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giovedì 28 febbraio 2013

Siria: Kerry a Roma per la svolta, più aiuti ai ribelli

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 28/02/2013. Altra versione su l'Indro il 27/02/2013

Sulla Siria, l’Amministrazione Obama cambia marcia e accelera verso la transizione, facendo propria l’idea europea di fornire ai ribelli più aiuti militari: l’anticipazione viene da Washington, dove la stampa parla di blindati e di addestramento; la conferma la darà oggi ai partner del Gruppo ad alto livello, riunito a Roma, il segretario di Stato John Kerry.

La svolta arriva in un giorno di consuete cronache cruente dal Paese segnato dalla guerra civile: ad Aleppo, si combatte dentro una moschea; a Damasco, colpi di mortaio s’abbattono sull'Università; e giunge notizia del rapimento, avvenuto tre settimane or sono, di due preti cattolici, di cui s’ignora la sorte.

Kerry è arrivato ieri sera a Roma dalla Francia, dove s’è conquistato facili consensi dando prova d’una padronanza del francese perfetta –gli studi in Svizzera contano pur qualcosa-. La missione europea, la prima da quando è segretario di Stato, lo ha già condotto a Londra, Berlino e Parigi: a ogni tappa, Kerry ha illustrato agli alleati le convinzioni di  Obama, che l’opposizione siriana ha bisogno di aiuto, che bisogna fornirle più assistenza per favorire la transizione. Anche se restano, in Occidente, dubbi e inquietudini su quali siano le componenti e gli orientamenti prevalenti nell'opposizione al regime del presidente al-Assad.
 In serata, a Villa Madama, Kerry ha avuto un incontro con il ministro Giulio Terzi, subito prima della ‘cena transatlantica’ con la partecipazione dei rappresentanti di 34 Paesi, 23 dei quali a livello di ministri degli Esteri, del segretario generale della Nato, Rasmussen, e dell'alto rappresentante dell'Ue per gli esteri e la sicurezza, Lady Ashton. Ma gli aspetti bilaterali di questa visita, che cade in giorni d’incertezza politica, restano un po’ in sordina.
Al centro della cena di lavoro (una prima assoluta a Roma: le precedenti a Bruxelles e a New York) c'è pure stata la decisione di avviare negoziati per un accordo di libero scambio tra Ue ed Usa. Oltre ovviamente a questioni di sicurezza: la situazione in Afghanistan; i temi mediorientali (oltre alla Siria, le evoluzioni delle Primavere arabe e il processo di pace israelo-palestinese); l’impegno contro il terrorismo e la proliferazione nucleare, specie con l’Iran –dove la stampa britannica prospetta un piano B del regime per dotarsi dell’atomica- e nel Sahel.

Oggi, la riunione ministeriale del Gruppo sulla Siria si svolge, la mattina, sempre a Villa Madama: prima, in formato ristretto; quindi, allargata alla partecipazione dei rappresentanti dell'opposizione guidati da Moaz Al Khatib. La minaccia degli ‘anti-regime’ di boicottare l’incontro è caduta, davanti al pressing della diplomazia statunitense e all'evoluzione della posizione americana.

Anche se resta per ora impossibile convincere la Russia ad autorizzare un intervento dell’Onu, pare ormai imminente una azione internazionale più decisa per la Siria, dove la guerra civile ha fatto, secondo alcune stime, oltre 70mila morti in quasi due anni.

Kerry lascerà Roma domani mattina diretto ad Ankara, quinta tappa del suo "Listening Tour", cioè il "viaggio dell'ascolto", che, dopo la Turchia, proseguirà  al Cairo, a Riad, ad Abu Dhabi e a Doha. Intorno al 20 marzo, Kerry tornerà in Medio Oriente, stavolta in Israele, accompagnando in visita il presidente Obama.

mercoledì 27 febbraio 2013

SPIGOLI: Italia 2013, la tentazione della scorciatoia


Scritto per il blog de Il Fatto il 27/02/2013
Dopo la stupore, la paura: “L’Europa trema, ma la Merkel è calma”, scrive il tedesco Handelsblatt. E non si capisce bene se noi dobbiamo esserne tranquilli o avvertire una minaccia. Mentre il papa – sempre un tedesco di mezzo! - spodesta l’Italia dalle home page dei media internazionali con la sua ultima udienza, la stampa estera, che aveva inizialmente puntato sulla risurrezione del Cavaliere, esplora l’ascesa del Comico e il suo impatto sull’Italia e sull’Europa, specie sull’euro. Beppe Grillo sorprende e preoccupa, ma è spesso visto con simpatia perché rappresenta la spinta anti-casta e perché dà forza parlamentare a movimenti finora rimasti nelle piazze, come quello degli indignados.
Mentre Bill Emmott, e molti altri con lui, si domanda sulla Cnn perché l’Italia continui a votare Silvio Berlusconi, la Bild tedesca pone un quesito comune a gran parte dell’Europa luterana e benpensante: “I due clown della politica italiana distruggeranno l’euro?”.
Dietro l’ostilità per Mr B e la diffidenza per Grillo, il minimo comune denominatore di un sospetto, nei confronti dell’Italia post voto: la tentazione della scorciatoia: la voglia di fare i furbi, di sottrarsi agli impegni, di abbandonare l’euro. Se l’M5S coagula la protesta e l’angoscia di chi non è contento del presente e non ha prospettive per il futuro, i suffragi per Berlusconi testimoniano che persiste un’Italia che aspira ad emulare chi evade il fisco e chi ‘imbobina’ il prossimo con promesse non mantenute e falsi miti.
E la Faz mette il naso in casa del Pd, suggerendo l’antitesi Bersani Caino / Renzi Abele –addirittura, il sindaco di Firenze sarebbe “sulle tracce di Obama”-: “la notoriamente autodistruttiva sinistra italiana ha preferito una campagna guidata da un vecchio noioso a una di rottura non ideologica”, regalando così la vittoria agli avversari. Pure in questo caso, sentenzia il giornale di Francoforte,“ha vinto la chiusura alla realtà moderna”.
Le incertezze italiane ridanno slancio a leghismi europei. Il Times di Londra, che non è certo latore d’istanze europeiste, lancia l’idea di un’Alleanza del Nord tra Gran Bretagna e Germania: Londra e Berlino l’hanno appena spuntata sui tagli al bilancio dell’Ue, possono proseguire insieme sulla via “del rigore e delle riforme”. Quello che non si capisce è perché gli altri, tranne magari i Nordici e l’Olanda, dovrebbero mai andare loro dietro.
Intanto, riparte il flipper della diplomazia: il presidente Napolitano è in Germania, dove non vedrà, però, il leader dell’Spd Peer Steinbrueck, che critica “i clown italiani” –la Merkel, invece, si dice pronta a lavorare con il prossimo governo italiano, quale che sia-; il premier Monti è a Bruxelles, dove incontra il presidente della Commissione europea Manuel Barroso; e il segretario di Stato Usa John Kerry è a Roma.
Tornano in scena le agenzie di rating. Moody’s è la prima a fare l’uovo: dice che il rating dell’Italia è a rischio perché l’esito del voto accresce l’incertezza e mette a rischio le riforme; esprime timori di un ritorno alle urne e di un contagio dell’eurozona. Le borse sono caute, lo spread resta alto. Eppure, l’asta dei Btp va bene. Ancora una volta, la finanza non tradisce: tutto e il contrario di tutto, quel che conta è guadagnarci subito.

martedì 26 febbraio 2013

Italia 2013: Ue, Istituzioni e governi fanno buon viso a cattivo gioco

Scritto per EurActiv il 26/02/2013. Altra versione su l'Indro del 26/02/2013

Digerita la sorpresa per i risultati delle elezioni italiane, le Istituzioni europee e i partner dell’Italia nell’Ue serrano i ranghi e fanno buon viso a cattivo gioco: Commissione e Parlamento europei propinano ai giornalisti dosi massicce di banalità ottimistiche, mentre i media irrorano commenti e analisi di espressioni inquietanti, “stallo”, “caos”, “instabilità”.

A Bruxelles, la Commissione esprime "piena fiducia nella democrazia italiana" e intende “lavorare a stretto contatto con il futuro governo per rilanciare la crescita e la creazione di posti di lavoro". Frasi quasi fatte, buone dopo ogni elezione, cui il portavoce Olivier Bailly non aggiunge pathos, ricordando che l’Italia “resta un grande paese fondatore dell'Unione europea".

Mercoledì e giovedì, il premier uscente Mario Monti sarà a Bruxelles: domani sera, incontrerà il presidente della Commissione José Manuel Barroso; e il giorno dopo parteciperà allo European Competition Forum organizzato dal commissario Joaquim Almunya.

