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lunedì 31 ottobre 2016

Usa 2016: Fbi & mail, 650mila documenti, interrogativi e illazioni

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 31/10/2016, incorporando l'articolo per Il Fatto Quotidiano dello stesso giorno

Agenti dell'Fbi sapevano da inizio ottobre che materiale trovato nel computer di Anthony Weiner, utilizzato anche dalla moglie Huma Abedin, la più stretta collaboratrice di Hillary Clinton, poteva essere attinente all'inchiesta sull'emailgate. Lo scrive il WP, secondo cui gli agenti avrebbero però aspettato settimane prima di informare il loro direttore, James Comey. L’illazione è uno dei tanti tasselli non ufficialmente confermati che vanno a comporre il puzzle della vicenda che scuote e cambia la campagna presidenziale negli Stati Uniti.

Gli agenti federali hanno intanto ottenuto il mandato necessario per cominciare a vagliare le mail potenzialmente attinenti all’emailgate e stabilire quali e quante siano davvero rilevanti ai fini dell'inchiesta relativa all'utilizzo di un account e di un server privati da parte della Clinton quando era segretario di Stato. Lo dice la Abc, spiegando che il mandato era necessario perché il materiale è stato trovato nell'ambito di un’altra indagine, che riguarda l’invio, da parte di Weiner, di messaggi dal contenuto sessuale a una 15enne.

Per il WSJ, le mail da vagliare sono circa 650 mila. E quelle inviate o ricevute dal server privato della ex segretario di Stato potrebbero essere migliaia.

Reazioni e critiche alla riapertura dell’inchiesta - La decisione di Comey di riaprire l’inchiesta e di annunciarlo al Congresso continua a suscitare critiche. L'ex ministro della Giustizia Eric Holder è tra i firmatari di una lettera - ottenuta dall'Associated Press -, sottoscritta da decine di altri ex procuratori federali, estremamente dura nei confronti del direttore dell'Fbi.

E John Podesta, il capo della campagna elettorale della candidata democratica, torna a chiedere che Comey spieghi la sua decisione "senza precedenti" presa a pochi giorni dall’Election Day.

Per il leader dei democratici al Senato, Harry Reid, la decisione di Comey è "un'azione di parte" e, quindi, una potenziale violazione della legge federale (Hatch Act) che vieta a funzionari governativi di utilizzare la propria posizione per influenzare un voto. Le osservazioni sono contenute in una lettera che il senatore Reid – rivela il WSJ – ha scritto al direttore Comey: "Scrivo per informare che il mio ufficio ha stabilito che le sue azioni potrebbero violare l'Hatch Act”. Stando alla Cnn, quattro esponenti democratici del Congresso avrebbero a loro volta chiesto a Comey di fornire entro oggi spiegazioni sulla sua decisione.

Le letture di Hillary e Donald - Hillary Clinton e Donald Trump danno letture diametralmente diverse della decisione del direttore dell’Fbi Comey di riaprire, a poco più di una settimana dall’Election Day, l’inchiesta già archiviata sulle mail dell’ex segretario di Stato. E i sondaggi mostrano un’America turbata e più divisa che mai.

“Non ci faremo distrarre”, dice la candidata democratica in un comizio in Florida, dove si presenta senza la sua principale collaboratrice Huma Abedin, coinvolta nei sussulti dell’inchiesta dell’Fbi e rimasta a New York per collaborare con gli inquirenti.

"E' abbastanza strano che qualcosa del genere accada così a ridosso dal voto", osserva Hillary: "E' senza precedenti ed è profondamente preoccupante … La gente ha il diritto di sapere: chiediamo che tutte le informazioni siano rapidamente diffuse". Ma, invece di notizie, circolano solo illazioni, su cui il candidato repubblicano specula.

"Il dipartimento della Giustizia sta facendo enormi sforzi per proteggere” la Clinton, insinua Trump, basandosi su indiscrezioni dei media secondo cui il segretario alla Giustizia Loretta era contraria alla decisione di Comey di riaprire l’inchiesta e d’informarne il Congresso. "Alcuni, ed io fra questi, pensano che Hillary abbia offerto a Loretta di confermarla".

Trump arriva a ringraziare Weiner. "Mai pensato che avrei dovuto dirgli grazie", dice a un comizio, spostando poi il tiro sulla sua rivale: "Hillary ha solo se stessa da biasimare per i suoi problemi legali". Il marito della Abedin non è invece popolare fra i democratici: “Mai stato un suo fan, neppure prima che finisse nei guai”, dice il vice-presidente Joe Biden, intervistato dalla Cnn, anch’egli favorevole, come Hillary, a che l’Fbi divulghi i documenti.

Riflettori su Huma e sui rapporti con Hillary - La riapertura dell’inchiesta sulle mail riaccende l’attenzione su Huma Abedin, molto più che un'assistente e un braccio destro per Hillary, che la ritiene “una seconda figlia”. L’interesse dell’Fbi si concentra sul computer che la Abedin condivideva con il marito ed ex deputato.

Gli agenti si sono imbattuti in mail di Huma a Hillary – e viceversa -, esaminando il computer che ritenevano di Weiner. L'Fbi non ha ancora stabilito se quei documenti siano doppioni di quelli già esaminati e se, nel caso non lo siano, contengano informazioni classificate. La Abedin, che è accanto alla Clinton da quando aveva 19 anni e ne divenne stagista – oggi, ne ha 40 -, non si capacita di come le sue mail siano finite in quel computer, che di solito non usava.

Sondaggi e previsioni contraddittori - L’aggiornamento quotidiano del sondaggio Abc/WP indica un testa a testa serrato fra l’ex segretario di Stato ed il magnate – ieri + 2, oggi + 1 per Hillary, statisticamente pari -. Ma quasi due americani su tre indicano che il sussulto delle mail non condiziona il loro voto, pur se uno su tre è oggi meno incline a votare per la Clinton – e solo il 2% più incline -.

Inquietante, per l’ex first lady, anche un dato del NYT dalla Florida, con l’Ohio lo Stato più cruciale nella corsa alla Casa Bianca: Trump le è davanti di quattro punti, senza contare l’effetto mail. Lei mobilita al voto i suoi sostenitori: "Battiamo i record" di affluenza, dice, nella convinzione, condivisa, che più gente va alle urne meglio è per lei.

Il sito Fivethirtyeight.com dà sempre Hillary vincente in termini di Grandi Elettori, ma le possibilità di Trump, che erano scese al 12,5%, risalgono al 21%. Il sito 270towin.com mantiene l’incertezza: assegna alla democratica 258 Grandi Elettori – ce ne vogliono 270 – e al repubblicano 157, lasciandone 123 in bilico.

Una polemicuzza che si stempera - La mossa di Comey, sfruttata dalla propaganda repubblicana, rimescola nell’opinione pubblica tutte le sensazioni di mancanza di sincerità che accompagnano i Clinton, dalle speculazioni immobiliari di quando ancora vivevano in Arkansas ai finanziamenti stranieri alla loro Fondazione. Il clamore dà anche risalto a un’altra polemicuzza: Hillary e Bill avrebbero ristrutturato una loro proprietà senza i permessi necessari.

Secondo 'The Journal News', la casa in questione, acquistata in agosto per 1,6 milioni di dollari, è accanto alla residenza della famiglia a Chappaqua, vicino a New York. Dopo l’acquisto, i Clinton avrebbero rinnovato piscina, cucina e illuminazione, senza autorizzazione. Un ispettore avrebbe compiuto un sopralluogo il 5 ottobre, dopo avere ricevuto una segnalazione.

