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sabato 31 luglio 2010

SPIGOLI: tramonti del berlosconismo o capolinea di Fini?

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 31/07/2010

“Il tramonto del berlusconismo”: così El Pais definisce, in un’analisi di Andrea Rizzi, il momento politico italiano. Mr B potrà anche vincere il confronto con Gianfranco Fini, ma “il berlusconismo è ferito a morte, per l’incapacità di produrre una leadership che diriga il Paese in modo ordinato”. Il commento accompagna un pezzo di cronaca, dove si dice che il premier “butta il governo all’aria”. La stampa internazionale attende contraccolpi sull’esecutivo che non necessariamente ci saranno, almeno subito. Il FT parla di “subbuglio politico”, perché “il partito di Berlusconi implode”. Il Times e il Telegraph vedono “la coalizione in bilico dopo la rottura” tra Mr B e Fini sfociata “in guerra aperta”. Ne parlano pure Le Monde e Le Nouvel Obs (“Rottura consumata”), El Mundo (“Berlusconi mette Fini fuori dal partito e chiede che lasci la presidenza della Camera”) ed El Economista, il WSJ (che affida un commento a Giulio Meotti, “Berlusconi non è mafioso”) e il SFC. Controcorrente, ma in modo pertinente, Abc, in un’analisi, si chiede se questa non sia, piuttosto, “la fine di Fini”.Lo shock politico fa passare in secondo piano il varo della manovra (pure presente su Les Echos, Le Figaro e Libération), mentre l’Economist, al pari di molti italiani, si chiede, sotto il titolo “Annoiati da Bruxelles”, “perché l'Italia è così al di sotto suo peso nell’Ue”: una vignetta mostra Mr B che si pettina su una panchina ignorando l'Europa.

venerdì 30 luglio 2010

Afghanistan: restarci?, perchè?, fin quando?, i dubbi

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 30/07/2010

I nostri, laggiù, cadono come mosche: gli italiani (e fanno già 29, con i due artificieri ammazzati come in una scena di The Hurt Locker), ma anche e soprattutto gli alleati dell’Isaf. E cadono, ancora più numerosi, i nemici, gli insorti, i talebani, e i civili coinvolti in questo conflitto (ieri, un colpo di mortaio dell’Isaf ha ucciso una ragazza; mercoledì, un ordigno dei taleban aveva fatto decine di vittime). Quasi nessuno parla più di ‘missione di pace’ in Afghanistan: è una ‘missione di guerra’ bell’e buona. Di questo passo, a giorni saranno 2.000 le perdite americane e alleate in questo conflitto che, invece di stemperarsi, anno dopo anno diventa più cruento.

Però, “dobbiamo restare”, dice il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. E “dobbiamo restare” scrivono gli opinionisti più autorevoli dei maggiori quotidiani. E “dobbiamo restare”, echeggia larga parte dell’opposizione parlamentare: “La missione in Afghanistan era necessaria e un ritiro non sarebbe positivo”, afferma Massimo D’Alema, alla vigilia del rientro in Italia delle salme di Gigli e De Cillis, “ma serve una riflessione seria su come portarla avanti”. In Parlamento, il ministro della difesa Ignazio La Russa conferma “il pieno impegno” dell’Italia.

Allora, non cambia nulla. Ma è giusto così? La “riflessione seria”, magari, andava già fatta quando la guerra in Afghanistan pareva vinta e venne ‘messa tra parentesi’ perché bisognava invadere l’Iraq, rovesciare Saddam Hussein, aprire un altro fronte che, con la guerra al terrorismo, non aveva nulla a che fare. Risultato: l’Iraq non sarà più una dittatura, ma non è certo una democrazia; e in Afghanistan è cresciuta la corruzione e hanno ripreso vigore i taliban, forti anche di collusioni tribali in Pakistan.

Nell’ottobre del 2001, l’attacco all’Afghanistan, dopo gli attentati dell’11 Settembre, fu avallato dalla comunità internazionale: c’era da rovesciare un regime integralista e intollerante, che offriva santuari ai terroristi di al Qaida; e c’era da smantellare l’organizzazione di Osama bin Laden e da catturarne i capi. Di questi obiettivi, solo il primo è stato centrato: l’esportazione della democrazia con i carri armati è fallita in Afghanistan come in Iraq; i capi del terrore sono in fuga, ma restano liberi, godono ancora di collusioni e di protezioni e restano capaci di colpire, o almeno di provarci.

E, allora, perché non pensare di venire via?, mica da soli, domani e di botto, come pure fecero gli spagnoli dall’Iraq –e le cose laggiù non cambiarono per nulla-, ma studiando una strategia d’uscita credibile: non lo è la promessa di iniziare il ritiro nel 2011, che è troppo vicino; e non lo è l’idea di afganizzare il conflitto nel 2014, che è troppo lontano; e non lo è, probabilmente, nessun progetto che faccia perno sulla cricca afgana ora al potere. Ma restare lì ad ammazzare e a farsi ammazzare, perché non sappiamo che fare d’altro, e perché abbiamo paura di quel che potrebbe accadere laggiù se ce ne andiamo, non è una soluzione: l’Afghanistan ‘occupato’ non è né pacifico né democratico; la Regione non è stabile e l’Iran, da una parte, e il Pakistan e l’India, dall’altra, fanno temere l’esplosione di conflitti regionali potenzialmente nucleari; e gli alleati della coalizione non sono più sicuri che nel 2001, ma hanno solo una maggiore consapevolezza della minaccia terrorista.

