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venerdì 31 gennaio 2014

Storie Vere: Ue, Nord contro Sud? No, Nord senza Sud

Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano il 31/01/2014

La scena: il Parlamento europeo, l’aula 4B001 del Palazzo Paul Henri Spaak a Bruxelles. Il momento: mercoledì mattina, 29 gennaio. L’occasione: un seminario organizzato dal Parlamento sulle prospettive dell’Unione bancaria, in vista delle elezioni europee. I protagonisti: decine di giornalisti da tutti i Paesi Ue e due robusti tavoli di esperti e politici, uno di funzionari delle Istituzioni comunitarie e uno di eurodeputati, tutti della commissione per gli affari economici e monetari, che segue l’Unione bancaria.

Il programma annuncia i due relatori sui due aspetti dell’Unione bancaria di cui attualmente si discute, cioè il meccanismo per fare fronte al fallimento di una banca e le garanzie sui depositi –una portoghese, che non c’è, e un tedesco del gruppo socialista-, e i portavoce di altri gruppi dell’Assemblea comunitaria.

In tutto, i presenti sono tre tedeschi, il relatore Peter Simon, il liberale Wolf Klinz e l’esponente della sinistra Thomas Haendel, e una olandese, la popolare Corien Wortmann-Kool, mentre risultano assenti più o meno giustificati un belga fiammingo e un conservatore britannico.

Sull’Unione bancaria, corollario dell’Unione monetaria e tassello dell’Unione economica, i quattro sono tutti d’accordo. Qualche differenza di colore politico emerge tra Haendel, il deputato di sinistra, e gli altri. Qualche distinguo a titolo personale viene da Klinz, il liberale, che premette di non essere allineato con il suo gruppo.

Tutti concordano che, in caso di fallimento di una banca, non devono essere i contribuenti a pagare e quasi tutti sottolineano che, soprattutto, non devono essere i contribuenti di un altro Paese a farlo –usano sempre la parola ‘taxpayers’, mai ‘citizens’-. Tutti hanno dubbi sull’efficacia dei meccanismi messi a punto dall’Ecofin, il Consiglio dei Ministri delle Finanze dei 28, sia dal punto di vista tecnico che istituzionale.

La discussione è pacatissima: più che al Parlamento europeo, del resto, pare di stare alla Lega anseatica. Chiede un giornalista: “Nei dibattiti in commissione, a parte le differenze politiche, che, sia pure sfumate, sono comunque emerse, non c’è, su questi temi, quello spartiacque Nord – Sud di cui tanto si parla, nell’Unione ai tempi della crisi?”.

La risposta dei quattro è unanime, neppure troppo articolata: “No”, non c’è uno spartiacque Nord – Sud sull’Unione bancaria. Forse perché, se il panel fa testo, non è ‘Nord contro Sud’, ma ‘Nord senza Sud’. E dire che la solidità delle banche lascia a desiderare soprattutto in Grecia e a Cipro, in Italia e in Spagna, piuttosto che altrove nell’Ue.

Un po’ più di partecipazione, o di coinvolgimento, non guasterebbe. E’ vero che in quel giorno e a quell’ora c’è a Bruxelles il premier Letta, che incontra gli eurodeputati italiani. Ma un ‘mediterraneo’ qualsiasi poteva pure starci, al seminario.

giovedì 30 gennaio 2014

Elezioni europee: vedi Snowden e poi chiudi, così muore una legislatura

Scritto per EurActiv il 29/01/2014, pubblicato il 30/01/2014

C’è anche una video-conferenza con Edward Snowden, la talpa del Datagate, fra le soddisfazioni che il Parlamento europeo vuole prendersi prima della fine della legislatura. E la successiva non partirà davvero prima di novembre.

Il tempo rimasto è relativamente poco –a marzo, si chiude- e i dossier da condurre in porto sono numerosi: fra l’altro, l’Unione bancaria, i rapporti sull’operato della troika, le direttive sul tabacco e sulle emissioni di CO2 delle auto, i negoziati sull’area di libero scambio Ue-Usa.

Incontrando a Bruxelles un gruppo di giornalisti dei 28, Jaume Duch Guillot, portavoce dell’Assemblea di Strasburgo, enumera i temi che gli eurodeputati si ripromettono di esaurire prima della fine di questa VII legislatura, segnata dalla crisi economica che l’ha traversata da capo a fondo.

E la crisi –osserva Guillot, a volerne cercare un merito- “ha reso evidenti, agli occhi dei cittadini, l’importanza delle decisioni dell’Ue e, quindi, del Parlamento”.

Sul fronte istituzionale, gli eurodeputati hanno progressivamente scoperto e messo in pratica i poteri loro dati dal Trattato di Libona, entrato in vigore quasi in coincidenza con l’inizio della legislatura.

Adesso, la designazione di candidati alla presidenza della Commissione europea, da parte dei partiti politici europei, “cambia il gioco e trasforma le elezioni del Parlamento europeo in vere e proprie elezioni europee”, dice ancora Guillot, anche se non è chiaro quale impatto la corsa alla presidenza avrà sul tasso di affluenza alle urne e sulle scelte politiche dei cittadini europei.

A Bruxelles, si pronostica un testa a testa tra Ppe e Pse per il gruppo più numeroso e si ipotizza che i rapporti di forza fra i gruppi a seguire, i liberali (Alde), i Verdi, la sinistra (Gue) potrebbero subire modifiche. Ci si attende, inoltre, un rafforzamento delle ali estreme dell’Assemblea comunitaria, mentre l’ondata euro-scettica potrebbe faticare a trovare una collocazione nell’aula, anche a causa delle regole per la formazione di un gruppo: ci vogliono almeno 25 deputati e da almeno sette Paesi diversi.

Ma sono calcoli e considerazioni che forse sottostimano il risultato degli euro-scettici e sopravvalutano l’effetto delle pastoie burocratiche.

Dopo il voto del 22 e 25 maggio, l’VIII legislatura del Parlamento europeo comincerà con due sessioni plenarie a luglio, per l’elezione del presidente dell’Assemblea e dei vice, per la formazione dei gruppi e delle commissioni e, eventualmente, per l’investitura del presidente della Commissione indicato, a fine giugno, dal Consiglio europeo.

Dopo di che, inizieranno le audizioni dei commissari europei designati dai 28 governi. Se tutto va bene e se non insorgeranno conflitti politici e/o istituzionali, il processo potrebbe esaurirsi a ottobre (ma c’è chi considera la previsione ottimistica). E a novembre le Istituzioni europee rinnovate – nuovi anche il presidente del Consiglio europeo e il ‘ministro degli esteri’- potrebbero cominciare a lavorare a pieno regime.

Il che lascia davvero poco tempo alla presidenza di turno italiana del Consiglio dell’Ue per ottenere qualche risultato concreto.

Usa: stato dell'Unione; Obama, il reduce, il pizzaiolo e la classe media

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 30/01/2014

“Donne e eroi dei Paesi tuoi”, recita un adagio popolare. Cioè, non è proprio così, ma i buoi, ormai, non li vuole più nessuno e gli eroi, invece, servono sempre, lì, nella tribuna del discorso sullo stato dell’Unione, specie se il pistolotto ha tanto di elettorale e poco di ‘motivational’: il presidente Barack Obama parla alla classe media, cioè alla sua gente, a chi lo vota.

Obama non segue l’adagio: chiama come ospiti e testimonial, accanto alla first lady, Michelle, un reduce gravemente ferito – un classico, quasi immancabile dopo l’11 Settembre – e, a sorpresa, un pizzaiolo italiano –oddio!, è nato a Milano e non a Napoli -, che ha una catena di pizzerie (e fin qui, nulla di strano), ma che ha soprattutto deciso, per conto suo, di alzare la paga minima ai propri dipendenti, a 10 dollari l’ora. E’ proprio quello che il presidente vuole fare con i dipendenti pubblici, 10,10 dollari l’ora: per conto suo, come il pizzaiolo milanese. Se il Congresso frena, andrà avanti per decreto.

Il braccio di ferro col Congresso -l’opposizione repubblicana controlla la Camera- è la filigrana di tutto il discorso. Come se Obama chiedesse a un pubblico un po’ distratto – l’audience, stavolta, non farà concorrenza a quella dell’imminente Super Bowl -: “Toglietemi le pastoie, lasciatemi realizzare le mie promesse”.

Il veterano, il sergente di fanteria Cory Remsburg, cieco di un occhio e malandato, dopo essere stato colpito da un ordigno artigianale alla decima missione in Afghanistan – magari è uno po’ esaltato, come il protagonista di Hurt Locker -, scalda l’aula, perché è il simbolo dell’America che non molla mai: standing ovation d’ordinanza di 2 minuti; lui che risponde col pollice levato al saluto militare del comandante in capo.