Ma, almeno su questo fronte, i Clinton possono stare tranquilli: i permessi per le ristrutturazioni sono arrivati, hanno ieri confermato le autorità locali. Robert Greenstein, un responsabile, ha fatto sapere che durante i lavori "era effettivamente emerso" che l'impresa non si era preoccupata di avere tutti i permessi necessari. Una volta informati, i Clinton si sono "attivati immediatamente" perché tutto fosse in regola. (fonti vv – gp)

domenica 30 ottobre 2016

Usa 2016: Fbi & mail, Comey il direttore che spariglia le regole del gioco

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 30/10/2016 e poi ripreso da www.GpNewsUsa2016.eu

Fino a venerdì sera, erano relativamente pochi gli americani che sapevano chi fosse James Brien ‘Jim’ Comey Jr., il direttore del Federal Bureau of Investigation, l’Fbi, che, in italiano, diventa incomprensibilmente femminile. Oggi, pochi ignorano chi sia, anche se quasi nessuno sa perché abbia fatto quel che ha fatto.

Una figura, quella di Comey, un avvocato di 56 anni, che non ha lo spessore mitico e senza uguali di J. Edgar Hoover, il direttore del Bureau da quando esiste con questo nome (1935, quando c’era alla Casa Bianca Franklyn Delano Roosevelt) fino al 1972, dopo essere già stato direttore dal 1924 del Bureau of Investigation, il predecessore dell’Fbi, creato nel 1908.

I direttori dell’Fbi sono pellacce. Ce ne sono stati solo sette finora, capaci sovente di sopravvivere ad avvicendamenti alla presidenza da un partito all’altro: accadde a William H. Webster, nominato da Carter e rimasto con Reagan, e a Robert S. Mueller II, nominato da Bush e rimasto per tutto il primo mandato di Obama.

Una ricetta della durata? Immischiarsi poco nella politica, quasi per niente nelle elezioni; e servire l’Istituzione più che le persone. Hoover non avrebbe mai preso la decisione di Comey: irrompere con un’inchiesta nella campagna presidenziali a dieci giorni dall’Election Day; per di più al buio, perché il direttore dice di ignorare se gli elementi in possesso dell’Fbi siano penalmente rilevanti.

La nomina del direttore del Bureau spetta al presidente degli Stati Uniti, ma ci vuole la conferma del Senato, come per i giudici della Corte Suprema e i ministri. Dal 1976, il mandato è decennale, ma a parte Webster, altro nome celebre, come William S. Sessions e Louis J. Freeh, nessuno l’ha rispettato alla lettera. Nel 2004, con la riorganizzazione della sicurezza conseguente agli attacchi terroristici dell’11 Settembre 2001, il direttore del Bureau è anche direttore dell’Intelligence nazionale.

Uno dei trucchi del mestiere è quello di non mettersi in mostra e di non attirare troppo l’attenzione dei media, se non quando c’è da celebrare qualche successo nella prevenzione o nella repressione.

Con la decisione di riaprire l’inchiesta sulle mail di Hillary Clinton, Comey non ha certo rispettato la regola d’oro: sui media americani, è una tempesta di titoli che lo riguardano e soprattutto d’interrogativi, stile ‘che cosa’ e ‘chi’ glielo ha fatto fare. Qualche esempio: “E’ fuoco incrociato sul direttore Comey”, New York Times; “Comey sotto accusa per la sua controversa decisione”, Washington Post; e addirittura “E’ ora che Comey se ne vada”, Cnn, firmato dall’analista legale della rete ‘all news’ Paul Callan.

Chi è Comey? Dopo avere fatto un’esperienza nella giustizia federale a New York, fu numero due al Dipartimento della Giustizia dal dicembre 2003 all’agosto 2005, quand’era presidente George W. Bush: gestiva la routine del ministero.

Lasciata l’Amministrazione federale, è stato consigliere e vice-presidente della Lockheed Martin, con sede a Bethesda, alle porte di Washington, e poi consigliere della Bridgewater Association, che ha sede a Westport, nel Connecticut. All’inizio del 2013, altro cambio di carriera: dal settore privato all’accademia, alla prestigiosa Columbia Law School di New York.

Nel settembre di quell’anno, il presidente Obama lo scelse come nuovo direttore dell’Fbi: prevalse la sua fama di uomo serio e integerrimo sul suo profilo di repubblicano dichiarato. Oggi, Obama ha forse il dubbio che il repubblicano abbia prevalso sul professionista, con il rischio di coinvolgere nel discredito la stessa Istituzione, che gode nell'Unione di un prestigio ai confini della leggenda, costruito sul mito dei Gmen (gli uomini del governo) e alimentato da decine di film e di serie.

Comey s’è comportato come un arbitro che agisce per compensazione, quando ha il dubbio d’avere sbagliato: a luglio, forse un po’ in fretta, chiuse l’inchiesta sulle mail della Clinton senza sollecitarne il rinvio a giudizio; adesso, l’ha riaperta al buio e in extremis. Come fischiare un rigore al 90° dopo avere annullato un gol nel primo tempo: il rischio è quello di aggravare lo sbaglio, senza fare giustizia.

Usa 2016: Fbi & mail, Hillary chiede chiarezza subito, Trump 'è Watergate'

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 30/10/2016 e poi aggiornato per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net dello stesso giorno

“Non ci faremo distrarre”, dice Hillary Clinton in un comizio in Florida, dove eccezionalmente arriva senza la sua principale collaboratrice Huma Abedin, coinvolta nei sussulti dell’inchiesta dell’Fbi sulle mail. Ma la riapertura dell’indagine annunciata dal direttore James Comey domina gli sviluppi della campagna elettorale negli Stati Uniti.

Sabato, è stata una giornata di retroscena che costituiscono solo tasselli di un puzzle incompleto, dove le domande senza risposta sono molte. Gli Stati Uniti precipita verso il voto nell’ambiguità, mentre un sondaggio di Abc e Washington Post segnala l’erosione del vantaggio della Clinton: due soli punti su Donald Trump, prima della decisione dell'Fbi di riaprire l'inchiesta sulle mail della candidata democratica.

La stampa Usa non ha ancora scoperto che cosa ci sia nelle mail in possesso dell’Fbi che giustifichi la riapertura dell’inchiesta a pochi giorni dall’Election Day. E tutti sono concordi, i media, dal NYT al WP, ma anche la Clinton e Trump, nel chiedere che la polizia federale faccia luce piena e subito; la stampa non maschera riserve sul tempismo della decisione e dell’annuncio.

Il direttore dell’Fbi James Comey ha agito dopo avere ricevuto, giovedì pomeriggio, informazioni da due suoi collaboratori, contro il parere del segretario alla Giustizia Loretta Lynch ed ignorando un avviso del Dipartimento che stava violando la prassi. In una lettera ai suoi dipendenti, Comey spiega d’avere sentito l’obbligo di andare avanti, pur consapevole del rischio di fraintendimenti, dopo che lui stesso aveva chiuso a luglio l’inchiesta sull’emailgate con un non luogo a procedere.

L’unico punto apparentemente fermo è che le mail non sono quelle di quando la Clinton, segretario di Stato, utilizzò un server privato invece di quello istituzionale (mettendo a rischio la sicurezza degli scambi) e neppure quelle hackerate alla campagna democratica e diffuse da Wikileaks. Escono dagli apparati informatici della più stretta collaboratrice di Hillary, la Abedin, sequestrati insieme a quelli di suo marito Anthony Weiner, implicato in una vicenda di messaggi sessuali.

Nell’attesa di sapere e di capire, il danno alla sua campagna della Clinton è fatto e Donald Trump esulta. ''Il popolo americano merita i fatti al completo, immediatamente – dice la Clinton - … E' imperativo che l'Fbi spieghi''. Hillary è ''certa che le nuove mail non muteranno le conclusioni già raggiunte dall'Fbi'' a luglio: ''Ho visto la lettera inviata al Congresso dal direttore Comey ... Lui stesso dice di non sapere se le mail siano rilevanti o meno… Il voto è in corso, il popolo americano merita di conoscere immediatamente i fatti al completo: è imperativo che l’Fbi spieghi la questione e sollevi i quesiti che ritiene, senza ritardi''.