SPIGOLI: Carlà e Woody tengono in scacco Sarkò

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 30/07/2010

Un’italiana e un americano tengono in scacco il governo francese. Eppure, di riposo, il presidente Nicolas Sarkozy e la sua équipe hanno bisogno, dopo settimane di tensione per gli scandali e per la riforma delle pensioni. A essere appesi alla volontà di un’italiana, i francesi sono abituati dall’epoca di Caterina dei Medici, moglie di Enrico II. Ma adesso il contesto è meno regale: Carla Bruni, modella, cantante e ora attrice, oltre che ‘madame Sarkozy’, sta “rovinando le vacanze” dell’Eliseo e di tutto il governo perché Woody Allen le ha affidato una particina nel film ‘Midnight in Paris’. Fin quando Woody gira, Sarkozy resta a Parigi con ministri dai musi lunghi perché il piano ferie è saltato. A scherzarci su è il Times di Londra, che rilancia un pettegolezzo di Le Canard Enchainé, giornale satirico. Visto che lui in vacanza nella casa di famiglia della moglie, a Cap Nègre, non ci può andare, Sarko ha convocato il governo il 3 agosto, quando il premier François Fillon pensava d’essere già in Toscana, con la moglie Penny. E Fillon non è il solo a trangugiare amaro. Tutto ’sto ‘ambaradan’ per un “cammeo” della first lady nel ruolo di una bibliotecaria. Impietosamente, il Daily Mail racconta quante volte Carlà ha dovuto girare una scena facile facile: lei entra in un negozietto di alimentari e ne esce con una baguette, senza dire una parola. Se le toccherà pure parlare, il presidente dovrà cancellare, non solo rinviare, le vacanze.

giovedì 29 luglio 2010

Diplomazia: Berlusconi, feluche inquiete e punture europee

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 29/07/2010

Due giorni di dibattiti per “accendere un riflettore” sulla politica estera italiana, magari perché possa trovare meglio il proprio cammino. E’ il bilancio della 7.a conferenza degli ambasciatori d’Italia nel Mondo tratto dal segretario generale della Farnesina Giampiero Massolo. Ma quando, a tirare le somme, arriva il presidente del Consiglio Berlusconi, la luce sulla politica estera si spegne: Mr B sfoggia il consueto show contro i giornalisti che raccontano il falso ed a sostegno del suo governo che è saldo e non ha alternativa. Salvo poi dovere rintuzzare i diplomatici che denunciano il rischio di non farcela più a realizzare la propria missione.

Gli ambasciatori italiani discutono su come sopravvivere ai tagli della manovra, che restano, anzi sono legge con il voto di fiducia alla Camera, nonostante i moniti del presidente Napolitano a non mortificare la diplomazia e gli avvertimenti del ministro Frattini, e su come fare funzionare la riforma della Farnesina, che razionalizza le direzioni generali e la geografia delle sedi all’estero e punta sull’innovazione (anche tecnologica) e sul Sitema Paese.

Intanto, il ‘ministro degli esteri’ europei Catherine Aashton viene a Roma con l’obiettivo di ‘fare shopping’ delle migliori ‘feluche’ di casa nostra per immetterle nel suo Seae, il Servizio europeo d’azione esterna nuovo di zecca. La Ashton ha un colloquio con Frattini, che poi la invita a pranzo. Ed è ricevuta da Berlusconi, che, per una volta, non è galante: dice che lei è brava, anzi “molto brava”, ma non ha il carisma che al suo posto avrebbe avuto Frattini, che è “superlativo”.

L’ipotesi è che il governo italiano stia facendo pressing per indurre Lady Ashton a immettere nei posti che contano del suo servizio diplomatici italiani. Ma lei rovescia la frittata: “Spero proprio che l’Italia metta a disposizione del Seae i suoi elementi migliori”, afferma in conferenza stampa. Come dire che quelli che le sono stati proposti finora non lo sono e che, quindi, l’Italia non deve lamentarsi se altri Paesi le passano davanti.

Una gaffe della baronessa, che, prima della gag di Mr B, riceve da Frattini elogi superiori ai suoi meriti? Che Lady Ashton non sia il più acuto e il più attivo dei diplomatici europei, è certamente vero. Ma non bisogna neppure considerarla un politico senza risorse. Frattini le assicura “il pieno e totale sostegno dell’Italia nell’azione importante e coraggiosa realizzata nei primi mesi del suo mandato”. Lei abbozza, ringrazia, ricambia e mette l’accento sulla nascita del Seae: mancano le nomine, dopo che il Consiglio dei ministri degli Esteri dell’Ue, lunedì, ha dato via libera all’accordo delineatosi fra le istituzioni comunitarie.

L’obiettivo è che tutto sia pronto e in ordine per il 1.o dicembre, così che il nuovo Servizio parta proprio un anno dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona che lo prevede. Entro quella data, la Ashton deve definire l’organigramma di una trentina di delegazioni dell’Ue nel Mondo e pure del suo quartier generale: nella rosa dei candidati vi sono almeno tre italiani, tra cui una donna – oltre agli ambasciatori Gentilini e Sequi -.

