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mercoledì 31 dicembre 2014

Usa: Obama alle Hawaii manda in buca le nozze dei militari

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu il 31/12/2014

2014/12/31 - Per una partita a golf, Barack Obama ha rischiato di mandare a monte le nozze di due militari Usa di stanza alle Hawaii, costretti a 'traslocare' all'ultimo minuto il loro matrimonio da una buca all’altra del campo dove era stato organizzato per lasciare il posto al presidente. Quando Obama l’ha saputo, ha preso il telefono e s’è scusato personalmente con la coppia: "Congratulazioni, sto malissimo, nessuno ce l'aveva detto". I due, Natalie Heimel e Edward Mallue Jr., non l’hanno presa male: lo dimostra il video che circola in rete, in cui li si vede ricevere la chiamata del 'comandante in capo'. Natalie ed Edward avevano organizzato il matrimonio per domenica al Kaneohe Klipper Golf Course, in una base della Marina alle Hawaii vicina alla casa delle vacanze degli Obama. Sabato, a sole 24 ore dall'evento, la sicurezza del presidente li ha avvisati della necessità di spostare la cerimonia. La coppia sapeva della presenza del presidente nel giorno del loro matrimonio e lo aveva pure invitato. Ma, con la lettera di Obama che li informava di non potere partecipare, i due hanno pure ricevuto l’invito a scegliersi un altro posto. I giovani, apparsi sorridenti in un'intervista alla Nbc, hanno minimizzato l'accaduto: "Sapevamo - ha ironizzato la Heimel - che due cose potevano rovinare il matrimonio: una era il clima e l'altra il presidente". Nella telefonata, Obama ha chiesto come Natalie ed Edward si sono conosciuti e sull’andamento del ricevimento. "Presidente, venga anche lei. Il bar è aperto", gli ha detto lo sposo. Ma Obama ha declinato: "Ho già combinato abbastanza guai … Almeno avrete una storia da raccontare". Gli invitati alle nozze hanno poi pubblicato le foto con l'hashtag #thanks_Obama14. Il caso ha pure avuto un mini-risvolto politico: "Pensavo che almeno a golf non combinasse danni", ha subito twittato polemicamente il senatore Rand Paul, uno dei potenziali candidati alla nomination repubblicana per Usa 2016. (dispacci d’agenzia – gp)

Italia/Ue: una presidenza, tante formulette, poca sostanza

Scritto per il blog de Il Fatto e, con varianti, per EurActiv.it il 31/12/2014

Quante Europe, nel semestre di presidenza di turno italiana del Consiglio dell’Ue: Matteo Renzi e tutti i suoi corifei ce l’hanno annunciata ‘nuova’ e ‘diversa’ (non ‘altra’ perché quello è il marchio d’una sinistra alternativa), più politica e meno burocratica e tecnocratica, addirittura -25 novembre- “senza approcci da algoritmo”. Bello, ma che vuol dire?

Le formule si sono sprecate, in una sorta di crescendo: l’Europa non si chiuda in un recinto dorato -6 novembre-; l’Europa sia speranza o perde una generazione –ancora il 25 novembre-; l’Europa cambi verso o sarà la Cenerentola del Mondo, se si riduce a uno scontro di ragionieri non avrà futuro -1 dicembre-; l’Europa è al bivio, o cambiamo direzione o la perdiamo -16 dicembre-; e, lo stesso giorno, la politica non la consegni ai tecnocrati; "Il partito degli euroscettici crescerà, se non cambiamo l'Europa, e si prenderà Paesi dalla grande, grande tradizione europea -29 dicembre-; e, ancora, "Il nostro modello è la Germania, sono convinto che potremo fare meglio della Germania”; “O l'Unione s’allarga o perde un’occasione … Quando qualcuno mette in forse l'ingresso nell’Ue dei paesi balcanici come l'Albania, sbaglia di grosso” -30 dicembre, a Tirana-.

Un’antologia di affermazioni, spesso apodittiche, molte condivisibili, alcune efficaci. Talune consciamente false: l’ingresso nell'Unione dei Paesi balcanici candidati, ad esempio, è escluso prima del 2020 –e la diplomazia italiana lo sa bene-. Certo, il premier si spende con Tirana, come con Belgrado e –su un altro piano- con Ankara, un sostegno all'adesione sapendo che non dovrà comunque pagare pegno, perché a frenare ci pensano altri.

Ma la sostanza del semestre d’Europa all'italiana?, che, sia detto per inciso, finisce alla mezzanotte di oggi, 31 dicembre, quando la Lettonia assume la presidenza di turno, e non il 13 gennaio, come, per convenienza politica interna, Renzi va dicendo.

"Mi piace pensare che il 2014 sia stato l'inizio d’una Europa casa della speranza e non più solo luogo della burocrazia", afferma il premier, con un’altra formula. Ora, a parte che il 2014 si chiude a crisi greca riaperta, con conseguenti ansie da ‘effetto contagio’, la presidenza italiana non poteva fare miracoli, specie in un semestre segnato da avvicendamenti istituzionali e dall'inevitabile stasi dei processi legislativi e decisionali europei, e non li ha fatti.

I risultati concreti ottenuti sono modesti e appaiono persino deludenti, se confrontati con le attese della vigilia. I progressi nell'integrazione ci sono: l’Unione bancaria è in porto –ma già lo era-; l’euro s’allarga domani a 19 con la Lituania –ma già si sapeva-; il negoziato tra Ue e Usa per l’area di libero scambio transatlantica va avanti –ma non c’è stata nessuna accelerazione particolare-. E, durante il semestre, passi avanti sono stati fatti sul fronte dell’immigrazione e su altri dossier.

Ma su quello che più sta a cuore all’Italia, il cambio d’accento da rigore a crescita, ci sono più parole che fatti: il ‘piano Juncker’ da 21 miliardi che diventano 315 deve essere messo a punto dall'Esecutivo comunitario a metà gennaio e vagliato dal Consiglio europeo a metà febbraio; e quanto ai margini di flessibilità, tante volte sbandierati, vanno ancora definiti e precisati.

Dopo di che, bisognerà mostrare che l’Italia, fanalino di coda dell’Unione per indicatori economici come la crescita e la competitività, ma leader per corruzione e opacità, saprà utilizzare bene i fondi del nuovo piano, quando non riesce a spendere quelli per la coesione.

Un’Europa ‘diversa’ ci serve di sicuro. Ma ci serve pure un’Italia diversa: meno parolaia e più concreta; meno formule e più fatti.

martedì 30 dicembre 2014

Usa: sondaggi; Gallup, Hillary la donna più ammirata, Obama l'uomo

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu il 30/12/2014

2014/12/30 - Per il 13° anno consecutivo, Hillary Clinton è la donna più ammirata dagli americani. E un altro sondaggio la dà facilmente vincitrice, in un ipotetico faccia a faccia presidenziale, contro Jeb Bush, con il 54% dei suffragi contro il 41%. La classifica dei più ammirati dagli americani, uomini e donne, viene stilata da 70 anni dall'istituto di sondaggi Gallup. Fra gli uomini, il presidente Barack Obama è primo per il 7° anno consecutivo, con il 19% delle preferenze, davanti a Papa Francesco (6%). Nella classifica maschile, molto frastagliata, figura al terzo posto il Clinton marito, l’ex presidente Bill (3%). Nei primi 10, il premier israeliano Benyamin Netanyahu e il presidente russo Vladimir Putin. Fra le donne, l'ex segretario di Stato e potenziale candidato presidenziale democratico per il 2016 –dovrebbe presto sciogliere la riserva- primeggia con il 12% dei voti, davanti alla popolarissima presentatrice televisiva Oprah Winfrey (8%) ed alla giovane pakistana Malala Yousafzai, vincitrice del Nobel per la Pace con la battaglia per l'istruzione femminile. Hillary supera di gran lunga la first lady Michelle Obama, quinta, con il 3%. Elizabeth Warren, senatrice democratica del Massachusetts, che potrebbe sfidarla nelle primarie, è nona con l'1%, come Laura Bush. Clinton è risultata l’americana più popolare per 19 volte, da quando fece ingresso alla Casa Bianca a fianco del marito Bill nel 1993, sei volte di più di Eleanor Roosevelt, first lady per 15 anni. La Gallup, rileva, però, che il margine di Hillary su Oprah è il più piccolo dal 2007. Sia Obama che la Clinton hanno visto scemare la propria popolarità quest'anno. "Di questi tempi, Hillary –nota la Gallup- l’anno prossimo potrebbe essere impegnata nella campagna per le primarie. Non è chiaro se questo la renderà più o meno ammirata. Da una parte, essere candidata le assicurerà di restare una figura preminente. Dall'altro lato, sarà valutata da una prospettiva più di parte, che potrebbe farla vedere sotto una luce meno favorevole". (dispacci d’agenzie-gp)

