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martedì 31 dicembre 2013

2014: gli anniversari, l’Europa, le elezioni

Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano del 31/12/2013

C’è una data del ’14 scritta nella storia a lettere rosso sangue e grigio fango: è il 28 giugno. “Come faccio a esserne così sicuro?”, si chiederà qualcuno. Perché è una data del passato, mica del futuro: il 28 giugno 1914, a Sarajevo, venne ucciso l’arciduca d’Austria Francesco Ferdinando. Quell’episodio fu il ‘casus belli’ della prima guerra mondiale, la Grande Guerra, una carneficina con decine di milioni di morti che, al di là della denominazione oggi diremmo ‘globale’, fu un vero e proprio conflitto civile europeo.

Basta, a mio avviso, quel riferimento a ridare senso e attualità al progetto d’integrazione europea, che è garante della pace più lunga mai conosciuta dal Vecchio Continente, nonostante la sua presa sui cittadini si sia allentata negli anni della crisi, anche a causa di politiche lontane da quegli ideali di solidarietà e di cooperazione che l’avevano ispirato.

Proprio a cent’anni dalla Grande Guerra, e a sessant’anni dall’affossamento della Comunità europea di difesa, la Ced, bocciata senza appello da un voto dell’Assemblea nazionale francese e ancora lontanissima oggi, il 2014 propone scadenze pesanti: in chiave europea, le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo; in chiave italiana, la presidenza di turno semestrale del Consiglio dell’Ue, dal 1° luglio al 31 dicembre.

Il voto darà una misura di quanto l’euro-scetticismo sia diffuso nei Paesi Ue. La presidenza dirà se e quanto l’Italia è in grado e ha la volontà di esercitare ancora la spinta europeista che ha sempre caratterizzato i suoi precedenti semestri, nel 1980, nell’ ’85, nel ‘90, nel ‘96, nel 2003. Negli auspici del presidente Napolitano e del premier Letta, il semestre italiano dovrebbe segnare lo “spartiacque” tra l’Ue del rigore e quella della crescita: belle parole, che bisogna però mettere in pratica.

Qualche venatura d’ottimismo a inizio 2014 s’intravvede: i dati economici migliorano (in Italia, però, meno che altrove); la zona dell’euro si allarga con l’ingresso della Lettonia (e così fanno 18: la moneta unica che, nelle previsioni delle cassandre, sta per perdere pezzi continua a guadagnarne); e ci sarà una successione di presidenze mediterranee, prima la Grecia, poi l’Italia. Il tandem Atene-Roma può spingere sui temi dell’immigrazione e dei rapporti coi Paesi della Riva Sud.

Con i 28 dell’Ue, sarà mezzo pianeta ad andare al voto nel 2014: consultazioni magari non decisive come il trittico di presidenziali del 2012 –Russia, Francia, Usa-, ma capaci di impatto sugli equilibri politici globali. Le date più significative della ‘staffetta della democrazia’ sono le elezioni europee del 22 e 25 maggio, le presidenziali e legislative in Sud Africa ad aprile, le legislative in India durante tutto il secondo trimestre –il voto, laggiù, è a singhiozzo-, le politiche in Brasile il 5 ottobre, le legislative di ‘midterm’ negli Usa il 4 novembre. Il 18 settembre la Scozia farà un referendum sull’indipendenza dalla Gran Bretagna. E l’elenco comprende decine di consultazioni presidenziali e politiche in altri Paesi di tutti i Continenti, dall’Egitto all’Indonesia, da Bolivia e Colombia a Iraq e Afghanistan. Senza neppure contare centinaia di amministrative di vario livello.

Grecia/Ue: presidenza, spari contro residenza ambasciatore tedesco sinistro viatico

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Scritto per Il Fatto Quotidiano del 31/12/2013

I colpi esplosi la scorsa notte contro l’abitazione dell’ambasciatore di Germania ad Atene sono un sinistro viatico per il semestre di presidenza di turno greca del Consiglio dell’Ue, che si apre domani. Le raffiche sparate da un commando di quattro persone con due fucili d'assalto Kalashnikov AK-47 –una sessantina i bossoli recuperati- testimoniano che l’astio per le politiche di rigore imposte dall’Ue, e specie dalla Germania, alla Grecia è profondo.

Nell’attacco, nel quartiere di Chalandri, non ci sono stati feriti. Ma l’azione è stata condotta senza prudenza alcuna: l’ambasciatore Wolfgang Dold e la sua famiglia erano in casa. Quattro proiettili hanno colpito il cancello d'ingresso, altri quattro i muri dell'edificio; e uno è entrato nella camera della figlia del diplomatico, conficcandosi in una parete.

Unanimi le condanne, ad Atene, a Berlino, a Bruxelles. Il premier greco Samaras ha voluto parlare di persona con l’ambasciatore Dold e con la Cancelliera Merkel. Fonti di stampa dicono che almeno tre persone sono state fermate. Non è tuttavia certo che fra di esse vi siano autori della sparatoria, che non è stata rivendicata.

Facile però attribuirne la matrice ai sentimenti anti-tedeschi diffusi nella popolazione ellenica, che considera la Germania e la Merkel i principali responsabili dei sacrifici affrontati dal 2009 a oggi. Dopo cinque anni di crisi economica, la percentuale di greci che vivono in povertà continua ad aumentare e ha raggiunto il 14% (erano il 2% del 2009): cioè, il numero dei poveri è aumentato di sette volte.

E' solo uno dei molti dati allarmanti emersi dai sondaggi di fine anno sulla situazione socio – economica del Paese. Atene punta sulla presidenza del Consiglio dell’Ue per aumentare il proprio credito e la propria influenza nell’Unione e progetta di potersi così ripresentarsi, nel secondo semestre 2014, sul mercato dei prestiti a medio e lungo termine.

La Grecia può contare, in questo momento, su una certa condiscendenza tedesca –“Non li lasceremo soli”, ha detto alla Bild il ministro dell’economia Schaeuble-. E, inoltre, gioca sulla staffetta alla presidenza con l’Italia per portare avanti politiche europee mediterranee.

Ma gli spari a Chalandri ottengono l’effetto opposto. L’antiterrorismo indaga sugli anarchici e sulla sinistra rivoluzionaria. La maggiore fiorza d’opposizione alla coalizione conservatori / socialisti che governa il Paese, Syriza, sinistra radicale ed euro-scettica, ha espresso “piena condanna” dell’episodio terroristico, che contribuisce a “creare un clima d’incertezza generale sfavorevole alle lotte sociali”.

Il leader di Syriza, Tsipras, è il candidato della sinistra euro-scettica alla presidenza della Commissione europea. Nei sondaggi, il partito è oggi la maggiore forza politica greca, testa a testa con Nuova Democrazia, mentre i socialisti del Pasok sono sotto il 6%, dietro i neo-nazisti, e anti-europei di Alba Dorata.

E’ la seconda volta che l'abitazione dell'ambasciatore tedesco ad Atene è presa di mira da terroristi: la sera del 16 maggio 1999, elementi del disciolto gruppo di estrema sinistra '17 Novembre' spararono contro la casa una granata che esplose sul terrazzo provocando lievi danni.

lunedì 30 dicembre 2013

2014: dall'Ue agli Usa all'India, mezzo pianeta al voto

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 30/12/2013

Mezzo pianeta al voto: l’Unione europea e gli Stati Uniti, l’India e il Brasile –e già fanno oltre due miliardi di persone- e una teoria di Paesi di tutti i continenti (dal Sud Africa all’Indonesia, dall’Egitto all’Iraq e all’Afghanistan) andranno alle urne nel 2014 per eleggere il presidente e/o rinnovare il Parlamento.

Consultazioni magari non coinvolgenti come il trittico di presidenziali del 2012 –Russia, Francia, Usa-, ma capaci di avere un impatto sugli equilibri politici globali. E l’elenco dei Paesi alle urne è assolutamente provvisorio e incompleto: ad esso, ad esempio, potrebbe ancora aggiungersi l’Italia.

Le date più significative di questa ‘staffetta della democrazia’ sono le elezioni europee del 22 e 25 maggio, le presidenziali e legislative in Sud Africa ad aprile, le legislative in India durante tutto il secondo trimestre –il voto, laggiù, è a singhiozzo-, le politiche in Brasile il 5 ottobre, le legislative di ‘midterm’ negli Usa il 4 novembre. E il 18 settembre la Scozia si pronuncerà con un referendum sull’indipendenza dalla Gran Bretagna.

Ma l’elenco comprende ancora le legislative in Bangladesh il 5 gennaio, il referendum sulla nuova costituzione egiziana il 15 gennaio –più tardi, ci saranno in Egitto le legislative-; le presidenziali in CostaRica e nel Salvador il 2 febbraio; le legislative in Colombia il 9 e in Guinea-Bissau il 16 marzo e, sempre a marzo, le presidenziali in Macedonia e in Slovacchia; le presidenziali in Afghanistan e le legislative in Ungheria il 5, in Indonesia il 9 e in Iraq il 30 aprile; lo stesso mese, ci saranno le presidenziali in Algeria; le presidenziali a Panama il 4 e in Colombia il 25 maggio –pure in Lituania, ma la data è incerta- e, lo stesso giorno, le politiche in Belgio; le presidenziali in Indonesia il 9 luglio; le presidenziali in Turchia ad agosto; le politiche in Svezia il 14 settembre; le presidenziali e politiche in Bolivia il 5 e le presidenziali  in Uruguay il 26 ottobre; in autunno, presidenziali e politiche in Bosnia, a dicembre presidenziali in Romania. Senza pretesa –lo ripetiamo- di completezza: la fonte sono le agenzie di stampa mondiali, Ap, Reuters, Afp.