Ma mentre le candidature italiane restano nel limbo, altre –britanniche, tedesche, francesi, danesi, polacche- si sono già o stanno per concretizzarsi. Così, l’ambasciatore francese a Washington, Pierre Vimont, un uomo di grande qualità, capo di gabinetto di tre premier, s’appresta a diventare –la fonte è Le Monde- il direttore generale del nuovo Servizio, mentre i suoi due vice dovrebbero essere un polacco e una tedesca. Ed è già ufficiale la nomina di un altro diplomatico francese, Patrice Bergamini, a direttore del ‘SitCen’, il ‘situation centre’, il centro di scambio di informazioni tra i servizi dei Paesi Ue.

SPIGOLI: un berretto da baseball sui pensieri del Papa

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 29/07/2010

Il berretto da baseball che Papa Benedetto XVI espone con disinvoltura alle telecamere, mentre passeggia nel parco della residenza estiva di Castel Gandolfo, colpisce la stampa britannica: il Daily Mail trova l’abbigliamento del pontefice “molto informale”, nonostante la lunga tonaca bianca; e il Times nota che il papa non sta al passo coi tempi e si mette in testa un berretto vecchio, non quello della stagione in corso. In realtà, se proprio uno vuole rimproverare a Benedetto XVI di non stare al passo con i tempi, ha argomenti migliori del berretto da baseball superato: Newsweek apre il suo sito, con un servizio, che attinge a Panorama e al Guardian, sul “segreto peggio custodito” nella Città Santa, i preti gay e le loro storie. John Hooper, in un commento, definisce il Vaticano “un’istituzione molto italiana” –del resto, sta qui, mica altrove- e denuncia la deferenza e la compiacenza della stampa italiana verso la Chiesa. Vero, ma anche la stampa estera trasforma in notizia ogni sospiro del pontefice e della Curia. Ancora il Guardian e il Times parlano del libro del papa su “Gli amici di Gesù” ( e gli rimproverano di ignorarvi le donne). E il Daily Mail critica la scelta di Alitalia per volare a settembre in Gran Bretagna (‘snobbando’ British Airways). Più seriamente, il Los Angeles Times nota che, in Italia, “la solidarietà verso gli immigrati supera la barriera della fede”.

mercoledì 28 luglio 2010

Afghanistan: dividerlo in quattro, ipotesi di exit strategy

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 28/07/2010

In Afghanistan cosi' non si vince e dall'Afghanistan non c'e' modo di uscire. Robert Blackwill, ex ambasciatore degli Usa in India, ha un'dea: eliminare il problema smembrando il Paese in tre o quattro parti: il sud e l'est dove i pashtun ‘pro taliban’ sono maggioranza con il Pakistan, a creare una sorta di Pashtunistan; l'ovest con l'Iran; e il nord a sé, salvo farne confluire le etnie kirghisa e uzbeka nei Paesi di riferimento dell'ex Urss confinanti.

Così illustrata, l'idea di Blackwill, oggi analista molto ascoltato, è quasi una provocazione: lui pensa ad aree d’influenza più che as annessioni. Ma d'uno shock c'e' bisogno, dopo che la valanga di documenti rovesciata sull'opinione pubblica mondiale da Wikileaks ha messo a nudo una realtà già nota agli specialisti: che la guerra è un fiasco.

Con crudezza anche superiore allo scoop di Wikileaks, cronaca e numeri lo confermano. Un soldato britannico è divenuto, ieri, il caduto 400 della forza internazionale dall'inizio dell'anno: ucciso, uno in più, da fuoco amico. Il 2010 s’avvia a diventare l’anno più cruento dall’inizio del conflitto, ancor peggio del 2009. E la popolazione civile è fra due fuochi: lunedì, la conferma di una strage di Nato (52 vittime); ieri, una strage di taliban, sei civili uccisi e uno rapito.

Il Pentagono apre un’inchiesta penale sulla fuga dei documenti finiti su Wikileaks, dopo averne subito definito la pubblicazione “un atto criminale”. Ma i rapporti ora accessibili al pubblico fanno discutere: in Italia, i senatori del Pd delle commissioni Esteri e Difesa chiedono d’aprire un’indagine “sulle condizioni di svolgimento e sulle prospettive della missione in Afghanistan”. Emergency, invece, preferisce tacere: nel materiale su Wikileaks c’è un riferimento al rapimento e alla liberazione, di cui si occupò l’Ong, dell’inviato de la Repubblica Daniele Mastrogiacomo. Gino Strada e i suoi collaboratori stanno ancora provando a riaprire l’ospedale di Lashkar-gah, chiuso da oltre tre mesi dopo l’arresto di membri dello staff italiani, poi rilasciati perché innocenti.