Sondaggi: Cnn, Jeb Bush battistrada repubblicano
2014/12/30 - In un eventuale duello per la conquista della Casa Bianca nel novembre 2016, Hillary Rodham Clinton, la più accreditata fra i potenziali candidati democratici, batterebbe Jeb Bush, battistrada repubblicano, con il 54% dei suffragi contro il 41%. Lo dice un sondaggio della Cnn. Bush è il candidato preferito dal 23% degli elettori repubblicani; il governatore del New Jersey Chris Christie è al 13%. Sia Hillary che Jeb lavorano da tempo attivamente alla loro candidatura e un loro confronto nel 2016 sarebbe una sorta di rivincita delle elezioni ’92, quando Bill Clinton, marito di Hillary, battè George Bush, padre di Jeb e presidente in carica. Bush, che in novembre raccoglieva il 14% dei favori dei repubblicani, ha fatto un balzo in avanti: fra i 15 potenziali candidati repubblicani presi in considerazione, una pletora, precede Christie e poi il neurochirurgo Ben Carson, l’ex governatore dell’Arkansas Mike Huckabee e il senatore Rand Paul. (dispacci d’agenzie-gp)

Grecia: Ue, Renzi esclude contagio Italia, l'Europa lo teme

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 30/12/2014

“Mi sento d’escludere totalmente un effetto contagio tra la Grecia e l’Italia: sono due Paesi diversi”: le parole di Matteo Renzi nella conferenza stampa di fine anno danno corpo, negandolo, al fantasma che tiene in ansia l’Unione in queste ore, il ‘contagio greco’. All’epilogo di una presidenza di turno incolore del Consiglio dell’Ue, il premier italiano vuole essere attento, prudente, rassicurante: "Seguiamo la situazione della Grecia, siamo preoccupati" come ogni altro Paese della zona euro; e - prosegue - "Ho la buona abitudine di non mettere il naso negli affari altrui … Da capo del governo lavorerò con Samaras finché sarà premier, poi con lui o con altri".

Ma quando Renzi aggiunge "Il nostro modello è la Germania, sono convinto che noi potremo fare meglio della Germania” esagera e alimenta l’inquietudine, invece di appianarla: vatti a fidare dell’Italia che ha alcuni fondamentali economici peggiori di quelli greci e un premier che le spara grosse. Perché la zona euro può gestire una Grecia nel caos, ma ha paura del collasso se l’Italia barcolla, come accadde nel 2012.

La reazione di Bruxelles alla notizia dell’ineluttabilità di nuove elezioni politiche greche è calma e riflessiva. I responsabili dell’Unione paiono già votati a evitare una deriva politica anti-Ue e, soprattutto, anti-rigore, con discorsi accattivanti. Parla il commissario agli Affari economici e monetari Pierre Moscovici, francese, socialista: è essenziale –dice- un forte impegno per realizzare "il necessario processo di riforme favorevoli alla crescita", così che la Grecia possa "nuovamente prosperare nell'Eurozona".

La cosa buona è che la paralisi politica sarà relativamente breve, di qui al voto il 25 gennaio. E, dopo, i leader greci saranno forti e freschi del sostegno popolare per fare le loro scelte. Indietro, ma in rimonta, nei sondaggi, il premier Samaras gioca la carta europea: enfatizza il peso delle elezioni e si dichiara convinto che “prevarranno le forze europeiste che sostengono i cambiamenti strutturali necessari”. In questo momento, Bruxelles vota per lui piuttosto che per il suo antagonista Tsipras; ma un appoggio dell’Ue smaccato potrebbe rivelarsi controproducente.

La Germania non fa però calcoli tattici. Il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble esorta la Grecia a tenere la barra dritta sulla rotta delle riforme economiche, invitando qualsiasi nuovo governo a proseguire l'azione dell'Esecutivo Samaras: "Le riforme rigorose stanno portando frutti e non c’è alternativa ad esse". Più bastone che carota, nelle parole di Schaeuble – e nessuno è sorpreso -: "Continueremo ad aiutare la Grecia ad aiutare se stessa sul percorso delle riforme. Ma se i greci prendono un'altra strada, farlo sarà difficile". Gli accordi raggiunti con il governo greco “non si cambiano”: “Qualunque nuovo governo dovrà rispettare le intese già sottoscritte”.

La voce non europea della troika, il Fondo monetario internazionale, evita proclami politici e fa solo constatazioni tecniche: i negoziati sul piano di aiuti alla Grecia riprenderanno dopo le elezioni e la successiva formazione del nuovo governo. Non c’è fretta, rileva il portavoce Gerry Rice, perché la Grecia non ha immediata necessità d'un intervento finanziario.

Come spesso accade, i mercati finanziari sono più nervosi e reattivi delle istituzioni internazionali: dopo la terza fumata nera nel Parlamento ellenico per l’elezione del nuovo presidente e la certezza delle elezioni, la borsa di Atene sprofonda, trascinandosi dietro Milano e Madrid. Gli operatori paventano l’ipotesi d’una vittoria della sinistra di Syriza, ostile al piano d’austerità della troika. Molte piazze europee in chiusura recuperano, ma Atene va giù del 3,91% e Milano, la più debole, dell’1,15%.

Per Bruxelles, la prospettiva peggiore è quella di una prolungata instabilità politica greca, che si verificherebbe, ad esempio, se il partito di Tsipras vincesse, ma non riuscisse a formare un governo. I prestiti internazionali garantiti dalla troika in cambio delle riforme sarebbero compromessi, senza una controparte con cui negoziare.

domenica 28 dicembre 2014

Afghanistan: Isaf, la missione finisce; Usa, la guerra continua

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu il 28/12/2014

2014/12/28 - Il 31 dicembre, in Afghanistan, terminerà, dopo 14 anni, la missione dell’Isaf: d’ora in poi, la Nato farà solo addestramento. Finisce, dunque, l'operazione 'Enduring Freedom', ma inizia il 1° gennaio l'operazione 'Resolute Support': per i circa 9.800 soldati Usa che resteranno sul territorio afghano, cambia poco. Il presidente Barack Obama li ha infatti autorizzati a missioni di combattimento, almeno per un altro anno, nel tentativo di evitare l’errore fatto in Iraq: ‘tutti a casa’ a fine 201, con il Paese sprofondato nel caos e nella violenza e, ben presto, le milizie del Califfato –quasi- al potere. Nel 2015 le forze Usa rimaste in Afghanistan potranno, dunque, ancora attaccare i talebani o altri gruppi che minaccino militari o civili americani o il governo afghano, e utilizzare contro di loro i caccia F-16, i bombardieri B-1B e i droni Predator e Reaper. Invece, l'Isaf, la International Security Assistance Force della Nato che da sempre affianca le forze di Kabul nella lotta contro i talebani, smantella. Il suo comandante, il generale Usa John Campbell, ha avuto toni retorici, durante una cerimonia blindata a Kabul: "Abbiamo portato il popolo afghano fuori dal buio della disperazione e gli abbiamo dato speranze per il futuro e … abbiamo reso i nostri Paesi più sicuri”". Ma l’evento d’addio era stato tenuto segreto fino all'ultimo per evitare attentati: un segno dell’insicurezza che persiste nel Paese. Il 1° gennaio, la missione dell'Isaf, che ha subito 3.485 perdite dal 2001, fra cui una quarantina d’italiani, sarà rimpiazzata da una missione ‘d’addestramento e supporto’, mentre la responsabilità della sicurezza passerà ai 350.000 uomini dell'esercito afghano. L’instabilità afghana è attestata dal fatto che le vittime civili, per lo più causate da attacchi talebani -10 mila solo a novembre-, sono aumentate del 19% nel 2014, quelle tra gli uomini della polizia e dell'esercito sono state 4.600. Anche sul fronte politico è caos: l'Afghanistan non ha un governo da tre mesi e ci sono minacce di impeachment per il nuovo presidente Ashraf Ghani e il premier Abdullah Abdullah che non hanno completato l’iter parlamentare per il nuovo esecutivo di unità nazionale. L'Italia è ancora presente in Afghanistan con 1.411 soldati, dislocati principalmente nella base di Herat e a Kabul, che nei prossimi mesi saranno gradualmente ritirati. (AFP/AGI-gp)

sabato 27 dicembre 2014

Usa: tensioni razziali; NY, funerali poliziotto, De Blasio contestato, Obama manda Biden

