciono.

mercoledì 27 ottobre 2010

Iraq: Tareq Aziz condannato a morte, inutile vendetta

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 27/10/2010

Dopo Saddam Hussein, Alì il chimico e pochi altri boiardi del regime iracheno, la condanna a morte s’abbatte su Tareq Aziz, 74 anni, ex vice-premier ed ex ministro degli esteri, ritenuto il volto umano del sistema di potere baathista, il cristiano interlocutore del Vaticano e delle diplomazie occidentali. Il tribunale speciale di Baghdad lo giudica colpevole delle persecuzioni subite dai partiti islamici. Lui, prostrato, dimesso, ascolta il verdetto appoggiato alla sbarra. E, nel Mondo, si levano appelli alla clemenza.

Tareq Aziz aveva già subito condanne: sette anni per la deportazione di popolazioni curde dal Nord dell’Iraq, dove c’è petrolio; e 15 anni per l’uccisione di 42 commercianti e imprenditori a Baghdad nel 1992. L’ex vice-premier era stato assolto, invece, dall’accusa di complicità nell’uccisione e nella deportazione di comunità sciite nel 1999.

I legali di Tareq, in condizioni di salute precarie, faranno appello all’Alta Corte, adducendo anche considerazioni umanitarie; e chiederanno l’intervento del Vaticano, sollecitato da più parti, perché fermi l’esecuzione.

Consumato politico e abile diplomatico, Tareq Aziz fu l'unico gerarca di Saddam Hussein accettato come interlocutore internazionale. Nato nel 1936 a Mosul col nome cristiano di Michael Yuhanna, da famiglia cattolica di rito caldeo, laureato in inglese, giornalista, ministro dell'Informazione, fu a capo degli Esteri per otto anni, anche durante la Guerra del Golfo del 1991. Divenuto vice-premier, il 14 febbraio del 2003, nell’imminenza dell’invasione, fu ricevuto da Papa Giovanni Paolo II, che spedì poi a Washington in missione di pace il cardinale Laghi. Il 9 aprile 2003, il giorno della presa di Baghdad, la sua villa fu saccheggiata. Il 25 aprile, si arrese nelle mani degli americani, che poi lo consegnarono agli iracheni.

Mario Lana, presidente dell’Unione forense per la tutela dei diritti dell’uomo e suo avvocato, esprime “sorpresa” e dice: “Vogliono tappargli la bocca”: in Iraq, ma anche in America, ci sarebbe chi ha paura che parli. Secondo l’accusa, Tareq avrebbe partecipato alle angherie contro il Dawa, il partito dell’attuale premier Nouri al Maliki, che, in questi giorni, è sotto attacco per le rivelazioni di Wikileaks: "La condanna a morte di mio padre -dice il figlio Ziad ad al-Arabiya’- è una vendetta per quanto avvenuto in passato in Iraq”. Secondo Ziad, il padre "non c’entra nulla con le repressioni religiose degli Anni 80; anzi, il Dawa lo ferì in un attentato nel 1980.

L’Ue considera “inaccettabile” la condanna a morte e chiede che Baghdad fermi il boia. Da Pechino dove sono in visita, Napolitano e Frattini associano l’Italia all’iniziativa europea.

E Marco Pannella proclama uno sciopero della fame e della sete “totale e immediato”: ''Vogliono strozzarlo per impedirgli di parlare –dice-, come fecero con Saddam. Chiedo a Silvio Berlusconi, che quasi ossessivamente afferma di avere per amici, e non solo complici, i potenti della Terra, specie Bush, Blair, Putin e Gheddafi, di dimostrarcelo in questa occasione. Ne ha il dovere essendo stato fra i principali responsabili della guerra in Iraq, scoppiata per impedire l’esilio di Saddam e la pace, in quel caso ingannando il Parlamento e il popolo italiano".

SPIGOLI: giù le mani dalla minigonna, sindaco avvertito

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 27/10/2010

Gli inglesi, che le hanno inventate, le difendono ad oltranza. Ma anche gli americani non scherzano: dietro il divieto di minigonna, anzi di abiti eccessivamente succinti, a Castellammare di Stabia, loro forse intravvedono un attacco alla libertà di espressione. La scabrosa vicenda aveva già fatto capolino nei giorni scorsi sulla stampa internazionale, un articolo qui, un altro là -lunedì ad esempio stava sulla Bbc e sul Mundo-, ma ieri ha proprio sfondato. Il Guardian la mette in homepage, quasi un grido d’allarme, “Minigonne vietate”; il Times lo imita, ma è possibilista, “Sindaco italiano tenta di vietare minigonne” –e quando mai qualcuno riesce a vietare davvero qualcosa in Italia?-. E ancora il tema è sull’Independent e sul Daily Mail (“Città italiana vieta minigonne come parte nuove regole contro comportamenti anti-sociali”). Un dispaccio dell’Ap, poi, invade i siti Usa, dal Wp al Chicago Tribune: “Quanto può essere corta una minigonna? Città italiana vuole imporre un codice vestimentario per migliorare i comportamenti civili”. Tentativi cui gli Stati Uniti non sono estranei: ogni anno, c’è un liceo d’America che s’inventa regole contro i jeans stracciati, le canotte bucate e l’eccessivamente succinto. Luigi Bobbio, primo cittadino stabiese, non s’è dunque inventato nulla.

martedì 26 ottobre 2010

Iraq: menzogne anche italiane nelle 'verità di guerra'

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 26/10/2010

Quante menzogne, nelle “verità di guerra” dall’Iraq raccontateci per anni e solo ora formalmente sbugiardate dai documenti di Wikileaks -400 mila, l’ultima infornata-. Menzogne americane e britanniche, menzogne irachene ma anche italiane e di altri Paesi. Menzogne magari grosse, per cui si potrebbe accampare la ‘ragion di Stato’, ma anche bugie piccole, che nulla tolgono sul momento al dolore di chi ha perso un figlio o il marito o il padre e che anzi aggiungono adesso al dolore l’odore aspro dell’inganno e della beffa.

Sono talmente tanti, i documenti di Wikileaks, che spulciarli tutti è impossibile: manca un quadro d’insieme. Da quelli finora esaminati, escono alcune storie scomode per l’Italia. Eppure, il ministro della difesa Ignazio LaRussa già dice: “Da un primo esame, non mi pare nulla di trascendentale”, preoccupandosi di sottolineare a ogni frase che tutto è avvenuto “quando lui non era ministro”. E aggiunge: “Nulla che possa fare cambiare il giudizio estremamente positivo sull’operato, anche negli episodi in questione, delle nostre forze armate”.

Ma gli episodi in questione sono inquietanti. Due, in particolare. Il primo: nella notte tra il 5 e 6 agosto 2004, la notte della ‘battaglia dei Lagunari’ sui ponti di Nassiriya, un mezzo di soccorso iracheno venne colpito per non essersi fermato a un posto di blocco italiano. Dopo i tiri, ci furono due esplosioni, una grossa, una minore. Tutti morti a bordo, una donna incinta, il marito, la madre, una sorella.. Si disse allora che il veicolo, privo di insegne da ambulanza, fosse carico di esplosivo e che ne scesero uomini armati sparando contro i soldati italiani, che risposero al fuoco. I rapporti dell’epoca avrebbero, invece, ‘fuso’ due episodi diversi, avvenuti a più di un’ora di distanza l’uno dall’altro: quell’ambulanza non aveva a bordo né insorti né esplosivo.

Il secondo: Salvatore Marracino, parà della Folgore, morì nel corso di un’esercitazione di tiro il 15 marzo 2005. La verità ufficiale è che Marracino, 28 anni, da San Severo (Foggia), si sparò da solo “per errore” puntandosi contro l’arma inceppata. La verità che esce da un rapporto americano è che il militare “venne colpito accidentalmente” da un commilitone. La versione da recluta al car suscitò perplessità fin dal primo momento: il parà faceva parte di un’unità di elite, era in armi da otto anni, era già stato in Kosovo e in Afghanistan: possibile tanta ingenuità? La notizia fu data in Parlamento dall’allora vice-premier Follini, proprio mentre si stava per votare il rifinanziamento della missione in Iraq: subito si parlo di suicidio ‘accidentale’.

Ai funerali, la madre chiese ai compagni del figlio di aiutarla a “fare chiarezza” sulle circostanze della tragedia. Ma ora che Wikileaks consente di saperne di più, la famiglia chiude occhi e orecchie: quel che è stato è stato, va bene la verità di Stato. E, nonostante le numerose incongruenze, anche sull’ora del decesso, della versione ufficiale, la procura militare di Roma mantiene la sua tesi: Marracino fu vittima d’un incidente dovuto “alla sua imperizia” e non vi sono responsabilità colpose di altri militari. Per i magistrati con le stellette, non c’è motivo di riaprire le inchieste, né per il parà di San Severo né per la strage dell’ambulanza.

I documenti di Wikileaks raccontano molti altri fatti. Confermano che gli italiani a Nassiriya subirono reiterate minacce e che almeno altri tre attacchi vennero pianificati contro la loro base, dopo la strage del novembre 2003, 19 vittime italiane e almeno nove irachene. E ricordano l’intervento di una pattuglia italiana, con un drone a supporto, per liberare, il 9 marzo 2005, poliziotti iracheni asserragliati nella sede di una Ong sotto l’attacco di insorti.

L’onda shock delle conferme e delle rivelazioni di orrori disumani sta provocando tensioni politiche in Gran Bretagna. Un militare della B Company, primo battaglione del Reggimento del Re, uccise con una raffica una bambina di 8 anni a Bassora nell’agosto del 2003: la piccola “vestita di giallo” chiedeva una caramella. E i britannici si fecero pure sfuggire il capo di al Qaida in Iraq Abu Mussab al Zarqawi, perché l’elicottero che lo braccava rimase senza carburante. Il terrorista giordano fu poi ucciso dagli americani 15 mesi più tardi.

Il vice-premier britannico Nick Clegg chiede agli Stati Uniti di rispondere del fatto che truppe Usa avrebbero consegnato prigionieri a squadre della tortura irachene: “un episodio estremamente grave”. Ma il premier David Cameron evita di criticare gli americani, pur affermando che “i maltrattamenti dei detenuti non si giustificano”. La linea anti-americana di Wikileaks crea qualche incrinatura dentro il team di Julian Assange: una dozzina di collaboratori lo avrebbe abbandonato perché lui punta a mettere Washington sotto accusa e trascura i dati che riguardano regimi non democratici.