Trump gongola, ma ne sa poco anche lui. "E' il più grande scandalo politico dal Watergate, tutti sperano che giustizia sia fatta", dice il magnate, fiducioso che “la giustizia prevarrà”. L'Fbi – osserva - non avrebbe fatto il passo se non lo avesse ritenuto necessario. Gli replica Carl Bernstein, il cronista del Washington Post che, con Bob Woodward, fu l’artefice dell’inchiesta che condusse, nel 1974, alle dimissioni di Nixon: questo "non è un Watergate", anche se – ammette - la decisione non sarebbe stata presa "se non ci fosse qualcosa di veramente serio".

Il clamore fa passare in secondo piano un’altra polemicuzza: i Clinton avrebbero recentemente ristrutturato una proprietà immobiliare senza aver ottenuto i permessi necessari. Secondo 'The Journal News', la casa in questione, acquistata in agosto per 1,6 milioni di dollari, è proprio accanto alla residenza della famiglia a Chappaqua nei pressi di New York. Dopo l’acquisto, i Clinton avrebbero rinnovato la piscina, la cucina e l’illuminazione, senza i dovuti permessi. Un ispettore avrebbe compiuto un sopralluogo il 5 ottobre, dopo avere ricevuto una segnalazione. (fonti vv - gp)

sabato 29 ottobre 2016

Mosul: s'avvicina l'ora Ics per la città degli scudi umani

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 29/10/2016

Adesso, speriamo di non dovere ammettere, di qui a qualche giorno, o qualche mese, che su Mosul aveva ragione Donald Trump. Il candidato repubblicano alla Casa Bianca sostiene che l’offensiva, lanciata una dozzina di giorni fa, si sta rivelando “un disastro totale” e dà la colpa agli strateghi dell’Amministrazione Obama: “Abbiamo dato agli jihadisti mesi di preavviso”, per prepararsi o andarsene, mentre a suo avviso l’effetto sorpresa sarebbe stato determinante.

Come ottenerlo, l’effetto sorpresa, il magnate non lo spiega. E gli specialisti ne liquidano i giudizi con sufficienza: “Quel che dice prova che non sa nulla di tattiche militari”, sentenzia il colonnello Jeff McCausland, già decano dell’Army War College e oggi esperto dell’Abc. Ma intorno a Mosul, dove si prepara l’assalto alla città, come minimo non va tutto a gonfie vele. E gli italiani, appostati alla diga a una trentina di chilometri, rischiano di trovarcisi in mezzo.

Le forze governative irachene, che avanzano lentamente da Sud, e i peshmerga curdi, che muovono più speditamente da nord-est, avrebbero praticamente circondato, col costante supporto aereo Usa, la capitale irachena dell’autoproclamato Califfato. L’attacco finale sarebbe imminente. Ma l’Onu avverte che l’intera popolazione sarà in pratica utilizzata come scudo umano dai miliziani jihadisti, la cui presenza dentro il perimetro dell’accerchiamento sarebbe ridotta a 3/4 mila unità, avendo molti combattenti abbandonato preventivamente la città divenuta insicura.

Gli attacchi jihadisti compiuti nei giorni scorsi a Kirkuk e altrove testimoniano che il sedicente Stato islamico conserva la capacità di colpire, anche se lo fa solo sporadicamente e non è più in grado di avanzare né di consolidare le proprie conquiste. Da Damasco, fonti del regime insinuano che l’accerchiamento di Mosul non sia completo: ai miliziani, sarebbe stata lasciata aperta una via di fuga a ovest verso la Siria, così da alleggerire il fronte iracheno e da appesantire quello siriano della Guerra al Terrorismo.

Secondo la portavoce dell’Alto Commissariato dell’Onu per i diritti umani Ravina Shamandasani, decine di migliaia di civili, donne, uomini, bambini, sono stati rastrellati dai miliziani tutto intorno alla loro capitale e portati dentro la città a fare da scudi umani, una pratica proibita – ricorda l’Onu -dal diritto militare. L’Alto Commissariato denuncia pure uccisioni di massa, fra cui i 190 ex militari iracheni e i 40 civili giustiziati mercoledì per non avere ottempoerato agli ordini del Califfo. E’ impossibile verificare l’accuratezza di tutte queste informazioni, anche se la Shamandasani cita “rapporti credibili” e fornisce il dettaglio villaggio per villaggio dei trasferimenti di civili forzati: oggi 60mila persone sarebbero attualmente ad Hamam al-Alil, una roccaforte jihadista che aveva, fino a pochi giorni fa, 23 mila abitanti.

L'inviato speciale americano per la coalizione anti-Isis, Brett McGurk, ieri a Roma per partecipare al seminario del Gruppo Speciale sul Mediterraneo e il Medio Oriente dell'Assemblea parlamentare della Nato, ha incontrato il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ed è stato prodigo di complimenti all’Italia, la cui presenza militare e imprenditoriale rende più sicura la diga di Mosul e che dà “straordinari contributi alla coalizione anti-terroristi”.


I circa 500 militari italiani e le maestranze che lavorano al consolidamento della diga sono, però, vicini a un fronte instabile. E il ministro Gentiloni stempera ottimismi e trionfalismi: la strada verso Musul resta “molto lunga e difficile”, anche se l’esito della battaglia sarà “positivo”.

Usa 2016: Fbi riapre inchiesta mail Hillary, Trump esulta

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 29/10/2016, sulla base dell'articolo per Il Fatto Quotidiano del 29/10/2016

Hillary Clinton chiede che l’Fbi faccia luce e subito. Ma, intanto, il danno alla sua campagna è fatto e Donald Trump esulta. ''Il popolo americano merita i fatti al completo, immediatamente – dice la Clinton - … E' imperativo che l'Fbi spieghi''. La candidata democratica reagisce così, in una conferenza stampa nello Iowa, alla comunicazione fatta dal direttore dell'Fbi James Comey sulla riapertura dell'inchiesta sulle sue mail, chiusa a luglio con un non luogo a procedere.

Poco prima, il manager della campagna elettorale di Hillary, John Podesta, con un comunicato aveva affermato che il direttore dell’Fbi "ha l'obbligo verso il popolo americano di fornire subito i dettagli completi di quanto sta esaminando … E' straordinario che una cosa del genere emerga 11 giorni prima delle elezioni presidenziali".

Nella conferenza stampa, Hillary s’è detta ''certa che le nuove mail non muteranno le conclusioni già raggiunte dall'Fbi'' a luglio: ''Ho visto la lettera inviata al Congresso dal direttore Comey ... Mancano 11 giorni da quella che è forse l'elezione più importante delle nostre vite, il voto è già avviato, il popolo americano merita di conoscere immediatamente i fatti al completo''.

La Clinton ha aggiunto: ''Lo stesso direttore Comey ha detto di non sapere se le mail cui si fa riferimento nella lettera siano rilevanti o meno … Io sono certa che quali esse siano non cambieranno le conclusioni raggiunte a luglio. E' perciò imperativo che l’Fbi spieghi la questione e sollevi i quesiti che ritiene, senza ritardi''.

Quanto al presunto coinvolgimento della sua più stretta collaboratrice Huma Abedin e soprattutto di suo marito Anthony Weiner, già implicato in uno scandalo per messaggi a sfondo sessuale, Hillary, dopo avere parlato con la Abedin, ha detto: “Abbiamo sentito queste indiscrezioni, non sappiamo a cosa credere''.

La sorpresa d’ottobre versione 2016 - Questa volta i panni del generale William Tecumseh Sherman li indossa James Comey, il direttore dell’Fbi. Nell’autunno 1864, il generale Sherman, comandante delle forze dell’Unione, contribuì in modo decisivo alla rielezione di Lincoln, con le vittorie nella Guerra Civile e la presa di Atlanta – la scena di Via col Vento –. Sherman creò così l’attesa della ‘sorpresa d’ottobre’, che da allora accompagna sempre le ultime battute delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti.