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu il 27/12/2014

2014/12/27 - Decine di migliaia di persone hanno partecipato a New York, nel Queens, ai funerali di Rafael Ramos, uno dei due poliziotti uccisi, una settimana fa, a Brooklyn, da un afroamericano che s’è poi suicidato. Il sindaco Bill De Blasio, presente alla cerimonia, è stato di nuovo contestato da alcuni agenti, che, sul sagrato della Christ Tabernacle Church, gli hanno voltato le spalle durante il suo discorso. Una forma di protesta analoga a quella che dei poliziotti avevano già messo in atto all'arrivo di De Blasio all'ospedale dove furono portati i due agenti dopo l'agguato del 20 dicembre, commesso per vendicare le uccisioni di afroamericani disarmati da parte della polizia. "La città ha perso un eroe", ha detto il sindaco di New York. Prima di lui aveva parlato il vicepresidente Usa: Joe Biden, applaudito dentro e fuori la chiesa, ha reso omaggio al Dipartimento di Polizia di New York, probabilmente "il migliore del mondo". Il capo della polizia Bill Bratton ha annunciato che entrambi gli agenti uccisi sono stati promossi 'post mortem' a detective di primo grado. Migliaia di persone avevano già partecipato la scorsa notte a una veglia di preghiera sul feretro di Ramos, coperto con la bandiera verde, bianca e azzurra della polizia di New York e portato in chiesa da sei agenti in uniforme, mentre decine di altri formavano un picchetto d'onore. Sposato e padre di due figli adolescenti, Ramos, 40 anni, era nella polizia dal 2012 e stava per diventare cappellano. Quello di oggi è considerato il più imponente funerale nella storia della polizia statunitense: quasi 700 agenti hanno profittato dell'offerta di una compagnia aerea, la JetBlue Airways Corp, di portarli gratis a New York. De Blasio, accusato dai colleghi di Ramos di avere "le mani sporche di sangue", sperava che la cerimonia lenisse le ferite e ricompattasse una città lacerata dall'ondata di proteste contro la violenza della polizia e le decisioni dei giudici che hanno puntualmente assolto gli agenti. Venerdì 26 dicembre, un aereo aveva sorvolato il fiume Hudson trainando uno striscione con su scritto: "De Blasio, ti abbiamo voltato le spalle". A pagarne le spese, agenti di polizia in servizio e in pensione. Ramos venne ucciso a sangue freddo il 20 dicembre, un sabato pomeriggio, col collega Wenjianm Liu, 32 anni, i cui funerali devono ancora essere celebrati: i due erano in servizio, seduti nella loro auto civetta a Brooklyn. L'aggressore, Isamaaiyl Brinsley, un nero di 28 anni con precedenti penali, si era poi suicidato in una stazione della metro: aveva spiegato sul web che voleva vendicare la morte degli afroamericani uccisi da poliziotti bianchi, poi assolti dai giudici. (AGI-gp)

venerdì 26 dicembre 2014

Usa: Natale alle Hawaii di Obama non diventa cine-panettone

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu il 26/12/2014


2014/12/26 - Il Natale alle Hawaii di Barack Obama e della sua famiglia non si trasforma in un cine-panettone di gaffe, come volevano i repubblicani, che rimproverano al presidente vacanze d’inverno a priori troppo lunghe –due settimane- e pure inopportune, per la somma di problemi, dalle tensioni razziali alla situazione economica, per non citare le crisi internazionali. Dalla Hawaii, invece, il presidente Obama ha potuto commentare con soddisfazione la decisione della Sony di diffondere il film ‘The Interview’, nonostante le pressioni della Corea del Nord e gli attacchi di hacker –diversificatisi negli ultimi giorni, senza che l’origine ne sia chiara- e i risultati economici del terzo trimestre, addirittura trionfali per l’Amministrazione , che hanno spinto l’indice principale di Wall Street per la prima volta sopra quota 18mila e hanno rafforzato il dollaro sull’euro. Soltanto le tensioni razziali non accennano a placarsi; anzi, vengono rinfocolate da nuovi episodi. Come l’uccisione d’un nero di 18 anni, Antonio Martin, colpito a morte da un poliziotto bianco a Berkeley in Missouri il 23 dicembre. La vigilia di Natale, ci sono stati arresti, dopo manifestazioni di protesta e una veglia alla stazione di servizio dov’è avvenuta la sparatoria letale: secondo fonti della polizia, smentite da altri testimoni, Martin si sarebbe rifiutato di sottoporsi a una perquisizione e sarebbe stato armato. Berkeley dista pochi chilometri da Ferguson dove un poliziotto bianco ad agosto uccise Michael Brown, 18 anni, nero e disarmato, scatenando un’ondata di proteste in tutta l’Unione. A New York, il nervosismo resta palpabile dopo l'uccisione a sangue freddo il 20 dicembre di due agenti di polizia a Brooklyn da parte di un nero mentalmente instabile. Vi sono stati arresti e sarebbe stato sventato un piano d’attacco contro una stazione della polizia. A rasserenare la situazione non contribuisce il verdetto d’un gran giurì della contea di Harris in Texas: l'agente di polizia di Houston Juventino Castro che uccise Jordan Backer, 26 anni, nero e disarmato, non sarà incriminato. Una decisione in lina con altre recenti, a Ferguson, a Cleveland, a New York. (gp)

mercoledì 24 dicembre 2014

Usa: regali di Natale per Obama, esce The Interview, l'economia è record

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu il 24/12/2014

NordCorea: Obama la spunta, Sony fa uscire 'The Interview' a Natale

2014/12/24 - Un altro successo di fine anno per il presidente Usa Barack Obama, con la decisione della Sony d’autorizzare la proiezione del film 'The Interview' a partire da Natale. La Casa Bianca commenta positivamente il contrordine sulla diffusione della pellicola, una satira sul leader nordcoreano Kim Jong-un, inizialmente cancellata dopo un cyber-attacco intimidatorio contro la Sony. L'uscita avverrà solo nelle sale che chiedono di proiettare il film, che narra un complotto della Cia –fittizio- per assassinare Kim. Molto soddisfatto anche il protagonista e co-regista Seth Rogen: "Il popolo ha parlato! La libertà ha prevalso! Sony non s’è arresa", esulta su Twitter. La notizia è stata data dall'amministratore delegato della Sony Picture, Michael Lynton, senza specificare in quante sale la pellicola sarà proiettata. Cinema di Atlanta, Austin, Dallas e Houston hanno annunciato sui social media che daranno il film, la cui uscita era stata inizialmente cancellata dalla Sony dopo l'attacco informatico attribuito ad hacker del governo nordcoreano. Una decisione che il presidente Obama aveva definito "sbagliata" perché gli Stati Uniti "non si lasciano intimidire". Intellettuali, politici e distributori si sono uniti all'appello del presidente affinché 'The Interview' venisse proiettato ed era stata pure lanciata una petizione per l'uscita del film voluta dalle case di distribuzione indipendenti. Il deputato democratico Brad Sherman ha chiesto a Sony di proiettare 'The Interview' al Congresso "per dimostrare che il Parlamento americano - ha detto - difende la libertà di espressione". Secondo una indagine di Cnn/Orc, condotta tra il 18 e il 21 dicembre e diffusa il 23, il 36% degli americani riteneva che la Sony avesse fatto bene a cancellare l'uscita del film, mentre il 62% pensava che fosse stato un errore. (AGI-gp)