SPIGOLI: i boom e gli splash di Sergio il Canadese

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 26/10/2010

Sarà che cade di domenica, quando l’economia dei giornali sonnecchia, ma sta di fatto che la battuta di Sergio il Canadese sulla Fiat con la palla al piede dell’Italia fa boom sulla stampa italiana e splash su quella internazionale. Le agenzie la colgono, ma le riprese sono fiacchette, da Le Figaro (La Fiat se la caverebbe meglio senza l’Italia, targato Reuters) alla stampa Usa (Affari italiani Fiat non redditizi, targato Bloomberg). Del resto, fra i corrispondenti dall’Italia, l’ad Sergio Marchionne ha molti fans, che gli riconoscono capacità di manager internazionale. Invece che sulle gaffes di ‘Mr Maglioncino’, El Pais punta sulle magagne dell’economia italiana e titola: “Il decennio perso d’Italia e Portogallo”, i Paesi Ue con minore crescita (“mal comune mezzo gaudio?”). E l’FT, partendo da un dato di cronaca (il taglio dei dividendi da parte delle banche italiane), afferma che esse sono “alle corde dopo l’accordo in seno alla Bri detto Basilea III”. Un’analisi negativa cui, sullo stesso giornale, si contrappone quella di Mediobanca: Basilea III non pone problemi, ma, se dovesse fare acquisizioni, l’istituto cercherebbe di rafforzare la base capitale, se fosse percepita meno solida”. Come dire che l’apparenza conta. Anche in finanza. Non solo in politica, o sul set, che poi in Italia è la stessa cosa.

domenica 24 ottobre 2010

Iraq: le verità che tutti sapevano sulle vittime civili

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 24/10/2010

David Assange ci riesce di nuovo. Il fondatore di Wikileaks e il suo team documentano quello che tutti già sapevano, ma che molti fingevano d’ignorare: che in guerra muoiono pure civili, non solo militari, e che di efferatezze, o semplicemente di errori, ne fanno pure i ‘buoni’, non solo i ‘cattivi’. E, così, Assange offre di nuovo all’ipocrisia del mondo un’occasione per scaricarsi la coscienza: è stato un bagno di sangue. ”Davvero? Ma è tremendo. Chi l’avrebbe mai detto”.

Che le vittime civili in Iraq fossero un sacco era stato sempre chiaro: stime americane autorevoli, contestatissime dalle fonti ufficiali, avevano parlato, a un certo punto del conflitto, di oltre mezzo milione di iracheni morti (certo non tutti militari, chè la resistenza di quelli durò neppure 20 giorni, né tutti guerriglieri, che se no l’insurrezione contro l’invasione sarebbe stata presto stroncata).

La documentazione ora fornita da Wikileaks è quantitativamente impressionante: circa 400mila files, contro i 77mila afgani dell’estate scorsa e i precedenti scoop specifici del team Assange. Però, il computo delle vittime del conflitto è relativamente contenuto: dal 2003 al 2009, i morti sarebbero stati 109mila, di cui 66mila civili. Quasi un quarto dei civili, circa 15mila, sarebbero rimasti vittime di episodi finora sconosciuti.

Accanto alle storie già raccontate, saltano fuori verità che si sospettavano, ma che non si sapevano. Ad esempio, le forze armate americane, che lo hanno sempre negato, tenevano un registro, tuttora segreto, delle vittime civili, aggiornato giorno per giorno, dice John Sloboda di Iraq Blody Count, che se n’è fatto una contabilità non ufficiale. E ancora: i soldati americani, ai posti di blocco, sparavano senza farsi troppi problemi -681 le vittime civili accertate-, come del resto avevano già dimostrato vicende ampiamente documentate in cronaca.

Un migliaio di documenti riguardano opeazioni di routine degli italiani al fronte, 22mila Nassiriya. Sul caso Calipari, il funzionario dell’intelligence ammazzato da un soldato americano mentre andava all’aeroporto di Baghdad con la giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena appena liberata, c’è del nuovo: il capo di una cellula di al Qaeda, preso nel 2005, racconta, con qualche discrepanza rispetto ai fatti accertati, di avere informato il ministero dell’interno iracheno, dopo avere incassato mezzo milione di dollari di riscatto, che l’auto degli italiani era imbottita di esplosivo.

Di gran parte delle uccisioni di civili, sarebbero responsabili le truppe irachene. I soldati americani spesso sapevano o tacevano; e, quando parlavano, erano i loro superiori a insabbiare denunce e inchieste: torture letali su detenuti, ben dopo lo scandalo di Abu Ghraib; esecuzioni sommarie; uomini mandati su piste minate, con la scusa di ripulirle, a verificare dove fossero gli ordigni. E poi c’è il CrazyHorse 18, l’elicottero Apache il cui equipaggio ammazzò un giornalista della Reuters ‘armato’ di telecamera –lo si sapeva-, ma freddò pure, sentito un avvocato militare, due iracheni che s’erano arresi.

Le fonti ufficiali statunitensi, britanniche e irachene minimizzano –“I documenti non rivelano nulla di nuovo”- e accusano Wikileaks di mettere in pericolo la vita di 300 informatori iracheni. Il Paese, 109mila morti dopo, resta nel caos e ha battuto, questo mese, il record mondiale di sterili negoziati per la formazione del governo: oltre 230 giorni dopo le elezioni del 7 marzo, l’intesa resta lontana fra Iyyad Allawi, un ex premier, il cui partito è stato quello più votato, e Nuri al-Maliki, il premier uscente, la cui coalizione sciita sfiora la maggioranza in Parlamento. Proprio al-Maliki, considera l’operazione di Wikileaks un siluro contro di lui.

SPIGOLI: Valentina and Co. squatters italiani a Londra

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 24/10/2010

Italiani brava gente. Ma anche un po’ bricconi. Almeno, così la pensano il Daily Mail e centinaia dei suoi lettori, che hanno depositato sul web valanghe di commenti in calce a una storia a cavallo tra la goliardata e l’esproprio proletario d’altri tempi. Connan Gupta, 40 anni, albergatore londinese d’origine indiana, decide di andare a vivere per una settimana dalla sorella, mentre gli operai risistemano la sua casa, una proprietà vittoriana che vale 700 mila sterline, quasi un milione di euro, a Camberwell, a Sud-Est di Londra. Mal gliene incoglie: quando torna, trova la casa ‘ridecorata’ sì, ma anche abitata da 15 studenti italiani, ovviamente senza lavoro e senza reddito, che vi si sono installati con tre cani e due gatti. Una serie di foto li mostrano più divertiti che strafottenti, ben intenzionati a difendere il maltolto (ad altri). Come squatters, hanno fatto le cose per bene: dicono che la porta era aperta, quando sono entrati, e hanno subito cambiato le serrature. La linea di difesa è tenue, ma precisa: “Siamo ragazzi, studenti, senza una lira, non ci possiamo pagare un alloggio qui”. Certo, uno potrebbe pure chiedersi perché ci sono andati a Londra (e i lettori del Daily Mail, infatti, lo fanno), ma Gupta si chiede soprattutto come fare adesso a cacciarli. La polizia non ha potere contro gli squatters senza un’ingiunzione della magistratura, che non arriverà prima della fine del mese. Valentina e i suoi compagni faranno Halloween nella casa vittoriana di Mr Gupta.

sabato 23 ottobre 2010

SPIGOLI: Il prossimo Papa? Italiano e un po' più povero

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 23/10/2010

L’Italia fa razzia in Vaticano: si riprende la Curia, perchè, con la raffica di nomine di cardinali, “I prelate italiano tornano in forze”, scrive The Economist; e si tiene sotto sequestro i miliardi dello Ior, perchè la magistratura respinge la richiesta della Chiesa di ‘scongelare’ i fondi forse impiegati in operazioni illecite (El Pais, FT e altri, specie sulla stampa americana, che evidentemente, dal WSJ alla Cnn, ancora ricorda Mons. Marcinkus e i suoi traffici). Se desse retta all’Unione europea, l’Italia recupererebbe pure dal Vaticano uno o due miliardi di euro di sgravi fiscali –Les Echos e un po’ tutti negli ultimi giorni-. Ma, su questo punto, Mr B e il suo governo resistono: non vogliono dare un dispiacere al Santo Padre e, soprattutto, temono di perdere i voti dei cattolici. L’infornata di 24 nuovi cardinali incuriosisce e interessa la stampa estera. Ciascuno si coccola i suoi, ma il Guardian nota che ben 10 sono italiani e commenta: «Papa Benedetto XVI aumenta le possibilità che il suo successore sia italiano». L’Ap, che è su vari siti Usa, e la Bbc sono allineate: «Il Papa dà slancio alle speranze italiane di riavere il papato». Dei 24 nuovi porporati, 20 sarebbero elettori a un conclave adesso –nota NouvelObs-; e se «anche gli africani avanzano », come dice Les Echos, «gli europei avrebbero oggi la maggioranza assoluta» nel Collegio elettorale, calcola El Mundo.

venerdì 22 ottobre 2010

Pedofilia: la conta senza fine dei preti col vizietto

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 22/10/2010

Non basta uno spot contro la pedofilia, anche se collocato sulla piazza del Duomo
di Milano, proprio davanti alla Cattedrale, per ‘esorcizzare’ il demone delle violenze sui minori che s’è annidato in seno alla Chiesa cattolica. L’inaugurazione dello spot, voluto da un’associazione che tutela i diritti dei bambini, coincide con l’emergere di notizie inquietanti in Francia e in Belgio, due Paesi le cui autorità ecclesiastiche hanno scelto, dopo momenti d’esitazione, la via della trasparenza.

E, fuori dalla Chiesa, pure le cronache italiane non risparmiano orrori sui minori: cinque indagati in varie città –l’inchiesta parte da Catania-, una madre sotto processo ad Ascoli Piceno per avere tollerato violenze sulle tre figliolette.

In Francia, Paese dove gli scandali sono stati relativamente modesti, se confrontati con quelli negli Stati Uniti, in Irlanda, nel Belgio stesso, la Conferenza episcopale rivela che nove preti sono attualmente in carcere per pedofilia, che 51 sono sotto processo e che 45 hanno già scontato la loro pena: 105 casi, su una popolazione di sacerdoti che, nel 2008 sfiorava i 20mila (19.640 per la precisione). I vescovi francesi non forniscono dettagli sulla durata delle pene che i preti hanno scontato o stanno scontando.