Per gli analisti europei, l’esito del voto mostra "un clamoroso rifiuto –è quasi un ritornello- di rigore e austerità”. Ma la Commissione, che pubblica addirittura un comunicato, giudica “caricaturale” descrivere l’azione dell’Ue solo in termini di austerità. Bailly dice: “Non siamo qui per portare avanti solo l'agenda di risanamento, ma pure per assicurare stabilità al sistema bancario, fare godere i benefici del mercato unico e della politica industriale comune anche all'economia italiana, contribuire agli investimenti per la crescita e la lotta alla disoccupazione. L'azione di Bruxelles deve essere valutata nella sua globalità".

Certo, ma il problema è convincerne l’oltre 50% degli elettori italiani che si sono espressi contro l’Unione o in modo molto critico verso di essa. Numerosi media evocano lo “scenario greco”, cioè il ritorno a breve alle urne, come avvenne ad Atene l’anno scorso. E l’Economist definisce “politici di cartapesta” i leader italiani.

Quando rompono la consegna dell’ipocrisia del silenzio, istituzioni internazionali e leader stranieri si limitano a espressioni di circostanza. La Commissione europea dichiara “piena fiducia” nell’Italia e nella sua agenda economica, perché, se dicesse il contrario, i mercati e lo spread andrebbero ancora peggio di come vanno –ed è già parecchio male-.

La linea della Commissione di "sostegno all'economia italiana non cambia", rassicura Bailly. "Spetta al prossimo governo definire la sua agenda economica e politica”, contando sul fatto che l’Unione continuerà a "sostenere l'economia italiana, le imprese e i cittadini". E, tanto per non fare melassa, l’Esecutivo dell’Ue ricorda di essere "convinto che il livello del debito pubblico raggiunto dall'Italia nel corso degli anni sia insostenibile per gli italiani di oggi e per le generazioni a venire".

Il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz invita i partiti a cercare il dialogo, perché –dice- un governo stabile serve all’Italia e all’Europa. Fra gli eurodeputati italiani, c'è chi parla di vittoria della demagogia e del populismo, chi di maggioranza precaria per un popolo di lavoratori precari.

Nessuno, per il momento, tira fuori la tentazione degli italiani di trovarsi un leader, un guru, che dia loro l’illusione di risolvere i problemi: senza andare troppo indietro nel tempo, prima il Cavaliere, ora il Comico.

Se in Francia Martine Le Pen celebra la vittoria populista, in Germania il ministro degli esteri Guido Westerwelle auspica stabilità e riforme. A Berlino, arriva il presidente Giorgio Napolitano, cui la cancelliera Angela Merkel avrà un sacco di domande da fare. E, a Roma, sbarca il segretario di Stato Usa John Kerry, che non saprà, invece, a chi fare domande.

A conti fatti, a fidarsi dei silenzi di circostanza delle cancellerie e delle moine della Commissione, le ansie post-elezioni paiono appannaggio dei media. Bailly nega “preoccupazioni” a Bruxelles. E, per il responsabile europeo degli affari economici Olli Rehn, ''è importante che l'Italia vada avanti con le riforme per il bene della crescita e dell'occupazione”: “Sono fiducioso nella capacità di fare in Italia un governo in tempi rapidi … Gli italiani hanno fatto la loro scelta democratica: il quadro è complesso ma confido nelle istituzioni e nell'abilità del presidente Napolitano di trovare in fretta una soluzione che consenta all'Italia di affrontare le sfide che ha di fronte”.

Usa: Kerry a Roma; per la Siria, più che per l'Italia

Scritto per Affari Internazionali il 26/02/2013. Sullo stesso tema, l'Indro il 25/02/2013

Con l’arrivo del segretario di Stato Usa John Kerry alla prima missione europea e mediorientale nel suo nuovo ruolo, la politica estera, da tempo grande assente, torna protagonista a Roma, proprio quando l’incertezza e la confusione nella politica interna sono al loro acme. Anche per questo, la tappa romana di Kerry è significativa, più che per gli incontri bilaterali, per gli appuntamenti multilaterali: mercoledì 27 sera, la Cena Transatlantica, dove si parlerà di sicurezza e zona di libero scambio Ue-Usa; e, giovedì 28, il Gruppo di alto livello sulla Siria, dove si discuterà di come uscire dalla guerra civile che devasta quel Paese.

Se la tappa italiana della missione Kerry non si colloca in giorni politicamente felici, l’attenzione degli Usa per l’Italia è stata dimostrata, all'inizio del mese, dalla considerazione riservata alla visita a Washington del presidente Giorgio Napolitano. “Non è fatto scontato che in futuro tale attenzione sia riservata a chiunque altro”, scriveva sul Corriere della Sera Maurizio Caprara. Un’affermazione che, dopo il voto, appare una premonizione.

Tra il 24 febbraio e il 6 marzo, Kerry fa tappa in nove Paesi: oltre all'Italia, Gran Bretagna, Francia Germania, Turchia, Egitto, Arabia Saudita, Emirati arabi uniti e Qatar. Una maratona che ha l’obiettivo di rinnovare i legami transatlantici e di affrontare dossier scottanti, come appunto la Siria e l’Iran e anche il Mali e la Corea del Nord. Successivamente il successore da poco insediatosi di Hillary Clinton accompagnerà in Israele il presidente Barack Obama, mentre l’Asia sarà la meta di una successiva missione.

La vigilia della missione di Kerry era stata segnata da dichiarazioni dell’opposizione siriana, che minacciava di boicottare la riunione del Gruppo ad alto livello, per protesta contro l’inazione della comunità internazionale. La diplomazia di Washington s’è però messa al lavoro per fare recedere l’opposizione dai suoi propositi e per evitare, così, di mandare a monte, o almeno compromettere, la consultazione di Roma.

E i risultati del forcing diplomatico degli Stati Uniti si sono visti. Da Londra, Kerry ha telefonato al leader della coalizione dell'opposizione siriana, Moaz Alkhatib, incoraggiandolo a partecipare alla riunione del 28 e ottenendo, pare, un consenso. E, sempre a Londra, Kerry ha detto che il presidente siriano Bashar al-Assad ''deve andarsene'' e ha ancora sottolineato l’importanza della partecipazione dell’opposizione siriana all'incontro romano: "Non andiamo a Roma solo per parlare, ma per prendere decisioni" sulla crisi siriana, ha aggiunto Kerry, invitando esplicitamente l’opposizione a essere presente.

Quello che la portavoce del Dipartimento di Stato Victoria Nuland ha definito il ‘listening tour’, il ‘viaggio dell’ascolto’, di Kerry si muove lungo un itinerario geograficamente razionale, ma pure diplomaticamente significativo. Infatti, l’esordio a Londra suona riconoscimento alla ‘relazione speciale’ tra Stati Uniti e Regno Unito, che è stata esplicitamente ribadita da Kerry e dal suo omologo britannico William Hague. Così come il fatto che Kerry visiti l’Europa prima dell’Asia è certo dettato da impegni già definiti –ad esempio, la riunione del Gruppo sulla Siria-, ma pare pure rispondere al desiderio di tranquillizzare gli europei sull'attenzione che gli Usa danno loro.

Anche se, prima di partire, Kerry ha detto che la maggiore sfida alla politica estera degli Stati Uniti non viene ora come ora né dalla Cina né dal Medio Oriente (e tanto meno dall'alleata Europa), ma dal Congresso, che sta creando uno stallo sul bilancio e sta così condizionando la programmazione delle attività diplomatiche Usa. In una battuta, il segretario di Stato rileva che "non si può essere forti nel mondo senza esserlo a casa propria"; e invita il Congresso a trovare un accordo per evitare i tagli automatici alla spesa che sono "senza senso" e costituiscono una minaccia.

Se Kerry avesse avuto qualche esitazione nel definire le priorità della sua agenda, l’escalation della violenza terroristica in Siria la scorsa settimana deve avergli tolto molti dubbi: la Siria è, in questo momento, il problema numero 1 della sicurezza internazionale. Se la matrice di molti attentati resta incerta, uno degli effetti è di accrescere l’incertezza su chi stia davvero battendosi in Siria per rovesciata il regime di al Assad. Al Cairo, la Coalizione nazionale siriana s’è detta pronta a negoziare un accordo di pace per porre termine al conflitto, purché il presidente non abbia un ruolo nella trattativa, da condurre sotto l’egida di Usa e Russia.

Ma, in Occidente, nelle ultime settimane, la sensazione che il regime stesse per crollare s’è smorzata e s’è così tornato a parlare di dialogo (“fra tutte le parti coinvolte” è il linguaggio diplomatico comune alla Russia e alla Santa Sede). Nella scia delle decisioni dell’Ue, che ha appena prolungato le sanzioni contro la Siria, il ministro degli esteri italiano Giulio Terzi intende proporre al Gruppo di aumentare gli aiuti militari ai ribelli, sotto forma di assistenza tecnica, addestramento e formazione.