Quest’anno, Comey ha appena fatto sapere, scrivendo una lettera a membri del Congresso, d’avere deciso di riaprire le indagini sull’emailgate, lo scandalo relativo all’utilizzo di un account di posta privato da parte di Hillary Clinton quand’era segretario di Stato. L’Fbi ha già indagato in merito e ha già ‘assolto’ a luglio la Clinton dall’accusa d’avere messo a repentaglio informazioni riservate, non rinviandola a giudizio.

Adesso, però, sono emerse nuove mail, che vanno verificate: si ignora per il momento da dove escano e che cosa contengano, ma fonti di stampa le collegano – sorpresa nella sorpresa – allo scandalo a sfondo sessuale di cui è protagonista il marito della Abedin – i due si sono intanto lasciati -.

Una trave sulla campagna della Clinton - La notizia della riapertura delle indagini è una trave gettata sulla campagna democratica: Hillary non ne sapeva nulla e l’ha appreso all’arrivo nello Iowa, dove era attesa per un evento elettorale. Ha subito riunito il suo staff per discuterne, prima ancora di scendere dall’aereo. Poi, facendo un comizio a Cedar Springs, ha completamente glissato sull’argomento, fino alla conferenza stampa successiva.

Casa Bianca e Dipartimento di Stato si sono chiusi in laconici ‘no comment’. Il presidente Obama ha tenuto in serata un comizio in Florida a sostegno della candidata democratica.

Trump, “il più grande scandalo politico dal Watergate” - Su di giri, euforici, i commenti repubblicani. Donald Trump ha dato la notizia ai suoi sostenitori durante un comizio a Manchester, nel New Hampshire, suscitando un’ovazione: "Una corruzione su una scala mai vista prima", ha commentato il magnate, dicendo che la sua rivale vuole "portare il suo schema criminale nello Studio Ovale". "Sono contento – ha aggiunto Trump - che l'Fbi stia ponendo rimedio a tutti gli orribili errori finora fatti" nelle indagini sulle mail della Clinton.

E più tardi, parlando nello Iowa, dov’era pure Hillary, Trump è tornato sul tema: “E' il più grande scandalo politico dal Watergate, tutti sperano che giustizia sia fatta". Il magnate sostiene che l'Fbi non avrebbe fatto questo passo se non lo avesse ritenuto necessario: "La giustizia prevarrà".

La manager della campagna di Trump, Kellyanne Conway, scrive su Twitter: “Un grande giorno della nostra campagna è diventato ancora migliore”. Il presidente del Comitato nazionale repubblicano Reince Priebus suggerisce che la questione sia “seria”, per indurre l’Fbi a un passo del genere a 11 giorni dall’Election Day. E lo speaker della Camera Paul Ryan, notoriamente ostile a Trump, coglie l’occasione per rilanciare la richiesta che “tutti i briefing classificati destinati alla Clinton siano sospesi”. Ryan punta a che la novità permetta ai repubblicani di non perdere la maggioranza al Senato e alla Camera.

Il giallo della provenienza delle mail - Il giallo sulla provenienza e sui contenuti delle nuove mail di Hillary Clinton – decine di migliaia sono già state rese pubbliche e vagliate – alimenta voci non verificate. C’è chi sospetta un ruolo nella vicenda di Wikileaks e degli hacker russi che hanno a più riprese compiuto incursioni nei server della campagna democratica, ricavandone migliaia di documenti senza pepe. Wikileaks potrebbe, però, avere riservato il meglio all’Fbi, anche se ciò appare contrario alla filosofia dell’organizzazione di Julian Assange.

Né dà certezze l’indicazione, attribuita dalla Ap a fonti ufficiali, che le nuove mail non escono dall’account privato della Clinton. Ne sa di più il New York Times: le mail vengono da computer e telefonini sequestrati alla più stretta collaboratrice di Hillary, Huma Abedin, ed a suo marito Anthony Weiner, coinvolto in scambi di foto a contenuti sessuali. Resta da capire che cosa c’entri l’Fbi e la sicurezza nazionale con tutto ciò.

A luglio, l’Fbi aveva chiuso le indagini criticando la grave negligenza dell'ex segretario di Stato, ma escludendone responsabilità penali.

La Borsa e i mercati hanno subito colto l’impatto della notizia: Wall Street ha perso d’un colpo tutti i guadagni realizzati dopo che s’era saputo che il Pil Usa nel terzo trimestre era cresciuto al tasso più alto da due anni in qua. (prima parte ANSA, resto gp)

venerdì 28 ottobre 2016

Usa 2016: Hillary & Michelle, alleate diverse, ticket per la vittoria

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 28/10/2016 e ripreso da www.GpNewsUsa2016 lo stesso giorno

Insieme su un palco della campagna presidenziale, per la prima volta: Michelle Obama, la first lady, e Hillary Clinton, candidata democratica alla Casa Banca, sono state ieri coprotagoniste d’un evento a Winston-Salem, in North Carolina, uno degli Stati in bilico l’8 Novembre. E c’è chi ipotizza che siano entrambe destinate a tornare alla Casa Bianca da ‘numero uno’. Ma è fortemente improbabile: va bene che gli americani amano le dinastie politiche, ma due donne (quasi) di fila presidenti, e per di più una nera, restano, per il momento, un’eventualità da fiction.

Per ora, Michelle LaVaughn Robinson Obama, popolarissima, sta dando una grossa mano a Hillary Rodham Clinton, ex first lady - ai suoi tempi temuta, ma meno amata -, per vincere le elezioni.

Nella campagna democratica, Michelle fa quello che doveva fare Bill Clinton, il marito di Hillary: l’ex presidente, in calo di consensi, s’è però rivelato un’arma a doppio taglio perché i repubblicani ne usano le storie di donne per neutralizzare le accuse di molestie a Trump. Michelle, invece, è senza macchia: attiva nel sociale, moglie, mamma, coltiva l’orto e combatte l’obesità dei bambini.

Trump la invidia a Hillary: l’ha ammesso con ironia, alla cena di beneficenza con il cardinale Timothy Dolan. “Se Michelle fa un discorso, tutti l’applaudono. Se Melania fa lo stesso discorso, tutti la criticano”. Hanno riso tutti, un po’ amaro Melania, la moglie del magnate: alla convention dei repubblicani, si appropriò di passi del discorso fatto nel 2008 alla convention democratica proprio da Michelle. Ora, Melania torna in pista: una scelta della disperazione.

Fra Hillary e Michelle, le differenze superano le analogie, anche se vengono entrambe da Chicago da famiglie modeste – conservatori i Rodham, progressisti i Robinson -, sono entrambe avvocati e si sono entrambe laureate in università della Ivy League: Hillary a Yale, dopo il Wellesley College; Michelle a Princeton e ad Harvard.

Nessuna delle due è un’icona del femminismo secondo i criteri codificati negli Anni Settanta. Hillary è donna di potere, acquisito e difeso con ostinazione professionale e compromessi familiari; Michelle è donna d’impegno che convive – bene – con il potere del marito dopo averlo aiutato a conquistarlo.

Hillary, madre di Chelsea e nonna di due nipotini, ha 69 anni. Michelle ne ha appena 52: è madre ancora alle prese con figlie adolescenti, Malia Ann, 18 anni, presto all’Università, e Sasha, 15 anni; il fratello Craig è allenatore di basket alla Oregon State University. Per entrambe, la famiglia è stata ed è importante, ma la sintonia degli Obama appare più a tutto tondo di quella dei Clinton.

Che però restano legati. Come capo di gabinetto alla Casa Bianca, Hillary pensa a John Podesta, che fece lo stesso lavoro per suo marito e che ora è il presidente della sua campagna.