Il pizzaiolo John Soranno ha avuto anche lui la sua dose di applausi, ma meno patriottici (e più circospetti: lì, i repubblicani fiutavano la trappola). Una storia, la sua, non specialissima: è arrivato in America per completare gli studi e, magari, per cercare fortuna; e s’è fatto strada. Oggi, è proprietario di una catena di otto pizzerie –non proprio Pizza Hut, ma almeno la pizza avrà qualcosa dell’originale- ed è pure attento al benessere dei suoi dipendenti. “John -ha spiegato Obama- ha dato un aumento al suo personale, ha migliorato il loro bilancio familiare, ha tenuto alto il loro morale. E’ tempo che tutti gli imprenditori americani seguano il suo esempio. E’ tempo di dare un aumento all'America”.

Quello che lui vuole fare: mettere più soldi in busta paga e risollevare il morale agli americani, cui la crescita non restituisce fiducia ed entusiasmo. C’è sempre la paura che la crisi ritorni. E, forse, manca all’Unione un presidente che sia bravo come il candidato del 2008, quello che diceva ‘Yes we can’ e tutti, ovunque, ci credevano.

Invece, Obama parla col freno a mano tirato: il 2014 deve essere “l’anno della svolta”, ma tutti gli anni  nascono per esserlo; e l’anno della chiusura di Guantanamo. Lo promette dal 2008 e non l’ha ancora fatto; anche stavolta, ci mette una chiosa: “se il Congresso lo consente”, nell’anno che vedrà –questo forse sì- la fine della guerra in Afghanistan, almeno per gli americani e i loro alleati.

Il resto è un inventario di buone intenzioni, di politica interna –molte- e internazionale –poche-, tutte condivisibili. C’è il rischio che ce le raccontiamo fino al 4 novembre, il giorno del voto di ‘midterm’.

mercoledì 29 gennaio 2014

Ucraina: la piazza ottiene risultati, la diplomazia combina poco

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 29/01/2014

Per un giorno, il dramma ucraino si recita in parallelo su due scene diverse e lontane l’una dall’altra. A Kiev, il Parlamento prende il sopravvento sulla piazza e abroga le leggi repressive; e il governo si dimette. A Bruxelles, i leader europei incontrano il presidente russo Vladimir Putin: il primo ‘faccia a faccia’ dopo il fallimento, a fine novembre, del progetto d’associazione tra Ue e Ucraina, osteggiato da Mosca.

La decisione di Kiev di allontanarsi dall’Ue e avvicinarsi alla Russia, percepita come un tradimento da buona parte dell’opinione pubblica, aveva innescato le proteste e le manifestazioni che stanno ora cambiando la realtà del Paese. Ma la partita in Ucraina non si gioca solo tra ‘europeisti’ e ‘filo-russi’: in campo, ci sono forti pulsioni nazionaliste, oltre che discriminanti politiche ed economiche.  

Il presidente ucraino Viktor Ianucovich avalla le dimissioni del premier Mykola Azarov. Il governo resta in carica per gli affari correnti, sotto la guida provvisoria del vice-premier Serhiy Arbuzov. S’attende un avvicendamento alla guida del Paese. Lunedì, Arseni Iatséniuk, capofila del partito dell’ex premier incarcerato Yulia Timoshenko, aveva declinato l’offerta di diventare premier fattagli da Ianucovich

Azarov se ne va –spiega- per favorire “le condizioni d’un compromesso politico e d’una soluzione pacifica del conflitto”. Uno dei leader dell’opposizione, l’ex campione del mondo dei massimi Vitali Klitschko, commenta: “Non è la vittoria, ma è un passo verso la vittoria”. Ma la mossa rischia di allentare la tensione, mentre Klitschko vuole mantenere la pressione, “spezzare il sistema”.

Il Parlamento, riunito in sessione straordinaria, abroga le leggi del 16 gennaio, che reprimevano ogni forma di protesta e di manifestazione. Quelle leggi, denunciate in Occidente, avevano innescato la radicalizzazione e l’esacerbazione della protesta e della contestazione.

Le leggi cancellate prevedevano pene detentive fino a cinque anni per chi bloccasse edifici pubblici e sanzioni per i manifestanti mascherati o che portano caschi. E punivano pure con lavori d’interesse pubblico gli autori di diffamazione su internet.

L’abrogazione è stata votata quasi all’unanimità. Il corollario del voto doveva essere una sorta d’amnistia dei manifestati arrestati negli ultimi giorni, quando le violenze hanno fatto vittime, almeno tre. Il dibattito è stato però aggiornato a oggi.

Il vertice a Bruxelles tra Ue e Russia è segnato da scambi d’accuse d’ingerenza nella crisi ucraina. Putin, con il ministro degli esteri Serguiei Lavrov, si dice “preoccupato” per l’impatto economico dell’intesa euro-ucraina e bolla come inaccettabili gli eccessi di nazionalismo ucraino. Il presidente del Consiglio Ue Herman Van Rompuy insiste che l’intesa non danneggerebbe la Russia. A chi gli contesta il sostegno a Ianucovich, Putin risponde: il prestito da 15 miliardi di dollari e la riduzione del prezzo del gas vanno "a favore del popolo ucraino, non di un particolare governo". E gli aiuti economici ed energetici resteranno, anche con un nuovo governo.

Anche gli Stati Uniti hanno fatto sentire la loro voce. Il vice-presidente Usa Joe Biden ha telefonato al presidente Ianukovich, avvertendolo che decisioni autoritarie aggraverebbero la situazione.

Le novità politiche e legislative, più che le notizie da Bruxelles, hanno un po’ calmato la situazione a Kiev. Ma in città le barricate restano e, in provincia, molti edifici pubblici sono occupati.

martedì 28 gennaio 2014

Presidenza Commissione: dibattiti fra candidati, Roma non corre da sola

Scritto per EurActiv il 28/01/2014

E’ gara aperta fra le città europee per organizzare e ospitare dibattiti fra i candidati alla presidenza della Commissione europea, in vista delle elezioni del Parlamento europeo del 22 e 25 maggio. E Roma corre, per il momento, sotto traccia, rispetto ad altre capitali.

Secondo quanto EurActiv ha appreso, città simbolo dell’integrazione europea, come Roma,  o dell’attuale delicato momento dell’integrazione stanno pensando di organizzare dibattiti come quello che il consiglio italiano del Movimento europeo (Cime) vorrebbe si facesse in Campidoglio, a Roma, il 25 marzo, in coincidenza con il 57° anniversario della firma dei Trattati costituivi delle Comunità europee.

Fonti del Parlamento europeo a Bruxelles sono al corrente di progetti di dibattiti a Maastricht, cittadina olandese sede del Vertice del 1991 che segnò la nascita dell’Unione europea e aprì la strada alla moneta unica, e ad Atene, la capitale di quella Grecia che è lo stato dell’Unione più duramente colpito dalla crisi e dalle politiche del rigore. I funzionarti dell’Assemblea non sono, invece, a conoscenza del progetto di Roma.

Nei giorni scorsi, il Cime ha sollecitato, con una lettera, l’attenzione sulla sua idea del sindaco Ignazio Marino. Al momento, non risulta che il sindaco abbia risposto.

Incontrando un gruppo di giornalisti, oggi, a Bruxelles, Stephen Clark, che gestisce la campagna d’informazione del Parlamento in vista delle elezioni, s’è detto certo che la corsa alla presidenza della Commissione abbia già avuto un impatto positivo sull'attenzione della stampa europea per le prossime elezioni.

Il Parlamento stesso progetta di organizzare un dibattito a Bruxelles fra i candidati alla presidenza, nell'imminenza del voto di maggio: più o meno due settimane prima, ipotizza Clark.

I candidati alla presidenza della Commissione più o meno ufficialmente designati dai partiti europei sono attualmente il tedesco Martin Schulz, Pse, presidente uscente del Parlamento europeo, il belga Guy Verhofstadt, Alde, e il greco Alexis Tsipras, Gue. I risultati delle primarie fra i Verdi, che si chiudono oggi, dovrebbero essere noti domani, mentre il Ppe dovrebbe decidere il proprio candidato in un congresso il 6 marzo.

domenica 26 gennaio 2014

Italia/Ue: per sfuggire a Renzi, Letta ‘fa tana’ da Barroso

Scritto per il blog de Il Fatto il 26/01/2014, riprendendo passi dell'articolo per EurActiv di ieri

Per Enrico Letta, e ancora di più per Fabrizio Saccomanni, meglio dieci giorni a Bruxelles che uno a Roma. Là, almeno sai a priori quello che ti dicono, sempre le stesse cose: rispettare gli impegni; non allentare il rigore; fare le riforme, specie del lavoro; tassare gli immobili invece d’aumentare l’Iva. Così, tu, anche se non hai proprio i conti in ordine e la coscienza a posto,  ci arrivi preparato: incaselli le cifre, allinei le tappe, prospetti un ‘primo passo’ –meglio, se l’hai già fatto-, torni a casa con parole d’incoraggiamento. E se qualcuno, magari finlandese, si permette d’esprimere scetticismo, pianti su una scenata stile ‘ma come si permette!’ e ‘lei non sa chi sono io!’.