Repubblicani: ricoverato ex presidente George Bush, crisi respiratoria

2014/12/24 - E' stato ricoverato in ospedale in Texas per una crisi respiratoria l'ex presidente statunitense George H.W. Bush il 41° inquilino della Casa Bianca, padre di George W. Bush, il 43°, e di Jeb Bush, che aspira a divenire il 45°. Il ricovero è stato annunciato dal portavoce della famiglia. "Il presidente Bush è stato portato in ambulanza allo Houston Methodist Hospital per precauzione, dopo aver avuto un problema respiratorio", ha riferito Jim McGrath, sottolineando che "l'ex presidente, 90 anni, viene mantenuto in osservazione". George Bush senior è stato presidente per un solo mandato, dal 1989 al 1993, dopo essere stato vice di Ronald Reagan per due mandati, dal 1981 al 1989. Prima, fra l’altro, aveva guidato la Cia ed era stato ambasciatore a Pechino. Durante la sua presidenza, una coalizione guidata dagli Stati Uniti ed avallata dall’Onu aveva cacciato dal Kuwait le truppe irachene che l’avevano invaso: popolarissimo dopo quel successo, Bush aveva però pagato nelle elezioni del 1992 la flessione dell’economia, finendo sconfitto dal suo sfidante Bill Clinton. (gp)

Economia: Usa, corre Pil +5% al top da 11 anni

2014/12/24 - Nel terzo trimestre il Pil Usa accelera e viene rivisto al rialzo, passando dal +3,9% della seconda lettura al +5% delle terza e finale lettura, il top da 11 anni. Il dato è migliore delle attese degli analisti, che si aspettavano una correzione al rialzo al 4,3%, dopo il +4,6% del secondo trimestre e il -2,1% dei primi tre mesi. La revisione del Pil indica che "l'economia è cresciuta al tasso più veloce da oltre un decennio", sottolinea la Casa Bianca, per la quale il 2014 è stato un "anno di svolta" per gli Stati Uniti, anche se "c'è ancora molto da fare per consentire a tutti gli americani di condividere la ripresa". Ad accendere il motore dell'economia Usa nel terzo trimestre sono stati in particolare i consumi, che valgono i due terzi del Pil e che sono stati rivisti al rialzo a +3,2% dal +2,2% della seconda lettura. Bene anche gli investimenti delle imprese, cresciuti dell'8,9% rispettop all'iniziale +7,1%, mentre l'export è salito del 4,9% e le scorte sono cresciute da 79 a 82 miliardi di dollari, un livello elevato, che potrebbe indurre le aziende a frenare la produzione nei prossimi trimestri. La sorprendente impennata del Pil Usa ha contagiato i mercati, a partire dalle borse. A Wall Street il Dow Jones è salito per la prima volta nella sua storia oltre i 18 mila punti. Sul mercato valutario, l'impennata del Pil Usa ha spinto al rialzo il dollaro, che ha bruciato l'euro, sceso sotto 1,22 a 1,2164, il minimo da 28 mesi. L'effetto Pil Usa ha inoltre rafforzato il prezzo del petrolio. (AGI-gp)

domenica 21 dicembre 2014

Usa: Immigrazione, Cuba, tensioni, NordCorea, Obama è tornato

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu il 21/12/2014

2014/12/21 - Sembrava ridotto a un’ameba politica, dopo il voto di Mid-term: ‘anatra zoppa’, nell’ultimo biennio alla Casa Bianca. Invece, da un mese in qua, Barack Obama ha preso l’iniziativa, deciso a dettare lui l’agenda politica al nuovo Congresso, che s’insedierà a gennaio, a maggioranza repubblicana sia alla Camera che al Senato. Obama ha lanciato la riforma dell’immigrazione con l’equivalente Usa d’un decreto legge, costringendo il Congresso ad occuparsene; e ha abbattuto il muro diplomatico delle relazioni con Cuba, passando al Congresso la patata bollente della fine dell’embargo. L’opposizione repubblicana fa la voce grossa, ma su entrambi i fronti avrà problemi politici a fare saltare le iniziative presidenziali. Obama, inoltre, a farsi sentire sul fronte razziale, dopo l’uccisione di due poliziotti a New York; colora in rosa l’economia americana 2015/’16: bacchetta sia la Sony che la Corea del Nord nella vicenda del film censurato –permettetemi un’opinione personale: non è una grande idea, quella di fare satira raccontando un piano della Cia per uccidere un capo di Stato estero-. Da ultimo, è storia di oggi, il presidente torna a ribadire che farà il possibile per realizzare una delle sue prime promesse elettorali, chiudere la prigione di Guantanamo. Alla Cnn, il presidente dice: "C'è qualcosa che continua a ispirare jihadisti ed estremisti nel mondo, il fatto di detenere queste persone. E' contrario ai nostri valori, oltre che essere follemente costoso. Spendiamo milioni per ogni persona detenuta a Guantanamo", ha detto Obama. Nel carcere per “nemici combattenti” nella base sull’isola di Cuba restano 132 detenuti, dopo la decisione di trasferirne quattro, afghani, nel Paese d'origine. (Gp)

Economia: Obama; rinascita americana è realtà, fiducia 2015

2014/12/19 - "La rinascita dell'America è una realtà: stiamo sicuramente meglio". Così il presidente Barack Obama, nella conferenza stampa di fine anno -caratterizzata dal fatto che a fare le domande siano state fatte solo da giornaliste donne-, sottolineando i progressi ottenuti soprattutto sul fronte dell'economia. "Lo scorso anno avevo promesso che il 2014 sarebbe stato un anno d’azione e lo è stato - ha detto -. Entriamo nel 2015 con fiducia": "Siamo così ben posizionati come non avveniva da molto tempo" e "la crescita dell'occupazione non è mai stata così alta dagli Anni 90”. Obama, inoltre, ha difeso le sue azioni in materia di sanità e l'importanza della riforma dell'immigrazione. Sul fronte della politica estera, ha sottolineato la leadership dell'America nella campagna contro l’Is, nella risposta alla Russia sulla crisi ucraina, contro l'Ebola e nell’apertura a Cuba. E ha rilevato: "La mia presidenza sta entrando nell'ultimo quarto, quando di solito succedono cose molto interessanti alle quali guardo con impazienza"; "Voglio lavorare con il nuovo Congresso e riuscire ad ottenere risultati". Incalzato sul fatto che il Congresso da gennaio sarà in mano ai repubblicani, Obama ha detto. "Saremo in disaccordo su diverse questioni, ma ci sono aree di potenziale accordo e dobbiamo trovarlo. Ciò naturalmente comporta dei compromessi". Il presidente s’è congedato dicendo "Mahalo", riferendosi al fatto che era in partenza per le vacanze hawaiane con la famiglia. (AGI-gp)

venerdì 19 dicembre 2014

Italia/Ue: presidenza, un Vertice breve (e pure vuoto)

Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano e per EurActiv.it il 19/12/2014

Il semestre di presidenza di turno italiana del Consiglio dell’Ue s’è di fatto concluso con il Vertice di ieri a Bruxelles: un Vertice breve, più breve del previsto, e pure vuoto, più vuoto del solito. Non c’era nulla da decidere; e c’era poco da discutere, anche per evitare di litigare sul nulla.

Tutti a casa, dunque, i leader dei 28 già ieri notte, evitando di riprendere i lavori questa mattina. L’agenda era esaurita: delle comunicazioni della Commissione sul ‘piano Juncker’ avevano già preso atto; e le preoccupazioni di rito per i focolai di crisi internazionali le avevano già espresse.

Era oggettivamente difficile fare di più e meglio, nella circostanza – e, forse, in tutto il semestre -. Ma di tracciare bilanci definitivi della presidenza di turno italiana del Consiglio dell’Ue, collocata allo snodo di ineludibili scadenze istituzionali, come il nuovo Parlamento e la nuova Commissione,  di  ci sarà modo e tempo, di qui alla fine dell’anno.

Colpisce, però, il tentativo di presentare come successi risultati che, nella migliore delle ipotesi, sono neutri. E, soprattutto, l’acquiescenza di molti media di fronte a tale tentativo. Prendiamo, a mo’ d’esempio, il ‘piano Juncker’ e la flessibilità.

Il ‘piano Juncker’ è il piano di investimenti che, partendo da un fondo di 21 miliardi di euro, si propone di mobilitarne in investimenti oltre 300 in tre, o più, anni, innescando crescita e occupazione. Bene, il piano non è stato affatto approvato, per la semplice ragione che non è stato neppure presentato.

Il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker ha illustrato le linee guida del suo progetto, come aveva già fatto al Parlamento europeo, ed è stato incoraggiato ad andare avanti. Ma l’Esecutivo si riunirà il 13 gennaio, per discuterlo e vararlo; e il Consiglio europeo ha già previsto una riunione straordinaria il 12 e 13 febbraio, per discuterlo ed eventualmente adottarlo.