Gli specialisti dicono che, per cogliere a pieno le differenze fra Michelle e Hillary, basta studiarne le acconciature. Hillary ha lo stile tutto ‘posh’ dell’alta società dell’Upper East Side di New York ed è celebre (anche) per i suoi capelli sempre perfetti, grazie al suo ‘harstylist da vip’ John Barrett.

Michelle, che è più giovane ed ha l’estro e il gusto per i colori e il movimento della sua etnia, s’affida, invece, a un giovane talento di Los Angeles, Johnny Wright, noto fra le star di Hollywood e molto innovativo: il look di Michelle cambia in funzione delle intuizioni, e invenzioni, di Wright.

Parimenti diverso lo stile nel vestire, Nessuna delle due ha uno stilista di riferimento. Ma Michelle ricorre spesso a Jason Wu, di Taiwan, che, grazie a lei, s’è fatto un nome e ha raggiunto il successo. (gp)

Usa 2016: Michael Moore e i guru che danno Trump vincitore

Scritto per Metro del 28/10/2016 e ripreso da www.GpNewsUsa2016.eu lo stesso giorno

Ci sono sedicenti guru che, alla vigilia delle elezioni statunitensi, sostengono di sapere chi vincerà. E, in genere, sanno per certo che vincerà il candidato che tutti danno perdente. Helmut Norpoth, scienziato della politica, come amano farsi chiamare lui e i suoi compari, ha creato un modello che a suo dire ci azzecca sempre e che attribuisce a Donald Trump l’87% di possibilità di essere eletto 45° presidente degli Stati Uniti, nonostante tutti i sondaggi diano avanti Hillary Clinton. La stampa Usa dà spazio a Norpoth, ma non gli dà molto credito.

Lo stesso fa con Michael Moore, l’attore e regista ultra-liberal, che dall'estate snocciola a chiunque glieli chieda i cinque (non buoni) motivi per cui Trump batterà Hillary: il sostegno del MidWest, ovvero un voto che diventa la Brexit di quella che era la cintura operaia degli Stati Uniti; l’effetto ‘ultimo baluardo dell’uomo bianco’; il fattore Hillary, cioè l’impopolarità dell’ex first lady; il crollo d’entusiasmo dei ‘sanderistas’, i sostenitori del senatore socialista Bernie Sanders; e quello che lui in America chiama l’effetto Jesse Ventura e noi in Italia chiameremmo l’effetto Grillo, voto contro perché voto contro.

Moore ha ripetuto la sua analisi, dove c’è del vero, a Matthew Sheffield, della rivista Saloon: dubita che Trump sia davvero dietro Hillary nel sostegno popolare e pensa che abbia molto più appoggio di quanto i media non dicano. Il regista non ha dubbi: il magnate vincerà le elezioni l’8 Novembre, sostanzialmente perché gli americani sono stufi.

Ora, è difficile dire se Moore faccia sul serio, parli per scaramanzia o cerchi solo di fare pubblicità al suo ultimo lavoro, 'Michael Moore in TrumpLand', cioè nella Terra di Trump. Il docu-film del premio Oscar per 'Bowling for Columbine' è uscito nelle sale a sorpresa alla vigilia del terzo e ultimo dibattito fra i due candidati. L’opera, magari, non cerca di portare voti a Hillary, ma ne vuole certamente portare via a Trump: “Il nostro obiettivo è che lo vedano quanti più americani possibile" prima dell’Election Day, spiega Moore a The Hollywood Reporter.

Il lavoro ipotizza che cosa possa succedere con Trump, o Hillary, alla Casa Bianca. Girato a inizio ottobre in due sole sere consecutive in un teatro di Wilmington, in Ohio, la contea dove il magnate nelle primarie ha avuto quattro volte i voti della sua rivale, nasce proprio “nella Terra di Trump”: quello che il resto d’America non deve diventare. (gp)

Usa 2016: Hillary & Michelle, un abbraccio contro Trump

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 28/10/2016

Uno scambio di cortesie, un pegno d’amicizia e un abbraccio fra Hillary Clinton e Michelle Obama, per la prima volta insieme su un palco della campagna elettorale a Winston-Salem, North Carolina. E attacchi concentrici diretti contro Donald Trump, che, parlando in Ohio, quasi in contemporanea, suggerisce che il voto sia cancellato e che la vittoria gli sia assegnata, viste “le politiche di Hillary” e il rischio di brogli.

Nella giornata, c’è pure un momento di paura e di fairplay, quando l’aereo con a bordo il candidato vice repubblicano Mike Pence finisce fuori pista per il maltempo all’aeroporto La Guardia di New York: tutti illesi a bordo. Hillary, in un tweet, esprime il proprio sollievo.

Il duetto delle first ladies - "Hillary ha fatto la first lady, la senatrice, il segretario di Stato, ha più esperienza di chiunque altro, più di Barack e di Bill” quando divennero presidenti. “Ed è pure donna": ha detto Michelle Obama, prendendo la parola dopo la candidata democratica. "E’ pronta – ha aggiunto - a fare il comandante in capo sin dal primo giorno".

Hillary l’ha introdotta come “la più straordinaria delle first ladies" fra entusiasmo e lunghi applausi. Michelle l’ha pubblicamente ringraziata, per la sua generosità e il suo humor: “Se qualcuno se lo sta chiedendo, sì, Hillary è mia amica … e le sono grata per la sua leadership e per tutto quello che farà per il nostro Paese".

Secondo Michelle, Trump evoca brogli alle elezioni perché la gente stia a casa: invece, bisogna partecipare, votando in anticipo o a andando alle urne nell’Election Day, l’8 Novembre. "In gioco, ci sono – osserva Hillary - anche la dignità e il rispetto per le donne e per le ragazze". E l’esempio di Michelle, che “ci ricorda di lavorare sodo e di rimanere fedeli ai nostri valori”, serve più che mai: "Non lasciamo che venga spazzato via il progresso segnato dalla presidenza Obama".

La scelta delle due donne di comparire per la prima volta insieme a Winston-Salem non è casuale: la North Carolina è uno degli Stati cruciali per la conquista della Casa Bianca; e qui il voto dei neri pesa molto. La popolarità e la grinta di Michelle sono un punto di forza per Hillary in questa fase della campagna elettorale: qualcuno la giudica l’asso nella manica dei democratici, più di Barack, che pure è molto popolare, e molto più di Bill, che è in calo di consensi.

Trump risponde con Melania, partita impari - Nel giorno del duetto Hillary-Michelle, Trump annuncia, suscitando qualche sorpresa, che la moglie Melania avrà d’ora in poi un ruolo più attivo nella sua campagna e farà "due o tre discorsi importanti". Il magnate l’ha detto in diretta televisiva, prendendo alla sprovvista la stessa moglie.

L’ex modella ha infatti avuto fin qui un profilo piuttosto basso nella campagna repubblicana, specie dopo le polemiche suscitate dal suo discorso alla convention di Cleveland, risultato in parte copiato all'intervento di Michelle Obama alla convention democratica nel 2008. "E' una grande oratrice", dice Trump di Melania, che, se diventasse first lady, vorrebbe dedicarsi a guidare i più giovani all'uso corretto dei social media".

L’aereo fuori pista con Pence a bordo – L’aereo che portava dall’Ohio a New York il candidato vice repubblicano Mike Pence è finito fuori pista, in fase d’atterraggio, all’aeroporto di La Guardia: tutti illesi a bordo, i 37 passeggeri e gli 11 membri d’equipaggio. L’incidente è avvenuto ieri sera, mentre infuriava il maltempo, che aveva già provocato ritardi nei voli.