In Belgio, s’è appreso che la procura federale ha ricevuto solo nell’ultimo mese 103 nuove denunce di vittime di abusi sessuali da parte di preti pedofili : esse vanno ad aggiungersi alle quasi cinquecento denunce (in 13 casi, le vittime si sono suicidate) raccolte dalla commissione d’inchiesta indipendente voluta dalla stessa Chiesa e poi chiusa dopo il sequestro dei dossier da parte della procura. I casi ora dichiarati risalgono, spesso, a molti anni or sono –solo la metà dei ‘colpevoli’ individuati sono ancora vivi-, ma solo ora le vittime trovano la volontà di rivelarli, mosse dalla ricerca di giustizia, ma anche dal desiderio di essere riconosciute come tali e di avere quindi diritto a risarcimenti.

E dire che, questa settimana, la Chiesa belga aveva definitivamente accantonato l’idea d’istituire una nuova commissione d’inchiesta e aveva pure rinunciato al progetto di creare un centro per l’assistenza alle vittime dei preti pedofili, sostenendo che un’iniziativa del genere spetta alle autorità civili.

A riferire sul lavoro della procura è stata la portavoce Lieve Pellens, comparsa davanti alla commissione giustizia della Camera. La maggioranza delle persone che hanno ora scelto di ricorrere alla magistratura sono uomini (76%): il più giovane ha 23 anni, il più anziano 82, l'età media è di 49. Quasi la metà hanno raccontato di avere subito violenze frequentando la Chiesa, oltre un quarto in scuole di preti.

SPIGOLI: una vacanza a Napoli, tra rifiuti e vulcani

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 22/10/2010

Il sacco di Napoli, anzi i sacchi della spazzatura e le montagne d’immondizia della metropoli ‘anema e core’, campeggiano di nuovo sulle pagine della stampa estera: dimenticati i giorni puliti di Mr. B e di San Guido, Les Echos racconta «il ritorno delle pattumiere non svuotate», mentre Le Monde e Le Figaro s’attengono al titolo dell’Afp, «La crisi dei rifiuti provoca scontri». E il Guardian inserisce la spazzatura di Napoli nel test settimanale che misura come i suoi lettori hanno seguito le cronache internazionali: «Quale città è al centro di una crisi dell’immondizia?», chiede il giornale, proponendo la scelta fra Roma, Napoli e Milano. Troppo difficile? Per dare un aiutino, il Guardian weekly traduce un articolo di Le Monde su Napoli e l' ‘incubo rifiuti’ a Napoli. E come se un’emergenza non bastasse, ecco Newsweek tirare fuori, in evidenza, sulla homepage, un drammatico interrogativo: Gli scienziati devono sondare l'enorme vulcano sotto la metropoli campana?, su cui già incombe il Vesuvio –e basterebbe-. Il settimanale scrive: Temendo una catastrofe globale, il sindaco potrebbe fermare l’esplorazione. Ma alcuni scienziati sostengono che l'inazione è più rischiosa». Eppure, c’è chi, tra spazzatura accumulata e catastrofi paventate, non rinuncia all’ottimismo : il Telegraph, nella sezione viaggi, consiglia Napoli per una vacanza perfetta. Un infortunio redazionale ?, o un capolavoro della Brambilla, ministro del turismo ?

Giampiero Gramaglia

giovedì 21 ottobre 2010

Afghanistan: impantanati li' tra guerra e negoziati

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 21/10/2010

Afghanistan: oltre nove anni dopo, e quasi 2.000 caduti ‘nostri’ dopo (34 gli italiani) –i loro, non li ha mai contati nessuno-, ci ricordiamo ancora perché ci siamo andati?, e, soprattutto, sappiamo perché ci restiamo? Ogni giorno, la confusione aumenta: il New York Times scrive di «trattative segrete ad alto livello» tra governo di Kabul e talebani, con il coinvolgimento della Nato; il ministro Frattini nega il coinvolgimento della Nato, il presidente Obama convoca una riunione strategica alla Casa Bianca con un sacco di facce nuove nel suo staff.

Andiamo con ordine. Ci siamo andati per combattere il terrorismo. E, adesso, ci restiamo per creare le condizioni che ci consentano di venirne via al più presto: iniziare il disimpegno nel 2011, portare via tutte le truppe combattenti entro il 2014, prima è meglio è.

L'attacco parti' il 7 ottobre 2001, meno di un mese dopo gli attacchi terroristici dell’11 Settembre (kamikaze integralisti fecero 3.000 vittime tra New York e Washington). Dallo Studio Ovale, in una domenica d’autunno che la capitale federale era rossa e frusciante di foglie morte, Bush annuncio’ che la guerra al terrorismo era cominciata. Negli stadi di football, la gente d’America in piedi scandi’ ‘Iu-es-ei, Iu-es-ei’. L’Onu non mise in dubbio la legittimità dell’iniziativa; la popolarità del presidente supero’ il 90% : la più alta di tutti i tempi.

In Afghanistan, c'erano i santuari, i campi d'addestramento e le basi di al Qaida, la rete terroristica di Osama bin Laden, che aveva rivendicato gli attacchi dell’11 Settembre. E in Afghanistan c'erano al potere i talebani, complici di al Qaida e lontanissimi dal rispetto di molti valori alla base della nostra civiltà (democrazia, tolleranza, rispetto delle donne, solo per citarne alcuni).

Inizialmente, il conflitto fu rapido e trionfale: rovesciato il regime, distrutti i campi addestramento.Vittoria completa? C’erano due nei: i fattori O2. Non è chimica: nè uccisi, nè catturati, il mullah Omar, il capo dei talebani, e Osama, il capo di al Qaida, crearono, intorno a sè, un alone da primule rosse dell’internazionale integralista.

A quel punto, si doveva badare a riorganizzare e ricostruire uno Stato devastato
da vent’anni di sanguinosi conflitti. Bush punto’ su Hamid Karzai, figura carismatica, ma non indenne al cancro della corruzione, e trascuro’ l’Afghanistan, preso com’era dall’invasione dell’Iraq. E il conflitto afghano, che tra il 2003 e il 2005 pareva chiuso, riprese vigore: la cenere dell’insurrezione covava sotto la neve dei durissimi inverni.

L’Italia ci arrivo’ nel 2004, quando il peggio pareva passato. I militari italiani s’installarono in una zona allora tranquilla, con regole d’ingaggio da missione di pace più che di guerra. Ma, dal 2005, le cose, invece di migliorare, vanno peggiorando. Non è stato un caso: dietro, ci sono scelte (sbagliate) precise. Se la ricostruzione, necessaria come la sicurezza alla democrazia, è la priorità, la comunità internazionale non puo’ impegnarsi a spendere, in 12 anni, meno di quanto gli Stati Uniti spendono in un anno per fare la guerra. Risultato: il livello di vita non sale abbastanza in fretta, fuori da Kabul, e le dinamiche dell’integralismo, della povertà e dell’insurrezione contro lo straniero si sommano e si cementano.

Ora, bisogna restare per favorire la riconciliazione e dare allo Stato, com’é avvenuto in Iraq, la capacità di garantire ai cittadini un livello di sicurezza accettabile. Di qui, l’accento sull’addestramento delle forze afghane, cui l’Italia dà un grosso contributo. La Nato facilita il dialogo fra Karzai e i talebani, che, pero’, negano la trattativa.

Siamo un po’ al gioco delle parti e un po’ alla commedia dell’assurdo. Pero’ -Il Fatto l’ha già scritto- è una tragedia. I capi talebani traversano l’Afghanistan in sicurezza, ‘protetti’ dall’Isaf, mentre i convogli dell’Isaf saltano sulle bombe dei talebani. Pare un 25 Luglio. Sperando che l’8 Settembre afghano sia meno caotico del nostro.

L’Occidente ha fretta di arrivare al punto di potere venire via senza dare l’impressione di scappare, come fecero i russi. Negli Usa e altrove, l’opinione pubblica non è mai stata meno favorevole all’operazione militare, che non è mai stata cosi’ cruenta (600 i caduti, solo quest’anno).

Ma le scadenze sono scritte sulla neve del terribile inverno afghano; e annunciarle rafforza la resistenza. La democrazia è lontana -1,3 milioni i voti non validi nelle elezioni di settembre. La pace è più vicina, dice Karzai. Più che vincere la guerra, ci sono ormai da chiudere i negoziati. Pero’, al tavolo della trattativa mancano i fattori O2: quelli, Omar e Osama, comprarseli dev’essere difficile come trovarli. O no?

mercoledì 20 ottobre 2010

SPIGOLI: Sarko, Angela, Vladi e lo sberleffo all'Italia

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 20/10/2010

«Berlusconi, snobbato in Europa, ha amici a Minsk e Tripoli». E’ quasi uno sberleffo il titolo della Bloomberg, grande agenzia economica mondiale, che finisce fin sul sito del San Francisco Chronicle. Il fatto è, nota l’agenzia, che Mr B « non è stato invitato da Sarkozy ai colloqui sulla sicurezza con Germania e Russia. Eppure, l’Italia è il secondo partner della Russia per l'energia, dopo la Germania”. E, tanto per gradire, li’ a Deauville Sarkozy e la Merkel hanno pure trovato il modo di dettare all’Ue l’intesa sull’inasprimento del Patto di Stabilità. Come mai Sarko’, che sono quasi fratelli, Angela, che lui le fa cucù, e Vladi, che sono più che fratelli, hanno fatto questo, a MrB? Esperti sentiti dalla Bloomberg dicono che l’Italia non ha peso internazionale. E l’agenzia aggiunge che l’Italia è considerata da Eurocredit a rischio default peggio dell’Indonesia: «Assicurare contro default il debito italiano costa più che assicurare quello delle Filippine». Mentre Berlusconi sogna Deauville, che per lui resta un posto da film, la stampa internazionale analizza l’impatto sull’Ue dell’intesa franco-tedesca che –rileva FT- «apre la via al rinegoziato dei Trattati». El Pais e NouvelObs osservano che l’Ue indurisce le sanzioni a chi ‘sfora’ il tetto del deficit, ma rinuncia agli automatismi perchè Berlino cede alle pressioni di Parigi. Chi ci crede di più sono gli americani: "Grande passo avanti per la governance", scrive l’Ap.