Qua, invece, non sai mai qual è l’agenda: da quando c’è Renzi, ti cambia le carte in tavola quasi ogni giorno. Manco capisci bene se sta dalla tua o ti vuole fare le scarpe. Facciamo un esempio: tu, premier, ti inventi una giornata di appuntamenti a Bruxelles per presentare il programma 2014, ottenere qualche apprezzamento e tornare a casa più legittimato sul piano europeo (e l’annuncio dell’arrivo, il 27 marzo, del presidente Obama ti dà un’altra iniezione di prestigio internazionale).

Invece, arrivi a Bruxelles senza averlo, il programma, e senza essere sicuro di restare al tuo posto, per il resto del 2014. Sarebbe un po’ imbarazzante, se noi –e pure loro, i leader europei- non fossimo tutti abituati ai balletti politici e diplomatici, mica solo italiani.

Fatto sta che quella che incomincia domani, lunedì 27 gennaio, è la prima ‘settimana cruciale’ 2014 per l’Italia nell’Ue: una prima di molte, in quest’anno segnato dalle elezioni europee, dal semestre di presidenza di turno italiana del Consiglio dell’Ue e –c’è da scommetterci- dal solito contrappunto sulle questioni economiche tra Roma e Bruxelles. Comunque, meglio ‘fare tana’ da Manuel Barroso per qualche ora che vedersela solo e sempre con Matteo e Angelino.

Lunedì 27, ci sarà la prima riunione quest’anno dell’Eurogruppo, il club dei ministri dell’Economia dei 18 Paesi della zona euro; e martedì 28, la prima riunione dell’Ecofin, il Consiglio dei Ministri dell’Economia dei 28. In entrambi i casi, l’Italia sarà rappresentata dal ministro Saccomanni.

Mercoledì, sarà a Bruxelles il premier Letta, per illustrare alla Commissione europea il programma del suo governo (o, almeno, quel che potrà dirne, visto che i partner della maggioranza non hanno ancora siglato il patto). Dopo, Letta andrà al Parlamento europeo, per presentare l’Expo 2015: ci saranno tutti i leader delle Istituzioni comunitarie e una bella sfilza di ‘glorie’ italiche, lombarde e meneghine.

Tre ‘giorni di fuoco’, ad affrontare i quali la politica non aiuta e l’economia neppure. Agli incontri, l’Italia si presenta dopo giorni scanditi da dati economici che hanno marcato la differenza d’andamento tra l’Ue e la zona euro nel loro insieme e l’Italia. Qualche esempio: l’Fmi alza le stime di crescita nel Mondo per il 2014 a 3,7%, ma lima quelle dell’Italia a 0,6%, sostenendo che il Paese non è ancora fuori dai guai e deve fare le riforme (e Confindustria calcola un crollo della ricchezza del Paese del 9,1% dall’inizio della crisi, quasi 3.500 euro per abitante); per l’Ocse, l’occupazione nella zona euro migliora dello 0,1%, ma in Italia continua a calare; il debito italiano è il 2° più alto nell’Ue in percentuale del Pil (92,7% nella zona euro, 132,9% in Italia). E’ vero che Pil, debito, produzione industriale mostrano segnali di miglioramento, ma il passo dell’Italia non è ancora quello dell’Europa.

sabato 25 gennaio 2014

Italia/Ue, conti ed Expo, giorni di fuoco a Bruxelles

Scritto per EurActiv il 25/01/2014

Quella che incomincia lunedì 27 gennaio è la prima ‘settimana cruciale’ del 2014 per l’Italia nell’Ue: la prima di molte, in quest’anno segnato dalle elezioni europee, dal semestre di presidenza di turno italiana del Consiglio dell’Ue e dal solito contrappunto sulle questioni economiche tra Roma e Bruxelles.

La delicatezza della prossima settimana un po’ è nelle cose, cioè nell'agenda, e un po’ ce la siamo cercata, cioè creata, noi. Lunedì 27, nel pomeriggio, ci sarà la prima riunione quest’anno dell’Eurogruppo, il club dei ministri dell’Economia dei 18 Paesi della zona euro; e martedì 28, ci sarà la prima riunione dell’Ecofin, il Consiglio dei Ministri dell’Economia dei 28. A entrambi gli appuntamenti, l’Italia sarà rappresentata dal ministro Fabrizio Saccomanni.

Mercoledì, sarà a Bruxelles il premier Enrico Letta, che vuole presentare alla Commissione europea il programma del suo governo (almeno, quel che sarà in grado di presentare, tenuto conto dell’effetto spiazzante che sul governo hanno le iniziative del segretario del Pd Matteo Renzi). Dopo, Letta interverrà alla presentazione dell’Expo 2015 di Milano, al Parlamento europeo.

Eccezionale, per gli standard europei, il parterre: discorsi introduttivi di Letta e del vice-presidente del Parlamento europeo Gianni Pittella e dei presidenti della Commissione e del Consiglio europei Manuel Barroso e Herman Van Rompuy; presentazione dell’Expo del commissario governativo Giuseppe Sala e della presidente del Board dell’Expo Dina Bracco; e ancora interventi, fra gli altri, del sindaco di Milano Giuliano Pisapia, del governatore della Lombardia Roberto Maroni, del vice-presidente della Commissione Antonio Tajani, della vice-presidente del Parlamento Roberta Angelilli e del presidente della Commissione Agricoltura del Parlamento Paolo De Castro.

Agli appuntamenti bruxellesi, l’Italia si presenta dopo giorni scanditi da dati economici che hanno regolarmente scandito la differenza d’andamento tra Ue e la zona euro nel loro insieme e l’Italia. Qualche esempio: l’Fmi ha alzato le stime di crescita nel Mondo per il 2014 a 3,7%, ma ha limato quelle dell’Italia a 0,6%, sostenendo che il Paese non è ancora fuori dai guai e deve fare le riforme (e Confindustria calcola un crollo della ricchezza del Paese del 9,1% dall'inizio della crisi, quasi 3.500 euro per abitante); per l’Ocse, l’occupazione nella zona euro migliora dello 0,1%, ma in Italia, dove il 12% dei lavoratori non ce la fa con il proprio stipendio, continua a calare; il debito italiano è il 2° più alto nell’Ue in percentuale del Pil (92,7% nella zona euro, 132,9% in Italia, in calo, però, per la prima volta dal 2007, nel 3° trimestre).

Teatro come sempre di molte chiacchiere che hanno grande eco, nonostante lo scarso o nullo impatto operativo, è stato il Forum di Davos, salotto preferito della finanza internazionale.

Di zona euro e di Italia, hanno parlato, in particolare, il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi, che ha ridimensionato i rischi di deflazione e ha previsto che i tassi resteranno bassi a lungo, e il commissario europeo agli Affari economici Olli Rehn, che ha incitato l’Italia a sfruttare la stabilità per fare le riforme, specie quella del lavoro, lamentando il potenziale di crescita non sfruttato.

venerdì 24 gennaio 2014

Italia/Ue: presidenza, Federico Garimberti sarà la voce del semestre

Scritti per EurActiv il il 23 e 24 gennaio

Sarà Federico Garimberti la voce della presidenza di turno italiana del Consiglio dell’Ue, nel secondo semestre 2014. La scelta di Garimberti è stata già fatta, la procedura di nomina deve essere ancora perfezionata.

Secondo quanto EurActiv è in grado di rivelare, Garimberti sarà responsabile dell’informazione strategica della presidenza italiana. Lui e il suo staff, giovane e motivato, stanno già lavorando su vari fronti della comunicazione e dell’informazione della presidenza: il nuovo sito, i social media, i media tradizionali italiani ed esteri.

Ancora relativamente giovane, Garimberti, giornalista della redazione politico-parlamentare dell’ANSA e da tempo ‘chigista’ della principale agenzia di stampa italiana,  ha maturato una notevole esperienza europea e internazionale, sia negli anni trascorsi come corrispondente da Bruxelles, sia seguendo il presidente del Consiglio nelle missioni all'esterno e nei vertici europei e mondiali.