“Grazie a tutti di esservi preoccupati. Tornerò in campagna domani”, ha assicurato Pence, che ha però dovuto annullare gli impegni serali a New York. Trump gli ha telefonato; e Hillary ha espresso il proprio sollievo con un tweet. (fonti vv – gp)

giovedì 27 ottobre 2016

Usa 2016: Trump inaugura hotel a Washington, contestazioni

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 27/10/2016

Donald Trump ha ieri trovato il tempo di andare a inaugurare il suo nuovo hotel a Washington, non lontano da quella Casa Bianca che per il candidato repubblicano sembra invece allontanarsi sempre più, almeno stando ai sondaggi. ''E' solo un rapido pit stop'', assicurava in tv Kellyanne Conway, manager della campagna, sostenendo che l’inaugurazione era pure un modo per Trump di ricordare agli elettori i suoi successi imprenditoriali.

Ma gli esperti s’interrogano sull'efficacia della scelta, tanto più che il magnate aveva già lanciato, circa un mese fa, il nuovo albergo. E l’inaugurazione è stata anche l’occasione per manifestazioni anti-Trump, a dire il vero non molto folte.

Quasi in contemporanea all'evento a Washington, la stella di Trump sulla Walk of Fame d’Hollywood è stata presa di mira da un vandalo, che l'ha praticamente distrutta a martellate, prima di essere arrestato.

L’uomo, vestito con la tuta che di solito indossano gli edili della città, avrebbe raccontato che voleva rimuovere la stella e poi venderla a un'asta a New York per raccogliere fondi per le donne - finora 11 - che hanno denunciato di essere state molestate dal magnate.

La stella di Trump, su Hollywood Boulevard all'altezza del Dolby Theatre, fu inaugurata nel 2007: è un riconoscimento legato all’attività televisiva dello showman, specie la serie The Apprentice.

Per uno sfregio in California, un omaggio nel Veneto: un gigantesco ritratto di Donald Trump è stato tracciato con un trattore in un campo di mais trebbiato da Dario Gambarin, artista che utilizza da tempo questa tecnica. Il ritratto, con la scritta 'Trump ciao', è a Castagnaro, Verona, e occupa un’estensione di 25.000 metri quadrati. (ANSA – gp)

Usa 2016: Hillary, compleanno senza gli auguri di Donald

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 27/10/2016

Per Hillary Clinton, festa di compleanno senza gli auguri del suo rivale, ma con una torta offertale dal suo staff prima di una tappa della campagna elettorale. La candidata democratica ha compiuto, ieri, 26 ottobre, 69 anni: il regalo più bello, probabilmente, è stato un sondaggio pubblicato dall’Ap secondo cui il suo vantaggio su Donald Trump a livello nazionale è salito a 14 punti: 51% a 37%..

E' il margine più ampio raggiunto nelle rilevazioni recenti dalla candidata democratica, che per l'Ap sarebbe prossima a una vittoria potenzialmente schiacciante, alimentata dal solido afflusso democratico al voto anticipato e dalla crescente convinzione dei suoi sostenitori, mentre il fronte dei repubblicani non è unito.

Il rilevamento dell’Ap è però in contraddizione con l’andamento della media dei sondaggi calcolata da RealClearPolitics, secondo cui il vantaggio dell’ex first lady sul magnate s’è invece ristretto da 6 a 4 punti, 47,8% a 43,4%, con perdite di quota preoccupanti, in particolare, negli Stati in bilico come la Florida e la North Carolina.

Su Twitter, Hillary s’è festeggiata in modo per nulla scaramantico: ''Happy Birthday to this future president", cioè Buon Compleanno a questo futuro presidente, con una foto in bianco e nero di lei bambina. In un altro tweet, l’ex first lady ha postato una cronologia della propria vita, con una foto a colori relativamente recente, di profilo, con gli occhiali da sole.

Quando le è stato chiesto come si sentiva a 69 anni, mentre s’imbarcava sull'aereo per un comizio in Florida, la Clinton ha sorriso e s’è mostrata in piena forma, come per esorcizzare le illazioni fatte sulla sua salute malferma dal suo rivale.

S’è intanto appreso che Hillary ha scelto di passare la notte dell'Election Day al Jacob K. Javits Convention Center di Manhattan, costruito nel 1986 sulle rive dell’Hudson, ''perché é lo spazio coperto più grande di New York'', ha spiegato la sua portavoce Jennifer Palmieri. Trump non ha ancora annunciato dove passerà la notte elettorale.

Per tutti i media, la scelta di Hillary è anche simbolica, perché l'edificio è tutto vetrate ed è, quindi, il luogo più adatto per rompere metaforicamente, se diventerà la prima donna presidente, il soffitto di cristallo che nel 2008 aveva solo scalfito. In quell'anno, ammettendo la sua sconfitta alle primarie contro Barack Obama, l’ex first lady aveva fatto un discorso divenuto famoso sulla causa femminile in politica: ''Anche se non siamo state in grado di rompere il più alto e il più duro dei soffitti di cristallo, oggi, grazie a voi, ci sono circa 18 milioni di crepe'', aveva detto, riferendosi ai voti avuti nelle primarie.

La Clinton aveva di nuovo citato il soffitto di cristallo dopo aver avuto la certezza della nomination e alla convention di Filadelfia. (fonti vv – gp)

mercoledì 26 ottobre 2016

Usa 2016: spoils system, la corsa dei cv su K Street prima del vetting

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 26/10/2016

Questo è il periodo in cui è più facile trovare casa a Washington: capita di sicuro ogni otto anni, talora ogni quattro. Merito, o colpa, dello spoils system, che segna gli avvicendamenti al governo statunitensi da quasi due secoli: cominciò a essere applicato nel 1820 e fu perfezionato nel 1865 da Abramo Lincoln. Quando cambia il presidente, cambiano ministri e sotto-segretari e tutti i dirigenti dell’Amministrazione pubblica; e spesso pure gli incarichi di fiducia, segreterie comprese.

La squadra che era al comando lascia i posti liberi e se ne va, molto spesso via da Washington: torna a casa o va altrove. Migliaia le famiglie coinvolte. Quelli che devono partire lo sanno e si sono già preoccupati del loro futuro: hanno dato disdetta della loro casa, se non l’hanno ormai liberata. Quelli che li rimpiazzeranno, ancora non lo sanno e, comunque, non ne sono certi: c’è un’elezione di mezzo e, anche solo per scaramanzia, nessuno blocca per ora casa.

Così, fino all’8 novembre ci sono molti appartamenti sfitti e poca domanda, specie a Georgetown o a Spring Valley, i quartieri più richiesti; e i prezzi sono relativamente bassi. Dopo l’8 novembre, inizierà la carica dei subentranti e i prezzi cominceranno a salire.

Lo spoil system passa attraverso tre fasi: l’individuazione dei candidati, il loro vaglio – il ‘vetting’ – e, infine, il reclutamento. Tutto gestito, almeno a livello politico, dal ‘transition team’. Hillary e Trump hanno già allestito il loro. Quello repubblicano, guidato dal governatore del New Jersey Chris Christie, sta al momento in panchina. Quello democratico, guidato dall’ex ministro dell’Interno Ken Salazar, senatore del Colorado, sta già scaldandosi a bordo campo.

Per chi aspira a un posto nella nuova Amministrazione, che si insedierà il 20 gennaio 2017, è l’ora di 'limare’ il CV e, soprattutto, di accertarsi di non avere scheletri nell’armadio. A Washington, specie sulla K Street, la strada dei consulenti e dei lobbisti, un esercito di esperti, avvocati, commercialisti e guru, lavorano con parcelle da capogiro, fino a 1000 dollari l’ora, scrive Politico, per controllare passato e presente di potenziali consiglieri, candidati giudici e di chiunque ambisca ad un incarico, fosse anche un posto di segretaria.

Le verifiche investono le finanze, il fisco, la fedina penale e pure la vita privata di ogni candidato. E il ‘vetting’ è implacabile: che siate il futuro vice-presidente o un giornalista che vuole accreditarsi alla Casa Bianca – nel giro di pochi giorni, riceverete a casa la visita di un agente dell’Fbi, che avrà pure avuto cura di parlare con i vostri vicini -.