martedì 19 ottobre 2010

SPIGOLI: derby degli scandali, Mr B batte Dolce e Gabbana

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 19/10/2010

E poi dicono che la stampa estera non fa altro che parlare male di Mr B. Ecco qui, Daily Mail ed Expansion che parlano male di due ‘mostri sacri’ della moda italiana: Dolce e Gabbana indagati per una presunta evasione fiscale da un miliardo di euro o poco meno. Per un fine settimana, il Cavaliere potrebbe starsene tranquillo, al riparo degli scandali altrui. Ma è lui che non s’adatta: quasi che fosse geloso del ‘successo’ dei due stilisti, ecco che nel giro di 48 ore ti sforna prima la storia della convocazione, sua e del figlio Piersilvio, di fronte ai magistrati per una storia di frode fiscale che sarà pure vecchia, ma è sempre aperta (El Pais, Les Echos e altri) e poi prova a censurare il reportage di Report sulle sue proprietà ad Antigua, attirando ancora l’attenzione de El Pais, che non gliene passa una. Il Guardian, invece, per la serie ‘gallina vecchia fa buon brodo’, ripropone lo scontro tra Mr B e Santoro. Ma non bisogna mica credere che all’estero si interessino di noi solo per scandali e scandaletti. FT analizza la protesta della Fiom (e pure lui ci mette in mezzo Berlusconi “sotto un tiro incrociato”). L’IHT, invece, analizza le riforme delle pensioni in Italia e in Francia, sostenendo che, malgrado i tagli, i sistemi previdenziali restano cosi’ costosi “che finiranno con il pesare sui giovani”.

domenica 17 ottobre 2010

SPIGOLI: l'Italia dei Vecchi dietro la crisi della scuola

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 17/10/2010

Speriamo che esageri, il ministro Tremonti, quando impressiona WSJ e Les Echos dicendo che “la crisi economica minaccia la democrazia in Europa” e nell’Occidente. Di sicuro, però, minaccia la scuola in Italia: di ogni ordine grado, dalle materne all’Università. Le proteste di famiglie, precari e studenti e le indecisioni del governo, che prima accelera la riforma degli Atenei, poi frena, colpiscono la stampa persino oltre Atlantico (WSJ, SFC, Bloomberg) , mentre il Telegraph dà spazio a una sentenza della Corte di Giustizia europea che riconosce il diritto all’indennizzo a docenti britannici discriminati in Italia. Dietro la crisi della scuola, ecco tornare il profilo dell’Italia “gerontocrazia, Paese per vecchi”: Time racconta, con un titolo alla Rascel (Arrivederci, Italia!), che l’Italia è vittima di una fuga di cervelli senza pari in Europa e nel passato. I giovani, spesso quelli più in gamba e più intraprendenti, se ne vanno; e molti di quelli che restano aspettano che venga il loro turno (di essere vecchi) facendo i ‘bamboccioni’ a casa di mamma e papà. L’Italia che invecchia è tema spesso trattato dalla stampa estera, che cerca spiegazioni nella società, nei costumi, nella demografia. C’entrano pure le scelte della politica: per ridurre il deficit, si punta sui tagli, invece che sul miglioramento dell’efficienza della spesa. Un esempio, la riforma dell’Università targata Gelmini: una spinta in più ai giovani, ad andarsene.

sabato 16 ottobre 2010

Afghanistan: talebani sotto scorta Isaf, baratti di pace

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 16/10/2010

Mentre la mattanza dei soldati dell’Isaf continua –una dozzina i militari stranieri caduti in Afghanistan nelle ultime 48 ore, quasi 50 nelle ultime due settimane-, la Nato è pronta a facilitare il dialogo fra il governo del presidente Hamid Karzai e i talebani. Talmente pronta che il generale Usa David Petraeus, comandante dell’Isaf, rivela che le forze internazionali in Afghanistan «hanno facilitato il transito di un importante leader talebano» che doveva recarsi a Kabul per avviare una trattativa.

Siamo un po’ alla commedia dell’assurdo. Pero’ è una tragedia. I capi talebani traversano l’Afghanistan in tutta sicurezza, ‘protetti’ dall’Isaf, mentre i convogli dell’Isaf saltano sulle bombe dei talebani –sabato scorso, ci sono rimasti quattro alpini-. Petraeus non ammette la contraddizione, perchè –spiega- l’atteggiamento delle forze internazionali è consono al sostegno degli Stati Uniti e dell’Alleanza atlantica agli sforzi di riconciliazione condotti dal governo Karzai.

Sarà. Ma tutto assomiglia al proclama badogliano del 25 Luglio: «La guerra continua al fianco dell’alleato tedesco». Mentre si lasciano i soldati morire al fronte per frenare l’avanzata degli anglo-americani sul suolo italiano, si negozia la resa con gli alleati. Sperando che l’8 Settembre dell’Afghanistan sia meno caotico di quello nostrano e casereccio del ’43.

E’ improbabile che il ministro della difesa Ignazio La Russa imposti su questi toni il suo colloquio, oggi a Milano, con il generale Petraeus. La Russa gli dirà certo che l’Italia non fugge dall’Afghanistan e non progetta una propria exit strategy; e che i suoi militari, che saranno quasi 4.000 entro fine anno, si conformeranno alla "strategia di transizione" concordata. Il che vuol dire che la riduzione delle forze inizierà, se tutto va bene –e, per il momento, le cose non vanno bene- nel luglio del 2001e dovrebbe concludersi nel 2014.

Intanto l’Italia è pronta a inviare in Afghanistan 100 nuovi istruttori –un numero che potrebbe anche aumentare- e ad armare i propri aerei, per rendere più efficace la scorta ai convogli, dopo l’aghguato talebano costato la vita ai quattro alpini. Su queste decisioni, la parola finale spetta al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che potrebbe anche decidere di inviare più istuttori (i costi, secondo la Difesa, sarebbero limitati).

Gli afghani, cui la storia delle bombe sugli aerei non va giù, per via dei rischi di vittime civili, che i bombardamenti aerei comportano, se ne aspettano 500. La Russa, imbarazzato dalla disinvoltutra con cui le autorità di Kabul ‘danno i numeri’, spiega che «ce li chiedono perchè sono bravi ».

Tutti discorsi che l’Italia, con il ministro degli esteri Franco Frattini e lo stesso La Russa, ha già fatto giovedì a Bruxelles alla Nato, dove si discuteva del nuovo concetto strategico dell'Alleanza e su come affrontare le sfide del XXI Secolo –temi del Vertice atlantico di metà novembre, in Portogallo-. Parlando di Afghanistan, Frattini e La Russa avevano detto: "Abbiamo degli obiettivi e possiamo presumere quando li raggiungeremo. Ma se non li raggiungiamo, resteremo lì oltre qualsiasi data annunciata".

Insomma, l'inizio del ritiro l'anno prossimo e' scritto sulla neve del terribile inverno afghano. A meno che i negoziati tra Karzai e talebani, sostenuti pure dal Pakistan, che ieri ha ricevuto promesse di aiuti dai suoi 'amici', non trovino un rapido sbocco. Convincerli?, o comprarli?, i leader degli insorti. Karzai, il cui fratello, Mahmoud, cittadino americano, sta per essere incriminato per evasione fiscale negli Stati Uniti, e la sua corrotta compagine forse propendono per la seconda ipotesi. Oppure, possono vendersi loro.

SPIGOLI: la Santanchè e il Tea Party di Mr B

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 16/10/2010

L’Italia non trova un Barack Obama, ma ha già la sua Sarah Palin: l’Independent indica senza esitazioni per il ruolo l’eclettica Daniela Santanchè, donna di spettacolo e di politica dalle molteplici appartenenze, deputata dal 2006 al 2008, da marzo sotto- segretario nel governo Berlusconi, dopo avere guidato alle elezioni politiche La Destra fondata con Francesco Storace in polemica con Mr B, poi abbandonata per creare il Movimento per l’Italia e per ritornare, infine, nella famiglia del Popolo della Libertà. Secondo il quotidiano britannico, Daniela ha lo spirito conservatore e combattivo, oltre che il passato da miss, di Sarah, anche se non risulta abbia mai cacciato l’orso e l’alce. E quanto al Tea Party, quello nostrano è meno organizzato e meno folcloristico di quello americano –non si vede in giro nessun bottegaio lombardo vestito come ai tempi di Maria Teresa d’Austria-, ma e’ un’analoga accozzaglia di individualisti qualunquisti ed evasori fiscali. Daniela non é l’unica donna italiana che attira la stampa estera oggi: El Economista ricorda che Patrizia D’Addario, « la prostituta di Berlusconi », si dà alla musica ; e Il Telegraph rivela che Carla Bruno sarebbe stata giudicata ‘persona non grata’ dal Vaticano, turbato da certe sue foto piccanti (il che spiega perché Sarkozy si sia presentato solo dal Papa).

venerdì 15 ottobre 2010

SPIGOLI: teppisti da stadio giocattoli neofascisti

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 15/10/2010

Cartellino rosso per la Serbia. E vittoria a tavolino, con pacca sulle spalle, per l’Italia. Se l’Uefa presta ascolto alla stampa internazionale, sarà questo il verdetto sportivo dopo gli incidenti che hanno impedito lo svolgimento di Italia-Serbia, martedi’ sera. Solo lo spagnolo Abc avanza l’ipotesi, un po’ azzardata, che i fatti di Genova portino all’esclusione dagli Europei dell’Italia, oltre che della Serbia. Ieri, tutta la stampa estera ha dedicato spazio, non solo sportivo, alla vicenda. Il Guardian, in un commento, scrive: «I teppisti serbi sono giocattoli dei leader nazionalisti e neofascisti». I britannici, che di hooligans se ne intendono, sono fra i più attenti, anche perchè, mentre l’Uefa lancia l’inchiesta, Sepp Blatter, gran patron della Fifa, loda proprio l’esempio dell’Inghilterra nell'affrontare il fenomeno. Per El Pais, "Poteva essere una strage come l’Heysel". Le Monde titola «Euro 2012, la Serbia rischia grosso». Les Echos cita Platini, che chiede ‘tolleranza zero’. El Mundo ed Expansion sostengono che la violenza serviva a boicottare l'ingresso della Serbia nell'Ue. Ed El Economista parla di «uno sfondo politico» interno serbo. La storia sbarca pure in America: il WSJ riferisce degli arresti e ricorda la ‘tessera del tifoso’ introdotta in Italia contro la violenza negli stadi; e l’Ap intervista il ministro dell’interno serbo, che promette un giro di vite contro i gruppi d’estrema destra: servirà a non farsi sbattere fuori dagli Europei 2016.

giovedì 14 ottobre 2010

Italia-Serbia: é l'Olanda a tenere Belgrado fuori dall'Europa

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 14/10/2010

Altro che l’Italia. E’ l’Olanda la vera avversavia della Serbia in Europa. Ma che dice questo ?, sento già i tifosi darmi dello ‘scemo’ in coro: nel girone della Serbia, c’è l’Italia, mica l’Olanda. Attenzione!, pero’: il calcio non c’entra. Qui stiamo parlando dell’adesione di Belgrado all’Unione europea: nonostante gli hooligans di Marassi, l’Italia resta l’avvocata della Serbia nel processo che dovrebbe condurla nell’Ue.