SPIGOLI: Italia 2013, i guasti dei politici di cartapesta

Scritto per il blog de Il Fatto il 26/02/2013

Stallo e ingovernabilità. Il giorno dopo, restano queste le parole chiave dei commenti e delle analisi della stampa internazionale: i risultati delle elezioni italiane mostrano"un clamoroso rifiuto –è quasi un ritornello- di rigore e austerità”. Il Financial Times fa eco al tormentone del "too close to call", la formula americana del risultato incerto, che Alfano e il Pdl cavalcano nonostante evidenti incertezze lessicali.

Molti media evocano lo “scenario greco”, cioè il ritorno a breve alle urne, come avvenne ad Atene l’anno scorso. Incertezza, caos, risultati inconcludenti sono altri termini ricorrenti, per quelli che l’Economist definisce “politici di cartapesta”.

Quando rompono la consegna dell’ipocrisia del silenzio, istituzioni internazionali e leader stranieri si limitano a banalità di circostanza. La Commissione europea dichiara “piena fiducia” nell'Italia e nella sua agenda economica, ché, se dicesse il contrario, i mercati e lo spread andrebbero ancora peggio di come vanno –ed è già parecchio male-.

Il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz invita i partiti a cercare il dialogo, perché –dice- un governo stabile serve all'Italia e all'Europa. Fra gli eurodeputati italiani, c'è chi parla di vittoria della demagogia e del populismo, chi di maggioranza precaria per un popolo di lavoratori precari. Nessuno, per il momento, tira fuori la tentazione degli italiani di trovarsi un leader, un guru, che dia loro l’illusione di risolvere i problemi: senza andare troppo indietro nel tempo, prima il Cavaliere, ora il Comico.

Se in Francia Martine Le Pen celebra la vittoria populista, in Germania il ministro degli esteri Guido Westerwelle auspica stabilità e riforme. A Berlino, sta per arrivare il presidente Napolitano, cui la cancelliera Merkel avrà un sacco di domande da fare. A Roma, si attende il segretario di Stato Usa John Kerry, che non saprà, invece, a chi fare domande.

Su FT, l’immancabile Wofgang Munchau ragiona sulla possibilità di una “grande coalizione”, che – bravo, lui! - potrebbe spezzare lo stallo politico. Per Munchau, l’intesa Bersani-Berlusconi-Monti lascerebbe Grillo a guidare l’opposizione (un regalo per il capopopolo senza programmi) e potrebbe portare avanti le riforme. Forse il Cavaliere ha qualcuno che gli traduce Munchau, perché se ne esce con una sortita analoga. Ma come, non c’era già la Grande Coalizione?, l’ABC pro Monti? E, allora, perché mandarla all’aria per riproporne, dopo il terremoto, programmi e schema?

I media internazionali s’interrogano sul ruolo che avrà il Movimento di Grillo, al cui successo erano impreparati, e sono sbalorditi di fronte alla tenuta del Pdl di Berlusconi. Due fenomeni che nei titoli sui siti web prevalgono sull’affermazione (relativa) del Pd di Bersani.

Per le Monde, l’Italia finisce “in situazione di stallo” e suscita “apprensione” nei partner europeidella terza economia della zona euro". Libération parla con un’eco cinematografica di “frattura all’italiana”. El Pais titola: "Berlusconi e l'antipolitica di Grillo portano l'Italia all'ingovernabilità", anche se, veramente, la scelta è degli elettori. Die Welt dedica attenzione allo tsunami elettoraledel politico pagliaccio", "il grande vincitore delle elezioni italiane". E la Frankfurter Allgemeine Zeitung decreta un “trionfo dei populisti".

Per Der Spiegel, “il pari e patta porta in rosso le borse di tutto il mondo”. Per FT, "l'impasse riaccende il nervosismo dell’Eurozona": i risultati inconcludenti fanno temere che l'Italia avrà problemi ad affrontare le difficoltà di bilancio, innescando una catena di dubbi negli speculatori, che vedono mesi di guadagni a rischio. Fossero tutte qui, le conseguenze negative del voto italiano, potremmo pure farci spallucce.

lunedì 25 febbraio 2013

SPIGOLI: Italia 2013, un no all’austerità e l’incubo dell’ingovernabilità

Scritto per il blog de Il Fatto il 25/02/2013. Servizi analoghi su Il Fatto Quotidiano del 26/02/2013 ed EurActiv del 25/02/2013.

Lo scenario peggiore: un verdetto confuso, un Parlamento senza maggioranza al Senato. E, così, media esteri e interlocutori internazionali vedono concretizzarsi quello che era il loro incubo: un’Italia ingovernabile. Per i media, sui siti, è un’inevitabile altalena di titoli contrastanti: dopo l’iniziale ‘sbandata a sinistra’ ispirata dai primi exit-polls, l’indeterminatezza di proiezioni e risultati suggeriscono correzioni di rotta con titoli di cronaca neutri e poco sbilanciati, puntando sulla confusione e l’incertezza. Il WSJ snobba per un po’ i dati, poi ne dà una sintesi efficace: “E’ chiaro che gli italiani respingono l’austerità”. E l’FT è sulla stessa linea: “L’instabilità incombe, mentre l’Italia boccia il rigore”.

Le Istituzioni europee e internazionali, l’Ue, la Bce, l’Fmi, prima si sono fregate le mani. E, poi, se le sono messe fra i capelli. E le bocche sono rimaste chiuse, nell'attesa di dati in qualche misura credibili e, magari, nella speranza che ulteriori ‘errata corrige’ modifichino il quadro d’insieme, dopo il ribaltone tra proiezioni raggelanti, in un’ottica europea, ed ‘exit polls’ incoraggianti.

Discorso analogo per i maggiori partner dell’Italia, dagli Stati Uniti ai Grandi dell’Unione. I leader hanno perso tutti: chi puntava su Monti, come la Merkel e i guru del Ppe; e pure chi puntava sul mix tra Monti e Bersani, come Hollande e, di là dall’Atlantico, Obama. Dal Potomac al Tevere, e pure dal Manzanarre al Reno, tutti giovano contro il ritorno di Berlusconi e il successo di Grillo.

Eppure, tutti avevano compreso che il voto italiano era diventato un referendum sull’austerità. E tutti sapevano che, in Occidente, tutti i governi dei maggiori Paesi, dal 2009 in poi, hanno perso questo referendum nel loro Paese –in Francia, in Spagna, in Gran Bretagna-, con l’unica eccezione della rielezione del presidente Obama negli Stati Uniti.

Guardian, El Pais e molti altri media internazionali hanno seguito, in presa diretta, sull’ home page lo spoglio italiano. Der Spiegel e la Bildt cambiavano i titoli in tempo reale: partono sbilanciati, “Il vento tira verso il centro-sinistra”, o “Niente Berlusconi!”; e poi vanno in altalena, come fa tutta la stampa non solo estera (“Berlusconi è in vantaggio al Senato”, “L'Italia rischia il blocco” e via correggendo il tiro).

I risultati ancora ballerini delle elezioni politiche mettono alla prova gli analisti italiani, figuriamoci quelli stranieri. Ed i mercati rispecchiano l’incertezza: borse su e spread giù, subito; ed esattamente il contrario, immediatamente dopo. Con un tocco di paradossale: lo spread che aveva festeggiato l’arrivo di Monti ne festeggia, a caldo, la bocciatura, quando crede di barattarla con una governabilità  di senso diverso.

Ma alcune tendenze vengono lette con una certa chiarezza: c’è un voto fortemente populista ed anti-europeo, perché una maggioranza degli elettori ha votato forze critiche od ostili rispetto alle politiche dell’Unione; e sono risultati che, tra exploit di Grillo e tenuta di Berlusconi, promettono incertezza e instabilità, proprio quello che l’Ue e i mercati paventavano di più.
E pensare che la Bild, questa mattina rivolgeva una preghiera all'elettorato: "Caro italiano, ti prego risparmiaci il Berlusconi del Bunga Bunga", mentre Welt, con un velo di sufficienza, affermava: “Gli italiani non hanno voglia di votare coi piedi bagnati”, spiegando il calo dell'affluenza alle urne dovuto al maltempo. El Pais, più mediterraneamente comprensivo, scriveva: “Freddo e disillusione penalizzano la partecipazione”.

Italia 2013: elogio della matita copiativa, icona della democrazia

Scritto per Media Duemila online il 24/02/2013

Questa mattina, sono andato a votare. Al seggio, il presidente m’ha consegnato le schede e la matita rigorosamente copiativa. E io ho diligentemente svolto il mio diritto/dovere di cittadini elettore. Ma è da quando andavo alle elementari -Anni Cinquanta- che mi chiedo che cosa mai abbia di speciale la matita copiativa, che la maestra ci faceva usare solo per certi esercizi in classe e che è, non solo in Italia, lo strumento della democrazia per eccellenza, quello con cui s’esercita il voto.

Sono andato su wikipedia e ho scoperto che la matita copiativa è una speciale matita in cui segno è indelebile, o quasi, nel senso che se provi a cancellarlo fai un pasticcio e magari buchi il foglio (che, alle elementari, era il massimo dell’ignominia). Mentre la matita normale ha la mina di sola grafite, quella copiativa contiene anche coloranti e pigmenti: se la cancelli con la gomma, la grafite viene via, i coloranti restano.