La teoria delle elezioni non esaurisce gli elementi di richiamo di un anno di anniversari pesanti: cent’anni dalla Grande Guerra –il 28 giugno 1914 veniva assassinato a Sarajevo l’arciduca d’Austria Francesco-Ferdinando-; e, per restare in Europa, 60 anni dall’affossamento della Ced, cioè la comunità europea di difesa, affossata da un voto dell’Assemblea nazionale francese; e, ancora, 30 anni dal progetto di Trattato sull’Unione europea approvato dal Parlamento di Strasburgo il 14 febbraio 1984 su ispirazione di Altiero Spinelli –la sua ultima battaglia-. Spigolando altrove, compirà cent’anni il 15 agosto il canale di Panama.

Per l’Italia, il 2014, che si apre con l’ingresso della Lettonia nella zona euro –e fanno 18: l’euro, che, nelle predizioni delle cassandre, dovrebbe perdere i pezzi, continua a guadagnarne-, avrà fortissime connotazioni europee: il 1o luglio, infatti, l’Italia assumerà, fino alla fine dell’anno, la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue. Negli auspici del presidente Napolitano e del premier Letta, il semestre italiano deve segnare lo “spartiacque” tra l’Ue del rigore e quella della crescita.

Una presidenza breve, come tutte quelle nel secondo semestre di ogni anno, ma densa di eventi. Si calcolano più o meno 160 appuntamenti da distribuire sui 115 giorni utili circa, perché tutto agosto e l’ultima decade di dicembre sono ‘a perdere’: Consigli dei Ministri formali e una quindicina d’informali –la maggior parte dei quali a Milano, un trampolino di lancio verso l’Expo 2015-, oltre a riunioni di ogni genere. A Milano, in autunno, ci sarà il Vertice dell’Asem, Europa ed Asia.

Il 2014 sarà un anno di presidenze mediterranee: prima la Grecia, che chiude un trittico con Irlanda e Lituania; e poi l’Italia, che apre quello con Lettonia e Lussemburgo. Il tandem Grecia-Italia costituisce occasione da sfruttare sui temi dell’immigrazione e dei rapporti coi Paesi della Riva Sud. Sotto presidenza italiana, si riunirà l’assemblea parlamentare del Mediterraneo.

A Palazzo Chigi e al Dipartimento delle Politiche comunitarie, come alla Farnesina, si assicura che “non siamo in ritardo”: la Grecia, la cui presidenza inizia a giorni, ha distribuito il suo programma da poche settimana, mentre l’Italia ha già diramato un calendario di riunioni e ha chiare le priorità: oltre al Mediterraneo, la lotta a disoccupazione e il completamento dell’Unione bancaria. Bisogna pure fare i conti con le disponibilità economiche: per la presidenza, l’Italia ha finora stanziato 60 milioni di euro, quanti la Lettonia e meno del Lussemburgo (80).

Il panorama internazionale del 2014 è poi segnato dalla conferenza di pace sulla Siria (a Montreux, il 22 gennaio) e dal perfezionamento dell’accordo sul nucleare tra Iran e ‘5+1’, oltre che dai Vertici di rito: il 4 giugno a Sochi in Russia il G8, il 4 settembre a Newport nel Galles il Vertice della Nato, in ottobre a Pechino il vertice dell’Apec, il 15 e 16 novembre in Australia il vertice del G20. Ed entro il 31 dicembre dovrà avvenire il ritiro delle truppe da combattimento internazionali dall’Afghanistan.


Elezioni a gogò, Unione, Vertici. Un anno noioso? C’è di che distrarsi: giochi olimpici invernali a Sochi dal 7 al 23 febbraio e mondiali di calcio in Brasile dal 12 giugno al 13 luglio; e, ancora, gli Oscar a Hollywood il 2 marzo, la finale del concorso dell’Eurovisione a Copenaghen il 10 maggio e la mostra del Cinema di Venezia dal 27 agosto.

domenica 29 dicembre 2013

Italia/Ue: l'abecedario dell’Unione 2014

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 29/12/2014

Il 2014 dell’Unione sarà un anno di scadenze –le elezioni europee, la presidenza di turno italiana, etc- e di anniversari: cento anni dalla Grande Guerra, 60 dal fallimento della Comunità europea di difesa, 30 dal progetto di Trattato approvato dal Parlamento europeo su input di Altiero Spinelli. Ecco un abecedario per non perderci l’alfabeto:

Alto rappresentante – L’Unione europea ne ha uno per la politica estera e di sicurezza comuni, che presiede il Consiglio dei Ministri degli Esteri ed è vice-presidente della Commissione europea. Chi ha tanti ruoli deve essere uno che conta. Invece, Lady Ashton è riuscita a restare impalpabile e invisibile per cinque anni. Ecco un posto dove il successore non rischia di sfigurare.

Banca centrale europeaLa Bce coagula spesso su di sé tutto l’astio per le scelte radicalmente rigorose della troika, completata da Commissione di Bruxelles e Fondo monetario internazionale. Eppure, la Banca presieduta da Mario Draghi è stata più efficace dei governi dei 28 nel contrasto alla crisi e nella difesa dell’euro.

Commissione europea / Consiglio dell’Ue ed europeo – Con il Parlamento europeo –vedi la voce Elezioni europee-, le principali istituzioni dell’Unione: tutte da rinnovare nel 2014, quando il valzer delle poltrone potrebbe rivelarsi il gioco preferito dei capi di Stato o di governo dei 28.

Deficit & Debito – I duo Dioscuri dell’Europa del Rigore: cavalieri dell’apocalisse per quei Paesi, come l’Italia, che faticano a rispettare il limite del 3% per il deficit e a intaccare con i ritmi previsti il proprio debito. Ma c’è pure il deficit di democrazia, lamentato da quanti denunciano la lontananza tra le istituzioni dell’Unione e i cittadini.

Elezioni europee – Dal 1979, si celebrano ogni cinque anni: il 22 e 25 maggio 2014, tutti i cittadini dell’Ue andranno alle urne –forse, non saranno in molti a farlo- per eleggere il Parlamento europeo (766 deputati, 73 gli italiani). L’auspicio è che l’VIII legislatura segni lo spartiacque tra l’Europa del Rigore e quella della crescita; il rischio è che venga travolta da un’ondata di euro-scetticismo.

Frontex – La risposta dell’Europa ai drammi e ai problemi dell’immigrazione mediterranea (e non solo): pochi soldi, pochi uomini, pochi mezzi. C’è l’impegno a mostrare più solidarietà. La doppia presidenza mediterranea Grecia-Italia offre un’occasione per riuscirci (irripetibile, almeno fin verso il 2030).

Grecia – Il Paese fra i 28 più colpito dalla crisi e più vessato dal rigore, reo prima di conti truccati e vittima poi di rimedi drastici, farà staffetta con l’Italia nel 2014 alla guida del Consiglio dell’Ue. Atene si limiterà a fare cabotaggio: il mare aperto dell’economia resta burrascoso.

Hollande (vedi Merkel) – Il presidente francese François Hollande, socialista, leader del fronte della crescita, traversa in patria il deserto dei minimi di popolarità. Da solo, gli viene bene solo l’Africa: prima il Mali, poi la Repubblica centrafricana. In Europa, ha bisogno di Angela, perché, senza la Germania, con Enrico e Mariano se la cantano e se la suonano e non ne escono.

Italia – Paese fondatore della Cee, dell’Ue e dell’euro, è oggi finito fra gli ultimi vagoni del treno dell’economia europea: la crescita è un ricordo (e una speranza rinviata di trimestre in trimestre). Nel secondo semestre 2014, avrà la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue: i precedenti, 1980, 1985, 1990, 1996, 2003, hanno tutti fatto la storia dell’integrazione. Questa volta, il semestre è breve e rischia di andare in bianco.

Lisbona – Il Trattato di Lisbona, in vigore dal 2009, ha inglobato e sostituito tutti i Trattati precedenti, togliendo all'Unione i suoi simboli e mettendo la sordina alle spinte federaliste. Se c’è chi vuole andare oltre, ci sono pure molti che vogliono tornare indietro.

Merkel (vedi Hollande) – La cancelliera tedesca Angela Merkel è l’unica leader europea al tempo della crisi confermata al potere dal voto popolare. Però, ora che non fa più coalizione con i liberali, ma con i socialdemocratici, non può limitarsi a portare la bandiera del rigore scortata da Finlandia e Olanda. E senza una forte intesa franco-tedesca l’Ue è una barca senza guida e senza rotta.

Nord Africa – Un rebus per l’Europa, ma pure per Usa e Russia –se ci consola-. Non ci capimmo nulla prima delle Primavere arabe. E non ci abbiamo capito nulla neppure dopo: l’Egitto che torna alla casella di partenza, la Libia che sprofonda nel caos, la Siria che non esce dalla guerra. Politica estera europea, dove sei?

Occupazione – Un incubo europeo, soprattutto per i giovani del Sud dell’Europa. Per cacciarlo, ci vuole crescita. La ‘garanzia giovani’, 6 miliardi di euro in sette anni per 28 Paesi, è un placebo.

Procedura d’infrazione – Poi si dice che l’Italia è spesso ultima. Qui, siamo in testa alla classifica: oltre cento procedure aperte, a vario stadio, nonostante gli sforzi fatti. Nessuno ci batte. E la lista minaccia d’allungarsi, tra deficit, pagamenti della P.A., trattamenti dei carcerati e degli immigrati.

Qualunquismo – Con populismo, viene spesso usato come sinonimo di euro-scetticismo: un modo, sbrigativo e sommario, per liquidare un disagio verso l’Unione che è reale e attende risposte. Il voto di maggio ne darà la misura.

Ricerca – Tutti d’accordo: ricerca, innovazione, competitività sono viatico per la crescita e antidoto alla crisi; e spendere insieme è meglio che spendere ciascuno per sè. Ma quando poi si fa il bilancio, i fondi per la ricerca calano invece di crescere.

Stati Uniti - Quelli d’Europa, che si devono ancora fare; e quelli d’America, con cui si negozia l’accordo di libero scambio, dopo avere già praticato, senza previi accordi, il libero spionaggio.