Figlio d’arte –il padre, Paolo, è stato uno dei più noti e autorevoli commentatori di politica nazionale e internazionale de La Repubblica, direttore del Tg2, presidente della Rai, ora presidente di EuroNews-, Federico è collega estremamente apprezzato per il suo equilibrio e la sua correttezza e per lo spirito distaccato ed ironico che lo contraddistingue.

Logo: mille le proposte, scelta entro febbraioSono oltre un migliaio le proposte di logo della presidenza di turno italiana del Consiglio dell’Ue formulate dagli studenti. La scelta del logo dovrebbe avvenire entro fine febbraio. Entro fine marzo dovrebbe essere pronto il sito della presidenza.
Il concorso per disegnare il logo della presidenza italiana, lanciato dal ministero dell'Istruzione, ha riscosso “un grande successo”, secondo quanto si apprende da fonti della Presidenza del Consiglio. L’obiettivo dell’iniziativa, come aveva spiegato il ministro Chiara Carrozza, era ''coinvolgere le scuole per rendere protagonisti le ragazze e i ragazzi ed avvicinarli alle istituzioni europee''.
Gli studenti hanno quindi provato a realizzare il logo e a formulare lo slogan. Il concorso, dal titolo 'La mia Europa è', e i cui termini sono scaduti il 18 gennaio, voleva promuovere “partecipazione consapevole e coinvolgimento attivo” dei giovani, in un percorso di valorizzazione del senso di cittadinanza europea, perché –parole della carrozza- “in Europa si giocherà buona parte del loro futuro”.
La cernita e la selezione del logo e dello slogan richiederà alcune settimane. Intanto, a Palazzo Chigi prosegue la preparazione del semestre di presidenza italiano: il sito della presidenza, costruito ‘ad hoc’, dovrebbe essere pronto per la fine di marzo.

giovedì 23 gennaio 2014

Elezioni europee: fermenti nei partiti, il Pd nel Pse

Pubblicato da AffarInternazionali il 23/01/2014
Dentro il Pse per cambiare il partito e l’Europa: le dichiarazioni di Matteo Renzi sono sempre ambiziose, quale che ne sia il contesto. Il segretario del Pd scioglie, a parole, il nodo dell’adesione dei democratici al Partito socialista europeo, che s’era ingarbugliato, tra pro, contro e reticenze, nella stagione delle primarie. Il mese prossimo, il 18 e 19 febbraio, Renzi si recherà a Bruxelles insieme alla responsabile Europa e Esteri del Pd Federica Mogherini, che è già stata in avanscoperta a sondare il terreno e che tornerà nella capitale Ue la prossima settimana. E il 28 febbraio e 1 marzo il Pd ospiterà a Roma il congresso del Pse: lancio della campagna per le europee e ufficializzazione della candidatura del presidente del Parlamento europeo Martin Schulz, socialdemocratico tedesco, alla presidenza della Commissione europea.
Il sì di Renzi all’adesione del Pd al Pse rispecchia la posizione già espressa dal suo predecessore Guglielmo Epifani, che aveva impegnato il partito a sostenere la candidatura di Schulz. Prima di andare a Bruxelles, Renzi, tuttavia, intende dedicare una direzione ad hoc al tema, perché –dice- “credo sia doveroso e naturale che se ne discuta''.
I più europeisti della sua squadra non s’accontentano di parole e vogliono fatti. La Mogherini, secondo cui “l’Europa non un capitolo degli Esteri, ma piuttosto della politica interna”, sostiene che “una cessione di sovranità economica all’Unione europea è, in realtà, un recupero di sovranità”, rispetto alla perdita di sovranità cui la dimensione nazionale condannerebbe i singoli Stati Ue nell’era della globalizzazione.
Per la Mogherini, presidente della delegazione parlamentare italiana all’Assemblea atlantica, proprio la crisi ha dato piena consapevolezza all’opinione pubblica che le scelte fatte a Bruxelles contano. Il fatto che molte scelte siano state sbagliate, oltre che impopolari, ha però peggiorato percezioni e giudizi sull’integrazione europea.
In vista delle elezioni europee (22 e 25 maggio) e della presidenza di turno italiana del Consiglio dell’Ue (2° semestre), Sandro Gozi è fra i ‘renziani’ che ‘mordono il freno’: l’ex collaboratore di Romano Prodi quand’era presidente della Commissione europea confida agli ex allievi del Collegio di Bruges di essere stufo della retorica e dell’ottimismo europei di facciata dell’attuale governo e vuole dare concretezza allo spartiacque che, per il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, le elezioni segneranno tra il rigore e la crescita.
Spinelli: 30 anni dopo, fermenti tra Roma e Strasburgo - Una sortita italiana per rilanciare l’integrazione europea e un dibattito a Roma fra candidati alla presidenza della Commissione: entrambe le iniziative potrebbero concretizzarsi tra il 22 e il 25 marzo. Se ne parla, nel calderone dei progetti intorno al 30.o anniversario dell’anniversario dell’approvazione a Strasburgo, da parte del Parlamento, del progetto di Trattato per l’Unione europea concepito da Altiero Spinelli e votato, a larga maggioranza, il 14 febbraio 1984.

All’inizio dell’anno, il consiglio italiano del Movimento europeo (Cime) aveva inviato al premier Enrico Letta (e per conoscenza al ministro degli Esteri Emma Bonino) una lettera aperta, suggerendo di rilanciare, in un Consiglio europeo in programma proprio il 14 febbraio, l’iniziativa per una “Repubblica europea federale, democratica e solidale”, dando al nuovo Parlamento missione costituente.

Venuta meno l’ipotesi d’un Vertice il 14, l’anniversario spinelliano sarà celebrato a Roma con un evento nell’Auletta dei Gruppi della Camera e sarà elemento focale nella visita che il Napolitano farà a Strasburgo il 4 febbraio. Una giornata che fonti del Quirinale dicono “europea a 360 gradi”: al mattino, discorso in plenaria; nel pomeriggio, un evento con il presidente del Parlamento Schulz, Giuliano Amato e il presidente del Cime Virgilio Dastoli.

Letta, intanto, starebbe riflettendo all’ipotesi di sortita europeista suggerita dal Cime: l’iniziativa potrebbe concretizzarsi il 22 e 23 marzo, quando a Bruxelles si farà il Consiglio europeo, a ridosso dell’anniversario della firma a Roma, il 25 marzo ‘57, del Trattati istitutivi delle Comunità europee.

E proprio al 25 marzo il comitato italiano del Movimento europeo guarda per proporre ai candidati alla presidenza della Commissione europea un dibattito in Campidoglio sui loro programmi. Già praticamente sicure le candidature di Schulz (Pse), Gui Verhofstadt (Alde) e Alexis Tsypras (Gue), saranno già state decise a quella data quelle dei Verdi, impegnati in questi giorni nelle primarie, e del Ppe, che dovrebbe pronunciarsi il 6 marzo.
Ppe: nel segno dell’incertezza e delle tensioni – L’incertezza maggiore riguarda proprio il Ppe, traversato anche da tensioni italiane: se nel Pse c’è, oggi, carenza d’Italia, nel Ppe ve n’è eccesso, almeno a livello di sigle vecchie e nuove.
E quando in una riunione del partito il presidente della Commissione europea Manuel Barroso critica l’Italia, dove le riforme sono “scarse” e il governo non ha “coraggio” sul debito, la polemica s’infiamma: Raffaele Baldassarre, Forza Italia, lo riferisce; Giovanni La Via, Ncd, lo accusa di fare “interessi di parte”, screditando il governo.
Il Ppe non ha ancora un candidato alla presidenza della Commissione: fra i nomi citati, si fa avanti il commissario europeo per il Mercato interno Michel Barnier, che in un’intervista a Le Figaro, dice: “Sono pronto a impegnarmi”. Barnier è certo che il presidente francese Francois Hollande lo sosterrà, come Nicolas Sarkozy sostenne il socialista Dominique Strauss-Khan alla guida del Fondo monetario internazionale.
Alde: Rehn lascia, Verhofstadt è solo - Il commissario europeo agli Affari economici Olli Rehn si ritira dalla corsa alla nomination nel gruppo Alde, lasciando via libera all'altro candidato, l'ex premier belga Guy Verhofstadt.
Il passo indietro di Rehn è stato annunciato dal presidente dell'Alleanza dei liberali e democratici europei Graham Watson: il finlandese sarà il ''candidato del partito” a ‘ministro europeo’ dell’economia o degli esteri. L’ufficializzazione verrà da un congresso, il 1° febbraio, a Bruxelles. 
Gue: intellettuali per Tsypras – La candidatura ‘euro-critica’ del leader di Siriza Alexis Tsypras, espressa dal gruppo della sinistra al Parlamento europeo, suscita consensi in Italia. E un appello perché si formi una lista di cittadinanza ‘pro Tsypras’ arriva da Andrea Camilleri, Paolo Flores D'Arcais, Luciano Gallino, Marco Revelli, Barbara Spinelli e Guido Viale. 
''L’Europa è a un bivio, i cittadini devono riprendersela'', scrivono su Micromega. E indicano i punti del programma della lista: no al Patto di Bilancio che "punisce il Sud dell'Europa" e che potrebbe avere ripercussioni anche sulla capacità di sviluppo economico degli stati europei più solidi; e ancora un ripensamento del ruolo e delle funzioni della Banca centrale europea; nuovi investimenti a difesa dell'ambiente e per la green economy. Il tutto nella cornice dell'Unione politica: dare all'Ue una nuova Costituzione, scritta non più dai governi ma dal Parlamento, dopo ampie consultazioni.
Euroscettici: Le Pen e Salvini consolidano alleanza – Intanto, il neo-segretario della Lega Nord Matteo Salvini rafforza i legami con il Front National di Marine Le Pen: in un incontro a Strasburgo i due discutono “di piani e azioni congiunte in Italia e in Francia''. Salvini concretizza così intenzioni già manifestate.
A differenza delle altre formazioni politiche europee, gli euroscettici non si daranno un candidato alla presidenza della Commissione ''perché –spiega Salvini- si tratta di un organo anti-democratico: l'unica istituzione che riconosciamo democratica è il Parlamento europeo''.
La Le Pen indica le ''inquietudini comuni'' ai movimenti euroscettici: dalla battaglia contro l’euro all'immigrazione. “Non accettiamo l’immigrazione di massa, l’apertura delle frontiere generalizzata, l’arrivo massiccio di rom o di altri popoli che non possiamo più accogliere perché non ne abbiamo più i mezzi''.