Per queste caratteristiche, le matite copiative erano comunemente utilizzate per firmare contratti e atti pubblici –attenzione!- prima dell’invenzione delle penne a sfera. Ma vengono tuttora utilizzate nelle votazioni in molti Paesi -in Italia, il loro esordio fu col botto: al referendum per la Repubblica, nel 1946-. In Francia, in Germania e altrove, però, sono state sostituite dalle penne biro, che non convincono il legislatore italiano perché lascerebbero una sorta di incisione sulla scheda visibile all'esterno –e, quindi, non garantirebbero la segretezza del voto- e, inoltre, rischiano di rompersi e d’inondare d’inchiostro la scheda.

Ora mi chiedo, e non è la prima volta, se la nostra democrazia non possa esprimersi in modo meno arcaico e altrettanto, se non più, sicuro. Copiativa a parte, il problema non è solo italiano: negli Usa, ad esempio, in molti Stati si vota ancora con il sistema della punzonatura, che consiste nel fare cadere un coriandolo di carta in corrispondenza del candidato prescelto. Con il risultato che, quando dovete fare una verifica, a furia di maneggiare le schede, cadono pure altri coriandoli e diventa impossibile riconoscere la volontà dell’elettore. Nel 2000, in Florida, quando vi fu la conta e riconta dei suffragi perché il distacco fra George W. Bush e Al Gore era minimo, a un certo punto le schede  avevano perso tutti i loro coriandoli e ricontarle divenne impossibile.

E allora perché non passare al voto elettronico, già introdotto in molti Paesi con esiti positivi? E’ semplice, dà garanzie di riservatezza e consente spogli quasi istantanei, al riparo da frodi e contestazioni. E toglierebbe al rito elettorale un po’ di muffa Novecento. Fatto l’investimento iniziale, i risparmi lo rendono economico, perché il tempo d’impegno di aule e scrutatori si riduce.

Però, diffidenze e resistenze restano. E prima d’arrivarci, dovremo forse smaltire scorte accumulate di matite copiative. Senza contare i fattori generazionali: io, ve lo confesso, a quel tratto indelebile sono affezionato.

domenica 24 febbraio 2013

Italia 2013: Il Paese che vorrei dopo il voto (e che forse verrà)

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 24/02/2013
Solidale e decisa a venirne fuori. Non dall'Europa, né dall'euro; ma dalla crisi e dall'incertezza. L’Italia che vorrei (e che spero verrà) sarà una da Domodossola a Noto, rispetterà gli impegni e darà una spinta alla svolta dell’Ue per la crescita e l’occupazione. Lavorerà duro e bene, sarà onesta, penserà ai giovani, premierà il merito, baderà a scuola e sanità. Soprattutto, non ascolterà le sirene delle false promesse –illusorie e, se mantenute, disastrose- e di un ritorno al passato, ad antistoriche autarchie e divisioni.

sabato 23 febbraio 2013

SPIGOLI: Italia 2013, il Gioco dell’Oca del tutti a casa

Scritto per il blog de Il Fatto il 23/02/2013

L’ultimo sberleffo della stampa estera alle elezioni italiane è il Gioco dell’Oca del tutti alla casella di partenza (o, magari, tutti a casa?). Il Guardian cerca di spiegare così ai lettori le varianti all’esito del voto: certo, per i compassati sudditi di Sua Maestà sono cose complicate, perché da loro si va alle urne, uno vince, la regina lo chiama, quello forma il governo e se ne riparla dopo quattro anni.

Sul sito del giornale britannico, anche gli italiani possono esplorare le alternative del dopo elezioni: "Vai a destra, a sinistra, o torna al punto di partenza", ci guida il Guardian, analizzando gli sbocchi di quelle che il tedesco Tagesspiegel –uno per tutti, perché il giudizio è unanime- definisce consultazioni europee, dato che "non ci sono più in Europa elezioni nazionali".

Sono cinque gli esiti che il Guardian presenta come più probabili per le politiche italiane, ognuno dei quali corrisponde a una casella da cliccare: 1- la sinistra vince sia alla Camera che al Senato (ed è tutto semplice); 2- la sinistra vince alla Camera, perde al Senato; 3- la sinistra vince alla Camera e al Senato non c’è nessuna maggioranza evidente; 4- la destra vince alla Camera, ma la sinistra vince al Senato, 5- la destra vince al Camera ma non ha la maggioranza al Senato neppure con Monti.

Da ogni casella, si diramano ulteriori percorsi, ognuno dei quali conduce a una possibile soluzione finale. Ad arricchire il quadro, ci sono i ritratti –non proprio lusinghieri– di vari leader, da Bersani a Berlusconi, passando per Monti, Vendola e Grillo. Per altri eroi di casa nostra, non c’è spazio.

Magari beffardo, il gioco del Guardian testimonia quanto questa campagna italiana sia stata seguita, nell’Unione, con un’attenzione e persino un’apprensione straordinarie. Un po’ per l’interdipendenza fra i Paesi dell’Ue, soprattutto fra quelli dell’euro; e un po’ perché davvero molti pensano, non solo nelle redazioni, che l’esito del voto italiano possa essere decisivo per il consolidarsi della stabilità dell’Eurozona e per un radicamento della fiducia, che è un ingrediente della ripresa indispensabile.

I media internazionali mostrano curiosità intrisa di uno scetticismo comprensibilmente irritante, ma non certo inconsueto, nei confronti dell’Italia tutta, di partiti e coalizioni, dei loro leader. Le lezioni d’Europa impartite con algidità dalla stampa britannica –sic!- e quelle di rigore della stampa tedesca paiono fatte per suscitare reazioni opposte in un’opinione pubblica che le ascolta con ovvio fastidio.

Ma un elemento di riflessione costante lega l’attenzione mondiale, politica, economica e mediatica, per le elezioni italiane e una speranza accomuna l’America e l’Europa: che l’Italia esca dalle urne ancora europea, anzi più europea, nonostante le sirene del ritorno al passato e quelle d’un’antistorica autarchia.

La Berliner Zeitung vede l'Europa in apprensione per l'Italia. E Tagespiegel scrive che gli italiani "soffrono sotto il peso del rigore europeo e votano chi lo combatte più duramente". L'Economist titola "Quando i cinici comandano" e prospetta "due minacce alla stabilità e all'euro": la prima, Grillo, un cui successo potrebbe provocare uno stallo e innescare nuove elezioni; la seconda, più probabile, "un governo con una risicata maggioranza, in balia d’una manciata di senatori flessibili" –leggasi: pronti a vendersi al miglior offerente-.

Wolfgang Munchau, l'editorialista del Financial Times che un mese fa scriveva che Monti "non è l'uomo giusto per l'Italia", torna alla carica sullo Spiegel e non salva (quasi) nessuno. "Quale sarebbe il miglior risultato per la stabilità dell'euro? … Forse un successo di Bersani?" Dipende… Una vittoria schiacciante sia alla Camera che al Senato sarebbe l’ideale, "ma non accadrà". E, allora, vediamo dove ci porta il Gioco dell’Oca.

Belgio: picchiato a morte in cella, video come King, storia come Cucchi

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 23/02/2013

Nell'angusta cella d’isolamento di un commissariato di polizia belga, 3,5 mq, un detenuto viene brutalmente picchiato da agenti armati di manganelli e protetti da scudi, con il casco in testa e i passamontagna sul volto. Un video shock, quello che è stato mostrato giovedì sera per la prima volta, a tre anni dai fatti, in un reportage del programma Panorama sulla rete di lingua fiamminga Vrt.

Il detenuto, Jonathan Jacob, 26 anni, di Affligem, un body builder divenuto dipendente all'uso delle amfetamine, è morto in seguito alle percosse: era stato fermato per strada dalla polizia a Mortsel, in provincia di Anversa il 6 gennaio 2010, in stato di agitazione sotto l'effetto delle droghe, e aveva, secondo i rapporti di polizia,  un comportamento agitato e aggressivo.

Il video che scuote dal torpore il Paese cuore dell’Unione europea evoca le immagini del pestaggio di Rodney Glen King, un tassista nero californiano, vittima, il 3 marzo 1991, di una violenta aggressione da parte di un gruppo di agenti della polizia di Los Angeles, che lo avevano fermato per eccesso di velocità. Ma, a noi italiani, la vicenda evoca pure subito la tragica fine di Stefano Cucchi.