Il generale Usa David Petraeus, che ha assunto il comando in Afghanistan in un momento insidioso, rinvia l’inizio dell’offensiva di Kandahar, che pareva imminente, anche per evitare un incremento delle perdite. Così i progressi per espandere lo spazio a sud sotto controllo dell’Isaf restano lenti. E ciò alimenta i dubbi sulla sostenibilità della missione. Secondo analisti americani, è chiaramente prematuro rinunciare alla strategia contro gli insorti che Petraeus ha ereditato dal suo predecessore, Stanley McChrystal, che aveva rafforzato l’apparato militare degli Stati Uniti in Afghanistan e che è poi stato dimesso a fine giugno per eccesso di critiche nei confronti dell’Amministrazione Obama.

Del resto, il ‘surge’ afghano, cioè l’invio di rinforzi, sarà completato solo alla fine di agosto. E, quindi, dicono gli esperti, bisogna dare il tempo alla strategia di ottenere risultati. Ma è diffusa l’impressione che i progressi che potranno essere fatti, se pure lo saranno, si riveleranno illusori. Blackwill propone che la coalizione passi da un ruolo di contro-insurrezione a un ruolo di anti-terrorismo, con una connotazione geo-politica. La Nato si ritirerebbe dal sud e si consoliderebbe nel nord più pacifico e ‘amico’. E l’obiettivo di ‘costruzione di uno Stato’ si ridurrebbe al contenimento della minaccia terroristica. Il che richiederebbe meno truppe, forse appena 40 mila.

Ne deriverebbe, però, una partizione de facto dell’Afghanistan in tre o quattro aree: le ferite afghane sarebbero in certo modo cauterizzate; la Nato eviterebbe l’umiliazione d’un ritiro puro e semplice; e la coalizione manterrebbe la capacità d’intervenire se i terroristi ricreassero basi in Afghanistan.

Questi i pro. Ma ci sono pure i contro. La nascita di un Pashtunistan indipendente destabilizzerebbe ulteriormente le relazioni già pessime tra India e Pakistan. E c'è pure da chiedersi se l'Occidente possa sottrarre l'Afghanistan al caos senza controllare l'intero Paese: lasciarne gran parte al nemico, trincerandosi nei 'santuari' al nord e aumentando la friabilità della Regione, potrebbe rivelarsi una scelta letale.

SPIGOLI: Debora e Romina stelle dal Tevere all'Atlantico

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 28/07/2010

Altro che storie ‘di Tevere’. D’Atlantico, sono diventate. Sulle onde della rete, Debora e Romina varcano l’Oceano e, portate da un dispaccio della Reuters, approdano al Washington Post ed ai siti americani, che ai coatti di casa loro sono assuefatti. Le due teenagers “che parlano lo slang” diventano un ‘prodotto d’esportazione’ dell’estate italiana, ora che il loro video sta su YouTube. Non che ci sia da esserne particolarmente orgogliosi, soprattutto visto come le presenta la Reuters: “Due borgatare sono le ultime eroine dei media italiani per il loro racconto d’una giornata al mare pieno di termini gergali, al punto da richiedere i sottotitoli”. E giù commenti di sociologi e uomini di tv, spettacolo, cultura. Beh, ma “nun c’avemo proprio gnente de mejo da vende de ‘ste due”? Tranquilli, ragazzi: gli scandali di casa nostra vanno sempre forte. Così, Times di Londra e Daily Mail vanno sull’ ‘usato sicuro’: Mr B offre sia l’ampliamento con legge ad hoc della villa sarda che la gag della foto con Medvedev davanti all’Ultima Cena. Ci salva la stampa spagnola, che punta su Sara Carbonero nuova ‘stella’ del firmamento giornalistico di Mediaset. Sara è la bella cronista baciata in diretta dal fidanzato neo-campione del mondo, il portiere delle Furie Rosse Casillas. Forse a lei Debora e Romina invidiano il contratto e il moroso.

martedì 27 luglio 2010

Afghanistan: i segreti del fiasco della guerra finiscono online

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 27/07/2010

Ci sono documenti segreti, che, quando vengono resi pubblici, confermano solo quello che già tutti sanno. E l'ultimo scoop di Wikileaks, il sito di Julian Assange che dal 2006 s’impegna a diffondere materiale riservato, prova che il conflitto in Afghanistan va male e che la guerra contro il terrorismo - la più lunga mai combattuta dagli Stati Uniti ed anche la più costosa mai combattuta in assoluta - e' densa di errori ed e' un fiasco.

Nulla di nuovo, penserà che segue le cronache del conflitto. Ma un conto è che lo dicano analisti e commentatori. E un conto è vederlo nero su bianco sui rapporti ‘top secret’ destinati a quanti, tra Casa Bianca e Pentagono, decidono strategie e tattiche. L’effetto dello scoop e' devastante: 92mila documenti militari Usa che, dal 2004 al 2009, descrivono stragi di civili, morti per fuoco amico e pure il doppiogioco dei servizi segreti pachistani a sostegno dell'insurrezione talebana, che riceve pure aiuti dall’Iran.

Però, come spesso accade, la cronaca si rivela più devastante dei documenti, su carta o su web che siano. Così, mentre i governi coinvolti cercano di schivare il ‘colpo’ di Assange, diventa ufficiale che un razzo della Nato, la scorsa settimana, ha colpito un'abitazione nel villaggio di Rigi, distretto di Salgin provincia di Helmand, uccidendo 52 civili "fra cui donne e bambini". I contorni dell'episodio restano incerti, ma l'accusa è ufficiale: viene dal governo afghano, che è stato informato dei risultati dell’inchiesta sulla strage. Kabul condanna l'episodio nei termini più duri; e la notizia va ben oltre il dibattito di chiacchiere suscitato dalla valanga di documenti su Wikileaks.