Solo allora le condizioni d’attuazione del piano saranno definite. E, quindi, solo allora la flessibilità, ad esempio, sull'esenzione dal Patto di Stabilità degli investimenti nazionali funzionali al piano potrà considerarsi acquisita, se lo sarà – e c’è margine perché lo sia-, ovviamente alle condizioni che verranno concordate.

Quanto poi a sostenere che la parola flessibilità è apparsa per la prima volta in un testo europeo ieri, i documenti dell’Ue sono pieni di aperture alla flessibilità “nell'ambito degli impegni esistenti”. E, per ora, non siamo andati al di là.

Infine, c’è ‘sta voce italo-italica che il presidente Napolitano attenderebbe per dimettersi la chiusura del semestre di presidenza, cioè –leggete e sentite ovunque- metà gennaio, quando il premier Renzi si presenterà al Parlamento europeo a fare il proprio rapporto sulla presidenza italiana. Ora, quali che siano le intenzioni di Napolitano che io non conosco, il semestre italiano finisce alla mezzanotte del 31 dicembre: allo scoccare del Nuovo Anno, onori e oneri della presidenza di turno passeranno alla Lettonia, sgravando Matteo e i suoi ministri dal fardello dell’impegno europeo che, forse, li ha rallentati sulla via delle cose da fare in Italia.

Perché, negli ultimi sei mesi, di decisioni se ne sono prese poche in Europa, ma pure poche in Italia. E, invece, come canticchiava il premier Renzi, lasciando ieri notte il podio europeo –lo riferiscono testimoni oculari-, ci sono state “parole, parole, parole”. Chi è la Mina del premier Alberto Lupo?

Russia: Putin fa lo slalom tra crisi, orsi e banane

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 19/12/2014

Vattela a prendere con i luoghi comuni, sullo zar e gli autocrati, se Putin stesso accusa l’Occidente di voler “incatenare l’orso russo” e d’avere ordito in Ucraina un golpe da “repubblica delle banane”. In una conferenza stampa alluvionale, durata oltre tre ore, il presidente russo Vladimir Putin sparge retorica che sollecita il nazionalismo, ma si sforza soprattutto di rassicurare i suoi cittadini, che, spaventati dal calo dei prezzi del petrolio e soprattutto dalla caduta del rublo, si precipitano a fare acquisti temendo un ritorno alla stagione degli scaffali vuoti di sovietica memoria.

In realtà, le rassicurazioni di Putin sono relative: l'economia russa si riprenderà "entro due anni”, dice, senza però spiegare bene come. Al posto di annunci, contro la peggiore crisi finanziaria russa del XXI Secolo, previsioni vaghe e l’ammissione del sussistere di “fattori d’incertezza numerosi”.

Sulla crisi ucraina, Putin resta inflessibile, bollando come “imperialisti” gli occidentali che vogliono mettere in riga i loro “vassalli”. E accusando Kiev di “spedizioni punitive” contro i ribelli russofoni dell’Ucraina orientale.

E’ tempo di contraddizioni, nel Mondo. Un anacronismo viene cancellato (il muro tra Usa e Cuba) e un altro viene riproposto: la Guerra Fredda tra Mosca e Washington. Putin revoca un muro “virtuale”, ma ammette che esso “comincia a essere costruito”. E, mentre il presidente russo parla, l’Ue lo invita a un cambio di strategia “radicale” e annuncia una raffica di sanzioni, bloccando tutti gli investimenti occidentali nella Crimea annessa a marzo (e che Mosca giudica parte “inalienabile” della Russia).

Di fronte ai giornalisti, Putin è nervoso e meno spigliato del solito: la crisi economica e le tensioni per l'Ucraina gli pesano addosso: "Non sono tempi facili – ammette -, ma ne usciremo rafforzati". Mercati e cambi gli credono solo in parte: il rublo resta debole, la Borsa va su del 5%.

La metafora dell’orso, il simbolo della Russia, torna più volte, per raccontare i tentativi dell'Occidente di mettere Mosca sotto tutela. "A volte, penso che l'orso dovrebbe starsene tranquillo a vivere di frutti di bosco e miele, per essere lasciato in pace. Ma non è così, perché cercheranno sempre d’incatenarlo e, messolo in catene, gli strapperanno denti e artigli e lo imbalsameranno".

Anche la crisi è innescata prima di tutto "da fattori esterni", le sanzioni finanziarie euro-americane e la ‘guerra del petrolio’ intentata dai Paesi dell’Opec, magari per conto terzi. Conti alla mano, Putin assicura che, nonostante tutto, le entrate dello Stato saranno più alte delle spese e il Pil a fine anno sarà cresciuto dello 0,6% (meglio che in Francia e in Italia, per guardare nel piatto europeo).

Ma la crisi non è superata, anzi il peggio deve ancora venire: "Gli sviluppi in prospettiva non sono favorevoli, dovremo rivedere i nostri piani, dovremo tagliare un po' le spese”. Anche se “una svolta positiva è inevitabile. La crescita globale continuerà e la nostra economia rimbalzerà".

Putin difende la Banca centrale, che non è la sola responsabile del crollo del rublo, e il governo: "Stanno prendendo misure adeguate", anche se sui tempi e sulle scelte si può discutere. E ammette che la Russia ha le sue responsabilità, non avendo profittato delle ‘vacche grasse’ degli anni passati per diversificare la propria economia, che resta dipendente dall'andamento dei prodotti energetici.

Vanno meglio gli affari di cuore che quelli di Stato. Putin si dichiara “innamorato” - di chi, non lo dice - e aggiunge che i rapporti con l’ex moglie Ludmilla sono “buoni”.

giovedì 18 dicembre 2014

Marò: Italia-India, Davide senza fionda contro Golia con l'atomica

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 18/12/2014
La strada diplomatica è tutta in salita, quella giudiziaria un dedalo di viuzze, quella politica tipo Davide senza fionda contro Golia con l’atomica. Quasi tre anni – e molte grida - dopo, la vicenda dei due marò è messa male. Peggio di quanto non sia mai stata. E s’illude chi pensa che “adesso l’Europa è con noi”, perché Federica Mogherini, divenuta Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune, s’agita a Bruxelles più di quanto non abbia mai fatto prima la britannica Lady Ashton.
In questa storia, la Mogherini è chiaramente percepita come una voce di parte, quando avverte che la questione di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone può incidere sui rapporti globali tra India e Ue. A livello europeo, gli strali della Mogherini trovano eco solo fra gli eurodeputati italiani.
Del resto, i fatti non tengono dietro alle parole: nella sostanza, l'Ue “continua a seguire” la vicenda, in contatto con il Governo italiano, e “reitera la richiesta di rapida soluzione”, condivisa, “nell'interesse sia dell'Italia sia dell'India, sulla base del diritto internazionale". C’è di mezzo anche l’efficacia della lotta contro la pirateria, su cui l'Ue è "fortemente impegnata".
Nessuna capitale europea è pronta a mettersi contro l’India, grande quanto l’Unione, con tre volte gli abitanti dell’Unione e un Pil che vale già il nostro e un posto nel G8. Quanto al premier Narendra Modi, che corteggia il nazionalismo indiano, un po’ di frizioni internazionali possono persino fargli gioco, anche se i due marò non valgono un incidente di frontiera con il Pakistan.
Incerto fin dall’inizio tra il pugno sul tavolo e il negoziato, il governo richiama per consultazioni l’ambasciatore in India Daniele Mancini: c’è “delusione” e “irritazione” dopo che la Corte Suprema di New Delhi ha respinto le richieste di Latorre e Girone (la decisione ha “fortemente contrariato” pure il presidente Napolitano).
I due marò sono accusati di avere causato la morte di due pescatori indiani nel febbraio 2012, mentre erano in missione anti-pirateria a bordo di una nave italiana in acque internazionali nell’Oceano Indiano.
Davanti alle Commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato, i ministri Paolo Gentiloni (Esteri) e Roberta Pinotti (Difesa) dicono che Latorre, vittima di un ictus l’estate scorsa, non tornerà in India alla scadenza del suo permesso, il 13 gennaio, perché “i medici ci dicono che deve curarsi qui”: "Non è un atto di sfida né di scontro, ma una presa d'atto della situazione", parola di Pinotti. Il pieno recupero fisico del fuciliere è "una priorità": non sarà fatto "nulla per metterlo a rischio".
Quanto a Girone, i giudici indiani hanno respinto la richiesta di tornare a casa per Natale, oltre che quella di ulteriore allentamento della libertà vigilata. Pesa ancora la manfrina  tra il 2012 e il 2013, quando i marò, tornati in Italia per le feste, furono prima trattenuti, poi rimandati.
L'Italia è pronta a "qualsiasi passo" per risolvere la situazione: il richiamo dell'ambasciatore non è “un gesto di rottura”, ma “l’espressione d’un malessere”; è una mossa per concordare le successive, come l'apertura dell'arbitrato internazionale, che è pronto, ma venne congelato puntando –chissà perché- su una soluzione diplomatica dopo l’insediamento del nuovo governo indiano. Non che l’arbitrato sia un toccasana: bisogna che l’India l’accetti e prende tempo.
Il presidente della Commissione Esteri del Senato, Pier Ferdinando Casini, chiede che sia istituita “una cabina di regia con rappresentanti dell’opposizione per coordinare le iniziative sui marò". E l’ex ministro degli Esteri, ed ex commissario europeo, Franco Frattini, sollecita un’azione congiunta Onu-Ue: "bisognava internazionalizzare la crisi subito", non anni dopo.
Magari, era meglio non innescarla. Ma questa è un’altra storia.