Grillini: i sette punti- Pure Beppe Grillo prepara la campagna europea: un manifesto in sette punti e l’immagine di un Europarlamento “Grand Hotel … o sontuoso cimitero degli elefanti''. In attesa delle consultazioni online, la bozza dei sette punti prevede il referendum per la permanenza nell’euro; l'abolizione del Patto di Bilancio; l'adozione degli eurobond; una alleanza mediterranea per una politica comune; l’esclusione dal limite del 3% di deficit degli investimenti in innovazione e per nuove attività produttive; finanziamenti per attività agricole finalizzate ai consumi interni; e l'abolizione del vincolo di pareggio di bilancio.

mercoledì 22 gennaio 2014

Siria: conferenza di pace, tanti pasticci, poche ambizioni

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 22/01/2014

Mesi di faticosi sofisticati preparativi diplomatici; e, proprio la vigilia, un pasticciaccio che rischia di fare saltare tutto. O, forse, no, perché, in fondo, le attese, per questo incontro che mette insieme, per la prima volta, il regime siriano e la galassia dell’opposizione, sono modeste: se va bene, passi avanti sul fronte umanitario –e ce n’è bisogno-. Inutile illudersi che, qui, oggi, scoppi la pace.

L’esclusione dell’Iran, chiesta dagli Stati Uniti e decretata dall’Onu tra lunedì e martedì, consente lo svolgimento a Montreux, in Svizzera, della cosiddetta Ginevra 2, la conferenza di pace sulla Siria. Mosca giudica l’accondiscendenza dell’Onu verso gli Usa “un errore”, ma “non una catastrofe”. E Teheran, facile cassandra, annuncia un fallimento delle trattative in sua assenza. Emma Bonino parla di una “auto-esclusione temporanea”.

Sul terreno, le forze del presidente Assad assistono allo scontro interno all'opposizione tra jihadisti e moderati, che ha già fatto centinaia di vittime. E Damasco si mostra interlocutore affidabile, portando avanti le operazioni di smantellamento degli arsenali chimici: il prossimo mese, l’Italia ne sarà teatro per 16 ore, il tempo del trasbordo a Gioia Tauro da una nave danese a una americana. L’inquietudine nella zona resta alta, nonostante le rassicurazioni del governo.

E il conflitto siriano continua a fare vittime pure oltre le frontiere del Paese. Ieri un attentato a sud di Beirut, in una roccaforte del movimento sciita Hezbollah, ha causato quattro morti e 35 feriti. E’ il sesto in sei mesi e il terzo in un mese contro gli Hezbollah: lo firma il Fronte libanese al-Nosra, costola d’un gruppo siriano vicino ad al Qaeda.

Le ore della vigilia sono state concitate. Lunedì sera, il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon aveva ritirato l’invito rivolto in extremis all’Iran, dopo le proteste degli Occidentali e la minaccia della delegazione dell’opposizione siriana, già a lungo incerta sul da farsi, di boicottare la riunione.

Washington, Londra e Parigi, tutte favorevoli all'uscita di scena del presidente Assad, volevano che Teheran accettasse l’idea di una transizione democratica. Ma l’Iran appoggia da sempre il regime, nel conflitto che, in quasi tre anni –scoppiò nel marzo 2011, nella stagione delle Primavere arabe-, ha fatto oltre 130 mila vittime.

Ma più che l’enormità della cifra, o lo spettro dell’uso dei gas l’estate scorsa, che portò gli Usa sull’orlo dell’intervento militare, l’immagine di Assad è oggi macchiata dal racconto e dalle foto d’un disertore: detenuti torturati e uccisi a migliaia. Il tribunale dell’Aja sta vagliando il materiale per formulare accuse.

Le polemiche della vigilia esprimono la fragilità del processo di pace. L’invito di Ban a una trentina di Paesi, fra cui l’Italia, affermava esplicitamente che l’obiettivo della conferenza di Montreux è “l’insediamento di un governo di transizione con pieni poteri”, citando le conclusioni di Ginevra I. E per evitare passi indietro su quel punto, la conferenza non dovrebbe adottare un nuovo testo: Ban si limiterà a fare, questa sera, una sintesi dei lavori.

Le discussioni di oggi preparano la riunione di venerdì a Ginevra, presenti solo le due delegazioni siriane e l’inviato speciale dell’Onu per la Siria Lahkdar Brahimi.

I contatti preliminari sono proseguiti fino all'ultimo: ieri sera, un colloquio tra Lavrov e il segretario di Stato Usa John Kerry –e pure una telefonata tra Obama e Putin-, mentre Ban vedeva Brahimi e la responsabile della politica estera europea Catherine Ashton. Lunedì, a Bruxelles, i ministri dei 28 avevano allentato le sanzioni contro l’Iran, nel rispetto dei negoziati sui programmi nucleari iraniani –lunedì, l’Iran ha sospeso l’arricchimento dell’uranio-.

martedì 21 gennaio 2014

Spinelli, 30 anni dopo: sortita italiana e dibattito fra candidati

Scritto per EurActiv il 21/01/2014

Una sortita italiana per rilanciare l’integrazione europea e un dibattito a Roma fra candidati alla presidenza della Commissione europea: le iniziative potrebbero concretizzarsi tra il 22 e il 25 marzo.

Fermentano i progetti, intorno al 30.o anniversario dell’anniversario dell’approvazione, a Strasburgo, da parte del Parlamento europeo, del progetto di Trattato per l’Unione europea voluto da Altiero Spinelli e varato, a larga maggioranza, il 14 febbraio 1984.

All'inizio dell’anno, il consiglio italiano del Movimento europeo (Cime) aveva inviato al premier Enrico Letta (e per conoscenza al ministro degli Esteri Emma Bonino) una lettera aperta, chiedendogli di rilanciare, in un Consiglio europeo in programma proprio il 14 febbraio, l’idea di una “Repubblica europea federale, democratica e solidale”.

Venuta ora meno l’ipotesi di un Consiglio europeo il 14 febbraio, l’anniversario spinelliano sarà celebrato quel giorno a Roma con un evento nell’Auletta dei Gruppi della Camera, cui il presidente della repubblica Giorgio Napolitano invierà un messaggio. Assente la presidente della Camera Laura Boldrini, non è ancora escluso un intervento del premier Letta.

L’anniversario spinelliano sarà, inoltre, focale nella visita che il presidente Napolitano compirà a Strasburgo il 4 febbraio, in una giornata che fonti del Quirinale annunciano “europea a 360 gradi”: al mattino, discorso in plenaria; nel pomeriggio, un evento cui parteciperanno, fra gli altri, il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz, Giuliano Amato e il presidente del Cime Virgilio Dastoli.