Assange, un australiano di 39 anni, un hacker e un attivista per i diritti umani, difende il suo scoop, condiviso con New York Times, The Guardian e Der Spiegel, in una sorta di “nuova alleanza” tra stampa tradizionale e new media, come un esempio di "buon giornalismo": le rivelazioni mettono a nudo lo squallore della guerra senza mettere a repentaglio le truppe al fronte. Ma la Casa Bianca e il Pentagono non la pensano così: i portavoce del presidente Obama dicono che la pubblicazione “può fare danni” e difendono l’operato del Pakistan; i militari parlano di “atto criminale” che può compromettere la sicurezza dei soldati e degli agenti in prima linea e persino la sicurezza nazionale.

In Europa, i Paesi chiamati in causa sono più cauti. Londra nega pericoli per i soldati sul campo, Parigi e Berlino si riservano di esaminare la massa di materiale. Per l’Italia, il ministro degli esteri Franco Frattini giudica “molto preoccupanti” le informazioni filtrate, aggiungendo, però, che servono verifiche per accertarne l’affidabilità. Nessuna conferma che fonti Usa a Roma definiscano “insopportabile” l’atteggiamento di una Ong italiana, che potrebbe essere Emergency, come si deduce da dichiarazioni di Assange riferite dal Tg3.

Il presidente afghano Hamid Karzai afferma che nei documenti "non c'e' nulla di nuovo", ma sottolinea gli episodi di fuoco amico e il ruolo da mestatore dell'Isi, l'intelligence pachistana. Invece, il governo di Islamabad parla di materiale "equivoco e fuorviante".

Che la guerra vada male militari e politici lo sapevano, prima dei documenti su Wikileaks, la cui fonte potrebbe essere un soldato analista di 22 anni, Bradley Manning. Il capo di Stato Maggiore statunitense, ammiraglio Michael Mullen, ammonisce le truppe che "il conflitto e' a un momento cruciale" e ammette che otto anni sono andati sprecati. E il senatore John Kerry, presidente della Commissione Esteri, chiede di "ricalibrare" l'intervento.

I soldati al fronte subiscono i contraccolpi dell’incertezza: fra di loro, i suicidi sono sempre più numerosi. A giugno, 21 soldati Usa impegnati in Iraq e in Afghanistan si sono uccisi. E domenica un militare italiano appena tornato a Kabul da una licenza s’è tolto la vita: è la 26.a perdita della missione.

Farnesina: sciopero contro tagli e declino politica estera Italia

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 27/07/2010

Roma, h. 12.00. Al cellulare, la voce del diplomatico è trafelata: “Sto uscendo dalla Farnesina ora: qui non c’è nessuno”. Ministro, ma che ci fa lì?, non c’è sciopero? “Infatti, sono venuto per un’incombenza personale. Io non lavoro oggi, nessuno qui lavora oggi”. Il ‘lunedì particolare’ della diplomazia italiana “a rischio sopravvivenza” –parole del segretario generale Giampiero Massolo- è così ovunque, a Roma e all’estero.

Non è la prima volta che le ‘feluche’ scioperano. Era già accaduto quand’era segretario generale Umberto Vattani, autore d’una riforma della Farnesina che viene adesso superata. Allora, le rivendicazioni erano soprattutto economiche, mentre stavolta in gioco è la funzionalità stessa della diplomazia italiana.

L’adesione alla protesta di personale diplomatico e dirigenti amministrativi è stata massiccia. Al Ministero, in ufficio c’era Massolo, che doveva garantire continuità al servizio, e i funzionari dell’unità di crisi –quella che opera nelle emergenze e quando c’è di mezzo la vita di un italiano all’estero- e dell’ufficio politico, che sono considerati gli “organi essenziali”.

Nelle sedi all’estero, pochissimi i presenti. A Bruxelles, dove era in programma una riunione del Consiglio degli Esteri dei 27, il ministro Franco Frattini era assistito solo dal direttore degli affari politici Sandro de Bernardin e dal rappresentante dell’Italia presso l’Ue Ferdinando Nelli Feroci.

Lo sciopero, del resto, non è contro il ministro; e il ministro non è contro l’agitazione, strategicamente indetta prima della conclusione della discussione sulla manovra in Parlamento e in vista della 7.a Conferenza degli Ambasciatori d’Italia all’estero, che si svolge alla Farnesina oggi e domani.

I comunicati sindacali e il il portavoce della Farnesina Maurizio Massari usano linguaggi analoghi per spiegare che la protesta è “a difesa della carriera e della funzionalità del ministero nell’attuale congiuntura”. Frattini ha lasciato “piena libertà ai suoi collaboratori”, se aderire o meno; e i diplomatici ricambiano apprezzando “l’impegno” del ministro a loro difesa.

Contro i tagli, la diplomazia cerca alleanze istituzionali di alto livello. Venerdì, Massolo è stato ricevuto al Quirinale dal presidente Napolitano: un’occasione per illustrare al capo dello Stato la riforma del Ministero ed anche la Conferenza degli Ambasciatori, che Napoletano deve aprire, ma pure per sensibilizzarlo all’iniziativa in atto.