Tajani – Antonio Tajani è il membro italiano della Commissione europea, vice-presidente, titolare dell’industria. La sua conferma, o meno, nell’Esecutivo comunitario è una delle incognite del 2014.

Ucraina – Un vicino dell’Unione in bilico tra l’Europa e la Russia, con tentazioni di nazionalismo. Mosca ha carote più succose e bastoni più nodosi, Bruxelles agita il miraggio della democrazia.

Vigilanza – E’ uno dei nodi dell’Unione bancaria, i cui meccanismi devono essere definiti nel 2014 per entrare in vigore nel 2015. Per la presidenza italiana, un dossier impegnativo.

Zona Euro – L’euro è la torre di Pisa di questa crisi: pende sempre e “mai non vien giù”. Anzi, i 15 del 2008 stanno per diventare 18: dopo Slovacchia 2009 ed Estonia 2011, ecco la Lettonia all’alba del 2014.

venerdì 27 dicembre 2013

2013: le previsioni non azzeccate e i falsi oracoli

Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano il 27/12/2013

Sono andato a rileggermi le previsioni sul 2013 fatte alla fine del 2012, un anno fa: non solo le mie, che contano poco, ma anche quelle dei colleghi più prestigiosi e dei media più autorevoli. Ci facciamo più o meno tutti, noi giornalisti, la figura degli economisti, che non azzeccano (quasi) mai una previsione, ma sanno sempre spiegare alla perfezione, dopo, perché è successo quello che non avevano previsto.

Così, nessuno, ma proprio nessuno, aveva ipotizzato l’episodio che colloca il 2013 nella storia, almeno in quella dell’Occidente cristiano: le dimissioni di Papa Benedetto XVI –del resto, non accadeva più dal 1294, cioè quasi 710 anni fa, il ‘gran rifiuto’, ‘per viltade’ aggiunge impietoso Dante, di Celestino V: chi poteva immaginarsi una cosa del genere?-…

E, invece, se non tutti, molti, ma proprio molti, avevano abboccato alla storia del 2013 come l’anno dell’uscita dal tunnel. Il che, in realtà, è stato per molti Paesi, ma non per l’Italia, dove si stappano bottiglie di spumante per una crescita 0 nel terzo trimestre, a interrompere un filotto da record di trimestri di crescita negativa. Ma, naturalmente, e qui siamo al Venditore di Almanacchi, insuperabile in questo esercizio, l’anno che verrà sarà migliore, anzi il migliore. E “più che assai”.

Sul piano internazionale, il 2013 ha registrato le novità scontate dell’insediamento alla presidenza, negli Stati Uniti, di Barack Obama, succeduto a se stesso, ma sempre uguale a se stesso – meglio, cioè, come candidato che come presidente- e in Cina di Xi Jinping, che resta un oggetto un po’ misterioso.

L’Asia è stata (ed è) traversata da venti di guerra più forti del solito –folate che in genere s’acquietano- tra le due Coree e, soprattutto, tra Cina e Giappone per una storia di scogli contesi.

In Afghanistan, a 12 anni dal rovesciamento dei talebani e a pochi mesi dall'uscita di scena programmata delle forze internazionali, e in Iraq, a dieci anni dall'invasione e già quattro anni dopo il ritiro delle truppe da combattimento Usa, il 2013 è stato l’anno più sanguinoso per i civili: segno, se mai ce ne fosse bisogno, del fallimento della lotta al terrorismo con le bombe e dell’esportazione delle democrazie sulle torrette dei carri-armati.

Tutto l’arco del Mediterraneo è in subbuglio –ma questa non è una novità-: in Egitto, c’è un ritorno al passato, il presidente eletto Mohamed Morsi è stato deposto, i Fratelli Musulmani sono di nuovo fuori legge e l’uomo forte è il comandante in capo delle forse armate, il generale Sissi;  in Libia, l’eliminazione di Gheddafi e il conflitto con l’intervento dell’Occidente hanno lasciato caos e divisioni; in Siria, la guerra civile va avanti a suon di decine di migliaia di vittime, ma Assad resta presidente e dell’opposizione non si fida nessuno; in Turchia, il premier Erdogan sembra avere perso presa e credibilità sull'opinione pubblica.

A Sud del Sahara, la Francia scrive pagine di neo-colonialismo nella Repubblica centrafricana e prima nel Mali, con il consenso della comunità internazionale. In Iran, le elezioni portano alla presidenza Hassan Rohani e -.scrive Roberto Aliboni, su Affar Internazionali- “il pugno di Teheran diventa una stretta di mano”, con una bozza d’accordo sul nucleare tra Teheran e i ‘5-1’-. Soltanto sulla questione palestinese regna lo ‘statu quo’: nessuno di mette mano, neppure i diretti interessati.

In Europa, non c’è un leader che sia popolare in patria, a parte la cancelliera tedesca Angela Merkel, che vince al voto –ma è estremamente impopolare fuori dalla Germania-. Ma l’Europa, si sa, vive un 2013 d’attesa, perché rimescolerà tutte le carte nel 2014, anno spartiacque –parola del presidente Napolitano- tra rigore e crescita.

L’uomo dell’anno? Time punta su Francesco, il Papa che viene dalla fine del Mondo, e ci azzecca. Insieme a lui, sul podio, mettiamo Rohani e Snowden, le cui rivelazioni impediscono ai governi ed alle opinioni pubbliche di fingere d’ignorare quel che tutti sanno (e fanno): che l’era della globalizzazione è pure quella dello spionaggio globale.

E fra i milioni di persone che “ci hanno lasciato”, ne ricordiamo una, ma è esercizio facile, quasi scontato: Nelson Mandela, uno di quelli che hanno saputo rendere il Mondo un posto migliore. 

martedì 24 dicembre 2013

Italia/Ue: presidenza 2, 160 eventi in 115 giorni

Scritto per EurActiv il 24/12/2013

Sarà una presidenza breve, come tutte quelle nel secondo semestre di ogni anno, ma densa di eventi, quella di turno italiana del Consiglio dell’Ue dal 1.o luglio al 31 dicembre 2014.

Si calcolano più o meno 160 eventi da distribuire su 115 giorni utili circa, perché il mese di agosto e l’ultima decade di dicembre sono ‘a perdere’: Consigli dei Ministri formali e una quindicina d’informali –la maggior parte dei quali a Milano-, oltre a riunioni di ogni genere, alcune delle quali, come le assise interparlamentari, ancora da stabilire con certezza.

Senza contare gli eventi che hanno a che fare con la presidenza, ma non ne dipendono. Ad esempio, nell'ultimo week-end di novembre, i Movimenti europei di tutta Europa si riuniranno a Roma

Francesco Tufarelli, uno dei dirigenti più competenti impegnati, a Palazzo Chigi e al Dipartimento delle Politiche comunitarie, nella preparazione della presidenza, assicura “non siamo in ritardo”: la Grecia, la cui presidenza inizia a giorni, ha distribuito solo da qualche settimana il suo programma, mentre l’Italia ha già diramato un calendario di massima delle sue riunioni, di cui EurActiv.it ha già dato notizia.

Fra le priorità italiane, Mediterraneo, lotta a disoccupazione, vari temi del Consiglio Affari Generali. Di programmi e priorità, discute regolarmente un comitato della Presidenza del Consiglio, guidato dal sotto-segretario Filippo Patroni-Griffi, ma sono pure al lavoro gli sherpa dei ministri, dopo il via in pompa magna, il 7 agosto, al comitato di pilotaggio a livello ministeriale.

Bisogna pure fare i conti con le disponibilità economiche: per la presidenza, l’Italia ha finora stanziato 60 milioni di euro, tanti quanti la Lettonia che la seguirà e meno del Lussemburgo (80) che chiuderà il trittico delle presidenze aperto proprio dall'Italia.

Il 2014 sarà un anno di presidenze mediterranee: prima la Grecia, che chiude il trittico con Irlanda e Lituania; e poi l’Italia. Un’occasione da sfruttare –notano fonti della Presidenza del Consiglio-, specie sui temi dell’immigrazione e dei rapporti coi Paesi della Riva Sud. Sotto presidenza italiana, si riunirà pure l’assemblea parlamentare del Mediterraneo.

lunedì 23 dicembre 2013

Italia/Ue: presidenza 1, Milan l’è on gran Milan

Scritto per EurActiv il 23/12/2013

Milan l’è on gran Milan, recita l’orgoglio meneghino. Ed Enrico Letta vuole farne la capitale della presidenza di turno italiana del Consiglio dell’Ue, nel secondo semestre 2014.

Milano è nella storia dell’integrazione europea, col Vertice al Castello Sforzesco – giugno 1985 -: un Vertice nel segno dell’allora premier Bettino Craxi, che, dopo gli anni di stasi legati al problema britannico, innescò il rilancio del progetto europeo.

Da allora, però, Milano non ha più avuto un ruolo da protagonista nell’Ue. Ora, invece, una singolarità del semestre di presidenza di turno italiana sarà che tutte, o quasi, le riunioni informali –una quindicina, probabilmente- si svolgeranno a Milano, alla Fiera.

La tradizione italica, ma non solo, è che le riunioni informali si tengano in giro per il Paese, in genere in località legate al ministro che presiede l’incontro. Per il semestre italiano, uno dei punti interrogativi riguarda il Gimnich dei Ministri degli Esteri, a inizio settembre,

L’idea di Milano sede fissa delle riunioni informali è fortemente sostenuta, a quanto si apprende da fonti bene informate, dal premier Letta, in un’ottica di lancio dell’Expo 2015. Un discorso che bene si adatta ad appuntamenti come il vertice Ue-Asem, in programma a ottobre, che l’Italia ha insistito si facesse a Milano e non, come previsto, a Bruxelles.

Quell’evento porterà nella città dell’Expo decine di delegazioni europee e, soprattutto, asiatiche, che di lì a sei mesi saranno protagoniste dell’esposizione universale, una Expo che l’Italia tende a presentare come ‘europea’, essendo l’unica a svolgersi nel territorio dell’Unione nell’ambito di un ventennio.