Letta, intanto, a quanto s’apprende, starebbe riflettendo all’ipotesi di sortita europeista suggerita dal Cime: l’iniziativa potrebbe concretizzarsi il 22 e 23 marzo, quando a Bruxelles si riunirà il Consiglio europeo, a ridosso dell’anniversario della firma a Roma, il 25 marzo 1957, del Trattati istitutivi delle Comunità europee.

E proprio al 25 marzo il comitato italiano del Movimento europeo guarda per proporre ai candidati dei vari gruppi alla presidenza della Commissione europea un dibattito in Campidoglio sui loro programmi. Già praticamente sicure le candidature di Martin Schulz (Pse), Gui Verhofstadt (Alde) e Alexis Tsypras (Gue), saranno già state decise a quella data quelle dei Verdi, impegnati in questi giorni nelle primarie, e del Ppe, che dovrebbe pronunciarsi il 6 marzo.

L’idea del dibattito potrebbe essere ufficialmente lanciata dal Cime il 31 gennaio, quando si riunirà a Roma l’Ufficio di Presidenza.

lunedì 20 gennaio 2014

Visti degli Altri: il Matteo che rottama e che (re)suscita

Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano il 20/01/2014
Sembra il 5 Maggio, quello dell’Ei fu: là, “il Dio che atterra e suscita”; qui, il Matteo che ‘rottama’ -poco, e solo i suoi- e che ‘resuscita’. La stampa estera è tanto interdetta dalla metamorfosi –o è piuttosto un’evoluzione?- del nuovo leader della sinistra italiana (cioè, non esageriamo: del Pd) quanto mediaticamente compiaciuta dal ritorno sulla scena da protagonista di Silvio Berlusconi, che tutti davano per politicamente morto.
E, invece, Renzi lo salva –riferisce Die Zeit- e lo riconsegna alle cronache, per la gioia di chi dell’Italia deve scrivere (e, con il Cavaliere, ha il pezzo in pagina garantito). Berlusconi, sostiene Abc, “è tornato al centro della scena politica" grazie a un “incontro storico” con il segretario del Pd.
Per la Bbc, l’accordo sulla riforma della legge elettorale rimette il Cavaliere al centro della scena, mentre, incontrandolo, Renzi ha diviso la coalizione e, in particolare, il suo partito. Le mosse del segretario disorientano i media esteri, oltre che milioni di italiani che, per Die Zeit, si aspettavano che Matteo rispettasse le promesse e togliesse di mezzo la "corrotta casta politica italiana". Invece, “lui che fa?”, s’interroga provocatoriamente il giornale tedesco: "Incontra Berlusconi per due ore". Altro che ‘rottamarlo’!
A scherzarci su, sono un po’ tutti i media che ne parlano: tanto, sono affari nostri, mica loro. Abc fa finta di stupirsi: il ritorno del Cavaliere “è la grande sorpresa del nuovo anno", dopo la condanna per frode fiscale e l’espulsione dal Senato. El Pais lo saluta ironicamente come "padre della patria" (almeno renziana). Per El Mundo, “la tenaglia Berlusconi-Renzi stringe il governo di Enrico Letta”.
La mossa di Renzi, osserva Le Figaro, è fortemente criticata nel Pd, “che s’è battuto per anni - forse qui l'ironia è involontaria - contro il Cavaliere, prima di essere costretto a governare insieme a lui per mesi nel quadro d’un governo di larghe intese".
La stampa americana, invece, la racconta, per ora, con le agenzie e ha, quindi, toni meno surreali. Sul NYT, la Reuters vede nell’intesa Renzi-Berlusconi “un possibile percorso per uscire dall'instabilità politica”. E, sul WP, l’Ap rovescia sorprendentemente la prospettiva: “Berlusconi accetta di aiutare il  rivale”. Insomma, è Matteo che deve ringraziare Silvio, e non viceversa. Che gli americani ci abbiano azzeccato?

sabato 18 gennaio 2014

Seconda Guerra Mondiale: morto Onoda, l'ultimo degli irriducibili

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 18/01/2014

Il ‘requiescat in pace’ di Hiroo Onoda è un elogio della irriducibilità: l’ultimo soldato giapponese ad arrendersi nella Seconda Guerra Mondiale, tenente di quello che fu l’esercito imperiale del Sol Levante, è morto a 91 anni, in un ospedale di Tokyo, dov'era stato ricoverato per problemi cardiaci.

Per quasi trent'anni, insieme a quel che restava del suo plotone, tre militari, man mano dileguatisi o uccisi, aveva ‘resistito’ nella giungla delle Filippine, totalmente isolato dal mondo reale, ignaro che il conflitto fosse finito, simbolo suo malgrado del militarismo nipponico fanatico e ostinato.

La sua guerra vittoriosa contro disagi, insetti, malaria evoca il bushido, codice d’onore dei samurai, ma ha pure i codici genetici dei totalitarismi Anni Trenta:  riflette lo spirito di sacrificio giapponese e la fedeltà cieca all’imperatore. Ma l’ostinazione di Onoda ebbe un prezzo di sangue: fece decine di vittime, filippini ‘nemici’.

Inviato nel 1944 sull'isola di Lubang, a ovest dell’arcipelago, vicino a Luzon, un centinaio di km al largo di Manila, il tenente Onoda, 22 anni, addetto ai servizi, specialista nelle tecniche di guerriglia, ricevette l'ordine d'infiltrarsi al di là delle linee nemiche, per azioni di ricognizione e sabotaggio, senza potere contare su aiuti o sostegni dai propri compagni: doveva cavarsela da solo fin quando non avesse ricevuto nuove istruzioni; soprattutto, non arrendersi.

Onoda rispettò la consegna per trent'anni. Nel 1945, il Giappone fu sconfitto e, dopo gli attacchi con l’atomica su Hiroshima e Nagasaki, firmò la resa. Nascosto nel folto d’una foresta tropicale, Onoda non lo seppe e continuò ad adempiere il proprio dovere al servizio del suo Paese.

Quando, nel 1950, uno dei suoi uomini lasciò il drappello, il Mondo scoprì gli ‘irriducibili’: aerei lanciarono volantini per informare il tenente Onoda che la guerra era finita; lui non ci credette. Li cercarono fino al 1959, poi tutti si convinsero che erano morti e nessuno ne parlò più.

Fino al 1972, quando Onoda e il suo ultimo compagno superstite attaccarono una pattuglia filippina. Onoda riuscì a fuggire, il soldato restò ucciso.

Viveva di frutta e radici e delle prede che riusciva a catturare, eludendo le pattuglie locali. Si negò persino a una spedizione di suoi familiari spedita a convincerlo a deporre le armi. Alla fine, Tokyo mandò un suo ex superiore, il maggiore Yoshimi Taniguchi, a revocare l’ordine del ‘44: era il 9 marzo 1974, Onoda aveva 52 anni.

Il tenente fu l’ultimo dei ‘folli dell’Imperatore’ ad arrendersi, ma, sulle isole del Pacifico, decine avevano continuato la guerra ad oltranza. Nel 1972, uno era stato preso sull'isola di Guam.

Rientrato in patria, Onoda faticò a raccapezzarci in un mondo che era cambiato, mentre lui difendeva il passato nella giungla: il Giappone era divenuto pacifista e stava affermandosi come potenza economica, la più aggressiva in quegli anni. Nel '75, l’ormai ex tenente emigrò in Brasile, dove si sposò –la moglie, Machia, ora gli sopravvive- e gestì con successo una piantagione.

Nell' ’89, tornò a casa: soldato ostinato e pure abile manager, sfruttò la sua leggenda di rambo nipponico, pubblicò un’autobiografia dal titolo ‘Nessuna capitolazione, la mia guerra trentennale’, fu ospite di programmi televisivi, creò una scuola di sopravvivenza, dove insegnava  come cavarsela da soli nella natura.

Nel 96 tornò a Lubang, portando in dono 10.000 dollari per finanziare una scuola: una sorta di compensazione, per le vittime fatte su quell'isola.

venerdì 17 gennaio 2014

Italia/Ue: Mogherini, cedere sovranità per recuperarne

Scritto per EurActiv il 17/01/2014

La cessione di sovranità economica all'Unione europea è, in realtà, un recupero di sovranità, rispetto alla perdita di sovranità cui la dimensione nazionale condannerebbe i singoli Stati Ue nell'era della globalizzazione.

Il concetto viene espresso con chiarezza dell’onorevole Federica Mogherini, responsabile dell’Europa e della politica estera nella segreteria del Pd di Matteo Renzi.