mercoledì 17 dicembre 2014

Usa-Cuba: disgelo Obama è assist a repubblicani

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu il 17/12/2014

2014/12/17 - Il disgelo tra Stati Uniti e Cuba, che riprendono le relazioni diplomatiche, dopo oltre mezzo secolo, è, in proiezione Usa 2016, un assist fornito dal presidente Obama ad alcuni potenziali candidati repubblicani, in particolare a quelli che vengono dalla Florida, lo Stato degli esuli cubani anti-castristi, Jeb Bush e Marco Rubio. In una giornata storica, e con una mossa a sorpresa, Obama ha aperto un "nuovo capitolo" nei rapporti tra Washington e l’Avana, ammettendo che "cinquant'anni di isolazionismo non hanno portato a nulla" e che "l'embargo ha fallito". Jeb Bush ha subito fatto sapere che si opporrà alla svolta nelle relazioni tra Stati Uniti e Cuba: l’ex governatore della Florida, figlio di un ex presidente e fratello di un ex presidente, aveva annunciato solo ieri di stare pensando a candidarsi alla nomination repubblicana per le prossime presidenziali. Il senatore Marco Rubio, altro potenziale candidato repubblicano, giudica l'accordo tra Obama e Raul Castro "inspiegabile" e dice che cambierà idea solo quando Cuba diventerà una democrazia. "La Casa Bianca ha concesso tutto e ha ottenuto poco", afferma Rubio, di origini cubane e presto a capo della sottocommissione Esteri per l'Emisfero occidentale. "Userò ogni strumento a nostra disposizione", assicura Rubio, che tenterà di ostacolare il finanziamento della futura ambasciata all'Avana e d’impedire la nomina dell'ambasciatore. Le critiche a Obama sono bipartisan: senatori e deputati repubblicani e democratici intendono ostacolare in ogni modo la rimozione dell'embargo, prerogativa del Congresso. Lo speaker della Camera, John Boehner, leader repubblicano, giudica il passo odierno l'ultima di una "lunga serie di concessioni irragionevoli a una dittatura che brutalizza il proprio popolo, trama contro i nemici" e "incoraggia gli Stati che appoggiano il terrorismo". Il presidente della Commissione Esteri del Senato, Robert Menendez, democratico, ritiene che Obama abbia così "giustificato l'atteggiamento brutale del governo cubano". In particolare, per Menendez, lo scambio di prigionieri è stato "asimmetrico”. (gp)

Ue: Ice, rischio di eutanasia per New Deal 4 Europe

Scritto per EurActiv.it il 17/12/2014
Rischio di eutanasia per l’Iniziativa dei cittadini europei (Ice) New Deal 4 Europe, che chiede l'avvio di un piano straordinario di investimenti europei per rilanciare lo sviluppo sostenibile e l'occupazione. L’Ice potrebbe spegnersi prima del previsto o evolvere verso altre forme di mobilitazione popolare.
Di fronte all'afflusso non incoraggiante delle firme, neppure 20 mila rispetto al milione necessario, a meno di tre mesi dalla conclusione, il 7 marzo, dell’anno concesso per la raccolta, in una recente riunione del comitato promotore italiano è stata ventilata l’ipotesi di proporre al comitato europeo, che deve riunirsi a inizio 2015, di chiudere l’iniziativa e di rilanciarla o sotto forma di petizione al Parlamento europeo o sempre come Ice, ma con una nuova formulazione.
L’ipotesi non fa però l’unanimità fra i promotori italiani: c’è chi pensa che per decidere il da farsi bisogna prima attendere comunque la scadenza del 7 marzo.
L’ipotesi di chiusura e di rilancio di New Deal 4 Europe si basa sul fatto che alcuni obiettivi sarebbero già stati conseguiti, almeno potenzialmente, con il cosiddetto ‘piano Juncker’ per la crescita e l’occupazione, che, stanziando 21 miliardi di euro, ne mobiliterebbe oltre 300.
L’Iniziativa dei cittadini europei è una proposta di legge che, per essere recepita dalla Commissione europea,  deve raccogliere un milione di adesioni di cittadini di almeno sette paesi Ue entro un anno. Il New Deal europeo prevede, fra l’altro, di utilizzare la tassa sulle transazioni finanziarie e una nuova carbon tax (ovvero una tassa sulle emissioni inquinanti) a garanzia d’emissioni di titoli di Stato europei, così da ottenere un investimento annuo di circa 100 miliardi di euro. Soprattutto la carbon tax avrebbe ottenuto poco sostegno in Germania e in altri Paesi.
L'Ice è sostenuta da un Manifesto i cui primi firmatari sono grandi personalità europee (fra cui Michel Albert, Ulrich Beck, don Luigi Ciotti, Daniel Cohn Bendit, Monica Frassoni, Emilio Gabaglio, Sylvie Goulard, Pascal Lamy, John Palmer, Romano Prodi, Barbara Spinelli e molti altri).
Èd è formalmente appoggiata da molte realtà dell'europeismo, del sindacalismo e della società civile. Del Comitato promotore italiano fanno parte: Associazione Cattolica dei Lavoratori Italiani (ACLI); Federazione delle ACLI Internazionali; Associazione Europea degli Insegnanti (AEDE); Associazione Italiana dei Consigli dei Comuni e delle Regioni d'Europa (AICCRE); Altramente; Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI); Associazione Ricreativa e Culturale Italiana (ARCI); Network sindacale e di ricerca Attore Sociale Europeo per una Governance Europea (ASEGE); Centro Einstein di Studi Internazionali (CESI); Confederazione Generale Italiana del Lavoro (CGIL); Centro Internazionale di Formazione Europea (CIFE); Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori (CISL); European Alternatives; Freedom, Legality and Rights in Europe (FLARE); Libera; Legambiente; Libertà e Giustizia; Movimento Federalista Europeo (MFE); Movimento Europeo; Unione Italiana del Lavoro (UIL).

Eppure, nonostante questo schieramento apparentemente impressionante di personalità e di sigle, l’impatto dell’Iniziativa, almeno a giudicare dalle firme finora raccolte, è stato modesto. Anche perché non tutte le personalità né tutte le organizzazioni vi si sono davvero impegnate. In questo contesto, con la prospettiva d’un fallimento, ha germogliato l’idea dell’eutanasia.

Ue: presidenza italiana; Vertice, ultimo atto

Scritto per EurActiv.it il 17/12/2014

Presidenza italiana, ultimo atto: il Vertice europeo di domani e venerdì, a Bruxelles, segna, di fatto, la conclusione del turno semestrale di presidenza italiana del Consiglio dell'Ue, pur se il passaggio di consegne alla presidenza lettone avverrà il 31 dicembre. Sarà una chiusura senza botti: infatti, capi di Stato e di governo dei 28 non sono chiamati a decisioni di particolare rilievo. Il Vertice sarà il primo sotto la presidenza di Donald Tusk, succeduto il 1° dicembre a Herman Van Rompuy.