Ma per altre riunioni, più tecniche –l’Eurogruppo e l’Ecofin- o più di nicchia –l’agricoltura, l’ambiente, etc-, non è chiaro in che misura la scelta di Milano possa essere vincente. Se ne vedono, invece, alcune controindicazioni: il peso sulla città, in termini di traffico e d’intralci, di eventi a ripetizione e concentrati nel tempo –quasi tutti i Consigli informali saranno a luglio o a settembre-; e lo scarso richiamo mediatico che riunioni secondarie rischiano di avere in una grande città, mentre ne avrebbero senz’altro di più in località meno aduse al turismo diplomatico.

domenica 22 dicembre 2013

Italia/Iran: pace e affari sotto il velo della Bonino a Teheran

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 22/12/2013

Detto e fatto: Emma Bonino va a Teheran per rendersi conto di persona se l’Iran del presidente Hassan Rohani può e vuole davvero avere un ruolo strategico sulla scena internazionale, dopo l’abbozzo d’accordo sul nucleare con i ‘5-1’. Diplomazia mediorientale ed anche affari: alleggerite le sanzioni, c’è la speranza che l’interscambio italo-iraniano, oggi sceso a meno di un miliardo d’euro l’anno, possa risalire a 6/7 miliardi d’euro.

Con questa mossa “da apripista” occidentale, il ministro degli Esteri italiano conferma abilità e tempestività nel muoversi nei contesti a lei più familiari, Egitto, Siria, Iran, tutto il Medio Oriente, oltre che Ue e Usa. L’azione esterna del governo Letta diventa, invece, impacciata quando i problemi internazionali intersecano la politica interna.

I momenti forti della missione iraniana sono oggi, quando la Bonino incontra il presidente Rohani e il suo omologo Mohamed Javad Zarif, che è già stato a Roma. E’ la prima visita d’un ministro degli Esteri italiano in Iran da oltre 10 anni e coincide –nota la stampa iraniana, traendone buoni auspici- con la ‘notte di yalda’, una festività pre-islamica, la notte più lunga dell’anno.

La Bonino, che aveva inviato in avanscoperta il suo vice Lapo Pistelli per l’insediamento di Rohani, gode a Teheran di più credito dell’Italia: la diplomazia iraniana la giudica “coraggiosa e realistica”, mentre valuta i rapporti con Italia “discreti”, ma non “ideali”. Il sentiero lungo cui muoversi è però stretto: si tratta di verificare gli spazi di collaborazione con l’Iran, sdoganato dopo anni di diffidenze e sospetti; ma, prima di partire, il ministro si preoccupa di ricordare che “il dialogo con l’Iran non è contro Israele”, che sta sul chi vive.

La prima giornata è al femminile: la Bonino incontra Masoumeh Ebtekar -'Suor Maria', per i media Usa-, una leader degli studenti islamici nella rivoluzione khomeinista nel 1979, oggi vice-presidente e capo dell'Agenzia per la tutela dell'Ambiente. L’intento è rivitalizzare un memorandum del 2008 sulle tecnologie verdi. Sono discorsi sia ecologici che economici: per le aziende italiane "si aprono grandissimi spazi di collaborazione bilaterale e prospettive non solo nei settori tradizionali", come quello energetico, ma pure sui fronti culturale, archeologico e –appunto- ambientale.

C’è dialogo pure su diritti umani, condizione femminile, pena di morte. La Bonino vede spiragli nell'approccio iraniano alla pena capitale, “sia per i minorenni sia per i reati di droga". L'Iran è uno dei Paesi con il maggior numero di esecuzioni condotte ogni anno, anche di ‘under 18’.

Ma i temi politicamente più caldi, nucleare e Siria, sono per oggi. La strada per un’intesa definitiva sui programmi nucleari, dopo la provvisoria di novembre, è fitta d’ostacoli: quindi, ci vuole cautela. "Dipenderà da loro, ma anche da noi non fare errori -osserva la Bonino-. E' un periodo fragile e bisogna tenere i nervi a posto". Quanto alla Siria, "la responsabilizzazione dell'Iran nella crisi è importante", nota la Bonino. La partecipazione di Teheran alla conferenza di pace del 22 gennaio potrebbe essere sia diretta che indiretta, ma l’approccio deve essere “collegiale".

sabato 21 dicembre 2013

Ue: retrocessa nel giorno dell'Unione bancaria, veleni del rating

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 21/12/2013
“Non ci rovinerà il Natale”, dice il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy. Ma almeno un candito ce lo manda di traverso. Il verdetto dell'agenzia di rating statunitense Standard & Poor's, che abbassa la valutazione a lungo termine sull'Ue, dalla tripla A a AA+, investe Bruxelles mentre il Vertice è agli sgoccioli, dopo avere messo il timbro su un passo avanti importante verso  l’Unione bancaria.
Il tempismo del giudizio di S&Ps, che conferma i rating a breve e mantiene stabile l’outlook, fa storcere il naso a molti. Il presidente della Commissione europea Manuel Barroso replica che l’Ue è credibile, il commissario europeo per gli Affari economici e monetari Olli Rehn contesta nel merito il declassamento. L’agenzia americana si basa sulle tensioni in materia di bilancio fra i 28 e sull'esito dei negoziati sul quadro finanziario pluriennale 2014-2020, che farebbero emergere elementi di fragilità nel sostegno di alcuni Stati all'Unione nel suo complesso.
A Bruxelles, quella di S&Ps suona più come una mossa politica che come una decisione tecnica. L'Unione europea era sotto minaccia di declassamento dall'inizio del 2012, quando l'agenzia aveva rivisto a negativo l’outlook. Ma la situazione economica e finanziaria appare, oggi, globalmente migliore dell’anno scorso.

I Grandi dell’Unione fanno spallucce, all'annuncio della perdita della tripla A –“Non cambierà nulla”-. Il premier italiano Enrico Letta prima parla di “segnale da non sottovalutare” di conferma che l’Ue e l’euro non sono ancora fuori dalla crisi; poi corregge il tiro e parla di declassamento “non meritato”.

Di fatto, però, S&Ps mette la sordina alle fanfare già pronte a suonare sull'Unione bancaria, dopo che i leader dei 28 ratificano il compromesso raggiunto il giorno prima dai ministri dell’Economia su come parare a una crisi della banche. Fanfare che sarebbero state eccessive, perché l’intesa è positiva, ma ha limiti precisi. Il presidente della Bce Mario Draghi la benedice; altri sottolineano che il Fondo di risoluzione è troppo modesto e che manca un vero e proprio scudo comunitario, perché per i primi dieci anni saranno creati solo fondi nazionali collegati tra loro. Su questo punto, il Parlamento di Strasburgo promette battaglia.

A caldo, Letta twitta “Buon passo verso Ue più unita”. Quindi, elabora:  “Se il Fondo di risoluzione ci fosse stato quattro anni or sono, l’Europa non avrebbe buttato miliardi per salvare le banche”. Van Rompuy è roboante: “Il più grande passo in avanti dalla creazione dell’euro”. Il presidente francese Francois Hollande afferma che “l’Europa ha fatto più passi in avanti in questi ultimi mesi che negli ultimi dieci anni”. La cancelliera tedesca Angela Merkel, all’esordio come terzo mandato, è soddisfatta.
Il Fondo a regime, cioè fra 10 anni, sarà da 55 miliardi. Slitta, invece, di quasi un anno la decisione sui partenariati per la crescita e la competitività: toccherà all'Italia gestire il negoziato sugli accordi tra paesi membri e Bruxelles per barattare riforme strutturali con incentivi sulle finanze pubbliche.

Sul fronte politico, il Vertice tiene la porta dell’associazione aperta all'Ucraina, mentre traccheggia sulla difesa, nonostante nuove rivelazioni di spionaggio Usa ai danni della Commissione europea, del responsabile della concorrenza Joaquim Almunia. Del resto, fa solo scena parlare di difesa europea, se non c’è una politica estera europea.

giovedì 19 dicembre 2013

Politica estera: Italia, tra nani degli incubi e giganti dei sogni

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 19/12/2013

Nel giorno in cui catechizza i suoi ambasciatori sul nuovo ‘mantra’, la diplomazia della crescita, che riecheggia ‘mantra’ recenti, la berlusconiana “diplomazia dei commessi viaggiatori” e l’universalmente vagheggiato “sistema Paese”, la politica estera italiana riceve la conferma che, nella percezione dei cittadini, il nostro non è “un Paese che conta” né in Europa –ci credono solo tre su dieci- né nel Mondo –due su dieci-. E la percezione appare persino più negativa della realtà.

Pure il vice-ministro degli Esteri Lapo Pistelli ammette che l'Italia in politica estera fatica a trovare "il giusto passo" e oscilla tra momenti "velleitari" e la "sindrome da Calimero". Pistelli, poi, un po’ si pente della schiettezza e riformula il concetto: "Gli italiani tendono a non essere pienamente coscienti delle proprie straordinarie doti. Oscillano tra l’essere i nani degli incubi e i giganti dei sogni".

Il ministro degli esteri Emma Bonino istruisce gli ambasciatori, chiamati a rapporto per la periodica Conferenza, sulle nuove linee guida Farnesina 2015 e su tutte le sfaccettature degli interessi italiani nel Mondo. L’indagine voluta dall’Istituto Affari Internazionali e condotta dall’Università di Siena, mostra che la confusione degli italiani sulla politica estera comincia da ruoli: quattro su 10 pensano al capo del governo come la figura più influente in ambito internazionale, più di uno su quattro al presidente della Repubblica, solo uno su dieci fa riferimento al ministro degli esteri, probabilmente perché, prima della Bonino, alla Farnesina sono passate figure diafane, la cui presenza è stata poco percepita.