Secondo la Mogherini, presidente della delegazione parlamentare italiana all'Assemblea atlantica, proprio la crisi ha dato piena consapevolezza all'opinione pubblica che le scelte fatte a Bruxelles contano. Il fatto che molte scelte siano state sbagliate, oltre che impopolari, ha però peggiorato percezioni e giudizi sull'integrazione europea.

Con alti funzionari pubblici italiani ed europei e giornalisti, l’onorevole Mogherini è intervenuta, allo Spazio Europa, a Roma, all'evento conclusivo della seconda edizione dell’iniziativa ‘Seminari di giornalismo europeo’, organizzata da TIA Associazione e frequentato da decine di giovani aspiranti giornalisti.

Per l’Italia, il 2014 è un anno “terribilmente europeo”, con le elezioni a maggio e poi, dal 1o luglio,  il semestre di presidenza di turno del Consiglio dei Ministri dell’Ue, un semestre “strano”, perché tutte le Istituzioni dell’Ue vivranno una fase di rinnovamento, ma “fondamentale”.

La Mogherini ha osservato che, vista dall'esterno, la storia dell’Unione resta una ‘success story’, d’integrazione, di pace, di sviluppo, e non ha affatto l’immagine negativa che, all'interno, la crisi e, soprattutto, le politiche adottate per superarla le hanno dato.

Per uscire dalle secche dell’euro-scetticismo, bisogna “disgiungere il contenuto dal contenitore” e “mettere a fuoco che esiste uno spazio europeo, al cui interno si possono fare scelte politiche o buone o cattive”.

In quest’ottica, le elezioni del Parlamento europeo sono un’occasione per “recuperare sovranità”, cioè per indirizzare le scelte che saranno fatte, e per “smetterla di fare scaricabarile”: “L’Ue non è ‘o si o no’, non è ‘o prendere o lasciare’, non è ‘o visione o frontiera’; non è una costruzione ideale, ma non è neppure la sentina di tutti i mali”.

mercoledì 15 gennaio 2014

L’Ue che vorreste: Zingaretti, non la minima indispensabile, ma la massima possibile

Scritto per EurActiv il 15/01/2014
L’errore è stato puntare a fare il “mimino indispensabile”, invece che il “massimo possibile”, d’Unione europea: lo evidenzia Nicola Zingaretti, governatore del Lazio, ex parlamentare europeo, aprendo il dibattito sul futuro dell’Ue organizzato a Roma al Teatro Argentina.
I dibattiti sul futuro dell’Ue costituiscono una serie di appuntamenti regionali e mirano a raccogliere input e indicazioni, senza la valenza d’un sondaggio: 13 le domande della Commissione ai cittadini sull'Ue che vorreste. L’incontro laziale è stato il sesto, gli altri seguiranno.
La timidezza dell’Unione, in questa fase difficile e contestata dell’integrazione comunitaria, si spiega, ha detto Zingaretti, e hanno ammesso nei loro interventi esponenti delle Istituzioni europee, con le scelte sbagliate che sono state fatte di fronte alla crisi e alla globalizzazione.
Le elezioni europee del prossimo maggio sono l’occasione, è stato sottolineato, di cambiare l’Unione, spostandone, ad esempio, le priorità dal rigore alla crescita, e di dare più potere all'Europa.
Alla base, deve esserci la convinzione –affermata da Zingaretti- che la democrazia ha la priorità sulla politica: è cioè essenziale dare alle figure di punta dell’integrazione, ad esempio il presidente della Commissione europea oggi, e il presidente degli Stati Uniti d’Europa domani, la massima legittimità democratica derivante da un’elezione diretta.
Zingaretti ha osservato che l’Unione europea è il maggiore processo d’integrazione mai realizzato nella storia senza ricorso alla forza: un processo, cioè, che non ha mai comportato la sottomissione di un Paese, o di un popolo, all'altro.
Se oggi gli europei contano di meno nel Mondo, rispetto al passato, la risposta e il riscatto non possono che venire dall'integrazione:  “Non so se ce la faremo uniti, ma di sicuro nessuno di noi ce la farà da solo”.

Come in tutte le altre Regioni, anche nel Lazio, dopo l’evento di lancio, il dibattito sul futuro dell’Unione verrà alimentato, da qui alla metà di aprile, da almeno tre eventi sul territorio. La sintesi nazionale sarà poi fatta in un evento finale che coinvolgerà il Governo.

Un posto tra web e storia: un software lo calcola (ma prende abbagli)

Scritto per il blog su Media Duemila online il 15/01/2014

La popolarità sul web è “vera gloria”?, e, soprattutto, “fa la storia”? Domande trite, risposte (quasi) ovvie: sul web, spesso, l’effimero prevale sul duraturo, l’immagine sulla sostanza, con un codazzo di ‘se’ e di ‘ma’. Due esperti (di web e di storia) americani hanno voluto dare risposte scientifiche. Lo hanno fatto con uno di quegli studi in cui ti viene il sospetto che i ricercatori partano dai risultati che desiderano trovare, magari per rendere mediaticamente più interessante il loro lavoro, e organizzino in funzione di essi la raccolta e l’analisi dei dati. In questo caso, tutto l’artificio sta in un software creato da due specialisti, fra cui un programmatore di Google, per determinare il livello di importanza dei grandi della storia in base alla loro ricorrenza su internet. Al primo posto, ecco Gesù, che batte tutti, il rivale seppure discepolo Maometto e il Napoleone che di sicuro t’aspetti. I leader attuali escono ridimensionati, il che ha senso in una prospettiva storica: così, il presidente Usa Barack Obama e' al 111° posto; Nelson Mandela al 356° -anche se ora, dopo l’impennata di citazioni per la sua morte, sarebbe più avanti-; il premier britannico David Cameron è 1483°, Silvio Berlusconi 2073°.

A scorrere la classifica contenuta nel libro dal titolo ‘Who’s bigger’, alla cui uscita il Sunday Times aveva dedicato, prima di Natale, ampio spazio, viene il sospetto che il software manipoli i dati secondo logiche non
sempre condividibili. Fin quando i dubbi sono i miei, poco conta. Ma ne hanno pure storici seri, come il britannico Anthony Beevor, citato dal giornale: "L'idea che un algoritmo” possa calcolare in modo scientifico il rilievo storico di un personaggio “è piuttosto assurda", anche perché le incognite da prendere in considerazione sono troppe e le variabili tra epoca e luogo (in cui un personaggio è vissuto e ha operato) e presenza sul web difficili da ponderare.

Il software raccoglie le citazioni su internet di un determinato personaggio, le voci di Wikipedia che lo riguardano, i libri scritti su di lui e quant'altro di rilevante trovi. I suoi ideatori, Charles Ward, ingegnere di Google, e Steven Skiena, della Stony Brook University, hanno pure usato un algoritmo per stabilire se una figura sarà ricordata o meno 200 anni dopo la morte. Un dato determinante per stilare la classifica principale,
quella riguardante il posto nella storia.

Dopo Gesù, Napoleone e Maometto, nella 'top 50' ci sono William Shakespeare, Abramo Lincoln,George Washington, Adolf Hitler, Aristotele, Alessandro il Grande, Thomas Jefferson. L’Italia compare con Cristoforo Colombo al 20° posto. Fra i musicisti, trionfa Mozart 24°; fra le rockstars, la fa da padrone Elvis Presley 69°.

Tutti risultati che indicano una prevalenza, nella classifica e, quindi, nell'impostazione del software, della cultura e della storia ‘occidentali’ e, comunque, un vantaggio ai moderni sugli antichi.

