Oh Europa, dove tu sei? Non certo nei discorsi dei
leader e nei manifesti di partiti o coalizioni, anche se questa campagna
elettorale -s’era detto all'inizio- si giocava sull'Europa ed è stata seguita,
nell'Unione, con un’attenzione e persino un’apprensione straordinarie. Un po’
perché, come scrive il tedesco Tagesspiegel,
"in Europa non ci sono più elezioni nazionali”, tanta è
l’interdipendenza fra i Paesi dell’Ue, soprattutto fra quelli dell’euro; e un
po’ perché davvero molti pensano, non solo nelle redazioni dei media, che
l’esito del voto italiano possa essere decisivo per il consolidarsi, o meno,
della stabilità dell'Eurozona e per un radicamento della fiducia, che è un
ingrediente della ripresa indispensabile.
Nei programmi elettorali italiani, l’Europa c’è,
spesso con retorica evidenza, nei preamboli; ma poi sparisce dai contenuti
concreti, dai capitoli specifici. Lo hanno evidenziato, nelle ultime settimane,
ricerche ed analisi d’impronta federalista, denunciando come, sotto la
genericità di impegni o richiami, non ci sia adeguata conoscenza dei problemi e
del contesto.
Sulle piazze o in tv o sul web, nessuno o quasi invoca
l’Unione come alleata, temendone l’impopolarità, in tempi opachi di crisi
venata di populismi ed euro-scetticismi. Anzi, molti la demonizzano come causa
del disagio e non risposta ad esso, promettendo, anzi minacciando, uscite
dall'euro e altri sfracelli, con un’approssimazione che è equamente distribuita
in tutte le affermazioni similari.
E quando l’Unione ha provato a entrarci lei nella
campagna italiana lo ha fatto in modo maldestro: il Ppe, ad esempio, lavando in
pubblico i panni dello ‘scontro fra i leader’ Berlusconi e Monti; oppure, il
commissario europeo Olli Rehn distribuendo attestati di stima al Governo Monti
senza dubbio sinceri e forse anche meritati, ma apparsi spesso ‘assist’ elettorali
ad orologeria, incongrui per un’Istituzione internazionale . Più esperti e meno
invasivi leader politici come Angela Merkel e Francois Hollande: capaci di
sostenere i loro ‘campioni’ senza però esporsi alle accuse di ingerenza; e
concordi, pur da campi politici diversi, nell'individuare trappole da evitare,
pericoli da scansare, pifferai da non seguire.
Eppure, la partita italiana è proprio una partita
europea, decisiva per l’Italia, ma anche per l’Unione: il pegno è il rispetto
degli impegni accettati, la posta in palio è una presenza incisiva che possa
contribuire alla svolta dell’Ue per la crescita e l’occupazione. Le alternative
sono le false promesse, che abbacinano, ma che si rivelerebbero ingannevoli o
che, se mantenute, avrebbero un impatto illusorio e conseguenze disastrose;
oppure, il rifiuto degli impegni e la negazione di una storia che è ormai pure
un destino, un’Italia europea.
La stampa internazionale ha seguito l’avvicinamento
al voto e ne seguirà i risultati con un’attenzione straordinaria, intrisa di
uno scetticismo comprensibilmente irritante, ma non certo inconsueto, nei
confronti dell’Italia tutta, di partiti e coalizioni, dei loro leader. Le
lezioni d’Europa impartite con supponenza dalla stampa britannica –sic!- e
quelle di rigore della stampa tedesca paiono fatte apposta per suscitare
reazioni opposte in un’opinione pubblica che le ascolta con fastidio.
Ma un elemento di riflessione comune attraversa
l’attenzione politica e mediatica, economica e finanziaria, sociale e culturale
per le elezioni italiane e un tratto di speranza comune lega l’America e
l’Europa nell’attesa dei risultati: che l’Italia esca dalle urne ancora europea,
anzi più europea, senza ascoltare le sirene del ritorno al passato e di una
antistorica autarchia.
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