Le cronache raccontano che nel 1993 l’appena eletto presidente Bill Clinton scelse Zoe Baird come ministro della Giustizia; ma saltò fuori che Zoe aveva pagato in nero una collaboratrice domestica immigrata irregolare. E nel 2005 il presidente Bush, appena rieletto, cercava un nuovo responsabile per la sicurezza nazionale, al posto di Tom Ridge: scovò a New York un super-poliziotto che faceva paura solo a vederlo e che era stato in Iraq dopo l’invasione, Bernard Kerik. Ma gli si scoprirono subito un sacco di magagne: lui si ritirò e diede in pasto alla stampa una baby sitter ‘alla Baird’, ma finì sotto processo e pure in prigione.

Proprio per evitare intoppi in extremis, che stingono sulla credibilità della nuova Amministrazione, sulla K Street ci si porta avanti, per essere poi pronti a compilare il questionario da circa 100 pagine preparato dalla 'transition team’ per ogni candidato di peso. Ogni presidente ha le sue fisime: Obama faceva chiedere conto dell’uso di marijuana in gioventù e di possibili foto imbarazzanti postate su Facebook.

Usa 2016: Powell con Hillary, orgette per Trump, Michelle su e Bill giù

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Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 26/10/2016

 Si allunga la lista dei repubblicani di rango che scelgono di votare Hillary Clinton. L'ultimo è l’ex segretario di Stato Colin Powell, che nelle scorse settimane aveva già preso le distanze da Donald Trump, definendolo una “disgrazia nazionale”. Quasi a dargli ragione, il candidato repubblicano ha ieri fatto, in un’intervista alla Reuters, l’ennesima dichiarazione sopra le righe: "La politica che Hillary vuole portare avanti in Siria ci condurrà alla terza guerra mondiale", ha detto.

Powell, che pure ha avuto qualche screzio nella campagna elettorale con la candidata democratica, che l’ha tirato in mezzo nell’emailgate, va ad aggiungersi ai 13 membri dell’Amministrazione Bush che hanno pubblicamente appoggiato la Clinton.

Nell’intervista alla Reuters, Trump ha fatto altre dichiarazioni più dialettiche e meno drastiche. "Se avessi dietro un partito repubblicano unito, non potrei perdere queste elezioni", ha ad esempio detto con qualche ragione, criticando i leader del partito che non lo hanno sostenuto. E, ancora: "In Siria, rimuovere al-Assad dal potere è secondario rispetto alla lotta” al sedicente Stato islamico.

Parlando in Florida, lo Stato più battuto dai due candidati negli ultimi giorni, Hillary Clinton ha invece affermato che “il bersaglio ultimo” del suo rivale è “la democrazia stessa”. Quanto all’esito del voto, l’ex fist lady ha detto di “avere buone sensazioni”, ma ha avvertito che non bisogna “dare nulla per scontato”, spronando i suoi sostenitori ad andare a votare, là dove si può, in anticipo rispetto all’Election Day l’8 Novembre.

Feste con adolescenti e cocaina nel passato di Trump - Una nuova imbarazzante storia esce dall’armadio di Trump: secondo quanto alcuni presunti testimoni hanno raccontato al Daily Beast e al New York Post, il magnate, negli Anni Novanta, era solito organizzare festini con adolescenti e cocaina al Plaza Hotel di New York. L'unica cosa che mancava in quelle serate erano le sigarette, che lo showman odia.

"Ero lì per fare festa: c'erano ragazze giovani, molto sesso, molta cocaina e gli alcolici migliori", dice un fotografo del mondo della moda che chiede di rimanere anonimo: “Trump andava e veniva, amava ricevere attenzioni". Il modello Andy Lucchesi conferma le feste e il contesto, ma precisa che The Donald non beveva né si drogava. "C'era cocaina che girava, ma non l'ho mai visto farne uso - ha raccontato -. Trump è padrone di sé".

Michelle sale, Bill scende - Tutti vogliono Michelle Obama in politica. E mentre la first lady sale, l’ex presidente e forse futuro ‘primo marito’ Bill Clinton scende. Secondo quanto scrive The Hill, dopo essere stata giudicata l’asso nella manica della campagna di Hillary e dopo i suoi commenti alle battute offensive di Trump contro le donne, l'intero mondo politico americano vorrebbe che Michelle optasse per una carriera politica dopo la Casa Bianca.

Ma un suo fan come Robert Wolf, che raccolse fondi per Obama, e chi la conosce bene esclude che lei ci stia pensando. "Scommetto qualsiasi cosa - ha detto il consigliere di Obama David Axelrod -, ma Michelle non si candiderà per una carica politica". La first lady continuerà le sue battaglie, come la lotta all'obesità infantile o il diritto all'istruzione per le ragazze, potrebbe scrivere un libro e, scrive The Hill, avrà un ruolo nella Fondazione Obama, nel quartiere South Side a Chicago.

Se Michelle ha il vento della popolarità in poppa, Bill Clinton accusa un calo di consensi repentino, forse innescato dal fatto che Trump ama rievocare gli infortuni anche sessuali dell’ex presidente. Un sondaggio della Cnn segnala che, questo mese, per la prima volta da oltre 13 anni, l’indice di popolarità di Bill è negativo: 49% ‘non mi piace’, 47% ‘mi piace’. Il calo dei consensi s’avverte dalla primavera: fors’anche per questo, l’ex presidente è stato meno ‘utilizzato’ del previsto dalla campagna della moglie. (fonti vv – gp)

martedì 25 ottobre 2016

Usa 2016: Hillary, un nonno da 'E le stelle stanno a guardare'

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 10/10/2016

Due famiglie di immigrati, una in parte americana da quattro generazioni, l’altra da tre, una partita dall’Inghilterra mineraria, l’altra dalla Germania rurale: Hillary Rodham Clinton e Donald Trump, candidati 2020 alla Casa Bianca, non hanno il pedigree dei discendenti dai Padri Pellegrini, i mitici coloni puritani che sbarcarono dal Mayflower nel 1620 lungo la costa del Massachusetts e fondarono Plymouth, il più vecchio insediamento anglo-sassone degli Stati Uniti abitato continuativamente.

Verso la fine dal XIX Secolo, chi lasciava l’Inghilterra o la Germania per gli Stati Uniti non fuggiva più dalla fame, come poteva ancora essere per chi arrivava dall’Irlanda o dall’Italia, né si sottraeva alle persecuzioni, ma andava a cercare la fortuna, o l’avventura, o semplicemente libertà e una vita meno grama.

Nella famiglia di Hillary, c’è un’eco dei romanzi di Archibald Cronin, E le stelle stanno a guardare, soprattutto, ma anche La Cittadella, ambientati nell’Inghilterra mineraria e ormai industriale: Jonathan Rodham, minatore in una miniera di carbone, e Isabella Simpson Bell, bisnonni di Hillary, migrarono da East Kyo, nel villaggio di Oxhill, nella contea di Durham, a Scranton in Pennsylvania tra il 1881-82 e lì restarono. Loro non partirono alla conquista del West, che a quell’epoca era già largamente conquistato, né alla ricerca dell’oro, ma s’inserirono in una delle comunità protagoniste della rivoluzione industriale americana.

Loro figlio Hugh (1879-1965) era già nato quando loro arrivarono in America. Lui e sua moglie Hannah Jones (1882-1952) sono i nonni paterni di Hillary. Loro figlio Hugh Ellsworth Rodham (1911–1993) lavorava, sempre a Scranton, in un'industria tessile – la produzione manifatturiera prima della guerra era fiorente -. Sua moglie, Dorothy Emma Howell Rodham (1919-2011), era un’immigrata più recente: era nata in Galles e di lì era giunta in Pennsylvania con tutta la famiglia, minatori anch'essi. La conobbe in fabbrica: lui tentava di piazzare la sua merce, lei cercava lavoro.