Un'altra classifica misura solo la fama attuale. Lì, ad esempio, Britney Spears, una delle stars più seguite sul web, è 27°, mentre, quando le si applica l'algoritmo dell’importanza nella storia, scende al 689° posto. Ma proprio qui ricasca l’asino: chi mai può credere, a parte quel software, che Britney sia fra le 1000 personalità più rilevanti dell’umanità mai vissute? Forse, Ward e Skiena debbono ancora lavorarci su, al loro software.

martedì 14 gennaio 2014

Visti dagli Altri: il fiume, i cadaveri e l’economia stupida

Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano il 13/01/2014
Da giorni, la stampa estera se ne sta seduta sull'argine ed aspetta di vedere quale cadavere (politico) il fiume Italia si porterà giù per primo: quello di Letta, o quello di Renzi. E, intanto, c’è chi giura d’avere avvistato il cadavere (politico) di Berlusconi, che molti credevano ormai arrivato al mare, risalire la corrente.
I corrispondenti esteri devono ancora trovare il loro latino nel nuovo quadro istituzional-partitico italiano. E né Letta né Renzi sono (già?) personaggi così universalmente noti da fare notizia appena fanno qualcosa, cioè parlano -perché fare è un’altra storia-.
Così The Economist s’avvita a cercare di spiegare, nel tentativo di spiegarseli, “i tempi turbolenti del centro-sinistra italiano”,  partendo dalle dimissioni del vice-ministro Fassina che “contava più della maggior parte degli altri ministri perché rappresentava la coscienza di sinistra del Pd nella coalizione sinistra-destra di Enrico Letta”.
Chi ha votato Renzi alle primarie di dicembre potrebbe stancarsi –scrive The Economist-, se non vede subito il cambiamento –ma basterebbe un cambiamento-. Renzi ha, quindi, una motivazione per andare al voto. Ma, per farlo, ha bisogno di una legge elettorale. E, per farne una, ha bisogno di Berlusconi, che, malgrado sia condannato e decaduto, “ha ancora delle carte da giocare”. Il tutto seguendo un percorso un po’ troppo ‘a sistema binario’ per essere italico, che trascura Napolitano e non considera Grillo.
Se sull'evoluzione della politica la stampa estera sospende il giudizio, sull'andamento dell’economia oscilla tra l’ironia, di fronte agli annunci di ripresa puntualmente smentiti dai dati, e la sorpresa, coi mercati che vanno su e lo spread che cala a conferma dello iato tra finanza e realtà.

Sempre The Economist propone un grafico che mostra come, negli anni dell’euro, il pil pro capite della Germania è salito del 20% e quello dell’Italia è calato del 3%. Il Financial Times si fa scherno delle pretese di crescita dell’Italia, citando esperti secondo cui “la risalita sarà lenta e ci vorrà tempo prima che produca posti di lavoro”. Mentre il Wall Street Journal constata che l’anno di Borsa inizia bene per l’Italia, con lo spread che scende sotto 200 per la prima volta dopo 30 mesi. E Le Figaro, oggi, si stupisce che l’Italia, nonostante le riforme da fare, stia riacquistando la fiducia dei mercati, malgrado l’inerzia strutturale, i 3,2 milioni di disoccupati e un debito pubblico tra i più pesanti, secondo solo al Giappone fra le grandi economie occidentali. Che l’economia sia stupida, comunque vada?

domenica 12 gennaio 2014

L'Ue che vorreste. 13 domande ai cittadini

Scritto per EurActiv il 13/01/2014
L’Ue che vorreste: di questi tempi, i cittadini europei si sentono rivolgere più domande che proposte, quasi che la politica e i leader, consci del loro insuccessi, vogliano lasciare loro la parola.
Dopo i sondaggi, periodici, di Eurobarometro, e quelli, recenti, di IAI e Cime - EurActiv.it ne ha puntualmente riferito - ecco 13 domande sull’Ue che vorreste formulate dalla Commissione europea e presentate in una serie d’eventi regionali in tutta Italia. L'iniziativa si collova nella prospettiva delle elezioni europee di maggio e del rinnovo, nell'anno, delle Istituzioni comunitarie, Commissione, presidente del Consiglio europeo, 'alto rappresentante' per le politiche estera e di sicurezza comuni.
Si tratta di domande articolate e non facili, sull’identità europea e le competenze dell’Ue, il rapporto tra rigore e crescita e l’Unione bancaria e gli eurobond e l’opportunità – o meno - di una fiscalità europea e di un ministro dell’economia dell’Ue (o della zona euro), sulle elezioni europee e sulla legittimità democratica delle istituzioni comunitarie, sul ritmo dell’integrazione e sulla sua incompiutezza, sul valore aggiunto delle indicazioni europee ai singoli Stati, sui contratti vincolanti per la crescita che sono attualmente discussi nel Consiglio dei Ministri dell’Unione, sull’ingerenza dell’Ue nelle scelte nazionali
La Commissione non s’aspetta risposte sistematiche alle domande, che sono apparentemente poste in disordine, ma che, in realtà, costituiscono una sorta di volgarizzazione della Blue Print presentata dalla Commissione per un'autentica Unione economica e monetaria.
I dibattiti sul futuro dell’Ue, una serie di appuntamenti regionali – a Roma per il Lazio mercoledì 15 ore 10.30 al Teatro Argentina -, servono a raccogliere input e indicazioni, senza la valenza d’un sondaggio. L’incontro laziale è il sesto, gli altri seguiranno.
Dopo gli interventi d’apertura delle Autorità – ci sarà fra gli altri il governatore del Lazio Nicola Zingaretti -, la Commissione farà il punto sullo ‘stato dell'Unione’ e presenterà la programmazione 2014-2020. Seguirà un dibattito con il pubblico e con la stampa: sono attese presenze da tutto il territorio del Lazio, amministrazioni, società civile organizzata e studenti, oltre alle strutture di riferimento dell’Ue sul territorio.

Come in tutte le altre Regioni, dopo l’evento di lancio il dibattito sul futuro dell’Unione verrà alimentato, da qui alla metà di aprile, da almeno tre eventi sul territorio. La sintesi nazionale sarà poi fatta in un evento finale che coinvolgerà anche il Governo.

venerdì 10 gennaio 2014

Ablyazov: la Francia lo sbologna. Come l'Italia? No, legalmente

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 10/01/2014

Senza procedere di soppiatto a renditions palesemente illegali, ma agendo alla luce del sole e seguendo l’iter della giustizia, la Francia tenta di liberarsi della presenza scomoda, e ambigua, dell’ex oligarca kazako Mukhtar Ablyazov, divenuto poi un oppositore del regime di Astana.

La Corte d'Appello di Aix en Provence dà via libera all'estradizione verso la Russia, o in subordine l’Ucraina, dell’ex banchiere e ministro dell’energia, accusato di frode e di appropriazione indebita d’una somma equivalente a quasi sei miliardi di dollari, ai danni della banca di cui era presidente.

La sentenza è inappuntabile sul piano legale –la corte avalla le richieste di Mosca e di Kiev-, anche se appare discutibile sul piano dei principi: i giudici partono, infatti, dal presupposto che Russia e Ucraina diano garanzie d’un processo equo e d’un trattamento umano all'oppositore kazako.

Per i difensori e i familiari, invece, la sentenza equivale “a una condanna a morte” -la moglie Alma Shalabayeva- ed è “una vergogna” -la figlia Madina-. Amnesty invita la Francia a non dare corso all'estradizione. La famiglia annuncia ricorso: le accuse –sostiene- sono “politicamente motivate”. La battaglia legale è ancora aperta.

Ablyazov è detenuto dal 31 luglio, quando fu arrestato in una sontuosa villa a Mouans-Sartoux, sulla Costa Azzurra. In Italia, la sua vicenda richiama quella della moglie Alma, che, il 31 maggio, fu prelevata con la figlia Alua, sei anni, da una villa di Casal Palocco, a sud di Roma, e messa alla chetichella su un aereo per il Kazakhstan. Solo a fine dicembre, la donna e la figlia hanno potuto lasciare il loro Paese: rientrate in Italia il 27, Alma e Alua sono poi partite per Ginevra e di lì per la Francia.

La loro vicenda aveva squassato il governo italiano e messo in dubbio la credibilità del ministro dell’Interno Angelino Alfano, cui i diplomatici kazaki s’erano rivolti. Il caso non è ancora chiuso: proprio ieri, rivelazioni  del prefetto Procaccini, all'epoca dei fatti capo di gabinetto di Alfano, hanno gettato ulteriore ombra sulla versione fornita dal ministro in Parlamento.

Ablyazov, 50 anni, fisico, fece fortuna nel suo Paese negli Anni Novanta, dopo il dissolvimento dell'Urss. Vicino al satrapo locale Nursultan Nazarbayev, uomo forte della banca Bta fino al 2009, cercò poi rifugio in Gran Bretagna quando l’aria si fece pesante. Condannato a Londra per oltraggio alla Corte in uno dei tanti processi civili intentatigli, sparì all'inizio del 2012, ricomparendo 18 mesi dopo in Francia all'atto dell’arresto

"La Francia lo consegna ai suoi persecutori”, commenta la sentenza un portavoce di Ablyazov. E Julia Hall, di Amnesty International, nota che la sentenza pare “ignorare la situazione sul terreno”, dove “i servizi di sicurezza russi e ucraini collaborano regolarmente” con quelli kazaki. "Non solo Amnesty teme che Ablyazov non sarebbe processato in modo equo in Russia o in Ucraina, ma avverte il pericolo concreto che venga spedito in Kazakhstan, dove correrebbe il rischio di subire maltrattamenti e torture".