La Conferenza serve, fra l’altro, a presentare la riforma della Farnesina agli ambasciatori, alle istituzioni, alle imprese e all’opinione pubblica; vuole sensibilizzare i diplomatici a un ‘mestiere’ ormai più orientato a ‘fare affari’ che a ‘tessere intese’; mira a convincere fli interlocutori che l’investimento in una ‘nuova diplomazia’ è nell’interesse del Paese; e intende infine lanciare un segnale d’allarme su tagli e risparmi perché –parole di Massolo- “siamo al limite” e, oltre il limite, “si muore”.

La riforma, che, fra l’altro, riduce e riorganizza le direzioni generali, sarà pienamente operativa con l’anno prossimo, Ma il Consiglio dei Ministri ha già provveduto alle nomine, installando alle direzioni generali figure di prestigio come, fra l’altro, de Bernardin e gli ambasciatori Bova (Unione europea), Melani (promozione Sistema Paese), Verderame (Risorse e Innovazione), oltre al dottor Civitelli (amministrazione, informatica, comunicazioni).

L’agitazione diplomatica italiana coincideva col varo a Bruxelles del nuovo Servizio europeo di azione esterna (Seae), un ‘ministero degli esteri’ europeo affidato a Lady Ashton. I ministri degli esteri dei 27 dovevano vagliare e varare l’accordo raggiunto sul Seae con il Parlamento europeo. A loro, la Ashton ha anticipato le scelte per trenta posizioni di capi delegazioni Ue nel Mondo. Tre i candidati italiani, Fernando Gentilini, ex rappresentante civile Nato in Afghanistan, ed Ettore Sequi, ex inviato speciale Ue a Kabul, oltre a una donna.

La nascita del Seae è motivo di fermento in molte cancellerie europee, che condividono con la Farnesina preoccupazioni per la scarsità di risorse in tempi di austerità. I dati non sono, però, omogenei: sul Pil dell’Italia, il Ministero degli Esteri incide per lo 0,11%, contro lo 0,17% britannico e gli 0,14% francese e tedesco. La Spagna spende solo lo 0,07% e gli Stati Uniti lo 0,10%.

SPIGOLI: un basta ad affari sporchi e complicità

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 27/07/2010

“L’Italia sana deve dire basta”: lo afferma Milena Gabanelli a El Pais, il prestigioso quotidiano spagnolo che, fra i grandi giornali europei, è il più attivo contro la Legge Bavaglio. Intervistata da Sergio Mora, la Gabanelli, che ha reso Report una delle trasmissioni tv più temute dal potere, viene presentata come “la giornalista più querelata d’Italia”, anche se finora non ha perso una causa. Dire basta a cosa? “gli affari sporchi e alla tolleranza verso i ladri, gli evasori, i delinquenti”, anche se “l’opposizione è inesistente e la gente si fa sentire poco”. L’intervista vien dopo l’analisi, sempre su El Pais, del fenomeno P3: “Logge, giudici e poker via internet, la trama Italia di Propaganda 3 svela le manovre d’un potere parallelo”. La “politica degli scandali” attira pure Le Figaro, dopo l’Economist (“Fuori dall'ombra: il ritorno dello scandalo della società segreta nella vita pubblica italiana”). Allargando i confini, FT vede in difficoltà “i leader di centrodestra europei”, con Sarkozy e la Merkel, per motivi diversi, a fare compagnia a Mr B, mentre Les Echos studia il finanziamento dei partiti politici in vari Paesi (“In Italia, il ricordo di Tangentopoli è ancora vivo”) ed Expansion denuncia “molto egoismo e poca meritocrazia” in Italia, Spagna e Germania.

domenica 25 luglio 2010

SPIGOLI: ordine al Papa dai bus di Londra, donne preti subito

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 25/07/2010

“Papa Benedetto, ordina subito donne preti”: è questo l’invito, anzi l’imperativo, che Papa Benedetto XVI troverà scritto su dieci bus di Londra, di quelli rossi a due piani, in servizio tra la Cattedrale di Westminster e la sede del Parlamento, quando a settembre andrà in visita in Inghilterra. L’iniziativa è di un gruppo progressista cattolico dal nome esplicito (‘Catholic Women’s Ordination’, Cwo), che ha pagato 10 mila sterline: i posters resteranno sulle fiancate dei bus dal 30 agosto per un mese. Della ‘provocazione’, dà notizia il settimanale cattolico Tablet, ripreso dal Guardian. Il Papa inizierà la sua visita il 16 settembre e resterà a Londra due giorni, recandosi, tra l’altro, alla Cattedrale e al Parlamento. La settimana scorsa, il Vaticano aveva ribadito in termini duri il proprio no all’ordinazione di donne preti, definendo tal gesto fra i crimini peggiori per la legge ecclesiastica. Il no, e il fatto che la questione sia stata trattata insieme alla pedofilia, hanno avuto larga eco negativa in Gran Bretagna: le donazioni al Cwo si sono impennate, consentendo l’affitto delle fiancate dei bus, scena, da circa un anno, di una guerra di controversi slogan atei e religiosi.