Fonti Ue hanno oggi confermato quanto era stato detto ieri da Matteo Renzi al Parlamento italiano: il Vertice affronterà la questione dell'interpretazione flessibile degli investimenti per la crescita, senza che siano però attesi decisioni in tal senso: "C’è margine per discutere qualunque questione - ha detto un alto funzionario-, inclusa la flessibilità del Patto di Stabilità e crescita”, per dare più spazio alla spesa pubblica, “ma non credo che ci sia un’intesa unanime per riformulare il Patto".

La fonte rispondeva a una domanda sullo scorporo degli investimenti dal Patto evocato di nuovo ieri dal premier: l’ipotesi continua a dividere i 28.

Quanto al cosiddetto ‘piano Juncker’, il pacchetto d’investimenti per rilanciare crescita e occupazione, il dibattito fra i leader dell'Ue non potrà che essere generale: la Commissione, infatti, presenterà solo a gennaio una proposta dettagliata, con l’obiettivo di rendere il piano d’investimenti “pienamente operativo” entro metà anno.

Il presidente Tusk ha invitato al Vertice il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, e il presidente della Banca europea per gli investimenti, Werner Hoyer. Nella lettera d’invito diffusa alla stampa, Tusk lascia aperta la porta a una versione ‘breve’ del Consiglio europeo, che potrebbe concludersi giovedì sera, dopo meno di otto ore d’incontri e discussioni, e che si protrarrà venerdì solo “se necessario”.

I temi economici e finanziari saranno affrontati nel pomeriggio –i lavori inizieranno alle 16.00- e durante la cena di lavoro. In serata, i leader dei 28 parleranno delle crisi internazionali, spaziando dall'Ucraina al Medio Oriente. Potrebbe essere evocato il mantenimento di Hamas nella lista nera delle organizzazioni terroristiche, dopo una sentenza di segno opposto oggi della Corte di Giustizia dell'Ue. ... di qui in avanti, collage di dispacci d'agenzia ...

martedì 16 dicembre 2014

Diplomazia: Roma crocevia di tutte le crisi, assente l'Italia

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 16/12/2014

Roma è stata per due giorni crocevia della diplomazia internazionale. Quasi all’insaputa dei padroni di casa. Il segretario di Stato Usa John Kerry s’installa a Villa Taverna, residenza dell’ambasciatore John Phillips: vede domenica il ministro russo Lavrov e ieri il premier israeliano Netanyahu, mentre il ministro degli Esteri Gentiloni è a Bruxelles, a un Consiglio dell’Ue che manco presiede –ci pensa Federica Mogherini, l’Alto Rappresentante della politica estera e di sicurezza europea-.

Non che Kerry cavi granché da questa sua ‘vacanza romana’. Ma il segretario di Stato fa volentieri di Villa Taverna il suo quartier generale: incontra pure il segretario di Stato Vaticano Parolin e gli chiede un aiuto per la chiusura di Guantanamo, una soluzione umanitaria per quei detenuti ormai scomodi.

Cattolico, Kerry ha studiato in Svizzera, ha vissuto a Parigi e a Berlino, ama Roma –e il ristorante ‘Pierluigi’- ed ha una seconda moglie, portoghese e poliglotta, che parla italiano. La villa sul Lago di Como che fu di George Clooney prima apparteneva alla sua famiglia. Tutte cose che, nel 2004, contribuirono alla sua sconfitta nelle elezioni presidenziali, in un’America ancora ossessionata dal complesso dell’assedio.

Medio Oriente - Con Netanyahu, c’è poco da sperare in concessioni, specie adesso che Israele vive in un clima pre-elettorale. Il premier sbarca a Roma dopo avere ribadito il no a "qualsiasi pressione" del Consiglio di Sicurezza dell'Onu: nessuna scadenza per il ritiro israeliano da Cisgiordania e Gerusalemme Est. "Non accetteremo misure unilaterali in un lasso di tempo determinato, mentre l'islamismo radicale si diffonde nel mondo intero", è la linea di Netanyahu. Che si aspetta che Washington "resti fedele alle sue politiche di lungo corso" e metta il veto alla risoluzione proposta da giordani e palestinesi per spingere Israele a ritirarsi entro i confini del 1967 nel giro di due anni.

Oggi, a Londra, Kerry incontra una delegazione palestinese e il segretario generale della Lega araba Nabil El Arabi, oltre ad alcuni ministri di Paesi arabi. Loro gli chiederanno di non mettere il veto.

Crisi ucraina – Su questo fronte, i colloqui di Roma sono serviti a poco, almeno stando a quanto scrive Lavrov su Facebook: lo sviluppo delle relazioni tra Russia e Usa "è possibile solo sulla base della parità e degli interessi reciproci … Ogni tentativo di far pressione sulla Russia è destinato a fallire". Un riferimento alla legge appena adottata dal Congresso per ulteriori sanzioni a Mosca e per la fornitura di armi a Kiev. Una misura “ostile”: Putin auspica che Obama non la firmi.

Quanto alla crisi ucraina, Lavrov sottolinea la “primaria importanza” della “costante attuazione della tregua di Minsk”, come pure “la riunione al più presto del gruppo di contatto".

In tre ore di colloquio, Kerry e Lavrov hanno pure parlato “della necessità di dare nuovo impeto al processo di pace israelo-palestinese, della risoluzione del conflitto siriano e della definizione d’un accordo completo sul programma nucleare iraniano".

Il ruolo di Renzi - Netanyahu viene anche ricevuto da Renzi, fresco di smacco, lungo il percorso della sua ‘politica estera degli autocrati amici’, che lo induce a serrare le relazioni con l’Egitto, l’Azerbaigian e la Turchia. Non s’è ancora spenta l’eco dei suoi peana al premier Erdogan che Usa e Ue, con una nota della Mogherini -l’ingrata!-, ne condannano la museruola alla libertà di stampa.

Ma Renzi forse manco lo nota. Quel che gli preme ora è trovare un posto all’estero, magari all’Onu, a Romano Prodi. Però tra Quirinale –domani- e Palazzo di Vetro -2016-, i tempi non tornano.

domenica 14 dicembre 2014

Usa 2016: Democratici, staff Obama lancia Warren anti-Hillary

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu il 14/12/2014 

2014/12/14 - Donna contro donna: in campo democratico, c’è chi ci pensa. Infatti, alcuni membri dello staff delle campagne presidenziali di Barack Obama nel 2008 e nel 2012 sono scesi in campo e hanno lanciato la candidatura di Elizabeth Warren, senatrice democratica del Massachussetts e donna energica. I promotori dell’iniziativa, forse alla ricerca di un ruolo nella campagna 2016, chiedono alla Warren di sfidare Hillary Clinton, in quella che altrimenti rischia di essere una corsa senza ostacoli alla nomination. In una lettera di cui dà notizia il New York Post, gli ex collaboratori del candidato Obama si dichiarano ‘Ready for Warren’: la paladina dei consumatori, nemica giurata di Wall Street e della finanza affarista, ha un  grande seguito fra i democratici ‘liberal’, ma incontra fortissime ostilità negli ambienti conservatori della società americana. Nella lettera, si legge: “L’aumento delle diseguaglianze è una sfida dei nostri tempi e noi vogliamo qualcuno che sostenga le famiglie che lavorano e che sia contro Wall Street e gli interessi che rallentano l’economia”. (vv-gp)

Repubblicani: Jeb Bush si mette a dieta e assume collaboratori

2014/12/14 – Segnali di candidatura da Jeb Bush, ex governatore della Florida, figlio di presidente e fratello di presidente –sarebbe una prima volta alla Casa Bianca-. Non c’è ancora nessun annuncio, ma la resistenza della famiglia –scrive la stampa americana- si sarebbe allentata, i suoi consiglieri stanno assumendo nuovi collaboratori e –soprattutto- lui ha perso nuotando sette chili in pochi mesi, dopo che la sua linea aveva perso ogni suggestione di dinamismo presidenziale. Certo, permangono sulla sua candidatura incognite politiche: Jeb s’interroga sulla possibilità di ottenere la nomination senza fare –troppe- concessioni all’ala più conservatrice del suo partito e restando il più possibile fedele alla sua linea, centrista e, quindi, potenzialmente capace di catturare l’elettorato moderato e indeciso. Jeb Bush è, ad esempio, aperto al compromesso con i democratici sui temi del bilancio e della riforma dell’immigrazione. (vv-gp)

Usa: protesta razziale; troppi morti ammazzati (neri), poca giustizia

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 14/12/2014

Una, due, tre, troppe Ferguson. E i neri d’America tornano a marciare su Washington, come fecero il 28 agosto 1963, quando il pastore Martin Luther King pronunciò il ‘discorso del sogno’, davanti al Lincoln Memorial, con la spianata del Mall gremita di gente fino all’obelisco di Washington.