Nel caso di King, gli autori del pestaggio riferirono di avere creduto che King fosse sotto l’effetto d’allucinogeni e di avere temuto per la propria incolumità. L’episodio, ripreso di nascosto da un cine-amatore, George Holliday, venne trasmesso e ritrasmesso da tutti i grandi networks televisivi americani e internazionali: uno dei primi esempi, forse il primo in assoluto, di ‘citizen journalism’, il video fece riemergere il problema del razzismo negli Stati Uniti. La mancata condanna, oltre un anno dopo, dei quattro agenti finiti sotto processo innescò violenti disordini a Los Angeles: proteste contro la polizia locale accusata di metodi brutali, soprattutto nei confronti dei neri, e contro una giustizia non coraggiosa.

King, figlio di un alcolista morto a 42 anni, divenne una celebrità, anche se, per il resto della vita, continuò a fare notizia per tutta una serie di reati minori, fino a che, nel 2012, non venne trovato morto annegato, a 47 anni, sul fondo di una piscina. Nel 1992, Spike Lee aprì il suo film Malcom X con le immagini del pestaggio, usando come colonna sonora un discorso contro il razzismo dei bianchi del leader nero.

Più recente, e più vicino a noi, il caso Cucchi: appassionato di boxe, tossicodipendente, già in cura presso alcune comunità, Stefano, un geometra romano di 31 anni, morì il 22 ottobre 2009, mentre era in custodia cautelare. Per il suo decesso, divenuto un caso di cronaca giudiziaria che ha scosso l’opinione pubblica, sono stati indagati alcuni agenti della polizia penitenziaria e alcuni sanitari del carcere di Regina Coeli.

Nel dicembre scorso, i periti hanno stabilito che Stefano morì a causa delle mancate cure, stroncato da gravi carenze di cibo e liquidi. Le lesioni riscontrate sul suo corpo potrebbero essere state causate da un pestaggio o da una caduta. Nella scia dell’emozione suscitata dal suo caso, sono poi emersi fatti di cronaca analoghi: Maurizio Cartolano ne trasse il documentario ‘148 Stefano mostri dell’inerzia’, sponsorizzato da Amnesty e Articolo 21 e presentato al Festival del Cinema di Roma.

E’ presto per dire se la vicenda di Jacob avrà analogo impatto in Belgio, un Paese che ha già dimostrato di sapersi anestetizzare nel suo perbenismo di fronte a fatti di cronaca sconvolgenti. Sembra che un medico avesse consigliato il ricovero del detenuto in un ospedale psichiatrico, ma che il direttore del locale nosocomio avesse rifiutato l'internamento perché Jacob, forte e robusto, era troppo agitato. Così il giovane era stato condotto in cella d’isolamento.

Nelle immagini si vede Jacob nudo, piangere, disperarsi, urlare, misurare con i passi la cella, accovacciarsi a terra. Va avanti così per qualche ora. La polizia di Mortsel chiede aiuto all'equipe d'assistenza speciale della polizia di Anversa. I fotogrammi mostrano sei poliziotti che, all’ingresso nella cella, lanciano un razzo luminoso, poi spingono il detenuto in un angolo con gli scudi, gli sono addosso, lo picchiano –uno in particolare-. Una macchia di sangue resta sulla parete. L'uomo è immobile quando gli somministrano un'iniezione. Al termine del filmato, un medico entra nella cella, ma Jacob non ha più polso, né battito cardiaco: è morto.

L'autopsia ha stabilito che la causa del decesso è stata un'emorragia interna provocata dalle percosse ricevute durante l'intervento dei poliziotti. Un agente è stato rinviato a giudizio per le botte, il medico dell'ospedale psichiatrico per omissione colposa. Il ministro dell’interno belga Joelle Milquet ha definito l’episodio scandaloso e ha giudicato “inaccettabile” che il principale responsabile non sia stato sospeso.

venerdì 22 febbraio 2013

Italia 2013: un voto europeo, una campagna senza Europa

Scritto per EurActiv il 22/02/2013. Altra versione su l'Indro

Oh Europa, dove tu sei? Non certo nei discorsi dei leader e nei manifesti di partiti o coalizioni, anche se questa campagna elettorale -s’era detto all'inizio- si giocava sull'Europa ed è stata seguita, nell'Unione, con un’attenzione e persino un’apprensione straordinarie. Un po’ perché, come scrive il tedesco Tagesspiegel, "in Europa  non ci sono più elezioni nazionali”, tanta è l’interdipendenza fra i Paesi dell’Ue, soprattutto fra quelli dell’euro; e un po’ perché davvero molti pensano, non solo nelle redazioni dei media, che l’esito del voto italiano possa essere decisivo per il consolidarsi, o meno, della stabilità dell'Eurozona e per un radicamento della fiducia, che è un ingrediente della ripresa indispensabile.

Nei programmi elettorali italiani, l’Europa c’è, spesso con retorica evidenza, nei preamboli; ma poi sparisce dai contenuti concreti, dai capitoli specifici. Lo hanno evidenziato, nelle ultime settimane, ricerche ed analisi d’impronta federalista, denunciando come, sotto la genericità di impegni o richiami, non ci sia adeguata conoscenza dei problemi e del contesto.

Sulle piazze o in tv o sul web, nessuno o quasi invoca l’Unione come alleata, temendone l’impopolarità, in tempi opachi di crisi venata di populismi ed euro-scetticismi. Anzi, molti la demonizzano come causa del disagio e non risposta ad esso, promettendo, anzi minacciando, uscite dall'euro e altri sfracelli, con un’approssimazione che è equamente distribuita in tutte le affermazioni similari.

E quando l’Unione ha provato a entrarci lei nella campagna italiana lo ha fatto in modo maldestro: il Ppe, ad esempio, lavando in pubblico i panni dello ‘scontro fra i leader’ Berlusconi e Monti; oppure, il commissario europeo Olli Rehn distribuendo attestati di stima al Governo Monti senza dubbio sinceri e forse anche meritati, ma apparsi spesso ‘assist’ elettorali ad orologeria, incongrui per un’Istituzione internazionale . Più esperti e meno invasivi leader politici come Angela Merkel e Francois Hollande: capaci di sostenere i loro ‘campioni’ senza però esporsi alle accuse di ingerenza; e concordi, pur da campi politici diversi, nell'individuare trappole da evitare, pericoli da scansare, pifferai da non seguire.

Eppure, la partita italiana è proprio una partita europea, decisiva per l’Italia, ma anche per l’Unione: il pegno è il rispetto degli impegni accettati, la posta in palio è una presenza incisiva che possa contribuire alla svolta dell’Ue per la crescita e l’occupazione. Le alternative sono le false promesse, che abbacinano, ma che si rivelerebbero ingannevoli o che, se mantenute, avrebbero un impatto illusorio e conseguenze disastrose; oppure, il rifiuto degli impegni e la negazione di una storia che è ormai pure un destino, un’Italia europea.

La stampa internazionale ha seguito l’avvicinamento al voto e ne seguirà i risultati con un’attenzione straordinaria, intrisa di uno scetticismo comprensibilmente irritante, ma non certo inconsueto, nei confronti dell’Italia tutta, di partiti e coalizioni, dei loro leader. Le lezioni d’Europa impartite con supponenza dalla stampa britannica –sic!- e quelle di rigore della stampa tedesca paiono fatte apposta per suscitare reazioni opposte in un’opinione pubblica che le ascolta con fastidio.

Ma un elemento di riflessione comune attraversa l’attenzione politica e mediatica, economica e finanziaria, sociale e culturale per le elezioni italiane e un tratto di speranza comune lega l’America e l’Europa nell’attesa dei risultati: che l’Italia esca dalle urne ancora europea, anzi più europea, senza ascoltare le sirene del ritorno al passato e di una antistorica autarchia.

Siria: l'ora di Roma sul timer della pace nelle mani di Obama

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 22/02/2013

Se John Kerry aveva qualche esitazione nel definire le priorità della sua agenda, l’attentato compiuto ieri a Damasco –circa sessanta le vittime- deve avergli tolto molti dubbi: la Siria è, in questo momento, il problema numero 1 della sicurezza internazionale. Il segretario di Stato americano parteciperà, qui, a Roma, il 27 febbraio, a una riunione del Gruppo ‘ad hoc’ ad alto livello, dove si discuterà come uscire dalla guerra civile che martoria quel Paese. E, il giorno prima, a Berlino, Kerry avrà avuto un incontro con il collega russo Serguiei Lavrov, fautore della linea del dialogo.

L’attacco suicida nel centro di Damasco, vicino alla sede del partito Baas,  è denunciato come “un atto di terrorismo”sia dal regime, che lo attribuisce a gruppi legati ad al Qaida, che “ricevono dall’estero sostegno logistico e finanziario”, che dall’opposizione. Se la sua matrice, ma anche i suoi moventi, restano incerti, uno degli effetti è di accrescere l’incertezza su chi stia davvero combattendo in Siria per rovesciata il regime di Bachar al Assad.

Al Cairo, la Coalizione nazionale siriana si dice pronta a negoziare un accordo di pace per porre termine al conflitto, purché il presidente al Assad non abbia un ruolo nella trattativa, da condurre sotto l’egida di Usa e Russia.