Il ministro Frattini, che ieri ha ricevuto le scuse del college Jeremic e l’assicurazione che “i criminali saranno identificati, catturati e puniti in modo esemplare”, parla cosi’: la Serbia è “un Paese che sta uscendo da un periodo difficile e noi l’accompagniamo nel cammino verso l’Europa”. E il suo vice Mantica è a Belgrado nel giorno giusto, per il convegno «Italia e Serbia : una partnership strategica verso l’Unione europea».

Pure Jeremic sa che l’Italia è “uno dei principali sostenitori delle aspirazioni europee» del suo Paese. Tendenzialmente filo-serba da sempre, e in modo bipartisan, l’Italia sarà pero’ impotente quando, il 25 ottobre, i ministri degli esteri dei 27 discuteranno della candidature serba, presentata nel dicembre 2009: sola contro 26, infatti, l’Olanda s’oppone a che il Consiglio dell’Ue avvii la procedura d’adesione –una decisione che richiede l’unanimità-. L’Aja rimprovera a Belgrado un’insufficiente collaborazione con il Tribunale penale internazionale sulla ex Jugoslavia e il mancato arresto dei criminali di guerra Mladic e Hadzic. Le violenze dei fascio-nazionalisti anti Serbia nell’Ue e Kosovo indipendente sono non solo criminali, ma pure inutili: a tenere la Serbia fuori, per ora, ci pensa l’Olanda.

SPIGOLI: Nella stagione dei divorzi, Mr B è “vulnerabile”

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 14/10/2010

Stagione di divorzi, per Silvio. Quello, economicamente costosissimo, con Veronica. Quello, politicamente dolorosissimo, con Gianfranco. E quello, mediaticamente succosissimo, perchè imprevisto e improvviso, con Emma. La stampa estera non ne perde uno. E, adesso, FT preannuncia, con grande rilievo, nella sua homepage, quello più fragoroso: il divorzio dagli italiani. Il quotidiano economico sostiene che Mr B è ormai «vulnerabile di fronte ai rivali» e afferma che il sondaggi d’opinione lo vedono in calo, mentre l’ipotesi di elezioni a primavera acquisterebbe consistenza giorno dopo giorno». Ma, su questo punto, le opinioni dei commentatori internazionali sono lunghi dall’essere concordi, mentre i protagonisti della faida nella maggioranza ora negano. Dopo avere analizzato, con Les Echos, le ragioni del distacco tra Berlusconi e gli industriali, Le Monde dedica spazio a un incontro di Fini con la stampa estera: "Gli italiani hanno bisogno di tutto tranne che di elezioni anticipate », sostiene il presidente della Camera. Ed El Pais dava spazio, nei giorni scorsi, a Mr B che bocciava ogni ipotesi di elezioni anticipate e che affermava di avere fiducia in Fini

mercoledì 13 ottobre 2010

UE: l'ossequio alla Chiesa sull'Ici ci costa soldi e fastidi

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 13/10/2010

L’ossequio di Stato alla Chiesa cattolica costa all’Italia milioni di euro ogni anno d’entrate perdute e, adesso, le vale pure il fastidio di un’ “indagine approfondita” della Commissione europea, in quella che potrebbe tramutarsi nella tappa d’avvio d’una procedura d’infrazione, con il rischio di finire davanti alla Corte dell’Ue e di dovere poi cambiare le norme.

Ma non ci siamo ancora arrivati. Per il momento, l’esenzione dall’Ici concessa ai beni della Chiesa, come ad altre entità «non commerciali» -le associazioni sportive dilettantistiche-, è finita sotto la lente d’ingrandimento dell’Esecutivo comunitario.

La decisione di avviare l’indagine è stata formalizzata ieri dalla Commissione, riunita a Bruxelles, su proposta del responsabile della concorrenza Joaquin Almunia, dopo che i suoi funzionari avevano maturato il sospetto che le agevolazioni fiscali possano configurarsi come aiuti di Stato illegali, perchè incompatibili con le norme dell’Ue sul funzionamento del mercato unico.

Al termine della riunione, fonti dell’Esecutivo hanno precisato che, «in questa fase,
la Commissione ritiene, in particolare, che gli immobili in questione potrebbero essere usati anche per attività commerciali e che tali esenzioni fiscali potrebbero pertanto distorcere la concorrenza».

Certo, non sarebbe la prima volta che un tempio diventa un mercato. Già Gesù Cristo, che di poteri ne aveva molti di più d’Almunia, se ne inquietava con vigore, ai tempi suoi, senza peraltro –si direbbe- riuscire a risolvere il problema una volta per tutte. E anche la Commissione ci sbatte contro da anni: dal 2006, il dossier sugli sconti Ici riconosciuti dall’Italia alla Chiesa passa da una scrivania all’altra della direzione per la concorrenza.

Per ben due volte - nel 2006 e nel 2008 -, i funzionari avevano anche fatto sapere ai ricorrenti di ritenere che non ci fossero i presupposti per aprire un'indagine formale. Ma prima l'insistenza del deputato radicale Maurizio Turco, poi l’intervento della Corte di Giustizia Ue e infine nuovi elementi acquisiti da Bruxelles hanno impedito che il caso venisse definitivamente archiviato ed hanno anzi convinto i collaboratori di Almunia a effettuare ulteriori accertamenti.

Una decisione che è stata ufficilamnete accolta con sorpresa da Andrea Ronchi, ministro per le politiche comunitarie, anche se non è certo giunta come un fulmine a ciel sereno, visto l’intreccio di contatti che l’hanno preceduta. In una dichiarazione, Ronchi ricorda che "sulla questione la Commissione si era già espressa a fine 2008, stabilendo che le norme italiane non esentano da tassazione le attività prevalentemente commerciali, anche quando svolte da enti ecclesiastici o senza scopo di lucro".

Il ministro si dice fiducioso che la decisione della Commissione «rappresenti un passaggio dovuto per arrivare alla definitiva chiusura della procedura». Ma aggiunge che avrebbe «di gran lunga preferito poter avere prima un confronto tecnico costruttivo con i servizi della Commissione ». Dieci giorni or sono, lo stesso ministro s’era preoccupato di raccogliere informazioni sul passo che l’Esecutivo si apprestava a compiere e di fare conoscere a Bruxelles la disponibilità dell’Italia a riesaminare il cqso in tutti i suoi aspetti.

I collaboratori di Almunia avevano spiegato che l’apertura dell’indagine rappresenta solo il primo passo formale di una procedura sul cui esito 3l commissario non ha alcuna posizione preconcetta». Anzi, l'Italia potrà ora fare valere le sue ragioni. Tutto vero, anche se, ieri, la Commissione, in una nota, ha affermato che «finora le autorità italiane non hanno fornito prove sufficienti per consentire di concludere che le misure contestate possano essere giustificate in base ai principi del sistema fiscale italiano".

L’Italia ha un mese di tempo, dalla ricezione della lettera di notifica che le sarà inviata, per trasmettere alla Commissione tutti i commenti e le informazioni che riterrà opportune per una valutazione del caso corretta. La procedura, che si apre dopo anni di scambi di lettere tra Roma e Bruxelles, potrebbe concludersi, com’è scritto nella comunicazione che è pronta a partire, con la richiesta di recupero di tutti gli aiuti erogati – si parla di miliardi di euro -, se al termine dell'inchiesta dovesse risultare che le agevolazioni sono state concesse illegalmente rispetto alle norme europee.

In tanto amaro per il governo italiano, ci potrebbe quindi essere uno zuccherino finale, il recupero di un sacco di soldi, una festa per l’erario (ma certo non per la Chiesa). Ma non ci siamo ancora arrivati (e, probabilmente, al recupero dei crediti non arriveremo mai).

L'Italia nel Mondo, 150 anni dopo è sempre Crimea

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 13/10/2010

150 anni d’Italia unita ed è ancora e sempre Crimea: come ai tempi che precedevano l’unità nazionale, il peso dell’Italia in politica estera resta essenzialmente affidato alla capacità di essere presente, al fianco di alleati importanti, su fronti di conflitti che non sempre la riguardano direttamente. Si va, si torna –tranne quelli che ci restano, morti ammazzati o, come avvenne la prima volta, falcidiati dalle pestilenze-, la gente piange i caduti, il Paese è orgoglioso dei suoi soldati.

Intendiamoci, l’Italia non è la sola, a praticare l’esercizio. Ma i Paesi che davvero contano sulla scena mondiale hanno una politica estera basata sulla diplomazia, sull’economia, sull’influenza, oltre che sul militare; e le guerre, quando le fanno, le fanno spesso per conto proprio e non per conto terzi. L’Italia, invece, manda il giro per il globo il meglio del suo apparato militare, i carabinieri, gli alpini, i bersaglieri, le unità scelte, per acquisire meriti e crediti che altrimenti non riesce a ottenere. Lo fanno pure i Paesi dell’Europa ex comunista, che si affrancano dal passato e trovano cosi’ una nuova legittimazione internazionale; e lo fanno Paesi da Terzo Mondo, come il Bangladesh o le Figi, che pero’ s’accontentano di gratificazioni finanziarie.

Nell’Italia che ancora non c’era, la via la traccio’ Camillo Benso conte di Cavour, quando, tra il 1853 e il 1856, spedi’ i bersaglieri di Lamarmora nella penisola di Crimea, a combattere una guerra dove non importava dove stesse il torto e la ragione, e neppure, al limite, chi la vincesse. Contava che i piemontesi fossero al fronte al fianco dei francesi, cosi’ da poterci poi aspettare che, qualche anno dopo, loro stessero al nostro fianco contro l’Austria nella seconda, e decisiva, guerra d’Indipendenza.

I bersaglieri fecero il loro dovere e si coprirono di gloria alla battaglia della Cernaia, nell’agosto 1855, cosi’ che, alla fine, i conti per il Piemonte, e per l’Italia che ne segui’, tornarono. Nel 1859, Napoleone III porto’ in Italia le sue truppe e contribui’ alla sconfitta degli austriaci –non che la cosa gli dispiacesse, anzi, e per di più fece proprio il minimo indispensabile-.

Come Cavour, lo fa Silvio Berlusconi (‘absit iniuria’ per il conte nell’accostamento), come, prima di lui, e solo nella cosiddetta seconda Repubblica, l’hanno fatto Prodi (Afghanistan e poi Libano) e D’Alema (Balcani e poi una voce che conta sul Libano) –e sono solo esempi-. Cambiano gli alleati –adesso, sono gli Stati Uniti o, in generale, i partner della Nato- e cambiano le motivazioni contingenti, ma un obiettivo di fondo resta costante: affermare, confermare, rafforzare il ruolo internazionale dell’Italia.

