Sull'accordo raggiunto l’8
febbraio al Vertice di Bruxelles sul quadro di bilancio pluriennale Ue
2014/2020, “c’è l’incognita” della reazione del Parlamento europeo: lo ricorda
Ferdinando Nelli Feroci, rappresentante dell’Italia presso l’Ue, commentando
con EurActiv.it l’intesa fra i leader e le prospettive che ne derivano.
In base al Trattato di Lisbona,
non c’è decisione sul bilancio dell’Unione senza l’accordo del Parlamento. Pur riconoscendo
che la posizione espressa da vari e autorevoli membri del Parlamento è molto
critica, l’Ambasciatore è fiducioso: “Aspettiamo di vedere che cosa chiederanno
i deputati e poi lavoreremo per trovare un accordo”. Rivedere al rialzo i tetti
di spesa appare difficile. Ma l’idea di una clausola di revisione, una certa
flessibilità che consenta a determinate condizioni di trasferire fondi da un
capitolo di spesa all'altro e da un anno a quello successivo, un impegno
politico sulla revisione a termine del sistema delle risorse proprie, magari anche
una riduzione del gap fra impegni e pagamenti: queste sono tutte ipotesi sulle
quali è possibile lavorare.
In ogni caso, l’incertezza
durerà “verosimilmente fino a maggio”: alcune dichiarazioni di esponenti parlamentari
sono state, a caldo, molto dure; altre successive lasciano intendere che ci
sono margini di negoziato. A marzo, in plenaria, è molto probabile che venga
adottata una risoluzione fortemente critica da parte di un’Assemblea che vorrà
giustamente far valere le nuove responsabilità che le ha riconosciuto il Trattato
di Lisbona. Ma Nelli Feroci punta sull'intesa, anche perché non giudica
“nell'interesse del Parlamento una grave crisi”.
E l’Italia, in questo scontro
fra Istituzioni comunitarie? “Noi non vogliamo che l’intesa salti. Una grave
crisi, che è ancora possibile, avrebbe conseguenze pesanti” sull'ordinato
funzionamento dell’Unione europea. E’ipotizzabile in teoria operare sulla base
dei soli bilanci annuali, ma questo renderebbe più difficile la programmazione
della spesa e renderebbe il quadro complessivo più fragile e meno prevedibile.
Certo, riconosce l’Ambasciatore,
“l’intesa raggiunta non è certo ideale. Colpisce che, al terzo esercizio di
programmazione di bilancio pluriennale, vi sia per la prima volta una
diminuzione delle risorse sia in termini nominali che reali rispetto al ciclo precedente.
Ne deriva un’impressione di regressione, di un’Europa che non mette in campo
risorse sufficienti… E poi c’è lo stallo sul fronte delle entrate, delle
risorse proprie, dei meccanismi di rimborso. Del resto, vigendo la regola
dell’unanimità, è inevitabile che il
compromesso finale tra le legittime posizioni degli Stati membri tenda ad
assestarsi sul livello del minimo comune denominatore”.
C’è poi da interrogarsi
sull'opportunità di un ciclo di programmazione pluriennale così lungo, sette
anni, persino superiore ai piani quinquennali dell’Unione sovietica. E’ vero
che ci sono vantaggi di prevedibilità e di programmabilità delle risorse e
degli investimenti, specie per la coesione. Ma è anche vero che le decisioni
vengono adottate nel contesto di un certo ciclo economico -ora, di crisi-,
mentre la situazione può poi evolvere.
Ma Nelli Feroci mette pure in
rilievo aspetti positivi: “L’intesa prosegue il processo
di ammodernamento del bilancio. Si riducono le risorse per l’agricoltura e la
coesione e aumentano le risorse per la crescita, gli investimenti, la ricerca...
“. Ma come, se s’è detto e scritto da più parti che le spese per la ricerca
diminuiscono… “Questo è sicuramente vero rispetto alle proposte di partenza
della Commissione europea. Ma rispetto al ciclo attuale ci sono 34 miliardi di
euro in più (pari ad un incremento del 37%) per la competitività, la ricerca, l’innovazione
e per le grandi reti”.
E per l’Italia, che è stata fra
i protagonisti del negoziato, com'è andata? Nella lunga notte di bilaterali e
conciliaboli, c’è stato un intenso via vai nella delegazione italiana al Justus
Lipsius, il palazzo dei Vertici: il presidente del Parlamento Europeo Martin Schulz,
Angela Merkel, Francois Hollande, Mariano Rajoy, Elio Di Rupo e molti altri non
si sono fatti vedere lì solo perché il caffè era buono… Alla fine, da
confessionali e consultazioni a varia geometria, qualcosa di positivo è saltato
fuori?
“Se guardiamo al saldo netto,
la bussola che orienta le posizioni negoziali di tutte le delegazioni, c’è
stato per l’Italia un miglioramento”, dice l’Ambasciatore. E spiega: “Nel ciclo
attuale, il saldo netto medio italiano è di 4,5 miliardi di euro l’anno, pari
allo 0,28% del Pil, a fronte di un contributo medio annuo al bilancio Ue di
circa 14 miliardi di euro. Nel prossimo ciclo, lo sbilancio netto medio annuo
scenderà di 640 milioni di euro l’anno, allo 0,23% del Pil, con un recupero di
4,5 miliardi circa in sette anni”.
Fra i contribuenti netti, chi
sta peggio di tutti, dal punto di vista del saldo netto calcolato come
percentuale del Pil, sono i Paesi Bassi; vengono poi Svezia, Germania, Gran
Bretagna, Austria, Danimarca, Francia, tutti sopra lo 0,30% del Pil, ma il dato
britannico è poi corretto dal meccanismo di rimborso ormai trentennale.
Com'è riuscita l’Italia e
migliorare la sua situazione? “Abbiamo fatto valere l’argomento della
prosperità nazionale, un parametro che integra il Pil pro capite con il potere
d’acquisto. Rispetto a questo parametro, l’Italia è sotto la media comunitaria”.
E’ un effetto della crisi: la situazione dell’Italia è peggiorata più di quella
d’altri, anche se stiamo meglio della Spagna. Nel 2000, la prosperità nazionale
italiana era 117, fatta 100 la media comunitaria; nel 2013 è 97, nel 2014 sarà
96.
L’Italia, poi, dovrà migliorare
la capacità di spesa delle risorse a disposizione sul bilancio dell’Ue: finora,
ha sempre evitato il disimpegno automatico dei fondi comunitari, ma non è certo
stata fra i primi della classe, sotto questo profilo. Molto è stato fatto in
quest’ ultimo anno per accelerare e recuperare i ritardi accumulati (nei 14
mesi che vanno tra l'ottobre 2011 e il 31 dicembre 2012 e' stata realizzata una
spesa certificata di Fondi europei
pari a 9,2 miliardi, più di quanto si era speso nei precedenti cinque anni). Ma
nel prossimo settennio occorrerà fare ancora di più.
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