Questa volta i manifestanti non sono così numerosi: decine di migliaia, comunque più dei 5000 mila che gli organizzatori avevano prudentemente previsto. L’America è di nuovo in strada a protestare: ieri a Washington e New York; da settimane ormai in decine di località. Come ai tempi del Vietnam e dell’affermazione dei diritti civili.

In 50 anni, certo, gli afro-americani hanno conquistato posizioni importanti nella società, poliziotti, giudici, professori, astronauti, scienziati, ministri, fino alla Casa Bianca. Ma le cronache mostrano che l’uguaglianza di fronte alla giustizia non è ancora garantita.

Chi marcia protesta contro gli agenti di polizia che hanno ucciso cittadini neri disarmati a Ferguson, nel Missouri, a Cleveland nell’Ohio, a Orlando in Florida e a New York; e contro giudici e giurie che hanno lasciato impuniti i responsabili. Tutti a mani alzate, in segno di resa, a gridare "Non sparare", o "Non respiro".

“Giustizia per tutti”, “Siamo tutti uguali'', “La vita dei neri conta”, ''Basta violenza della polizia'' dicono alcuni degli striscioni che i manifestanti sciorinano. Ma ce ne sono di più aggressivi, che scandiscono “Niente giustizia, niente pace”.

I due episodi che hanno innescato la nuova stagione di fermenti razziali in tutta l’Unione sono stati la mancata incriminazione degli agenti responsabili della morte di Michael Brown a Ferguson e d’Eric Garner a New York, oltre che l’uccisione Cleveland di un ragazzino di 12 anni che giocava in un parco con un’arma finta.

"Abbiamo bisogno di più che di sole parole, vogliamo un'azione legislativa", sostiene Al Sharpton, il pastore che guida la protesta a Washington. E’ una critica implicita al presidente Obama, che pare timoroso di ‘agire da nero’ alla Casa Bianca: riconosce che le comunità di colore hanno motivi per protestare, ma raccomanda soprattutto la moderazione.

I manifestanti chiedono al Congresso di approvare una legge che attribuisca ai procuratori federali la responsabilità dei casi che coinvolgono agenti, poiché i magistrati locali, che lavorano a contatto con la polizia, sono in conflitto di interessi, spiega Sharpton. Del resto, l’avanzata dei diritti civili, negli Stati Uniti, è stata sempre promossa a livello federale più che statale.

Alla marcia di Washington partecipano i familiari di Brown e di Garner e anche di Akai Gurley – altra vittima della polizia di New York -. E di Trayvon Martin, ucciso da un vigilante ispanico – di lui, Obama disse che poteva essere suo figlio -.

A Washington, i manifestanti si sono dati appuntamento a Freedom Plaza a mezzogiorno e hanno poi ‘occupato’ Pennsylvania Avenue, tra la Casa Bianca e il Campidoglio. A New York, il raduno era a Washington Square: i dimostranti hanno sfilato fino al quartier generale del New York Police Department a Lower Manhattan, il celebre NYPD di tante serie tv. 

Poche ore prima della protesta nera, il sindacato degli agenti di polizia della Grande Mela lanciava una petizione online, perché il sindaco Bill de Blasio non partecipi più ai funerali dei poliziotti che perdono la vita sul lavoro. Il sindacato ritiene la presenza di de Blasio un "insulto al loro sacrificio" visto il "rifiuto del sindaco di mostrare agli agenti il sostegno e l’appoggio che meritano".

De Blasio ha criticato la mancata incriminazione del poliziotto che uccise Garner: un passo che non è piaciuto a 2/3 dei newyorchesi. Lo spartiacque razziale è netto, nel giudizio sul sindaco che guarda alla Casa Bianca: piace al 70% dei nei, solo a un terzo dei bianchi.

sabato 13 dicembre 2014

Usa: bilancio; evitato 'shutdown', Congresso vara compromesso

Scritto per www-GpNewsUsa2016.eu il 13/12/2014

Evitato lo 'shutdown': il Congresso ha definitivamente varato un piano per coprire le spese pubbliche fino al 30 settembre 2015. Il risultato è frutto d’un compromesso tra i democratici e i repubblicani che, da gennaio, avranno il controllo sia della Camera che del Senato. Il presidente Barack Obama giudica ritiene che il piano da 1014 miliardi di dollari  approvato consenta progressi sul fronte "dell'economia e della sicurezza". S’è così scongiurato il rischio d’una paralisi di tutte le attività non essenziali d’uffici e servizi federali ed è stata prevista la copertura della lotta con il sedicente Stato islamico e del contrasto all'ebola. I repubblicani, vincitori delle elezioni di Mid-term, hanno ottenuto l’allentamento della riforma di Wall Street - le banche che potranno continuare a scambiare derivati con garanzie federali -, l’aumento del tetto delle donazioni che un cittadino può fare a un partito e pure lo slittamento al 2015 del confronto sulla riforma dell’immigrazione (che avverrà quando loro avranno il controllo del Congresso). Il provvedimento è contestato dall'ala 'liberal' democratica. Nelle stesse ore, è stata pure approvata la legge che autorizza una spesa di 577 miliardi di dollari per la difesa, con 64 miliardi di dollari per le guerre all'estero, tra cui quella in Afghanistan. I fondi coprono, tra l'altro, il foraggiamento dei curdi in funzione anti- Califfato e l'addestramento e l’appoggio delle milizie dell'opposizione moderata siriana. Riferendosi al compromesso di bilancio, Obama ha precisato: "Se l'avessi scritta io, questa legge sarebbe stata diversa”. (AGI-AFP-gp)

venerdì 12 dicembre 2014

Usa: torture; Brennan fa mea culpa, Obama lo conferma

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu il 12/12/2014

2014/12/12 - Il direttore della Cia difende il lavoro dell'Agenzia messo sotto accusa dal rapporto shock del Senato sulle torture, ma ammette errori. Dopo l’attacco all’America dell'11 Settembre 2001, "non c'erano risposte facili”: la Cia "era impreparata a gestire interrogatori di prigionieri", riconosce John Brennan, durante una rara conferenza stampa in diretta tv durata 45 minuti.

Il capo della Cia non ha mai usato la parola "tortura", ma ha definito i metodi di alcuni agenti "duri" e in alcuni casi "ripugnanti", nel periodo dal 2003 al 2009, cioè fino alla presidenza Obama. Prima della conferenza stampa, la Casa Bianca aveva rinnovato "piena fiducia" al direttore della Cia: "Brennan svolge il suo lavoro in modo professionale", aveva detto il portavoce Josh Earnest.

Il capo della Cia partecipa alle riunioni mattutine fra i più stretti collaboratori del presidente Obama e vi era presente anche giovedì mattina.

A caldo, subito dopo la pubblicazione del rapporto del Senato, che critica gli abusi degli 007 Usa dopo l'11 Settembre, Brennan aveva affermato che le tecniche d’interrogatorio contestate avevano “prodotto informazioni di intelligence, contribuito a evitare attacchi, a catturare terroristi e a salvare vite umane".

Nella conferenza stampa, il capo della Cia, che all'epoca dei fatti era il numero due dell’Agenzia, ha ammesso: "Ero a conoscenza del programma"; e ha aggiunto: "Non siamo un'istituzione perfetta, ci sono stati momenti in cui forse s’è passato il limite", ricordando, tuttavia, che sul programma c'è stata un'inchiesta del ministero della Giustizia che non ha portato ad alcuna incriminazione.

"Molti dei nostri successi non saranno mai conosciuti", ha osservato Brennan, ribadendo che alcune informazioni ottenute con i metodi messi al bando dall'Amministrazione Obama sono state usate anche per la cattura di Osama bin Laden, il capo di al Qaida, ispiratore dell’11 Settembre. "A coloro che sostengono che non siano emersi dati di intelligence di rilievo da quegli interrogatori dico che si tratta di un'affermazione prima di fondamento", ha rincarato il direttore dell'Agenzia, notando che "se il nesso di causa ed effetto non può essere provato non può neppure essere smentito". (AGI-gp)