Ma, in Occidente, nelle ultime settimane, la sensazione che il regime stesse per crollare s’è smorzata e s’è così tornato a parlare di dialogo (“fra tutte le parti coinvolte” è il linguaggio diplomatico comune alla Russia e alla Santa Sede).  Il ministro britannico William Hague chiede al regime di accettare l’offerta di dialogo. Mentre il ministro degli esteri italiano Giulio Terzi pare un passo indietro, quando dice che alla riunione del Gruppo proporrà di aumentare gli aiuti militari ai ribelli.

In questo clima di dubbi e timori, si colloca la prima missione di Kerry nel nuovo ruolo, tutta europea e mediorientale. Dal 24 febbraio al 6 marzo,  il successore di Hillary Clinton farà tappa in nove Paesi: Gran Bretagna, Francia Germania, Italia, Turchia, Egitto, Arabia Saudita, Emirati arabi uniti e Qatar. Poi, accompagnerà in Israele il presidente Barack Obama, mentre l’Asia sarà meta di un altro viaggio.

Più che sugli incontri bilaterali in un contesto elettorale, la tappa romana avrà come fulcro il consulto sulla Siria, oltre che un Transatlantic Dinner –nel menù, sicurezza e zona di libero scambio Ue-Usa-.

giovedì 21 febbraio 2013

Punto: Ue, il rigore è d'obbligo, la crescita un optional

Scritto per l'Indro il 21/02/2013

L’Europa del rigore va sempre più stretta ai cittadini dell’Unione, soprattutto nei Paesi più provati dalla crisi: ci si aspetta da Bruxelles politiche per la crescita e l’occupazione. Eppure, nel triangolo delle istituzioni comunitarie, Commissione, Consiglio e Parlamento, vanno avanti spedite, o quasi, solo le decisioni che rafforzano la governance economica e favoriscono una maggiore integrazione dell'Eurozona.

C’è il rischio di aumentare lo iato tra Europa e cittadini, proprio mentre crescono nell’Unione movimenti populisti ed euro-scettici. E si sfiora il paradosso, quando la Commissione da una parte propone giri di vite sui bilanci e dall’altra invita gli Stati a destinare maggiori risorse al welfare, così da allentare le tensioni sociali e ridurre la povertà, che sta invece crescendo.

Le conseguenze sociali della crisi finanziaria da cui stiamo forse uscendo - fa notare Laszlo Andor, commissario all’occupazione - sono state e restano "molto gravi". In Italia, in particolare, la spesa sociale è insufficiente, gli strumenti a protezione dei disoccupati sono inadeguati e quelli a sostegno delle famiglie non aiutano l'inserimento delle donne nel mondo del lavoro. Non stupisce, dunque, che il numero di poveri sia aumentato di circa 3 punti percentuali nell’ultimo triennio, dai circa 15 milioni del 2008 agli oltre 17 milioni del 2011: quasi un terzo della popolazione.

Two Pack – Per il vicepresidente della Commissione Olli Rehn, liberale, l'accordo fra Consiglio e Parlamento sul cosiddetto ‘two pack’ migliora governante e integrazione: si tratta di regolamenti che completano il Patto di Bilancio e un precedente pacchetto di misure chiamato ‘six pacs’ e che danno all’Esecutivo dell’Ue un potere di controllo maggiore sulla politica di bilancio dei Paesi dell’euro, tra cui l’autorità di imporre modifiche alle finanziarie nazionali.  E il presidente del Parlamento Martin Schulz dice che il ‘two pack’ rende l'Unione "più forte di fronte a nuove crisi".

Non che il processo legislativo sia, a questo punto, completato. Rehn auspica che vada a buon fine in tempi rapidi: il ‘two pack’ prevede che gli Stati risanino i conti, osservando le raccomandazioni di Bruxelles, e dovrebbe entrare in vigore "prima della definizione dei bilanci per il 2014". Come dire che il prossimo bilancio italiano sarà ‘sotto tutela’.

Il 'two pack' era bloccato da mesi: il Parlamento voleva inserirvi un 'fondo di redenzione del debito' dove fare confluire le eccedenze degli Stati da riscattare in 25 anni. L'opposizione della Germania non è stata vinta: s’è solo delegato a un gruppo di saggi lo studio di fattibilità del ‘fondo’.

Il Parlamento s’è pure voluto sincerare che la stretta sulla governance tenga conto degli sforzi già fatti dai Paesi e non vada quindi a gravare su bilanci già falcidiati. E, inoltre, dicono i deputati, "bisogna evitare che i tagli vadano a scapito di investimenti con potenziale di crescita". Gli Stati dovranno dettagliare quali investimenti abbiano un potenziale di crescita e di occupazione, mentre "la riduzione dei deficit dovrà essere applicata in modo più flessibile in circostanze eccezionali, come pure in fasi di andamento molto negativo dell'economia".

Investimenti sociali – Nel giorno dello sblocco dello stallo sul ‘two pack’, il commissario Andor ha presentato la comunicazione sugli investimenti sociali finalizzati alla crescita ed alla coesione. Con essa,  la Commissione propone agli Stati alcuni "orientamenti per perseguire politiche sociali più efficienti ed efficaci in risposta alle problematiche attuali: gravi difficoltà finanziarie, aumento della povertà e dell'esclusione sociale", oltre che disoccupazione giovanile. Un altro problema è "l'invecchiamento della società e la contrazione della popolazione in età lavorativa, che mette a prova la sostenibilità e l'adeguatezza dei sistemi sociali e previdenziali nazionali".

La Commissione invita gli Stati "a mettere in cima alle priorità gli investimenti sociali” e vuole che modernizzino “i propri sistemi di protezione sociale”. Ciò implica migliori strategie di integrazione e un uso più efficiente ed efficace delle risorse destinate al sociale. Ma mentre le misure di rigore e di governance sono cogenti, qui siamo nel campo delle esortazioni e raccomandazioni.

La comunicazione fornisce, inoltre, orientamenti ai governi su come utilizzare al meglio il sostegno finanziario Ue, in particolare quello offerto dal Fondo sociale europeo, per centrare gli obiettivi. La Commissione controllerà il funzionamento dei sistemi di protezione sociale dei singoli Stati membri nel contesto del semestre europeo –l’attuale procedura di esame e verifica dei bilanci nazionali- e formulerà dove opportuno raccomandazioni specifiche ad uso dei paesi interessati.

Italia 2013: Monti parla per la Merkel, che lo smentisce

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 21/02/2013. Altro taglio sul blog de Il Fatto il 21/02/2013

Sentendosi forse a corto di elettori in patria, Mario Monti chiama a raccolta i fans all'estero: peccato, per lui, che le schede dei Grandi d’Europa non contino, nelle urne nostrane. E il Professore non s’accontenta di raccogliere i suffragi di Angela Merkel o di Wilfried Martens e altri venerabili ‘popolari’. Mette nelle mani della cancelliera tedesca la composizione del futuro governo; e, poi, si cura persino delle sorti della Germania dopo le politiche che lassù si faranno a settembre.

“La Merkel –dice parlando all’AdnKronos- teme l'affermarsi di partiti di sinistra": "credo che non abbia nessuna voglia di vedere arrivare il Pd al governo". Concetto ribadito a Sky: "Non è deciso che collaborerò con il Pd e giudico difficile trovare una base d'intesa con la coalizione di sinistra. Dubito che la Merkel auspichi un partito di sinistra al governo in un grande Paese europeo”, specie –aggiunge- “in un anno di elezioni per la Germania”.

Con frasi nette, il premier in carica per gli affari correnti attribuisce alla cancelliera pensieri forse nutriti in seno, ma mai espressi pubblicamente. E si prende una bacchettata sulle dita dal portavoce Steffen Seibert: “La Merkel non s’è espressa sulle elezioni italiane e non l’ha mai fatto in passato”, scrive su Twitter rispondendo a un blog. E la stessa cancelliera, in un’intervista, dichiara:  "Spetta agli italiani scegliere il proprio governo ed io non mi mischio in suggerimenti o congetture".

Del resto, è difficile immaginare che la Merkel, pur tifando magari Monti, voglia tagliarsi i ponti con il favorito della vigilia; e, infatti, non ha mica scoraggiato il suo ministro dell’economia Wolfgang Schaeuble, cristiano-sociale come lei, dall'incontrare Pierluigi Bersani in visita a Berlino.

Come il presidente francese François Hollande, socialista e, quindi, nelle logiche di schieramento, ‘bersaniano’, non lesina elogi all'operato europeo del governo Monti, pur partecipando attivamente alla campagna del Pd. Perché un conto è la ragione di partito e un conto è la ragione di Stato. Che, se poi la ragione di partito prevalesse fino in fondo, “sarebbe naturale –ammette proprio Monti- che la Merkel auspicasse che il Pdl, che fa parte del Ppe, vincesse le elezioni".