Dal sondaggio, emerge un’Italia divisa sull'Europa lungo crinali talora inattesi, politici –gli elettori di centrodestra e i grillini la pensano quasi allo stesso modo su Ue ed euro- e demografici -abbiamo quarantenni meno europeisti dei giovani e degli anziani-. Un’Italia che ha poca fiducia in se stessa, senza averne molta negli altri. Che è recisamente contraria all’uso della forza per risolvere le controversie internazionali - oltre l’80% - e non ne vuole più sapere di missioni militari - il 60%-.

In testa a tutto, gli interessi nazionali, cioè i propri. In primo luogo, “la sicurezza dei confini dell’Italia e il controllo dei flussi d’immigrazione”. E se qualcuno vuole che li si difenda trasformando Lampedusa in una sorta di Ravensbrueck, eccolo servito.

Gli italiani sentono di avere un’identità mista, italiana ed europea. In maggioranza, sono restii ad accettare i vincoli che vengono da Bruxelles e insofferenti verso la Germania; in minoranza, sono tentati dalla fuga dall’euro. Risultati che, a cinque mesi dalle elezioni europee del 25 maggio, anticipano una valanga euroscettica.

Gli Usa non sono più un punto di riferimento obbligato; e la presenza in Italia di basi americane è controversa - c’è equilibrio tra chi le accetta e chi vorrebbe sbarazzarsene-, ma non è un tema caldo. Quanto alle Primavere arabe, i rischi ne sono percepiti tre volte più delle opportunità. E che non si parli d’intervento in Siria. Quello che accade a Sud del Mediterraneo, preoccupa solo per l’impatto che potrebbe avere sui flussi migratori.

mercoledì 18 dicembre 2013

Italia/Ue: i ragazzi vanno (un po’) meglio, la scuola va sempre male

Scritto per Media Duemila online il 18/12/2013
Vanno meglio a scuola i ragazzi italiani, rispetto al 2009. Ma vanno peggio della media Ue, che è più o meno la media Usa, ma è di molto inferiore alla media giapponese. Ancora una volta la scuola italiana non esce bene dai confronti internazionali, che si sono succeduti negli ultimi mesi. Stavolta, il documento di riferimento è il dossier Program for International Student Assessment dell’Ocse, che ogni tre anni valuta la preparazione di 510 mila studenti di 15 anni in 65 Paesi.
L'Unione europea s’è data l’obiettivo di ridurre entro il 2020 a meno del 15% la percentuale dei ragazzi con capacità insoddisfacenti nelle tre competenze base: lettura, matematica, scienze. 
In questo contesto, il dossier dell'Ocse – con dati 2012 – colloca l'Italia a quota 19,5% (cioè quasi 2 punti sopra la media Ue, 17,8%) per la lettura, con un calo di studenti con capacità insoddisfacenti dell'1,5% rispetto al 2009. Per la matematica, la percentuale sale al 24,7% (e, anche qui, sopra la media Ue, 22,1%), con un calo minimo rispetto al 2009 (0,2%). In discesa – dell'1,9%, al 18,7% – anche il numero di studenti con capacità insoddisfacenti in scienze, che risulta, però, ancora una volta, superiore rispetto alla media Ue, 16,6%.
L’Italia fa passettini in avanti, ma resta lontana dall'obiettivo finale e dal gruppo dei migliori. Secondo l’Ocse, dieci paesi Ue hanno compiuto in tre anni progressi significativi – Bulgaria, Repubblica Ceca, Germania, Estonia, Irlanda, Croazia, Lettonia, Austria, Polonia e Romania –, mentre cinque hanno fatto passi indietro – Grecia, Slovacchia, Ungheria e, sorprendentemente, Finlandia, che resta però nel gruppo di testa, e Svezia.
Materia per materia, chi sono i migliori e i peggiori della classe europea? In lettura, Estonia, Irlanda e Polonia –i migliori- e Slovacchia, Romania e Bulgaria –i peggiori; in matematica, rispettivamente, Estonia, Finlandia, Polonia e Romania, Cipro, Bulgaria; in scienze, ancora Estonia, Finlandia, Polonia e Bulgaria, Romania, Cipro. Insomma, Estonia e Bulgaria sono ai due estremi del’efficacia del sistema scolastico europeo.
L’Italia è 16.a a pari ‘demerito’ con l’Austria per la lettura, 18.a per la matematica e 18.a a pari ‘demerito’ con la Francia per le scienze. Come si diceva una volta, i ragazzi possono fare meglio. Ma soprattutto può fare meglio la scuola.

Commentando i dati, Androulla Vassiliou, commissaria europea per l'istruzione, la cultura, il multilinguismo e la gioventù, ha detto che gli Stati dell’Ue “devono continuare a dedicare energie alla lotta per il rendimento nell' istruzione scolastica, perché i giovani conseguano le competenze di cui hanno bisogno per avere successo nel mondo moderno. Investire in un'istruzione di qualità è fondamentale per il futuro dell’Europa".

martedì 17 dicembre 2013

Italia/Ue: contro l'euro, Cav e Grillo “meme combat”

Scritto, in versioni diverse, per AffarInternazionali, EurActiv, il blog de Il Fatto Quotidiano il 17/12/2013

Europa ed euro: per il Cav e Grillo, “meme combat”. Mi mette un po’ a disagio adattare all’Italia dei forconi lo slogan del Maggio francese. Ma i risultati di un sondaggio appena pubblicato indicano che, sull’Europa e l’euro, elettori di centro-destra e grillini la pensano allo stesso modo: restii ad accettare i vincoli che vengono da Bruxelles e inclini all’ipotesi di piantare i partner in asso e tornare all’ ‘età dell’oro’ della lira e delle svalutazioni competitive. Invece, propensi a restare nell’Unione, e disposti ad accettarne le regole, paiono solo gli elettori di centro-sinistra, ma a condizione che qualcosa cambi: crescita, accanto al rigore; occupazione, accanto alla disciplina.

E’ un’Italia divisa sull’Europa lungo crinali talora inattesi, politici e demografici –gli anziani più europeisti dei giovani-. Un’Italia che ha poca fiducia in se stessa, senza averne molta negli altri. E che, recisamente contraria all’uso della forza per risolvere le controversie internazionali –oltre l’80%-, non è più pronta alle missioni di pace –il 60%- e si divide sulla presenza in Italia delle basi militari americane –e, qui, sinistra e grillini sono più vicini-. Insomma, più che un’Italia dei forconi, arrabbiata, pare un’Italia ‘da giardinetti’, rassegnata: reclinata sul passato e timorosa di proiettarsi nel futuro.

In testa a tutto, gli interessi nazionali, cioè i propri. In primo luogo, “la sicurezza dei confini dell’Italia e il controllo dei flussi d’immigrazione”: concetti che evocano il ’14 (ma il 1914, quello del ‘non passa lo straniero’) e che trasformano in fortezza ostile il Paese della solidarietà e dell’accoglienza. L’iconografia tradizionale (e ormai datata) degli ‘italiani brava gente’ regge solo nella scelta pacifista.

Sono alcune delle tante sfaccettature del diamante Italia –ma forse la pietra è meno dura e meno nobile- messe in evidenza dall'indagine sull'opinione pubblica italiana condotta dallo IAI e dal CIRCaP, sondando le posizioni dei cittadini di fronte alla politica estera e all'integrazione europea. Il sondaggio è stato realizzato dal Laps dell’Università di Siena, intervistando un campione di 1003 individui di nazionalità italiana, residenti in Italia e maggiorenni.

I risultati sono spesso influenzati dall'attualità –le risposte sono state raccolte mentre era forte l’eco dei drammi dell’emigrazione nel Mediterraneo- e fotografano le evoluzioni dei rapporti di forza istituzionali: quattro italiani su dieci pensano che la figura più influente in politica estera sia il capo del governo, più di uno su quattro che sia il presidente della Repubblica, solo uno su dieci fa riferimento al ministro degli esteri, probabilmente perché, prima di Emma Bonino, alla Farnesina sono passate figure diafane, la cui presenza è stata poco avvertita dall'opinione pubblica.

A cinque mesi dalle elezioni europee del 25 maggio, l’indagine esplora l’atteggiamento dell’opinione pubblica verso altre questioni controverse, oltre al futuro dell’integrazione europea e  i sacrifici per restare nell'euro e i rapporti con Bruxelles e con Berlino: ad esempio, rischi e opportunità delle Primavere arabe –i primi percepiti tre volte di più delle seconde: ancora una volta la paura che prevale sulla speranza-.

Gli italiani sentono di avere un’identità mista, italiana ed europea: questa percezione è fortissima fra gli elettori di centro-sinistra –tre su quattro- e scende sotto il 60% fra gli elettori di centro-destra ed i grillini. La frattura europea fra centro-sinistra (due su cinque) e centro-destra e grillini (due su tre) si ripropone sulla difesa degli interessi nazionali anche a discapito di quelli europei e sull’atteggiamento verso la Germania, la cui influenza è percepita come negativa da quasi la metà degli elettori di centro-sinistra, ma da oltre i due terzi di quelli di centro-destra e grillini.

A Ettore Greco, direttore dello IAI, lettore attento dei dati raccolti, “il rapporto tra gli italiani e le relazioni internazionali appare complesso e non privo di sfumature e  contraddizioni”. Gli italiani sono “attenti a ciò che accade nel mondo esterno, ma preoccupati per le conseguenze dei problemi globali sugli interessi nazionali e sul ruolo dell’Italia nel mondo; consapevoli dei vincoli europei, ma incerti e tendenzialmente scettici sul futuro dell’Europa; pacifisti e, in linea di principio, multilateralisti, ma poco inclini ad accettare onerosi impegni internazionali.