sabato 24 luglio 2010

SPIGOLI: Fiat fa parlare all'estero, ma imbavaglia Farnesina

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 24/10/2010, non pubblicato

La Fiat che “si avvicina al matrimonio con la Chrysler” (FT) e che delocalizza in Serbia –notizie d’agenzia, un po’ ovunque- polarizza l’attenzione dei media internazionali. Il NYT le dedica un reportage da Pomigliano d’Arco, sotto il titolo “La Fiat preme sull’etica del lavoro” nell’impianto destinato a diventare “un test case”. Il tono è positivo: l’ad Sergio Marchionne “va avanti”, il titolo in borsa “è trainato da sorprendenti risultati”; l’azienda rifiorisce “un po’” (WSJ) e “torna all’utile prima dello scorporo” (Bbc); e ancora NouvelObs (“l’utile raddoppia”) e Les Echos (“Fiat esce dal rosso e alzerà gli obiettivi in autunno”). Allaa stampa economica e di qualità il Lingotto piace (vedi La Tribune, Expansion, El Economista, la Bloomberg), mentre la stampa nord-americana annuncia l’intenzione di Chrysler di creare 200 punti vendita Fiat negli Usa. L’esodo verso la Serbia fa discutere, invece, in Italia. E mette la sordina al ministero degli Esteri: giovedì, la Farnesina s’è ben guardata dal commentare la sentenza della Corte dell’Onu dell’Aja sulla legittimità della dichiarazione d’indipendenza del Kosovo dalla Serbia. L’Italia ha ha già riconosciuto il Kosovo e poteva, dunque, felicitarsi del verdetto, ma s’è astenuta (evitando così il rischio che Belgrado s’inquietasse in un momento delicato).

venerdì 23 luglio 2010

Kosovo: Corte Onu, indipendenza non illegittima, reazioni

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 23/07/2010

Il verdetto era, forse, inevitabile, perché una sentenza diversa avrebbe indotto a riaprire una pagina di sangue e di odio, in quei Balcani dove vent’anni di conflitti etnici e quasi altrettanti d’intervento militare internazionale non sono bastati a rendere sicure la pace, la convivenza, la tolleranza. Ieri, la Corte di giustizia internazionale dell’Aja ha affermato che la secessione unilaterale del Kosovo dalla Serbia e la proclamazione d’indipendenza “non violano il diritto internazionale”, perché né la legge internazionale nè la risoluzione 1244 delle Nazioni Unite “proibiscono l’indipendenza”.

Il parere consultivo, letto dal presidente della Corte Hisashi Owada, è il 25.o reso dal principale organo giudiziario delle Nazioni Unite, creato nel 1946: i pareri consultivi, formulati su richiesta dell’Onu, non hanno carattere vincolante, ma sono, in generale, ascoltati, con qualche eccezione. Il parere del 2004 che giudicava illegali parti del muro costruito da Israele nei Territori e ne disponeva la distruzione non ha mai avuto seguito.

Secondo i giudici dell’Aja, la risoluzione 1244 e la dichiarazione d’indipendenza “operano su livelli diversi”. Con la risoluzione del 10 giugno 1999, la comunità internazionale aveva posto il Kosovo sotto l’amministrazione provvisoria delle Nazioni Unite, dopo che l’intervento militare della Nato, con 78 giorni di bombardamenti delle posizioni serbe, aveva messo un termine a due anni di vera e propria guerra (13mila vittime accertate, in gran parte kosovari albanesi, e quasi duemila dispersi). La dichiarazione d’indipendenza, invece, “è un tentativo di determinare lo statuto del Kosovo”, che conta ora circa due milioni di abitanti, al 90% albanesi.

Le deliberazioni della magistratura dell’Onu suggellano e avallano, in qualche modo, il processo d’autodeterminazione che ha portato all’attuale assetto della ex Jugoslavia: un processo in cui – senza volere minimizzare le atrocità serbe - le aspirazioni all’autodeterminazione di sloveni e croati, di bosniaci e kosovari sono state ascoltate, mentre quelle delle enclaves serbe non lo sono mai state. Ora, un effetto del verdetto potrebbe invece essere una maggiore autonomia per i kosovari serbi

La sentenza dell’Aja può avere un impatto sui movimenti separatisti in tutto il Mondo –catalani e baschi, corsi, turco-ciprioti, ma anche ceceni e altri caucasici-, può indurre un maggior numero di Paesi a riconoscere il Kosovo indipendente e può smuovere i negoziati per l’adesione della Serbia all’Ue e per l’ingresso del Kosovo nell’Onu. Attualmente, solo 69 Stati riconoscono il Kosovo: cinque dei 27 dell’Ue non lo hanno ancora fatto, Spagna, Grecia, Cipro, Romania, Slovacchia, non a caso tutti Paesi che hanno al proprio interno forti movimenti nazionalistici separatisti. E la prima reazione degli Stati Uniti al verdetto della Corte è stata proprio la richiesta ai Paesi europei di adeguarsi alla valutazione dei giudici.