E, invece, quello non lo vogliono proprio né la Merkel né Hollande, né il conservatore Cameron, né il liberale Rehn. Che se c’è un tratto comune, nell'Unione europea e negli Stati Uniti, all'attenzione con cui viene seguita la campagna italiana è l’ostracismo  al ritorno del Cavaliere e il timore che ciò possa davvero accadere.

La crociata anti-Berlusconi è guidata dalla stampa tedesca e fa di continuo adepti (ultimo arruolato, il NYT). Quanto ai giornali britannici, quelli sono i sansepolcristi dell’anti-berlusconismo. Proprio ieri, Der Spiegel raccontava che politici e imprenditori depredano l’Italia giorno dopo giorno, secondo l’etica “alla Berlusconi”, il cui motto è “arricchitevi come potete” e contro cui unico argine è la magistratura. Prima di Der Spiegel, Die Welt aveva riesumato Marx ed Engels per demonizzare ed esorcizzare lo spettro di Mr B che s’aggira per l’Unione e la terrorizza: “Contro il Cavaliere, tutte le potenze della vecchia Europa sono alleate, la Merkel e l'Eurogruppo, le banche e i mercati azionari, l'Ue e l'Fmi”. E Tagespiegel titolava: "Il governo tedesco mette in guardia contro il ritorno di Berlusconi". Wolfgang Munchau, commentatore del FT, è convinto che le elezioni italiane decideranno il destino dell'euro e guarda con ansia ai candidati premier: "un clown, un miliardario, un funzionario di partito e un professore che non capisce niente di politica".

Per spiegare la chiamata in campo della Merkel da parte del loro capo, i ‘montiani’ sostengono che il Professore non voleva creare imbarazzi alla cancelliera –ci mancherebbe!-, ma solo rispondere a Berlusconi, che dichiara l’esatto contrario, cioè che “Angela la culona”, come lui affettuosamente la chiama, vuole imporre all'Italia una ‘grande coalizione’ Bersani-Monti.

La sortita del premier suscita una gragnola di repliche. Alfano gli dà del portavoce della Merkel. Bersani dice  ironicamente di non avere capito se il Pd è un problema per la Merkel, o per Monti. Proprio Bersani, il “casual Pierluigi”, campeggiava ieri  sulla stampa tedesca: Die Welt raccontava il leader del Pd che, “con il sigaro tra le labbra”, ha rifinito, in questa campagna, “la sua immagine di statista pieno di slancio, apparendo senza giacca e con le maniche rimboccate”. Una conferma in più al fatto che, visti da lontano, appaiono spesso diversi che visti da vicino.

mercoledì 20 febbraio 2013

Punto: Kerry in Europa e MO, dopo in Asia, fa perno su Italia

Scritto per l'Indro il 20/02/2013

Immediatamente dopo le elezioni del 24 e 25 febbraio, la politica estera, da tempo una grande assente, tornerà protagonista a Roma, con l’arrivo del segretario di Stato Usa John Kerry alla sua prima missione europea e mediorientale nel nuovo ruolo. La tappa romana di Kerry sarà significativa, più che per gli appuntamenti bilaterali –sarà troppo presto per avere un quadro chiaro del futuro governo-, per quelli multilaterali, dal Transatlantic Dinner, dove si parlerà di sicurezza e zona di libero scambio Ue-Usa, al Gruppo di alto livello sulla Siria, dove si discuterà di come uscire dalla guerra civile che devasta quel Paese.

Tra il 24 febbraio e il 6 marzo, Kerry farà tappa in nove Paesi: oltre all’Italia, Gran Bretagna, Francia Germania, Turchia, Egitto, Arabia Saudita, Emirati arabi uniti e Qatar. Successivamente il successore appena insediatosi di Hillary Clinton accompagnerà in Israele il presidente Barack Obama, mentre l’Asia sarà la meta di una successiva missione.

Il viaggio è stato ufficialmente annunciato martedì dal Dipartimento di Stato. La prospettiva delle consultazioni di Kerry in Europa e in Medio Oriente segna una giornata di tensioni socio-politiche nell’Ue, specie in Grecia e in Bulgaria, e nel Nord Africa, specie in Tunisia, mentre l’allarme terrorismo per gli occidentali contagia il Kenya, dopo Nigeria e Camerun.

Kerry farà la prima sosta in Gran Bretagna, secondo uno schema di viaggio geograficamente razionale, ma pure diplomaticamente significativo. Infatti, il primato di Londra suona spontaneo riconoscimento alla ‘relazione speciale’ tra gli Stati Uniti e Regno Unito. Così come il fatto che Kerry viaggi a Est prima che a Ovest è certo dettato da impegni già definiti –ad esempio, la riunione del gruppo sulla Siria-, ma pare pure rispondere al desiderio di tranquillizzare gli europei sull’attenzione degli Usa per loro.

Del resto, Kerry ritiene che la maggiore sfida alla politica estera degli Stati Uniti non viene ora come ora né dalla Cina né dal Medio Oriente (e tanto meno dall’alleata Europa), ma dal Congresso, che sta creando uno stallo sul bilancio e sta così condizionando la programmazione delle attività diplomatiche Usa. In una battuta, Kerry rileva che "non si può essere forti nel mondo senza esserlo a casa propria"; e invita il Congresso a trovare un accordo per evitare i tagli automatici alla spesa che sono "senza senso" e costituiscono una minaccia.

Nonostante il clima post-elettorale, il programma a Roma di quello che la portavoce del Dipartimento di Stato Victoria Nuland ha definito il ‘listening tour’, il ‘viaggio dell’ascolto’,  è denso d’appuntamenti. Kerry arriverà in Italia il 26 e ne ripartirà il 28.

Tema della riunione sulla Siria, da tempo fissata, le sorti del regime di Bashar al Assad, sotto l’attacco della guerriglia,  e le possibili evoluzioni. La cena transatlantica, che non è ancora confermata al 100%, è invece un appuntamento che tradizionalmente si tiene a Bruxelles, a margine del Consiglio atlantico, o a New York, in occasione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite: un’occasione di confronto tra europei ed americani, in genere sui temi della sicurezza (questa volta, però, in agenda ci saranno pure le trattative appena lanciate per una zona di libero scambio transatlantica). Kerry ha chiesto all’Italia di organizzarla, per avere un primo incontro con gli interlocutori atlantici.

Se la tappa italiana della missione Kerry non si colloca in giorni politicamente felici, l’attenzione degli Usa per l’Italia è stata dimostrata, la scorsa settimana, dalla considerazione riservata alla visita a Washington del presidente Giorgio Napolitano. “Non è fatto scontato che in futuro tale attenzione sia riservata a chiunque altro”, ha scritto sul Corriere della Sera Maurizio Caprara. 

martedì 19 febbraio 2013

Corte Strasburgo: coppie omo, affermato diritto adozione

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 20/02/2013. Altra versione nel Punto su l'Indro del 19/02/2013

Ovunque in Europa, ma non in Italia, i diritti degli omosessuali avanzano: mentre la crisi abbatte redditi e livelli di vita, leader politici d’opposta tendenza, progressisti e conservatori, condividono l’impegno di civiltà per l’uguaglianza tra le coppie etero ed omosessuali. Sta avvenendo in Francia e in Gran Bretagna, è già avvenuto in Belgio e in Olanda, c’è fermento altrove. E, ora, una sentenza della Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo sancisce che, nelle coppie omosessuali, i partner devono vedersi riconosciuto il diritto di adottare i figli dei compagni, se le coppie eterosessuali non sposate possono farlo. La Corte è un’emanazione del Consiglio d’Europa: l’Ue non c’entra.

Il verdetto di Strasburgo riguarda il ricorso presentato da una coppia di donne austriache e dal figlio di una di esse. La sentenza è definitiva, perché emessa dalla Grande Camera della Corte dei diritti dell’uomo: investe, ovviamente, l'Austria, ma i principi valgono per tutti gli altri 46 Stati membri del Consiglio d'Europa, fra cui l’Italia.

E, così, da noi, siamo al paradosso. Nella campagna elettorale, l’Europa è spesso il problema, raramente la soluzione e quasi mai il tema: resta là sullo sfondo, temuta come nemica o attesa come salvatrice. Avviene lo stesso per la parità di diritti degli omosessuali: chi è pro, non lo dice troppo perché teme di irritare benpensanti e tradizionalisti; chi è contro, neppure lo dice troppo, perché mica sta bene sbandierare il vessillo dell’ineguaglianza.

Poi, arriva la sentenza di una corte europea e tutti si trovano, d’un colpo solo, a parlare d’Europa e di diritti degli omosessuali. La notizia da Strasburgo fa subito rumore: battuta urgente dalle agenzie di stampa, commentata da paladini dell’eguaglianza, che parlano di “verdetto storico”, e da politici contro (Maurizio Gasparri non ha, come al solito, dubbi, “una decisione sbagliata”). E c’è chi vi vede la zeppa definitiva alle ingerenze vaticane: una lettura ottimista.