I problemi globali finiscono spesso ridotti a dimensioni locali. Nell’introduzione al sondaggio, si legge che gli italiani, più che “cittadini del mondo”, tendono a considerarsi “cittadini italiani nel mondo”; un popolo magari consapevole delle prospettive e dei rischi, innescati dai processi d’integrazione regionale e globale e tuttavia incapace di scorgerne e soprattutto di coglierne a fondo le opportunità. Provati dalla crisi, sfiduciati, impauriti, certo; ma anche chiusi in se stessi ed egoisti.

domenica 15 dicembre 2013

Ue: politica estera 2; senza, non ci sono difesa e sicurezza comuni

Scritto per EurActiv il 15/12/2013

Se non c’è una politica estera europea, non ci può essere una politica comune di difesa e di sicurezza. Il concetto è stato espresso a più riprese in convegni a Roma nell'imminenza del Consiglio europeo del 19 e 20 dicembre su difesa e sicurezza europee.

Diplomatici ed esperti concordano che neppure l’eventuale lancio, nel settore della difesa, di cooperazioni strutturate rinforzate darebbe all'Europa una politica di difesa comune, in assenza di una politica estera.

“Politica estera e di difesa: quale Italia in Europa?” è stato il tema d’un appuntamenti della serie Officina 2014 sull’Italia in Europa e, in particolare, sull’agenda della presidenza italiana 2014, organizzati dal comitato italiano del Movimento europeo (cime). Alla Farnesina, ne hanno discusso politici, diplomatici ed esperti.

Temi analoghi sono emersi al convegno “La diplomazia italiana del futuro e la prospettiva di una diplomazia europea”, organizzato dall'Associazione nazionale diplomatici a riposo Costantino Nigra presso l’Istituto diplomatico Mario Toscano: protagonisti, ambasciatori del passato, del presente e del futuro, politici attenti alla politica estera, docenti e giornalisti.

Nelle varie sedi, c’è stato chi ha sollecitato un percorso parallelo tra le discussioni europee e la revisione del concetto strategico dell’Alleanza atlantica, l’anno prossimo. I ritardi dell’Unione nell’integrazione sui fronti della difesa e della sicurezza emergono evidenti anche da alcuni dati formali: la mancanza, ad esempio, di un Consiglio dei Ministri Ue della difesa, mentre c’è quello degli Esteri; e l’esiguità delle risorse destinate all’Agenzia della Difesa, 32 milioni di euro l’anno, i ¾ dei quali servono a pagare gli stipendi.

E se non tutti sono d’accordo sull'idea che nel Mondo via sia una “domanda d’Europa”, del resto spesso elusa quando espressa, molti condividono il rilievo di un’Europa autoreferenziale, che tende a farsi fortezza rispetto ai problemi che vengono dal Sud del Mondo, invece di aprirsi a essi e di proporsi come soluzione, sia diplomaticamente sia mettendo in campo risorse. Quanto alla lotta contro il terrorismo, c’è la consapevolezza che il welfare serve più dei droni per contrastarne le cause.

L’ambasciatore Giancarlo Aragona, presidente dell’Ispi, suggerisce le relazioni con gli Stati Uniti, la Russia e l’insieme del Mediterraneo come aree dove la presidenza italiana dovrebbe dare alla presenza europea un forte impulso, mentre l’interesse dell’Europa per la Cina va scemando (ed è vero pure il viceversa). E il professor Andrea Margelletti, presidente del Centro Studi Internazionali, vede un’Europa alla Gloria Swanson, “sul viale del tramonto”.

sabato 14 dicembre 2013

Ue: presidenza italiana; sondaggio Cime, Bce e Pe in ascesa

Scritto per EurActiv su materiale del Cime il 14/12/2013

La Banca centrale europea e il Parlamento europeo sono le Istituzioni che hanno guadagnato più peso e potere negli ultimi tre anni nella governance europea, agli occhi di enti, imprese e organizzazioni italiane che hanno a che fare con l’Unione europea. E la Bce e il Consiglio sono percepiti come le Istituzioni più influenti,  più della Commissione europea.

Sono alcune delle considerazioni che scaturiscono da un’analisi ancora parziale e provvisoria della prima parte dei questionari diffusi dal Movimento europeo, in collaborazione con EurActiv.it, nell’ambito del progetto Officina 2014 – L’Italia in Europa. Chi ha risposto al sondaggio sta ricevendo, in questi giorni, la seconda parte, relativa ai dossier e ai temi che avranno prevedibilmente maggiore rilevanza durante il semestre di presidenza di turno italiana del Consiglio dell’Ue, dal 1.o luglio al 31 dicembre 2014.

L’indagine complessiva ha il titolo “EU-trends in enti imprese e organizzazioni italiane”. Un primo gruppo di domande è destinato a raccogliere informazioni sugli intervistati:  quasi 9 su 10 ritiene che le elezioni europee del 25 maggio saranno rilevanti per l’attività della propria organizzazione e tre su cinque considerano importanti per le proprie attività le iniziative legislative di Bruxelles, mentre due su cinque ritiene di partecipare in modo inadeguato al processo decisionale dell’Ue.

Dal blocco di domande sul ruolo percepito delle diverse Istituzioni, a livello nazionale emerge l’autorità della Presidenza della Repubblica, accanto al Governo. Invece, nella valutazione dell’influenza esercitata dagli attori della società civile sul processo decisionale europeo, scarso è il peso attribuito all'influsso dei sindacati.

Altre domande riguardano il grado di apprezzamento del lavoro svolto dalle istituzioni europee e l’opportunità o meno da parte del Governo nazionale di consultazioni sui temi europei: c’è ancora un generale apprezzamento per l’operato delle istituzioni europee, mentre il 100% degli intervistati ritiene che il Governo debba regolarmente consultare i gruppi di interesse quando prende posizioni nell’Ue.

Ci sono infine domande focalizzate sull'informazione e sulla comunicazione sui temi dell’Unione: più della metà delle risposte continuano a esprimere un certo grado d’insoddisfazione sulle strategie di comunicazione utilizzate. Tra le fonti d’informazione europee, il programma di lavoro annuale della Commissione europea è considerato lo strumento più utile per le proprie attività.

Fronte media, il sondaggio sta mostrando che la maggior parte delle organizzazioni coinvolte utilizza i portali istituzionali o i siti specializzati come principale strumento per seguire il dibattito politico europeo.

E ancora possibile rispondere al questionario, mirato a fornire degli indirizzi al governo italiano nella preparazione del semestre di presidenza, compilando la prima parte e attendendo poi l’invio della seconda parte più personalizzata rispetto ai campi di interesse di ciascuna organizzazione.

Il questionario è disponibile alla seguente pagina internet:

http://www.movimentoeuropeo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=237:officina-2014-litalia-in-europa&catid=44:progetti&Itemid=92

Corea Nord: la ferocia di Kim, calcolo?, paura?, o follia?

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 14/12/2013

Una tacca in più nell'escalation della brutalità e della ferocia di Kim Jong-Un, giovane leader ereditario di uno dei Paesi meno liberi e più arretrati di questo Mondo, la Corea del Nord. La purga che sfocia nell’arresto e nell’eliminazione, in pochi giorni, dello zio e mentore Jang Sing-Thaek, oltre che di due suoi stretti collaboratori, segna forse il momento di scontro più violento al vertice del potere da decenni.

E gli analisti si chiedono se la frenesia sanguinaria di Kim –da agosto, le esecuzioni collettive e pubbliche si sono succedute- sia il frutto di una percezione d’instabilità, o di un controllo assoluto della situazione interna. Oppure, e sarebbe la spiegazione più agghiacciante, d’una mancanza d’equilibrio mentale, che farebbe del giovane dittatore una sorta di moderno Nerone che vuole sbarazzarsi del maestro Seneca.

Se questa fosse la realtà, l’equilibrio della Corea del Nord, che ha l’atomica, anche se non ha strumenti per colpire nemici lontani, sarebbe precario e il Paese sarebbe un interlocutore assolutamente inaffidabile. Uno scenario che alimenta ansie a Washington e, ovviamente, a Seul, dove la vigilanza è alta, ma anche a Pechino, Mosca e in Europa.

Alcuni capi d’imputazione contro Jang –applausi tiepidi a un discorso del nipote, ad esempio- indicano, di per sé, un rafforzamento del culto della personalità, già molto forte. Purghe, campi di lavoro cui sono condannati i familiari dei ‘traditori’, sorveglianza della popolazione ossessiva: tutto ciò induce gli osservatori a considerare il ‘Regno Eremita’ -per il suo isolamento internazionale- l’ultimo regime staliniano.

Ma la confessione di Jang, riferita dall’agenzia di stampa ufficiale Kcna, può anche suggerire un’alternativa: lo zio mentore, 67 anni, avrebbe ammesso di “avere cercato di attizzare le lamentele del popolo e dell’esercito contro il fallimento del regime nel fare fronte” alla crisi dell’economia e alle esigenze della popolazione.

E a Seul c’è chi ritiene che l’esecuzione sul tamburo di Jang, arrestato in pubblico, addirittura strappato dagli agenti alla propria sedia durante una riunione ufficiale, processato, condannato come traditore e messo a morte, mascheri “una instabilità cronica” –ma la dinastia dei Kim dura da oltre 60 anni-.

Nulla di nuovo nei metodi, perché il nonno Kim Il-Sung e il padre Kim Jong-Il fecero lo stesso: negli Anni Settanta Kim Jong-Il si sbarazzò d’uno zio insidioso allo stesso modo. L’obiettivo è sempre instillare nella popolazione il massimo del terrore per garantirsene lealtà e obbedienza, nonostante la persistente crisi economica e le condizioni di vita al limite della sussistenza.

Dei sette dignitari ritratti al fianco di Kim il giovane in occasione dei funerali del padre, dicembre 2011 –la ‘banda dei sette’, per la stampa sud-coreana-, cinque sono fuori gioco, messi da parte, se non eliminati fisicamente come Jang. E i due che restano sono molto anziani e non hanno più ruoli di rilievo.

Segni premonitori della stretta c’erano già stati, anche se le informazioni dalla Corea del Nord sono difficili da verificare –gli Usa, ieri, non avevano conferme dell’accaduto, ma non avevano “motivo di dubitare” della Kcna-.