Certamente, al di là del gusto dell’affermazione apodittica, ci sono da fare distinguo e puntualizzazioni: la guerra contro il terrorismo, con le sue origini e con il suo impatto per la sicurezza nazionale, non ha nulla a che vedere con la guerra di Crimea, o con la rivolta dei Boxers in Cina. Anche se resta da vedere se andarla a combattere in Afghanistan come stiamo facendo –o, peggio, andarla a combattere in Iraq, come abbiamo fatto- serva davvero a migliorare la sicurezza collettiva e nazionale.

Nel giorno dei funerali di Francesco e Gianmarco, di Marco e Sebastiano, il dubbio è lecito ed è più forte. Morire sulla Cernaia, o in Afghanistan, è poi cosi’ diverso ?

martedì 12 ottobre 2010

Iran: Sakineh, raffica arresti, timori esecuzione sentenza

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 12/10/2010

Dopo il fermo del figlio e di un avvocato di Sakineh, a Tabriz, Nord-Ovest dell’Iran, il rischio che la condanna a morte della donna venga eseguita “e’ più alto”. L’allarme viene da Iran Human Rights, che si batte per il rispetto dei diritti dell’uomo in Iran: le autorità di Teheran stanno «solo aspettando il momento giusto”.

Sajad Qaderzadeh, il figlio di Sakineh Mohammadi-Ashtiani, e l’avvocato Javid Hutan Kian sono stati presi nello studio del legale da agenti dell’intelligence iraniana, che hanno pure portato via due giornalisti stranieri. Iran Human Rights se l’aspettava «da un momento all’altro con grande preoccupazione»: “Se i fermi sono stati fatti ora è perchè l’attenzione internazionale sul caso Sakineh non è più alta come prima”.

A smorzarla, sono venute, nelle ultime settimane, notizie ufficiali, in parte tranquillizzanti, sulla posizione giudiziaria della donna madre di due figli: è stato detto che la condanna a morte non è stata comminata per adulterio, ma per concorso nell’omicidio del marito; e che l’esecuzione non avverrà tramite lapidazione, bensi’ impiccagione; e, infine, che il procedimento non è stato ancora completato.

Invece, le organizzazioni umanitarie dicono che l’esecuzione della sentenza è solo sospesa. A tenere in vita la condannata, è stata la pressione internazionale. Quando
la tensione del mondo cala, i timori aumentano.

I due giornalisti fermati, un reporter e un fotografo, lavorano per la Bild am Sonntag: erano entrati in Iran qualche giorno fa con un visto turistico per intervistare Sajad, il che ha dato modo alle autorità iraniane di annunciare l’arresto « di due stranieri che si spacciavano per giornalisti ».

Il regime, che s’appresta a espellere la corrispondente del Pais Angeles Espinosa, sfida l’opinione pubblica internazionale: domenica, nella giornata mondiale anti-pena di morte, il boia in Iran ha lavorato sodo, impiccando quattro trafficanti di droga.

SPIGOLI: Afghanistan, caduti italiani e silenzio mondiale

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 12/10/2010

Vittime della ferocia dei talebani in Afghanistan e vittime dell’indifferenza, o quasi, dalla stampa internazionale, che, fino a ieri, ha pure prestato un orecchio distratto, o forse annoiato, alle beghe di casa nostra sulla natura della missione in Afghanistan (pace ?, o guerra ?, come se non bastassero i fatti a renderla un’operazione bellica). Cosi’, la notizia della strage di alpini sabato, nell’Ovest dell’Afghanistan, è una breve d’agenzia, nulla più, sulla Bbc e su vari altri media stranieri –molti non le dedicano neppure una riga, per la serie « morti vostri, fatti vostri »-. L’attenzione afghana della stampa internazionale è tutta assorbita in queste ore dall’ipotesi che la cooperante britannica presa in ostaggio e uccisa sabato, durante un raid per liberarla, sia stata vittima di fuoco amico, invece che dei propri sequestratori. Pero’, lady Ashton, l’impalpabile ‘ministro degli esteri’ europeo, se ne esce con un comunicato in cui « condanna con forza » le tragiche vicende di sabato scorso. La baronessa laburista s’è accorta dei poveri alpini? Manco per sogno: denuncia l’uccisione del governatore di Kunduz, Mohammad Omar, e di numerosi altri fedeli nell’attacco alla moschea di Takhar: gesti del genere “non fanno che rafforzare la determinazione dell’Ue … di continuare a lavorare con il popolo afgano per un avvenire più sicuro e più prospero”. Ditelo, a Francesco e a Gianmarco, a Marco e a Sebastiano, e alle loro famiglie.

domenica 10 ottobre 2010

Afghanistan: lì per ammazzare ed essere ammazzati

Pezzo e box scritti per Il Fatto Quotidiano del 10/10/2010

Un’operazione militare complessa e coordinata, non il tiro di un cecchino, la disperazione di un kamikaze, lo scoppio isolato di una bomba artigianale: prima l'esplosione di un ordigno potente, almeno cento chili; poi, lo scontro a fuoco. Questa volta, l’attacco degli insorti in Afghanistan è costato la vita a quattro alpini del 7/o reggimento di Belluno. Un quinto è rimasto ferito: è grave, ma se la caverà.

La missione di pace degli italiani in Afghanistan è sempre più una storia di guerra. E l’Ovest del Paese, quello presidiato dal contingente di 7.000 uomini di 11 nazionalità sotto il comando del generale Claudio Berto, non è più da mesi una sorta di santuario al riparo dalle azioni dei talebani. A breve, il generale Berto passerà le consegne al generale Marcello Bellacicco e la brigata Tarinense darà il cambio alla Julia, che oggi fornisce il grosso degli effettivi italiani.

Dal 2004, quando è cominciata la missione Isaf, le vittime italiane sono state 34. E il 2010 è l’anno più letale, per gli italiani -12 vittime, contro le nove dell’anno scorso-- come per le forze internazionali nel loro complesso –oltre 570 i caduti finora, contro le 521 del 2009-. Una conferma, se ce ne fosse bisogno, che il conflitto, rimasto in sordina per anni, è ora esploso e che le prove di democrazia -ultima, il voto di settembre- non lo esorcizzano.

Anche l’Europa, dopo l’America, s’è ormai assuefatta al conflitto: sulla stampa internazionale, ieri, l’uccisione dei quattro italiani era una notizia quasi di routine, perché i militari -e' la percezione- sono lì per combattere, ammazzare ed essere ammazzati. Colpiva di più l'annuncio della morte di una cooperante inglese rapita in Afghanistan il 26 settembre e uccisa dai suoi sequestratori durante un blitz americano per liberarla. Linda Norgrove, 36 anni, era operatrice umanitaria per una Ong Usa. E anche la riapertura del valico di frontiera di Torkam tra Pakistan e Afghanistan, dopo che gli insorti vi avevano incendiato 29 camion di un convoglio Nato, riceveva più attenzione,

Lo scontro letale ai quattro italiani è avvenuto alle 9.45 locali –qui, era l’alba- nel distretto di Gulistan, a circa 200 chilometri a est di Farah, al confine con l'Helmand. I militari italiani del 7° reggimento alpini di stanza a Belluno, inquadrato nella Julia, erano a bordo di blindati Lince: scortavano un convoglio di 70 camion civili che viaggiavano verso ovest dopo aver trasportato materiali per l'allestimento di una base operativa avanzata di Gulistan, la 'Ice'.

Improvvisa, lo scoppio, violentissima. Un 'Ied', vale a dire un ordigno rudimentale di grande potenza, è esploso al passaggio di un blindato, distruggendolo. Non c'é stato nientevda fare per quattro dei cinque alpini a bordo: il caporalmaggiore Gianmarco Manca, 32 anni di Alghero (Sassari, il caporalmaggiore Marco Pedone, 23 anni, di Gagliano del Capo (Lecce), il primo caporal maggiore Francesco Vannozzi, 26 anni, di Pisa e il primo caporalmaggiore Sebastiano Ville, 27 anni, di Francofonte (Siracusa). Ferito il caporal maggiore scelto Luca Cornacchia, 31 anni, di Pescina (l'Aquila): evacuato in elicottero dal campo di battaglia, è ricoverato all’ospedale da campo di Delaram. Cosciente, seppur traumatizzato, ha telefonato alla moglie per aggiornarla sulle sue condizioni. Le salme dei caduti rientreranno in Italia probabilmente domani.

Dopo lo scoppio, c’e' stato uno scontro a fuoco violento: gli aggressori, che già ieri avevano attaccato il convoglio con armi leggere, colpendo un mezzo americano, sono fuggiti. S’ignora se abbiano riportato perdite e quante.

Il generale Usa David Petraeus, comandante della missione Isaf, ha reso omaggio “al coraggio e all’altruismo” dei soldati italiani: “Non li dimenticheremo”. Parole d’un rito che Petraeus deve ormai ripetere ogni giorno.

Rituali, ma non solo, i messaggi dal mondo politico italiano: cordoglio, dolore, in tutti la consapevolezza che in Afghanistan la missione e' di guerra, non di pace. C'e' chi chiede di venirne via subito; tutti vogliono venirne via al più presto.


