Pezzo e box scritti per Il Fatto Quotidiano del 10/10/2010
Un’operazione militare complessa e coordinata, non il tiro di un cecchino, la disperazione di un kamikaze, lo scoppio isolato di una bomba artigianale: prima l'esplosione di un ordigno potente, almeno cento chili; poi, lo scontro a fuoco. Questa volta, l’attacco degli insorti in Afghanistan è costato la vita a quattro alpini del 7/o reggimento di Belluno. Un quinto è rimasto ferito: è grave, ma se la caverà.
La missione di pace degli italiani in Afghanistan è sempre più una storia di guerra. E l’Ovest del Paese, quello presidiato dal contingente di 7.000 uomini di 11 nazionalità sotto il comando del generale Claudio Berto, non è più da mesi una sorta di santuario al riparo dalle azioni dei talebani. A breve, il generale Berto passerà le consegne al generale Marcello Bellacicco e la brigata Tarinense darà il cambio alla Julia, che oggi fornisce il grosso degli effettivi italiani.
Dal 2004, quando è cominciata la missione Isaf, le vittime italiane sono state 34. E il 2010 è l’anno più letale, per gli italiani -12 vittime, contro le nove dell’anno scorso-- come per le forze internazionali nel loro complesso –oltre 570 i caduti finora, contro le 521 del 2009-. Una conferma, se ce ne fosse bisogno, che il conflitto, rimasto in sordina per anni, è ora esploso e che le prove di democrazia -ultima, il voto di settembre- non lo esorcizzano.
Anche l’Europa, dopo l’America, s’è ormai assuefatta al conflitto: sulla stampa internazionale, ieri, l’uccisione dei quattro italiani era una notizia quasi di routine, perché i militari -e' la percezione- sono lì per combattere, ammazzare ed essere ammazzati. Colpiva di più l'annuncio della morte di una cooperante inglese rapita in Afghanistan il 26 settembre e uccisa dai suoi sequestratori durante un blitz americano per liberarla. Linda Norgrove, 36 anni, era operatrice umanitaria per una Ong Usa. E anche la riapertura del valico di frontiera di Torkam tra Pakistan e Afghanistan, dopo che gli insorti vi avevano incendiato 29 camion di un convoglio Nato, riceveva più attenzione,
Lo scontro letale ai quattro italiani è avvenuto alle 9.45 locali –qui, era l’alba- nel distretto di Gulistan, a circa 200 chilometri a est di Farah, al confine con l'Helmand. I militari italiani del 7° reggimento alpini di stanza a Belluno, inquadrato nella Julia, erano a bordo di blindati Lince: scortavano un convoglio di 70 camion civili che viaggiavano verso ovest dopo aver trasportato materiali per l'allestimento di una base operativa avanzata di Gulistan, la 'Ice'.
Improvvisa, lo scoppio, violentissima. Un 'Ied', vale a dire un ordigno rudimentale di grande potenza, è esploso al passaggio di un blindato, distruggendolo. Non c'é stato nientevda fare per quattro dei cinque alpini a bordo: il caporalmaggiore Gianmarco Manca, 32 anni di Alghero (Sassari, il caporalmaggiore Marco Pedone, 23 anni, di Gagliano del Capo (Lecce), il primo caporal maggiore Francesco Vannozzi, 26 anni, di Pisa e il primo caporalmaggiore Sebastiano Ville, 27 anni, di Francofonte (Siracusa). Ferito il caporal maggiore scelto Luca Cornacchia, 31 anni, di Pescina (l'Aquila): evacuato in elicottero dal campo di battaglia, è ricoverato all’ospedale da campo di Delaram. Cosciente, seppur traumatizzato, ha telefonato alla moglie per aggiornarla sulle sue condizioni. Le salme dei caduti rientreranno in Italia probabilmente domani.
Dopo lo scoppio, c’e' stato uno scontro a fuoco violento: gli aggressori, che già ieri avevano attaccato il convoglio con armi leggere, colpendo un mezzo americano, sono fuggiti. S’ignora se abbiano riportato perdite e quante.
Il generale Usa David Petraeus, comandante della missione Isaf, ha reso omaggio “al coraggio e all’altruismo” dei soldati italiani: “Non li dimenticheremo”. Parole d’un rito che Petraeus deve ormai ripetere ogni giorno.
Rituali, ma non solo, i messaggi dal mondo politico italiano: cordoglio, dolore, in tutti la consapevolezza che in Afghanistan la missione e' di guerra, non di pace. C'e' chi chiede di venirne via subito; tutti vogliono venirne via al più presto.
Box - Sono circa 150 mila i militari della Forza internazionale
di assistenza alla sicurezza, l’Isaf, schierati in Afghanistan, sotto il comando, da ormai tre mesi, del generale statunitense David Petraeus. Circa due terzi degli effettivi sono americani, gli altri soprattutto europei. Gli italiani sono oltre 3.500 e diiventeranno 4.000 entro la fine dell'anno: nei mesi scorsi, subito dopo un altro agguato mortale, il governo aveva infatti accolto la richiesta della Nato di incrementare il contingente di 3.000 uomini e aveva deciso di inviarne altre mille. Nel 2011, secondo quanto annunciato anche dagli Usa, dovrebbe iniziare la fase di rientro. Ma l’andamento delle operazioni sul terreno non lascia presagire nulla di buono. I contingenti europei più numerosi sono quello britannico, con 9.500 unità circa, tedesco (4.400), francese (3.750) e italiano. Notevoli anche le presenze canadesi (oltre 2.800), polacca (quasi 2000) e turca (oltre 1.750), mentre gli olandesi, dopo la caduta del governo in primavera, non hanno più rinnovato il mandato del loro contingente di 1940 uomini. I Paesi che, a qualsiasi titolo, contribuiscono, o hanno contribuito, all’Isaf sono oltre 40. Le forze internazionali sono destinate a essere progressivamente sostituite, nelle operazioni militari, dall’esercito afghano, che dispone attualmente di oltre centomila unità e che dovrebbe averne 171.600 entro l’ottobre 2011. Per accelerare l’addestramento e l’impiego delle truppe afghane, la cui affidabilità è finora stata scarsa, la Nato non sollecita più agli alleati l’invio di unità combattenti, ma di istruttori: una richiesta in tal senso è stata fatta all’Italia in settembre dal segretario generale dell’Alleanza atlantica Anders Fogh Rasmussen. Il territorio afghano è suddiviso in cinque comandi regionali e 26 team provinciali di ricostruzione (Prt). Tranne un centinaio schierati a Kabul nella sede del comando della missione, i militari italiani sono nell’Ovest dell’Afghanistan: Herat è la sede del Comando regionale Ovest Isaf, da cui dipende un'area grande quanto il Nord Italia, con le province di Herat, Badghis, Ghowr e Farah.
domenica 10 ottobre 2010
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