Il 3 novembre, in sette diverse località, 80 persone sarebbero state giustiziate in pubblico con capi d’imputazione futili come avere guardato la televisione sudcoreana, o possedere una bibbia, o avere diffuso materiale pornografico; prostituzione. La notizia, mai confermata, veniva da un giornale conservatore sud-coreano, che citava fuggiaschi nord-coreani.

In agosto, un quotidiano di Honk-Kong raccontò la fucilazione di 12 persone, tra cui l’ex fidanzata di Kim, Hyon Song-woi, nota cantante. Tutti facevano parte di gruppi musicali: condannati perché colpevoli di pornografia, pare per essersi fatti fotografare mentre facevano sesso, e messi a morte nel giro di tre giorni. Anche la moglie di Kim, Ri Sol-Ju, era con Hyon nella Unhasu Orchestra.

I satelliti occidentali, oltre a inquadrare i siti nucleari e missilistici nord-coreani, riprendono i lager dove si presume siano state rinchiuse 150/200 mila persone. Ultimamente il regime ha ristrutturato l’arcipelago gulag, chiudendo due campi. E studiando le immagini dei satelliti e incrociando i dati, gli analisti osservano che la popolazione dei reclusi si è ridotta. Rilasciati?, o eliminati?

venerdì 13 dicembre 2013

Ue: politica estera 1; ce n’è poca, e da pochi soldi, in Italia e nell’Unione

Scritto per EurActiv il 13/12/2013

L’Italia spende per la politica estera circa 166 milioni l’anno. Il calcolo, avallato da alti funzionari della Farnesina, testimonia che la politica estera ha poco spazio nel bilancio, e quindi nelle priorità, dello Stato.

Il bilancio della Farnesina, in realtà, è di circa 1800 milioni, ma –viene spiegato- 600 sono una sorta di partita di giro di contributi all’Onu e 600 servono a pagare le retribuzioni, mentre 250 sono destinati alla cooperazione e un centinaio se ne vanno in obblighi legislativi. Quel che resta serve, o servirebbe, a fare politica.

Sono valutazioni emerse a margine di convegni destinati, nei giorni scorsi, a suscitare il dibattito sulla politica estera, anche in vista degli appuntamenti 2014. “Politica estera e di difesa: quale Italia in Europa?” è stato il tema di uno degli appuntamenti di Officina 2014 sull’Italia in Europa e, specificatamente, sull’agenda del semestre di presidenza di turno italiana del Consiglio dell’Ue. Alla Farnesina, ne hanno discusso politici e diplomatici, ed esperti.

Temi pure ripresi a un incontro organizzato dall’associazione nazionale diplomatici a riposo Costantino Nigra e svoltosi presso l’Istituto diplomatico Mario Toscano: “La diplomazia italiana del futuro e la prospettiva di una diplomazia europea”. Protagonisti ambasciatori di ieri, oggi e domani, politici attenti alla politica estera, docenti e giornalisti.

A chi lamenta che i diplomatici italiani costano troppo, c’è chi è pronto a fare una proposta shock: “Equipariamo i trattamenti italiani a quelli del Servizio europeo di azioni esterna, il Seae, e vedremo che spenderemo di più”.

Elisabetta Belloni, direttore generale alla Farnesina per le risorse e l’innovazione, racconta che, spesso, nelle Commissione Esteri, si parla più degli stipendi dei diplomatici che di politica estera. E Federica Mogherini, deputata Pd, ora responsabile nella segreteria Renzi della politica estera ed europea, testimonia che le Commissioni esteri non sono più ambite dai parlamentari, nonostante continui ad essere diffusa in molti diplomatici l’idea che la politica estera non sia una politica in sé, ma è la sommatoria di tutte le politiche di un Paese che ne definiscono l’interesse nazionale.

L’Europa diventa così un grimaldello per fare restare o tornare l’Italia nel gioco della politica estera, al di là dei bilanci in chiaroscuro del primo triennio del Seae. C’è chi constata: “Tra crisi e Seae, l’Unione europea, che era un gigante economico e un nano politico, è un po’ meno gigante in economia, ma non è cresciuta in politica”.

E c’è il rischio, forte in Italia, di svuotare di contenuti le politiche estere nazionali, senza sostituire ad esse una politica estera europea.

giovedì 12 dicembre 2013

Ucraina: il regime attacca, poi arretra, e negozia soldi e voto

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 12/12/2013

Ancora una giornata a tinte forti, nell'Ucraina solcata da pulsioni nazionaliste, nostalgie sovietiche e aspirazioni europee. Le migliaia di manifestanti che chiedono l’associazione all’Ue e che sfidano da fine novembre il regime hanno ieri segnato dei punti, dopo avere rischiato la disfatta prima dell’alba, quando le forze dell’ordine intervenute in modo massiccio hanno cercato di sgomberare piazza dell’Indipendenza, l’epicentro della protesta, e di smantellare le barricate lì erette.

Ma i manifestanti hanno resistito, hanno ricevuto sostegno internazionale e hanno persino costretto gli agenti, ‘docciati’ con idranti a – 10, a ritirarsi dal centro della capitale, dopo brevi scaramucce. Fallito anche il tentativo di riprendere il controllo del municipio di Kiev, divenuto quartier generale dell’opposizione popolare. Ci sono stati feriti -una trentina-, non si ha notizia di morti.

L’assalto dei reparti anti-sommossa è scattato mentre erano in città, per negoziare, il vice-segretario di Stato Usa Victoria Nuland e il ‘ministro degli esteri’ Ue Katherine Ashton. La via della trattativa pareva essere stata aperta dall'iniziativa dei tre ex presidenti dell’Ucraina indipendente, che lunedì avevano chiesto al presidente in carica Yanucovich di ascoltare la gente.

E, in serata, Yanucovich s’è impegnato a “non ricorrere alla forza contro manifestanti pacifici”, invitando, nel contempo, l’opposizione “a non seguire la via dello scontro e degli ultimatum”, ma “del dialogo con le autorità”.

Washington e Bruxelles hanno duramente criticato l’intervento degli agenti, definito “disgustoso” dal Dipartimento di Stato Usa. La Ashton ha dialogato con i leader dell’opposizione e ha visto per la seconda volta in due giorni il presidente, che ha pure ricevuto la Nuland. Tutti dicono di volere stemperare le tensioni, esplose dopo che l’Ucraina, al Vertice di Vilnius con l’Ue il 29 novembre, non firmò l’accordo di associazione: le minacce russe pesarono più delle lusinghe europee, mentre l’influenza americana resta affidata soprattutto a una rete di ong ben collegate e attive nel Paese fin dall'indipendenza.

In Ucraina, l’Unione europea si ritrova di fronte al solito dilemma: conciliare l’etica delle intenzioni con l’etica dei risultati. Un’Europa che “fa la schizzinosa” con i Paesi dell’Est –l’espressione è d’un esperto negoziatore- e si ammanta dei suoi valori , ma poi deve mediare e trattare; e deve pure stare attenta ad evitare il confronto con la Russia, potenza di ritorno, partner importante non solo per gas e petrolio, ma anche politicamente nel Mediterraneo –in Siria, ad esempio- e con l’Iran.

Il governo ucraino pretende dall'Ue 20 miliardi di euro per chiudere l'accordo di associazione rimasto in sospeso: il premier Azarov manda il vice Arbuzov oggi a Bruxelles, prima di andare lui, il 17, a Mosca.

Ma l'opposizione chiede le dimissioni di Yanucovich, vuole anticipare al 2014 le presidenziali 2015 e punta a rimettere in moto il pendolo ucraino che oscilla tra Europa e Russia. "Nessun negoziato con questa banda", dice dal carcere Yulia Timoshenko, che sollecita ad Ue e Usa "sanzioni .. e indagini contro la corruzione". Altrimenti, "l’Ucraina sarà un cimitero delle libertà" (con una lapide in memoria della politica estera europea).

martedì 10 dicembre 2013

Presidenza italiana: Mogherini, rilancio integrazione da politica estera

Scritto per EurActiv il 10/12/2013

Il rilancio dell’integrazione europea a partire dalla politica estera: è il progetto dell’onorevole Federica Mogherini, appena divenuta responsabile, nella nuova segreteria del Pd di Matteo Renzi, dell’Europa e della politica estera.

Una formula che la Mogherini considera ridondante, perché nella sua visione la politica estera europea dovrebbe coincidere con la politica estera italiana.

La Mogherini, che è presidente della delegazione parlamentare italiana all’Assemblea atlantica, è oggi intervenuta, alla Farnesina, a uno dei dibattiti di “Officina 2014, l’Italia in Europa”, organizzati dal comitato italiano del Movimento europeo (Cime) in vista del semestre di presidenza di turno italiana del Consiglio dell’Ue, dal 1.o luglio 2014.

Oggi, il tema era l’agenda della presidenza sulla politica estera e di difesa. Al tema della difesa, dovrebbe essere in gran parte dedicato il Consiglio europeo del 19 e 20 dicembre, anche se è già chiaro che l’attualità economica finirà con il prevalere nelle discussioni al Vertice.

Secondo la Mogherini, il rilancio dell’integrazione può partire dalla politica estera perché “mai come adesso c’è domanda di Europa sulla scena internazionale”, dove gli Stati Uniti paiono attanagliati da una crisi d’identità, la Russia torna ad avere ambizioni da grande potenza e la Cina ed i Paesi emergenti esitano ad assumersi responsabilità.

Il problema è capire se e come l’Europa è pronta a rispondere: le esperienze più recenti non sono positive, in tal senso. Ed ha poco senso porsi il problema di una politica della difesa senza prima, o contestualmente, avere una politica estera.

Per la difesa e la sicurezza, il Consiglio europeo della prossima settimana resterà, probabilmente, sul terreno fattuale delle capacità militari (specializzazioni, sovrapposizioni, sprechi, etc.) e della creazione, anche per l’industria militare, di un mercato unico.