Box - Sono circa 150 mila i militari della Forza internazionale
di assistenza alla sicurezza, l’Isaf, schierati in Afghanistan, sotto il comando, da ormai tre mesi, del generale statunitense David Petraeus. Circa due terzi degli effettivi sono americani, gli altri soprattutto europei. Gli italiani sono oltre 3.500 e diiventeranno 4.000 entro la fine dell'anno: nei mesi scorsi, subito dopo un altro agguato mortale, il governo aveva infatti accolto la richiesta della Nato di incrementare il contingente di 3.000 uomini e aveva deciso di inviarne altre mille. Nel 2011, secondo quanto annunciato anche dagli Usa, dovrebbe iniziare la fase di rientro. Ma l’andamento delle operazioni sul terreno non lascia presagire nulla di buono. I contingenti europei più numerosi sono quello britannico, con 9.500 unità circa, tedesco (4.400), francese (3.750) e italiano. Notevoli anche le presenze canadesi (oltre 2.800), polacca (quasi 2000) e turca (oltre 1.750), mentre gli olandesi, dopo la caduta del governo in primavera, non hanno più rinnovato il mandato del loro contingente di 1940 uomini. I Paesi che, a qualsiasi titolo, contribuiscono, o hanno contribuito, all’Isaf sono oltre 40. Le forze internazionali sono destinate a essere progressivamente sostituite, nelle operazioni militari, dall’esercito afghano, che dispone attualmente di oltre centomila unità e che dovrebbe averne 171.600 entro l’ottobre 2011. Per accelerare l’addestramento e l’impiego delle truppe afghane, la cui affidabilità è finora stata scarsa, la Nato non sollecita più agli alleati l’invio di unità combattenti, ma di istruttori: una richiesta in tal senso è stata fatta all’Italia in settembre dal segretario generale dell’Alleanza atlantica Anders Fogh Rasmussen. Il territorio afghano è suddiviso in cinque comandi regionali e 26 team provinciali di ricostruzione (Prt). Tranne un centinaio schierati a Kabul nella sede del comando della missione, i militari italiani sono nell’Ovest dell’Afghanistan: Herat è la sede del Comando regionale Ovest Isaf, da cui dipende un'area grande quanto il Nord Italia, con le province di Herat, Badghis, Ghowr e Farah.

sabato 9 ottobre 2010

Rom: Sarkozy, mezz'ora dal Papa per farsi perdonare

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 09/10/2010

Trentatré minuti, quanti gli anni di Gesù Cristo: tanto è durato il colloquio in Vaticano tra papa Benedetto XVI e il presidente francese Nicolas Sarkozy, nella sala della Biblioteca. Puo’ parere poco, ma è parecchio per il protocollo curiale: si vede che la ramanzina che il pontefice doveva fare al presidente era piuttosto lunga.

La stampa francese, ieri mattina, ironizzava un po’ sulla missione in Vaticano di Sarkozy, venuto a Roma –scriveva Libération- per farsi aiutare dal Buon Pastore "a radunare le pecorelle smarrite”; oppure « per archiviare la faccenda dei rom », ipotizzava Les Echos ; o, semplicemente, «per pregare», come scriveva il Nouvel Obs, senza crederci troppo.

Il presidente francese, braccato dalle notizie in arrivo da Parigi, s’è presentato all’appuntamento con un quarto d’ora di ritardo –cosa del tutto inusuale- e piuttosto teso. Il Papa lo ha salutato in francese, serrandogli entrambe le mani. Il colloquio privato ha seguito uno scambio di battute di circostanza: alla fine, erano entrambi più distesi a cordiali , come se l’uno e l’altro si fossero tolti un peso.

A Benedetto XVI, Sarkozy ha regalato una collezione di volumi dello scrittore e diplomatico cattolico francese Chateaubriand, ricevendo in cambio una maiolica e un quadro. Ma il presidente non s’è accontentato: al momento delle foto di commiato, ha chiesto al papa un rosario per una sua nipotina. Il segretario personale del pontefice, mons. Georg Gaenswein, l’ha subito accontentato.

Poi tutta la comitiva presidenziale è andata a trovare il segretario di Stato, cardinal Tarcisio Bertone. E durante una funzione officiata dal cardinale francese Jean-Louis Tauran, ha chiesto, nella sua meditazione, "coraggio e perseveranza per il popolo francese e per i suoi dirigenti", affinchè operino "per l'accoglienza degli immigrati e dei perseguitati". In questo modo, è stato toccato il tema più caldo, vera ragione dell'incontro tanto voluto dall'Eliseo. Il presidente avrebbe anche recitato una preghiera per la Francia (e per gli immigrati).

La versione ufficiale del contenuto dei colloqui è che s’è parlato di pace in Medio oriente e della situazione dei cristiani nel Mondo, oltre che della dimensione etica e sociale dell’economia (li' certo s'annida la vicenda dei rom). E' emersa «la reciproca volontà di mantenere un dialogo permanente» e di « continuare a collaborare in modo costruttivo nelle questioni di comune interesse». Ma si sa che Benedetto XVI e poi il cardinal Bertone hanno esortato il presidente dei rimpatrii a una politica d'accoglienza e d'integrazione degli immigrati. Anche se Sarkozy ha affermato che la lotta all'immigrazione clandestina è un imperativo morale.

Proprio mentre la Lega dei diritti umani denunciava test sul Dna d'un gruppo di Rom effettuati illegalmente in un campo nomadi della Val d'Oise. E' un indizio in più dell'esistenza d'uno schedario dei rom definito ''un cancro per la democrazia" dalle associazioni che ne difendono i diritti.

Secondo Le Monde, un "elenco etnico", "illegale e clandestino", corredato di "genealogia delle famiglie tzigane", identificate secondo loro "specialità criminali", e' gestito dall’ufficio centrale per la lotta alla criminalità itinerante (Ocldi). Il ministero dell’Interno francese nega pero' d'esserne a conoscenza e ha avviato un’indagine interna.

Oltre che in Vaticano, la storia dello schedario fa rumore a Bruxelles, dove la Commissione europea ha gia' avviato a fine settembre una procedura d'infrazione contro la Francia, che non rispetta la liberta' di circolazione delle persone. L'Ue, pur senza avallare le rivelazioni di stampa, aggiunge l'articolo di Le Monde al suo dossier e attende l'esito dell'inchiesta in corso.

La responsabile della giustizia Viviane Reding osserva che "la Commissione è in contatto stretto con le autorità francesi". Grana dello schedario a parte, Parigi deve gia' rispettare le scadenze poste della Commissione, che entro il 15 ottobre vuole un cambiamento della normativa francese sulla libera circolazione o un calendario d'adeguamento alla direttiva Ue. Se no, "andra' avanti la procedura". Va a finire che, oltre che in Vaticano, Sarkozy dovra' andare a pregare a Bruxelles.

SPIGOLI: Wen e Mr B, intesa nel nome degli affari

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 09/10/2010

Sospiro di sollievo a Palazzo Chigi : se l’annuncio del Nobel per la Pace al dissidente Liu Xiaobo fosse arrivato mentre il premier cinese Wen Jiabao era in visita a Roma, sarebbe stata una catastrofe diplomatica. L’ospite si sarebbe irritato –il suo governo definisce il premio « un’oscenità »-; e Mr B avrebbe dovuto barcamenarsi nella difesa dei diritti dell’uomo. Invece, la visita s’è svolta senza troppe ombre, dopo gli incontri un po’ tesi di Wen a Bruxelles al vertice dell’Asem e poi al Vertice Ue-Cina. Anzi, le ‘rodomontate’ di Berlusconi destano interesse nella stampa economica internazionale. La Bloomberg, in un dispaccio ripreso negli Usa, anche dal San Francisco Chronicle –li’, la Cina è vicina - scrive: «Italia importante per investimento riserve estere Cina. Berlusconi vede 100 miliardi di euro di intercscambio con la Cina entro cinque anni». E Liberation parla di «idillio commerciale» tra Roma e Pechino. Invece, Les Echos e Le Monde puntano sugli accordi commerciali da più di 2 miliardi euro. Ma FT avverte Pechino: «Se la Cina vuole fare dell’Italia la porta d’ingresso in Europa, deve sapere che l’aspetta la burocrazia italiana, nota per la sua lentezza e inefficienza, che ha dissuaso molti altri».

venerdì 8 ottobre 2010

Immigrazione: Ue risponde picche a Libia

Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano il 08/10/2010

L’Unione europea risponde picche alla Libia, mentre la Francia s’adegua alle richieste di Bruxelles. Notizie sull’immigrazione che non avete forse letto sulla stampa italiana, ma che escono dalle cronache comunitarie di questa settimana.

La Libia. I commissari europei agli Affari interni Cecilia Malmstroem e alla politica di vicinato Stefan Fule hanno fatto una visita in Libia ed hanno concluso un accordo di cooperazione con le autorità di Tripoli: obiettivo, metterle in condizione di meglio contrastare l’immigrazione clandestina e di migliorare, nel contempo, il rispetto dei diritti dei rifugiati e, in generale, dei diritti dell’uomo.

La Commissione europea tiene a disposizione 50 milioni di euro per il triennio 2011-2013 per facilitare l’attuazione dell’intesa da parte della Libia: il denaro non verrà consegnato alle autorità libiche, ma sarà speso direttamente dalla Commissione, dopo avere valutato i progetti che le saranno presentati.

In occasione della visita della delegazione europea, il ministro degli Esteri libico Moussa Koussa ha ripetuto la richiesta di 5 miliardi di euro l’anno rivolta all’Ue
dal dittatore libico Muammar Gheddafi nella sua visita a Roma di fine agosto (e l’Italia s’era impegnata a portare la richiesta all’attenzione dell’Ue). L’agenzia libica Jana ha riferito che il ministro Koussa ha detto che i 5 miliardi servono “a bloccare definitivamente” l’immigrazione clandestina a partire dalle coste libiche.

A Koussa, la Commissione ha risposto di ritenere esagerata la richiesta. Punto e basta. Ma Roma, pur senza avallare la cifra, non spegne le speranze del dittatore : vuole che la questione sia discussa al vertice euro-africano di novembre, che si farà in Libia.

La Francia. Certo vi ricordate lo scambio di battute al vetriolo fra Commissione Ue e governo francese, a proposito delle espulsioni dei rom dalla Francia, con il presidente fNicolas Sarkozy che strillava come un’aquila perchè Viviane Reding, responsabile della giustizia nell’Ue, aveva criticato la Francia con parole forti.

Rispettando le procedure dell’Unione, la Commissione ha poi avviato una procedura d’infrazione nei confronti della Francia. E ora le autorità di Parigi vanno a Canossa del rispetto delle regole comunitarie : entro il 15 ottobre, come previsto, invieranno alla Commissione una risposta completa ai quesiti loro posti nel tentqtivo di evitare che la procedura d’infrazione sul rispetto della libera circolazione delle persone vada avanti. Lo ha detto una fonte francese, a margine di un Consiglio dei ministri dell’Interno dell’Ue a Lussemburgo : « Non possiamo sottrarci ». Per questa volta, almeno, i galletti non fanno chicchirichi’.

giovedì 7 ottobre 2010

Mr B torna in Russia per festeggiare Vladi, amicizia & affari

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 07/10/2010

Una boccata d’aria buona, magari fredda, dopo l’aria fetida dei ‘teatrini’ della politica romani. E, poi, qualche ora fra buoni amici, leali, fidati, mica come quelli di qui che, come ti volti, ti pugnalano a parole e, peggio, se non li compri ti votano contro. Stufo, stanco, irritato, Silvio Berlusconi progetta di trascorrere il week-end in Russia, dall’amico e collega Vladimir Putin, che compie oggi 58 anni (con i suoi 74, Silvio gli è fratello maggiore, meglio zio, potrebbe persino essergli babbo).