Però è vero che, forse proprio per il peso della Chiesa, l’Italia non partecipa, in questo momento, alla nuova avanzata dei diritti civili che segna l’Occidente, molti Paesi Ue, molti Stati Usa: i temi sono il matrimonio fra persone dello stesso sesso e le adozioni, la depenalizzazione dell'omosessualità e la lotta contro l'omofobia. Nel Mondo, un'ottantina di Paesi considerano l'essere gay un reato, otto puniscono con la morte i rapporti sessuali fra persone dello stesso sesso (Afghanistan, Arabia saudita, Iran, Mauritania, Qatar, Sudan, Yemen, gli stati islamisti della Nigeria).

Nella sentenza, la Corte afferma che l'Austria viola i diritti dei ricorrenti perché li discrimina in base all'orientamento sessuale, ammettendo l'adozione dei figli dei compagni per le coppie eterosessuali non sposate. I giudici precisano, però, che gli Stati non hanno l’obbligo di riconoscere il diritto all'adozione dei figli dei partner nelle coppie non sposate: il diritto, cioè, o vale per tutti o non vale per nessuno.

Nel caso in esame, in particolare, l'adozione del figlio da parte della partner avrebbe fatto perdere ogni diritto alla madre naturale, sua compagna, che lo ha avuto da un uomo con cui non era sposata. Per i giudici di Strasburgo, il governo austriaco non è riuscito a provare che la differenza di metro tra coppie etero e omosessuali serve a proteggere la famiglia o gli interessi dei minori. La Corte ha così decretato la violazione dell'articolo 14 e 8 della Convenzione europea dei diritti umani, relativi alla non discriminazione e al diritto al rispetto della vita familiare.

Protagoniste della vicenda due donne che vivono da anni una relazione stabile e il figlio di una di esse. Nel 2005, le donne avevano concluso un accordo di adozione, ma il tribunale s’era rifiutato d’avallarlo, perché l codice civile austriaco prevede che chi adotta "rimpiazza" il genitore naturale dello stesso sesso, interrompendo il legame con quel genitore. In questo caso, quindi, l'adozione avrebbe reciso quello con la madre naturale del bambino.

Bilancio Ue: Nelli Feroci a EurActiv; il buono dell’intesa, l’incognita Pe

Scritto per EurActiv il 19/02/2013

Sull'accordo raggiunto l’8 febbraio al Vertice di Bruxelles sul quadro di bilancio pluriennale Ue 2014/2020, “c’è l’incognita” della reazione del Parlamento europeo: lo ricorda Ferdinando Nelli Feroci, rappresentante dell’Italia presso l’Ue, commentando con EurActiv.it l’intesa fra i leader e le prospettive che ne derivano.
In base al Trattato di Lisbona, non c’è decisione sul bilancio dell’Unione senza l’accordo del Parlamento. Pur riconoscendo che la posizione espressa da vari e autorevoli membri del Parlamento è molto critica, l’Ambasciatore è fiducioso: “Aspettiamo di vedere che cosa chiederanno i deputati e poi lavoreremo per trovare un accordo”. Rivedere al rialzo i tetti di spesa appare difficile. Ma l’idea di una clausola di revisione, una certa flessibilità che consenta a determinate condizioni di trasferire fondi da un capitolo di spesa all'altro e da un anno a quello successivo, un impegno politico sulla revisione a termine del sistema delle risorse proprie, magari anche una riduzione del gap fra impegni e pagamenti: queste sono tutte ipotesi sulle quali è possibile lavorare.

In ogni caso, l’incertezza durerà “verosimilmente fino a maggio”: alcune dichiarazioni di esponenti parlamentari sono state, a caldo, molto dure; altre successive lasciano intendere che ci sono margini di negoziato. A marzo, in plenaria, è molto probabile che venga adottata una risoluzione fortemente critica da parte di un’Assemblea che vorrà giustamente far valere le nuove responsabilità che le ha riconosciuto il Trattato di Lisbona. Ma Nelli Feroci punta sull'intesa, anche perché non giudica “nell'interesse del Parlamento una grave crisi”.

E l’Italia, in questo scontro fra Istituzioni comunitarie? “Noi non vogliamo che l’intesa salti. Una grave crisi, che è ancora possibile, avrebbe conseguenze pesanti” sull'ordinato funzionamento dell’Unione europea. E’ipotizzabile in teoria operare sulla base dei soli bilanci annuali, ma questo renderebbe più difficile la programmazione della spesa e renderebbe il quadro complessivo più fragile e meno prevedibile.

Certo, riconosce l’Ambasciatore, “l’intesa raggiunta non è certo ideale. Colpisce che, al terzo esercizio di programmazione di bilancio pluriennale, vi sia per la prima volta una diminuzione delle risorse sia in termini nominali che reali rispetto al ciclo precedente. Ne deriva un’impressione di regressione, di un’Europa che non mette in campo risorse sufficienti… E poi c’è lo stallo sul fronte delle entrate, delle risorse proprie, dei meccanismi di rimborso. Del resto, vigendo la regola dell’unanimità, è inevitabile che  il compromesso finale tra le legittime posizioni degli Stati membri tenda ad assestarsi sul livello del minimo comune denominatore”.

C’è poi da interrogarsi sull'opportunità di un ciclo di programmazione pluriennale così lungo, sette anni, persino superiore ai piani quinquennali dell’Unione sovietica. E’ vero che ci sono vantaggi di prevedibilità e di programmabilità delle risorse e degli investimenti, specie per la coesione. Ma è anche vero che le decisioni vengono adottate nel contesto di un certo ciclo economico -ora, di crisi-, mentre la situazione può poi evolvere.

Ma Nelli Feroci mette pure in rilievo aspetti positivi: “L’intesa prosegue il processo di ammodernamento del bilancio. Si riducono le risorse per l’agricoltura e la coesione e aumentano le risorse per la crescita, gli investimenti, la ricerca... “. Ma come, se s’è detto e scritto da più parti che le spese per la ricerca diminuiscono… “Questo è sicuramente vero rispetto alle proposte di partenza della Commissione europea. Ma rispetto al ciclo attuale ci sono 34 miliardi di euro in più (pari ad un incremento del 37%) per la competitività, la ricerca, l’innovazione e per le grandi reti”.

E per l’Italia, che è stata fra i protagonisti del negoziato, com'è andata? Nella lunga notte di bilaterali e conciliaboli, c’è stato un intenso via vai nella delegazione italiana al Justus Lipsius, il palazzo dei Vertici: il presidente del Parlamento Europeo Martin Schulz, Angela Merkel, Francois Hollande, Mariano Rajoy, Elio Di Rupo e molti altri non si sono fatti vedere lì solo perché il caffè era buono… Alla fine, da confessionali e consultazioni a varia geometria, qualcosa di positivo è saltato fuori?

“Se guardiamo al saldo netto, la bussola che orienta le posizioni negoziali di tutte le delegazioni, c’è stato per l’Italia un miglioramento”, dice l’Ambasciatore. E spiega: “Nel ciclo attuale, il saldo netto medio italiano è di 4,5 miliardi di euro l’anno, pari allo 0,28% del Pil, a fronte di un contributo medio annuo al bilancio Ue di circa 14 miliardi di euro. Nel prossimo ciclo, lo sbilancio netto medio annuo scenderà di 640 milioni di euro l’anno, allo 0,23% del Pil, con un recupero di 4,5 miliardi circa in sette anni”.

Fra i contribuenti netti, chi sta peggio di tutti, dal punto di vista del saldo netto calcolato come percentuale del Pil, sono i Paesi Bassi; vengono poi Svezia, Germania, Gran Bretagna, Austria, Danimarca, Francia, tutti sopra lo 0,30% del Pil, ma il dato britannico è poi corretto dal meccanismo di rimborso ormai trentennale.
Com'è riuscita l’Italia e migliorare la sua situazione? “Abbiamo fatto valere l’argomento della prosperità nazionale, un parametro che integra il Pil pro capite con il potere d’acquisto. Rispetto a questo parametro, l’Italia è sotto la media comunitaria”. E’ un effetto della crisi: la situazione dell’Italia è peggiorata più di quella d’altri, anche se stiamo meglio della Spagna. Nel 2000, la prosperità nazionale italiana era 117, fatta 100 la media comunitaria; nel 2013 è 97, nel 2014 sarà 96.

L’Italia, poi, dovrà migliorare la capacità di spesa delle risorse a disposizione sul bilancio dell’Ue: finora, ha sempre evitato il disimpegno automatico dei fondi comunitari, ma non è certo stata fra i primi della classe, sotto questo profilo. Molto è stato fatto in quest’ ultimo anno per accelerare e recuperare i ritardi accumulati (nei 14 mesi che vanno tra l'ottobre 2011 e il 31 dicembre 2012 e' stata realizzata una spesa certificata di Fondi europei pari a 9,2 miliardi, più di quanto si era speso nei precedenti cinque anni). Ma nel prossimo settennio occorrerà fare ancora di più.