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venerdì 27 dicembre 2013

2013: le previsioni non azzeccate e i falsi oracoli

Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano il 27/12/2013

Sono andato a rileggermi le previsioni sul 2013 fatte alla fine del 2012, un anno fa: non solo le mie, che contano poco, ma anche quelle dei colleghi più prestigiosi e dei media più autorevoli. Ci facciamo più o meno tutti, noi giornalisti, la figura degli economisti, che non azzeccano (quasi) mai una previsione, ma sanno sempre spiegare alla perfezione, dopo, perché è successo quello che non avevano previsto.

Così, nessuno, ma proprio nessuno, aveva ipotizzato l’episodio che colloca il 2013 nella storia, almeno in quella dell’Occidente cristiano: le dimissioni di Papa Benedetto XVI –del resto, non accadeva più dal 1294, cioè quasi 710 anni fa, il ‘gran rifiuto’, ‘per viltade’ aggiunge impietoso Dante, di Celestino V: chi poteva immaginarsi una cosa del genere?-…

E, invece, se non tutti, molti, ma proprio molti, avevano abboccato alla storia del 2013 come l’anno dell’uscita dal tunnel. Il che, in realtà, è stato per molti Paesi, ma non per l’Italia, dove si stappano bottiglie di spumante per una crescita 0 nel terzo trimestre, a interrompere un filotto da record di trimestri di crescita negativa. Ma, naturalmente, e qui siamo al Venditore di Almanacchi, insuperabile in questo esercizio, l’anno che verrà sarà migliore, anzi il migliore. E “più che assai”.

Sul piano internazionale, il 2013 ha registrato le novità scontate dell’insediamento alla presidenza, negli Stati Uniti, di Barack Obama, succeduto a se stesso, ma sempre uguale a se stesso – meglio, cioè, come candidato che come presidente- e in Cina di Xi Jinping, che resta un oggetto un po’ misterioso.

L’Asia è stata (ed è) traversata da venti di guerra più forti del solito –folate che in genere s’acquietano- tra le due Coree e, soprattutto, tra Cina e Giappone per una storia di scogli contesi.

In Afghanistan, a 12 anni dal rovesciamento dei talebani e a pochi mesi dall'uscita di scena programmata delle forze internazionali, e in Iraq, a dieci anni dall'invasione e già quattro anni dopo il ritiro delle truppe da combattimento Usa, il 2013 è stato l’anno più sanguinoso per i civili: segno, se mai ce ne fosse bisogno, del fallimento della lotta al terrorismo con le bombe e dell’esportazione delle democrazie sulle torrette dei carri-armati.

Tutto l’arco del Mediterraneo è in subbuglio –ma questa non è una novità-: in Egitto, c’è un ritorno al passato, il presidente eletto Mohamed Morsi è stato deposto, i Fratelli Musulmani sono di nuovo fuori legge e l’uomo forte è il comandante in capo delle forse armate, il generale Sissi;  in Libia, l’eliminazione di Gheddafi e il conflitto con l’intervento dell’Occidente hanno lasciato caos e divisioni; in Siria, la guerra civile va avanti a suon di decine di migliaia di vittime, ma Assad resta presidente e dell’opposizione non si fida nessuno; in Turchia, il premier Erdogan sembra avere perso presa e credibilità sull'opinione pubblica.

A Sud del Sahara, la Francia scrive pagine di neo-colonialismo nella Repubblica centrafricana e prima nel Mali, con il consenso della comunità internazionale. In Iran, le elezioni portano alla presidenza Hassan Rohani e -.scrive Roberto Aliboni, su Affar Internazionali- “il pugno di Teheran diventa una stretta di mano”, con una bozza d’accordo sul nucleare tra Teheran e i ‘5-1’-. Soltanto sulla questione palestinese regna lo ‘statu quo’: nessuno di mette mano, neppure i diretti interessati.

In Europa, non c’è un leader che sia popolare in patria, a parte la cancelliera tedesca Angela Merkel, che vince al voto –ma è estremamente impopolare fuori dalla Germania-. Ma l’Europa, si sa, vive un 2013 d’attesa, perché rimescolerà tutte le carte nel 2014, anno spartiacque –parola del presidente Napolitano- tra rigore e crescita.

L’uomo dell’anno? Time punta su Francesco, il Papa che viene dalla fine del Mondo, e ci azzecca. Insieme a lui, sul podio, mettiamo Rohani e Snowden, le cui rivelazioni impediscono ai governi ed alle opinioni pubbliche di fingere d’ignorare quel che tutti sanno (e fanno): che l’era della globalizzazione è pure quella dello spionaggio globale.

E fra i milioni di persone che “ci hanno lasciato”, ne ricordiamo una, ma è esercizio facile, quasi scontato: Nelson Mandela, uno di quelli che hanno saputo rendere il Mondo un posto migliore. 

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