Dmitri Peskov, il portavoce del capo del governo di Mosca, informa che «il presidente del Consiglio italiano arriverà venerdi’ sera in aereo a San Pietroburgo» per passare il fine settimana con il premier russo, nei pressi della capitale zarista (dove, di preciso, non è finora dato sapere). Putin ha una dacia a Valdai, a metà strada tra Mosca e San Pietroburgo, dove i due s’incontrarono lo scorso anno, sempre per una festa di compleanno.

Peskov definisce l’incontro «una visita informale, nel corso della quale, pero’, si parlerà anche di cose serie ». Dunque, è ufficiale (e, nel contempo, inquietante): Mr B e Vladi non si racconteranno solo barzellette e non parleranno solo di donnine.

Di cose serie, di yuan e di scambi, di economia e magari di democrazia, Berlusconi dovrà di sicuro parlare oggi, ricevendo a Roma il premier cinese Wen Jiabao, reduce da un Vertice con l’Ue a Bruxelles non facile (la conferenza stampa di fine lavori è stata cancellata). Wen, che in Italia sarà pure ricevuto dal presidente Napolitano, non ha gradito le pressioni europee per una rivalutazione dello yuan.

Dopo le fatiche cinesi, i piaceri russi. Mr B rientrerà in Italia domenica, se i piani saranno rispettati: gli è già capitato, l’inverno scorso, di restare bloccato in Russia più del previsto, causa –era stato spiegato- condizioni atmosferiche proibitive. Giornalisti impiccioni e malevoli, che non avevano trovato traccia delle tempeste di neve evocate nelle cronache moscovite di quei giorni, avevano ipotizzato, per la prolungata assenza del premier italiano, malesseri innescati da libagioni troppo abbondanti o addirittura ragioni mediche.

Certo, Berlusconi vede Putin, cosi’ come vede il dittatore libico Muammar Gheddafi, con una frequenza nettamente superiore a ogni altro leader occidentale (c’è il sospetto che neppure il presidente Medvedev lo veda cosi’ spesso). L’ultima volta è stata solo il mese scorso, dopo il forum della democrazia a Yaroslavl, quando l’incontro avvenne nella dacia di Novo Ogariovo, alle porte di Mosca.

Esponenti dell’opposizione invitano il premier a chiedere all’amico Vladi a che punto è l’inchiesta sull’assassinio della giornalista Anna Politkovskaia, uccisa il 7 ottobre 2006, mentre lavorava a un’inchiesta sulle violazioni dei diritti dell’uomo nella Russia di Putin, in particolare in Cecenia. Proprio ieri, la giustizia russa ha prorogato fino a febbraio le indagini, che non hanno ancora individuato mandanti ed esecutori. E Luigi Zanda, vice-presidente dei senatori del Pd, sollecita Berlusconi a riferire sulla visita in Parlamento, «perchè lo Stato italiano non è una sua proprietà privata».

SPIGOLI: Mr B e Fini, promesse incrociate

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 07/10/2010

Dopo settimane d’ironia, anche la stampa internazionale deve arrendersi all’evidenza: il naso di Mr B cessa di allungarsi come quello di Pinocchio, perchè, questa volta, la promessa di nominare «in settimana» il ministro allo sviluppo economico, mancante da mesi, è rispettata. Ma la scelta di Paolo Romani rilancia, almeno su FT, il ritornello del conflitto d’interessi : l’opposizione sostiene, ricorda il quotidiano economico, che il neo-ministro «ha difeso gli interessi di Mediaset contro Murdoch in una disputa all’Ue per l’accesso al digitale terrestre in Italia ». Il tormentone del conflitto d’interesse non attecchisce altrove, perchè la maggior parte dei media stranieri preferiscono seguire i primi passi del «nuovo soggetto politico», ma tutti scrivono « nuovo partito », di Gianfranco Fini. El Pais e NouvelObs hanno titoli e analisi che collimano: «Fini presenta il suo nuovo partito, guardando già alle elezioni anticipate… Ci sono dubbi sulle capacità della maggioranza di restare coesa fino al 2013». Il tema è pure su les Echos, El Mundo ed El Economista, secondo cui Fini «promette di non ripetere gli errori del passato». Una promessa che Mr B non fa, se no il naso gli torna ad allungarsi.

mercoledì 6 ottobre 2010

UE: Ashton, ambasciatori e democrazia a porte chiuse

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 05/10/2010

Lady Ashton ai ferri corti col Parlamento europeo, che contesta l’idea di democrazia ‘a porte chiuse’ della baronessa. Il ‘ministro degli esteri’ europeo informa in extremis la commissione esteri dell’Assemblea che l’audizione dell’ambasciatore austriaco Hans-Dietmar Schweisgut, destinato a rappresentare l’Ue in Giappone, si sarebbe potuta fare solo «a porte chiuse», perchè –dicono i portavoce- «il Parlamento europeo non è mica il Senato americano», che ha il potere di bocciare i diplomatici designati dal presidente. E i deputati, per tutta risposta, rinviano sine die l’audizione. In realtà, dietro lo scontro ci sono altri problemi non risolti del Seae, il Servizio europeo d’azione esterna, che deve, o forse dovrebbe, entrare in funzione il 1.o dicembre: l’Assemblea cerca di esercitare il massimo del controllo ; e la Ashton vuole sottrarvisi.

SPIGOLI: la diplomazia del cucù e l'Italia di Calimero

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 05/10/2010

L’Italia, il complesso di Calimero, la diplomazia del cucù: la Lettera di Philippe Ridet su Le Monde prende le mosse dallo ‘schiaffo’ alla diplomazia italiana venuto da Lady Ashton, una che vale poco e lavora di meno, ma che il ministro Frattini elogia sempre: su 29 ambasciatori europei nominati dalla baronessa, solo due italiani (e non in posti di prima fila). Il caso è noto, ma Ridet aggiunge che «l’Italia ha ultimamente avuto pochi successi» in Europa ; e, già che c’è, fa l’elenco degli insuccessi (Mario Mauro alla presidenza del Parlamento europeo, Giulio Tremonti a quella dell’Eurogruppo, Mario Draghi –ma un filo di speranza resta, e comunque lui sta all’Advisory Board- alla Bce… Come contromossa, Mr B ha sviluppato la diplomazia del cucù –si chiama cosi’ dallo scherzo che fece ad Angela Merkel (Trieste 2008), saltando fuori da dietro una colonna-: una diplomazia più alla sua portata, anche se non è detto che permetta all’Italia di ritrovare il proprio rango internazionale… Ma se il premier sa reagire vigorosamente, gli italiani, invece, scrive Ridet, hanno una reazione alla Calimero, stile «E’ un’ingiustizia, pero’». Iperberlusconiano e italianissimo, il ministro Bondi, dopo un Festival di Venezia da ‘zero tituli’ per i film italiani, ha fatto cucù ed è stato Calimero: ma –osserva Ridet- il pulcino di Carosello era « triste e faceva tenerezza », Bondi lo rende ridicolo.

martedì 5 ottobre 2010

SPIGOLI: basta un poco di sudicio e Napoli va giù

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 05/10/2010

Basta un poco di sudicio e Napoli va giù: come in un ritornello di Mary Poppins, i cumuli di spazzatura riportano la capitale della Campania sulla stampa internazionale, con il Time che racconta lo scontro sui rifiuti. Una storia di camorra e di malaffare, ma non solo, perchè, scrive il settimanale, «a Napoli la spazzatura è diventata problema politico e piaga ricorrente», oltre che strumento di scaricabarile per Mr B, che una volta era colpa della Regione, quand’era di sinistra, e adesso è colpa del Comune, che è di sinistra. Il Time non mangia la foglia, come, sulle battute blasfeme di quel buon cattolico del premier, non l’hanno mangiata nè l’Osservatore Romano nè l’Avvenire. E la stampa internazionale va loro dietro: Times, Guardian, Telegraph e Le Figaro citano la ramanzina degli organi di stampa della Chiesa; e Liberation ironizza («Il Vaticano fa il sermone a Berlusconi»). Ma poi, come El Mundo, s’indigna per la storia delle case: «La sinistra mi vuole mandare a casa. Ma quale ?, ne ho 20!». S’indignano di meno gli italiani, visto che il No-B day non è stato proprio un successo di partecipazione, anche se gli slogan anti-berlusconiani hanno trovato eco internazionale (El Pais , El Mundo, Daily Mail, Les Echos).

lunedì 4 ottobre 2010

Agence Europe nomina nuovo direttore

Comunicato Stampa dell'Agence Europe del 04/10/2010

À partir de ce lundi, Giampiero Gramaglia est le directeur de la rédaction de l’Agence Europe. Lionel Changeur reste rédacteur en chef et Benoît Cusin devient rédacteur en chef adjoint.

M. Gramaglia est l’ancien directeur de l’ANSA, la principale agence de presse italienne. Dès le commencement de son activité journalistique, il avait suivi les affaires européennes, d’abord en tant que correspondant à Bruxelles du quotidien Gazzetta del Popolo de Turin et ensuite comme chef du bureau bruxellois de l’ANSA, avant de devenir le responsable des bureaux de la même Agence aux Etats-Unis. En 2006, il avait été nommé directeur de l’ANSA à Rome, fonction qu’il a exercée jusqu’en juin 2009.

Il a continué à suivre de près les questions européennes, notamment en tant que commentateur à la télévision, à la radio et dans différents médias de la presse écrite, avant d’être désigné à diriger la rédaction de l’Agence Europe. Il reste conseiller pour la communication de l’Istituto Affari Internazionali (IAI) et secrétaire général du European Press Club (EPC).

Ferdinando Riccardi
Editeur responsable et éditorialiste




With effect from Monday of this week, Giampiero Gramaglia will take up the post of Managing Editor of Agence Europe. Lionel Changeur remains as the Editor and Benoît Cusin has been appointed to the post of Assistant Editor.

Mr Gramaglia is a former Editor in Chief of ANSA, the main Italian press agency. From the outset as a journalist, he has covered European affairs, initially as the Brussels correspondent of Turin daily Gazzetta del Popolo, and then as Head of the Brussels Office of ANSA, before becoming Head of the ANSA Offices in the United States. In 2006, he was appointed ANSA Editor in Chief in Rome, a post he occupied until June 2009.

He continued to monitor European issues, as a commentator on television and radio, and for various press publications, before being appointed to lead the editorial team at Agence Europe. He will continue as Communications Adviser to the Istituto Affari Internazionali (IAI) and Secretary General of the European Press Club (EPC).

Ferdinando Riccardi
Publishing Editor and Leader Writer