Hugh e Dorothy sono i genitori di Hillary: la mamme faceva la casalinga, accudendo alla figlia nata nel 1947, ed ai fratelli minori Hugh (1950) e Tony (1954). Il matrimonio dei Rodham durò oltre mezzo secolo, dal 1942, quando si sposarono nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, alla morte di Hugh.

Dei suoi genitori e della sua famiglia, la prima donna candidata alla Casa Bianca, oggi ormai nonna di due nipotini, parla diffusamente nel suo libro biografico di 562 pagine Living History, che, pubblicato nel 2003, le fruttò otto milioni di dollari solo come anticipo e che nel giro di un mese vendette oltre un milione di copie. Hilary descrive la sua come una tipica famiglia “ del MidWest e della classe media”, gente che credeva nel lavorare sodo e non contava sui diritti acquisiti, che si dava sempre da fare e non stava a lamentarsi.

Il libro più recente Hard Choices, del 2014, è invece una ricostruzione dell’esperienza politica, specie come segretario di Stato, di Hillary: sicuramente scritto in proiezione Casa Bianca, il volume non lascia più spazio ai ricordi familiari.

Hugh Rodham sapeva farci, con i tessuti, sia a produrli che a venderli: lavorò per la Scranton Lace Company, un’azienda fiorente, la stessa dove aveva lavorato suo padre; poi, senza dirlo ai suoi, lasciò il posto e si mise in proprio. Gli affari non mandavano male, ma, quando scoppiò la guerra, lasciò il lavoro e s’arruolò in Marina: lo mandano alla Great Lake Naval Station in Illinois, non proprio in prima linea. Come sottocapo, deve istruire e formare i marinai destinati al Pacifico. Trova tempo per sposarsi con Dorothy e per progettare un nuovo futuro per la sua famiglia.

Così, concluso il conflitto, i Rodham muovono all’Ovest. In realtà, non vanno molto lontano: s’installano a Chicago, lui trova lavoro alla Rodrik Fabrics, un’azienda molto conosciuta; e più tardi apre una propria azienda che trova clienti negli uffici, gli hotel, i teatri, le compagnie aeree.

I Rodham non sono ricchi, ma stanno bene. Hugh, però, è roso dal tarlo della politica, che mescola con il senso degli affari: qualcosa che, insieme all’etica del lavoro, trasmette a sua figlia. Vuole farsi strada nel partito democratico del potente sindaco Richard J. Daley e, nel 1947, l’anno in cui nasce Hillary, si candida a un posto di assessore fra i democratici, ma come indipendente. Viene, però, sconfitto dal candidato democratico ‘ortodosso’.


Secondo alcuni suoi familiari, questo episodio è all’origine della forte avversione da quel momento sviluppata da Hugh nei confronti dei democratici: si schiera con i repubblicani, è ultra-conservatore, è persino fra i sostenitori più convinti nel 1964 della campagna presidenziale di Barry Goldwater, senatore dell’Arizona, dichiaratamente razzista, contrario alle norme anti-segregazione di JFK e Lyndon Johnson.

Spinta dal padre, Hillary lavorò come volontaria per la campagna di Goldwater, che portò a una delle più pesanti sconfitte presidenziali repubblicane: il senatore vinse in appena sei Stati del Sud, dove i neri non riuscivano a votare. Poco dopo, all'Università, in un ambiente più liberal, Hillary fece la propria conversione democratica.

Ma, neppure dopo il matrimonio della figlia con Bill Clinton, il padre di Hillary non abbandonò mai la speranza che il genero lasciasse i democratici e s’unisse ai repubblicani nella battaglia per ridurre la tassazione dei redditi da capitale. Prima di morire, fece in tempo a vedere Bill insediarsi come presidente e la figlia entrare da first lady alla Casa Bianca.

Usa 2016: NYT pubblica tutti gli insulti di Trump, tweet dopo tweet

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 25/10/2016

Occupa due pagine intere dell’edizione tradizionale, cartacea, del New York Times la lista completa di tutte le persone, i luoghi e le cose che Donald Trump ha insultato via Twitter nella sua campagna per la Casa Bianca: il giornale, che tiene costantemente aggiornato l’elenco online, pubblica i link dei tweet originali.

L’elenco risulta visivamente più impressionante sciorinato su carta che scorso online. La mappa delle vittime degli attacchi del candidato repubblicano, i cui tweet all’alba sono i più micidiali, va dalla rivale democratica Hillary Clinton (la più colpita) agli avversari nelle primarie, dai giornalisti a numerose testate, da alcune intere categorie (donne, messicani, islamici, handicappati) ad artisti e uomini di cultura, da Paesi e città a opere artistiche, come una canzone di Neil Young.

E mentre i sondaggi confermano, pur con qualche contraddizione interna, il vantaggio della Clinton a due settimane dall’Election Day, Trump, proprio per ‘bypassare’ i media tradizionali, che ritiene scorretti e pregiudizialmente critici nei suoi confronti, lancia un programma serale su Facebook Live, che andrà avanti fino all’8 Novembre, puntando a sfruttare il suo largo seguito sui social.

Lo show, della durata di mezzora, sarà diffuso dalla Trump Tower dalle 18.30 alle 19.00, quando, cioè, il magnate inizia i suoi comizi. Lo showman sostiene che grandi media, istituti di sondaggio e partito democratico sono fra di loro collusi. Il settimanale New Yorker è fra gli ultimi a dichiararsi pro-Hillary (“Farà la storia”), ma non c’erano dubbi su con chi stesse. E mentre Trump usa Facebook, il co-fondatore del social Dustin Moskovitz dona 35 milioni di dollari alla sua rivale.

Secondo la media dei sondaggi più rigorosi tenuta dalla Cnn, Hillary è nove punti avanti a Donald (48 a 39%), con il candidato libertario Gary Johnson al 6% e la verde Jill Stein al 2%. Invece, nel rilevamento condotto in prima battuta dalla Cnn, la Clinton ha solo cinque punti su Trump, 49 a 44%, con Johnson al 3% e la Stein al 2%.

Obama, vincere alla grande. Trump, più forti della Brexit – Negli ultimi giorni, il contraltare alle sortite del candidato repubblicano è venuto, più che dalla rivale democratica, dal presidente Barack Obama, protagonista in prima persona nella campagna elettorale, in attesa del duetto, giovedì, fra Hillary e la first lady Michelle, per la prima volta insieme sullo stesso palco.

Un tema costante di Obama è che l’America “non può permettersi” un Trump alla Casa Bianca; e una nota ironica è che Trump e il presidente russo Vladimir Putin hanno “love story”, “una storia d’amore”.

Il magnate posta su Facebook citando Abramo Lincoln: “Questo è un movimento storico. Insieme, noi ancora una volta faremo un governo con il popolo, per il popolo e del popolo. Aiutateci a chiudere con forza ed a vincere”; e mette un link per la raccolta di fondi. Parlando a St.Augustine, in Florida, uno degli Stati più incerti, dice: "Quando vinceremo, il vostro voto si farà sentire nei corridoi di Washington e nel mondo intero. Quello che sta succedendo è più forte della Brexit''.

L’eco di Obama alle parole di Trump viene dalla California, dove il presidente parlava a donatori della campagna democratica: ''Non ci basta che Hillary vinca, vogliamo che vinca alla grande, per mandare un chiaro messaggio su che popolo siamo'': ''Non ci accontentiamo di farcela per il rotto della cuffia, particolarmente quando l'altro tizio - Donald Trump, ndr - ha già iniziato a fare la lagna sul fatto che la partita sia stata truccata''. Una vittoria a valanga dimostrerebbe che gli americani ripudiano le idee di Trump di odio e di divisione. (fonti vv – gp)