E’ opinione diffusa, echeggiata oggi ad Officina 2014, che sarebbe già un buon risultato se ne uscisse un’agenda di passi da fare nel 2014. Il semestre italiano, durante il quale è pure annunciato un Vertice della Nato di aggiornamento del concetto strategico dell’Alleanza atlantica e di rinnovo del segretario generale, potrebbe rivelarsi un “incubatore” della politica estera e di difesa europee.

Ucraina: Barroso, sul filo della rete, come la pallina di MatchPoint

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 10/12/2013

Alla fine, le picconate della protesta, che abbattono la statua di Lenin, aprono spiragli di dialogo: regime e opposizione, governo e  Ue accennano passi di riavvicinamento. Ma, in serata, le forze dell’ordine ucraine intervengono: sloggiano i manifestanti che da giorni assediavano i palazzi del potere e compiono un’irruzione nei locali del partito di Yulia Tymoshenko, ex premier, epigona della Rivoluzione arancione finita in carcere.

Così, Katherine Ashton, il ‘ministro degli esteri’ europeo, oggi in visita a Kiev, troverà animi accesi e polemiche roventi. Come l’opposizione, dove europeisti e nazionalisti sono ora fianco a fianco, sotto diverse bandiere, anche il regime non ha un solo volto: ieri mattina, il presidente Yanucovich aveva annunciato l’avvio di colloqui con l’opposizione, che ne chiede le dimissioni, e aveva telefonato al presidente della Commissione europea Barroso; poche ore più tardi, la magistratura intimava ai manifestanti di non mettere alla prova la pazienza dell’autorità e gli agenti passavano all'azione.

La protesta popolare innescata dal rifiuto dell’Ucraina di firmare, al vertice di Vilnius di fine novembre, un accordo di associazione con l’Ue tiene il Paese in bilico. Per descrivere la situazione, Barroso, ieri a Milano, ama ricorrere a un’immagine sportiva e cinematografica: la pallina da tennis di Match Point, un film di Woody Allen, che resta in bilico sulla fettuccia della rete e che può cadere dall’una o dall’altra parte, decidendo la partita in un senso o nell'altro.

L’Ucraina oscilla tra una prospettiva europea e un ‘ritorno al futuro’ nel campo post-sovietico. E, sul set del suo Match Point, Kiev non è sola: Mosca e Bruxelles –e, in un ruolo da caratterista, Washington- le fanno da spalla. La Russia sa quel che vuole: in un momento di tensione –questo non è il primo e probabilmente non sarà l’ultimo-, Putin telefonò a Barroso e gli chiese perché gli stessero tanto a cuore le sorti di un “Paese artificiale creato dalla Cia e dall’Ue”. Una conferma che Mosca considera l’Ucraina, come la Bielorussia, una propria appendice.

Invece, l’unione europea non è affatto compatta sul fronte ucraino: Bruxelles non vede l’Ucraina nell’Ue, almeno in un futuro prevedibile; e, infatti, non le offre la prospettiva dell’adesione, ma quella dell’associazione, Da una parte, i Paesi dell’Ue, con poche eccezioni –la Polonia e la Svezia, in particolare- non ce la vogliono; dall’altra, l’Ucraina non risponde a tutti i criteri per l’adesione, in primo luogo quelli di democrazia e di rispetto dei diritti dell’uomo, nonostante fra la gente la voglia d’Europa, e il richiamo del nazionalismo appaiano ora prevalere sulla forza d’attrazione del modello post-sovietico.

In questo contesto, la missione a Kiev della Ashton ha contorni sfumati e prospettive incerte e coincide con un incontro tra il presidente Yanucovich e i suoi tre predecessori, tutti schierati a fianco dei manifestanti. Dall’America e dall’Europa, gli appelli alla moderazione si succedono: il ministro degli esteri italiano Emma Bonino chiede che si eviti una guerra civile.

Per la Ashton, si tratta di riallacciare il discorso dell’associazione, interrotto a Vilnius complice l’ingerenza di Mosca. Ma l’Ue non è pronta ad accettare la richiesta dell’Ucraina di riprendere la trattativa a tre, facendo cioè sedere al tavolo la Russia. Per Barroso, la posizione europea tutela l’indipendenza di Kiev –ed è vero-. Ma, così, c’è il rischio che il blocco resti.

La protesta dura ininterrotta da dieci giorni e domenica centinaia di migliaia di persone avevano ancora manifestato contro le scelte anti-europeiste e filo-russe del presidente Yanucovich, abbattendo la statua di Lenin ‘superstite’ dei tempi sovietici.

Renzi/Letta: Ue; Barroso, il peana alla stabilità

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 10/12/2013

A chi gli chiedeva, ieri, un parere su Matteo Renzi, il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso rispondeva, con consumata abilità democristiana, che lui il sindaco di Firenze lo conosce bene, ma che ha pure “un’eccellente relazione” con Enrico Letta. Che rapporto c’è – vien da chiedersi - tra l’una cosa e l’altra?

Il fatto è che il messaggio recepito dai  media esteri suona contrapposizione tra Matteo ed Enrico: una sorta di equazione “più Renzi uguale meno Letta”. La vittoria più ampia delle previsioni del sindaco segretario innesca, quindi, pronostici incerti -e contraddittori- sulla sorte del governo: il premier può durare ‘sotto schiaffo’ del leader del partito o potrebbe cedere il passo alle elezioni.

Barroso, pure lui scuola politica centrista, proprio come i due giovani leoni della ‘sinistra’ italiana, innestatisi con successo nel Pd, fiuta l’aria e cerca una posizione d’equilibrio: né contro l’uno, né contro l’altro. Renzi lo conosce perché, da anni, va alla Festa dell’Europa a Firenze il 9 maggio: gli ha pure consigliato di fare della città uno ‘hub della cultura europea’ –che, a ben guardare, lo è già-. Con Letta, la frequentazione è intensa e l’intesa è forte, come lo era, del resto, con Mario Monti.

La vittoria di Renzi appare all'Europa come presagio d’instabilità. Le reazioni ufficiali sono sure trite e scontate: la disponibilità a lavorare con qualsiasi leader il popolo italiano si dia; la certezza che quale che sia il governo l’Italia manterrà il cammino europeo; la non ingerenza nelle vicende politiche interne di un Paese membro, a parte le congratulazioni di prammatica dal gruppo S&D, dove siedono gli eurodeputati Pd-. Ma il messaggio che Barroso vuole dare è il peana alla stabilità, ciò di cui l’Italia ha assolutamente bisogno -pare di sentire Napolitano-.

Il risultato delle primarie del Pd conquista spazio un po’ ovunque sui media, in Europa e in America ... di qui stralci del post di ieri ...

lunedì 9 dicembre 2013

Visti dagli Altri: più Renzi meno Letta, l’equazione delle primarie

Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano e, in versione diversa, per EurActiv 

Più Renzi, molto di più di quanto era stato preventivato, uguale meno Letta: è l’equazione che tracciano a caldo i media esteri dopo le primarie democratiche. Il successo, giudicato all’unisono “travolgente”, del sindaco di Firenze innesca pronostici incerti -e contraddittori- sulla sorte del governo. Che può durare ‘sotto schiaffo’ o cedere il passo alle elezioni.

La vittoria di Renzi non è stata proprio una breaking news mondiale, ma conquista spazio un po’ ovunque, in Europa e non solo. Il Wall Street Journal fa un richiamo in homepage e scrive che il nuovo capo del Partito democratico può destabilizzare il governo Letta.

Molto spesso, immagine e politica si sovrappongono, nelle cronache e nei commenti. Se Libération parla di Renzi come “del volto nuovo della sinistra italiana”, Le Monde lo riduce a un “golden boy” della politica italiana: “Uno straniero nella casa del partito democratico”, aggiunge, pronto a sfidare Letta.

La stampa britannica, invece, è quasi monotona nel riproporre il paragone con Tony Blair. E quella spagnola, più che sui programmi di Renzi, la cui fumosità scoraggia del resto molti, si concentrano sul suo “carisma mediatico” (El Mundo, Abc, etc.), rilevando che Matteo “deve ancora dimostrare di essere un leader e di rappresentare il cambiamento nella politica italiana”.

Invece, El Pais ha meno dubbi: “Il trionfo di Renzi rivitalizza il centrosinistra in Italia”, scrive in home page. “Carismatico e diretto, rappresenta un cambiamento generazionale” ed epocale.

Sul carattere “telegenico” del sindaco – segretario insiste pure The Times: “Il suo appeal populista e la sua verve hanno indotto qualcuno a sinistra a denunciarlo come un ‘mini Berlusconi’ e il suo approccio polemico lo ha messo in conflitto con i capi del Pd” storici, anzi –ormai- ex capi.

Pure il WSJ parte dal “carisma e dalla capacità di comunicazione tali da rivaleggiare potenzialmente con quelle di Berlusconi”, ma poi vira sul politico: la piattaforma di Renzi “punta a spingere i comunisti via dalla base tradizionale della classe operaia verso una classe media, centrista e pro-mercato”.

Per il Financial Times, la riuscita delle primarie “solleva il morale del Pd”, ma il risultato aumenta il “senso d’incertezza” sulla sorte del governo: l’Italia –osserva l’FT, riprendendo un’osservazione diffusa- si trova nella “insolita e potenzialmente destabilizzante” situazione di avere i leader dei tre principali partiti fuori dal Parlamento.

La Bbc porta avanti il paragone con Blair, perché come Tony Matteo “punta a portare il Pd al centro e anche a raggiungere elettori più a loro agio nella destra”. Anche per questo, e forse soprattutto per questo, The Guardian vede una sinistra che magari non è più tale e che, forse proprio per questo, guarda con speranza alle elezioni: Renzi ha la possibilità d’influenzare la “fragile coalizione” e la tempistica delle prossime politiche.