Ovunque in Europa, ma non in Italia, i diritti degli
omosessuali avanzano: mentre la crisi abbatte redditi e livelli di vita, leader
politici d’opposta tendenza, progressisti e conservatori, condividono l’impegno
di civiltà per l’uguaglianza tra le coppie etero ed omosessuali. Sta avvenendo
in Francia e in Gran Bretagna, è già avvenuto in Belgio e in Olanda, c’è
fermento altrove. E, ora, una sentenza della Corte dei diritti dell’uomo di
Strasburgo sancisce che, nelle coppie omosessuali, i partner devono vedersi
riconosciuto il diritto di adottare i figli dei compagni, se le coppie
eterosessuali non sposate possono farlo. La Corte è un’emanazione del Consiglio d’Europa:
l’Ue non c’entra.
Il verdetto di Strasburgo riguarda il ricorso presentato da
una coppia di donne austriache e dal figlio di una di esse. La sentenza è
definitiva, perché emessa dalla Grande Camera della Corte dei diritti
dell’uomo: investe, ovviamente, l'Austria, ma i principi valgono per tutti gli
altri 46 Stati membri del Consiglio d'Europa, fra cui l’Italia.
E, così, da noi, siamo al paradosso. Nella campagna
elettorale, l’Europa è spesso il problema, raramente la soluzione e quasi mai
il tema: resta là sullo sfondo, temuta come nemica o attesa come salvatrice.
Avviene lo stesso per la parità di diritti degli omosessuali: chi è pro, non lo
dice troppo perché teme di irritare benpensanti e tradizionalisti; chi è
contro, neppure lo dice troppo, perché mica sta bene sbandierare il vessillo
dell’ineguaglianza.
Poi, arriva la sentenza di una corte europea e tutti si
trovano, d’un colpo solo, a parlare d’Europa e di diritti degli omosessuali. La
notizia da Strasburgo fa subito rumore: battuta urgente dalle agenzie di stampa,
commentata da paladini dell’eguaglianza, che parlano di “verdetto storico”, e
da politici contro (Maurizio Gasparri non ha, come al solito, dubbi, “una
decisione sbagliata”). E c’è chi vi vede la zeppa definitiva alle ingerenze
vaticane: una lettura ottimista.
Però è vero che, forse proprio per il peso della Chiesa,
l’Italia non partecipa, in questo momento, alla nuova avanzata dei diritti
civili che segna l’Occidente, molti Paesi Ue, molti Stati Usa: i temi sono il
matrimonio fra persone dello stesso sesso e le adozioni, la depenalizzazione
dell'omosessualità e la lotta contro l'omofobia. Nel Mondo, un'ottantina di
Paesi considerano l'essere gay un reato, otto puniscono con la morte i rapporti
sessuali fra persone dello stesso sesso (Afghanistan,
Arabia saudita, Iran, Mauritania, Qatar, Sudan, Yemen, gli stati islamisti
della Nigeria).
Nella sentenza, la
Corte afferma che l'Austria viola i diritti dei ricorrenti
perché li discrimina in base all'orientamento sessuale, ammettendo l'adozione dei
figli dei compagni per le coppie eterosessuali non sposate. I giudici
precisano, però, che gli Stati non hanno l’obbligo di riconoscere il diritto
all'adozione dei figli dei partner nelle coppie non sposate: il diritto, cioè,
o vale per tutti o non vale per nessuno.
Nel caso in esame, in particolare, l'adozione del figlio da
parte della partner avrebbe fatto perdere ogni diritto alla madre naturale, sua
compagna, che lo ha avuto da un uomo con cui non era sposata. Per i giudici di
Strasburgo, il governo austriaco non è riuscito a provare che la differenza di
metro tra coppie etero e omosessuali serve a proteggere la famiglia o gli
interessi dei minori. La Corte
ha così decretato la violazione dell'articolo 14 e 8 della Convenzione europea
dei diritti umani, relativi alla non discriminazione e al diritto al rispetto
della vita familiare.
Protagoniste della vicenda due donne che vivono da anni una
relazione stabile e il figlio di una di esse. Nel 2005, le donne avevano concluso
un accordo di adozione, ma il tribunale s’era rifiutato d’avallarlo, perché l
codice civile austriaco prevede che chi adotta "rimpiazza" il
genitore naturale dello stesso sesso, interrompendo il legame con quel
genitore. In questo caso, quindi, l'adozione avrebbe reciso quello con la madre
naturale del bambino.
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