Si legge in giro che è l’ora della verità, per le prospettive finanziarie a
medio termine dell’Unione europea. E, sinceramente, non si capisce perché
qualcuno voglia creare, intorno al Vertice europeo di domani e venerdì, un
clima da ‘o la va o la spacca’, che accresce la tensione e drammatizza un
appuntamento che drammatico non è o almeno non sarebbe.
Due i motivi. Primo. Se non ci sarà l’intesa, non accadrà nulla, perché ci
sarà ancora tempo per trovarla: le decisioni in ballo devono entrare in vigore
il primo gennaio 2014. E se anche dovessero essere prese in extremis, sono già
previste, come vedremo, procedure per gestire l’emergenza.
Secondo, le divergenze, amplificate dalla polemica del negoziato, vertono,
in fondo, su meno del 3% della spesa comunitaria prevista nei prossimi sette
anni: tutto, cioè, attualmente ruota intorno a una ventina di miliardi di euro,
su una somma globale di circa mille miliardi di euro. Credo che nessuno possa
davvero pensare di mandare all’aria l’Unione per quella somma, spalmata in
dieci anni e ripartita fra 27 Paesi –anzi 28, perché ci sarà pure la Croazia-.
Certo, a perdere non ci sta nessuno, specie i Paesi che sono alla vigilia
di –l’Italia- o che s’avviano a –la Germania- elezioni politiche. Questo spiega
l’intreccio febbrile d’incontri bilaterali preliminari: l’ultimo, oggi, a
Parigi, fra il presidente francese Hollande e la cancelliera tedesca Merkel, a
margine della vera partita Francia-Germania, quella di calcio –per altro
amichevole-.
E mentre l’Unione si guarda l’ombelico del proprio bilancio, il Mondo
intorno vive una giornata d’emozioni anche intense, a partire dal terremoto
alle Isole Salomone che fa temere uno tsunami devastante –un falso allarme, per
fortuna-. Scene di guerra in Mali, scene d’insurrezione in Siria; e, al Cairo,
in occasione di un Vertice islamico, la storica visita del presidente iraniano
Ahmadinejad al presidente egiziano Morsi: erano più di trent’anni che non
accadeva una cosa del genere.
A Bruxelles, i pronostici sull’esito del Vertice sono incerti. E c’è chi
punta sul rinvio, come accadde a metà novembre. Le posizioni sono ancora
distanti, apparentemente inconciliabili. Tanto che il presidente del Consiglio
europeo Van Rompuy ha chiesto a tutti i leader di arrivare pronti ad accettare
compromessi: la decisione richiede d’Unanimità e deve poi essere avallata dal
Parlamento europeo.
La base di partenza della trattativa è la proposta della Commissione: 1.091 miliardi d’impegni,
987 miliardi in pagamenti. La Gran Bretagna, la meno incline a spendere
per l’Ue, partiva da 940 miliardi di euro; la Germania da circa 960 miliardi di
euro. Francia e Italia e i Paesi della crescita, così come quelli della
coesione, sarebbero stati invece pronti ad avallare le tabelle della
Commissione con qualche correzione. L’ipotesi di mediazione di Van Rompuy a
novembre era intorno ai 1.010 miliardi.
Ora, per venire incontro alle esigenze dei campioni del rigore, Van Rompuy,
secondo voci raccolte da Giuseppe Latour su EurActiv.it, starebbe cercando di
tagliare altri 20 miliardi, scendendo sotto quota mille miliardi. Nel contempo,
prova a recuperare qualche miliardo per le politiche agricole e di coesione: l’Italia, così,
recupererebbe qualcosa e limiterebbe i danni. Nel periodo dal 2007 al 2011 è
stata il secondo contributore netto dell'Ue con 22 miliardi, solo due meno
della Francia.
Se non si raggiungesse un accordo, di qui alla fine dell’anno, si procederà
d’ufficio, prendendo i dati del 2013, moltiplicando per sette gli impegni e
aggiungendovi il 2% di rivalutazione per l’inflazione: in questo modo si
arriverebbe a un valore di 1.027 miliardi di euro. Senza, però, poter
introdurre nuovi capitoli di spesa e d’investimento rispetto al periodo precedente.
Una soluzione d’emergenza, che sarebbe una sconfitta per tutti.
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