Ovviamente, il verdetto era atteso soprattutto a Belgrado e a Pristina. Subito dopo la sentenza, lo schieramento delle forze dell’ordine è stato rafforzato a Kosovska Mitrovica, nel timore di manifestazioni opposte delle due comunità che occupano la località, i serbi a nord, gli albanesi a sud. Le prime cronache riferiscono di un clima di tensione, senza incidenti: la missione Kfor, a guida Nato, prosegue, del resto, immutata, sotto il segno della sicurezza.

L’indipendenza del Kosovo, proclamata il 17 febbraio 2008, fu l’epilogo di quasi vent’anni di rinnovate pulsioni all’indipendenza dei kosovari albanesi, alimentate dal processo di disgregazione della Federazione jugoslava avviatosi insieme al crollo dei regimi comunisti dell’Europa orientale e allo sfaldamento dell’Urss. L’8 ottobre 2008, Belgrado aveva poi ottenuto che l’Assemblea generale dell’Onu si rivolgesse alla Corte. Nel dicembre 2009, Serbia, Kosovo e 29 Stati, fra cui gli Usa, grandi avvocati dell’indipendenza kosovara, e la Russia, grande sostenitrice delle tesi serbe, avevano partecipato a una procedura orale all’Aja. Non a caso, la sentenza coincide con la visita a Washington del premier kosovaro Hashim Thaçi, che ha incontrato il vice-presidente Joe Biden: un’occasione per ribadire il pieno sostegno degli Stati Uniti al Kosovo indipendente. Mosca, invece, afferma che il verdetto non è “una base legale per l’indipendenza del Kosovo”.

Le prime reazioni di Pristina e di Belgrado non sono concilianti: il ministro degli esteri kosovaro Skender Hyseni invita la Serbia a trattare d’ora in poi il Kosovo come “uno Stato sovrano”, rinunciando a sostenere che l’indipendenza sia “una palese violazione” della sua sovranità. Ma il presidente e il ministro degli esteri serbi, Boris Tadic e Vuk Jeremic, escludono che Belgrado possa mai riconoscere l’indipendenza del Kosovo. “I giochi non sono chiusi”: “La parola passa all’Assemblea generale dell’Onu”. E il patriarco serbo ortodosso Irinej invita il popolo serbo “alla calma e alla saggezza”, ma anche a “difendere unito la propria terra santa”.

SPIGOLI: Ws-Roma, il ritorno al passato della principessa

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 23/07/2010

Dai palazzi di Roma, la principessa balza, anzi torna, agli onori della cronaca in America. E mica sulla stampa di serie B: niente tabloid da gossip, direttamente NYT e WP. Il giornale di New York ha condotto i suoi lettori a visitare Villa Aurora, la dimora nel cuore di Roma dei principi Boncompagni Ludovisi: “Con un cenno della mano ben curata, la principessa Rita –scriveva ammaliato il cronista- guida 20 paia di occhi verso il soffitto del salone…”. E poi rivelava che la principessa è un’americana già nota come Rita Jenrette, sposatasi solo lo scorso anno con il principe Nicolò. Quasi colpito da una folgorazione, il Washington Post si affretta ora a evocarne la figura: Rita, oggi 60 anni, “è la giovane bionda che un tempo era moglie di John Jenrette, un deputato democratico condannato a 13 mesi di prigione per avere intascato bustarelle nel 1980”. Rita posò poi due volte per Playboy, cui rivelò di avere fatto sesso coi marito sui gradini del Campidoglio, durante la pausa d’una sessione notturna della Camera. Dopo, fu attrice, giornalista, agente immobiliare: proprio questo lavoro fu galeotto tra lei e il principe. Di lei, Washington conserva un ricordo concreto: la compagnia teatrale che prende in giro la politica e i politici, creata nel 1981, si chiama tuttora Capitol Steps, i gradini del Campidoglio, proprio in omaggio alla sua performance.

giovedì 22 luglio 2010

MO: arabo si finge ebreo e seduce israeliana, è stupro

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 22/07/2010

Nella Sarajevo dei giorni dell’odio tra serbi e musulmani, Bosko, serbo, e Admira, musulmana, pagarono con la vita, sul Ponte dei Salici, il Vrbanja, la loro storia d’amore alla Romeo e Giulietta, l’ennesima tragedia dell’eterno contrasto tra l’umanità e l’intolleranza. Sabbar Kachour, palestinese, se l’è cavata più a buon mercato e, forse, non era neppure un Romeo, ma solo uno ‘sciupafemmine’ mediterraneo; né quella tra lui e la sua morosa d’una breve stagione era una storia d’amore vera, ché, altrimenti, sarebbe sopravvissuta a pregiudizi e integralismi.

Però la condanna inferta al giovane palestinese di Gerusalemme Est, colpevole di essersi fatto passare per ebreo, pur di ottenere i favori della giovane ebrea concupita, la cui identità e la cui età non vengono rivelate, è l’ennesima testimonianza di come la diffidenza e l’ostilità siano profonde nel Medio Oriente. Difficile credere che, se Sabbar fosse stato un ebreo, ugualmente bugiardo, e la donna una palestinese, la sentenza sarebbe stata la stessa.

Sabbar è stato condannato per stupro a 18 mesi di reclusione e ad altri 30 con la condizionale, oltre che a rifondere i danni, anche se la sua partner era pienamente consenziente ai rapporti sessuali. L’uomo, 30 anni, ha ammesso di avere mentito sulla sua identità nel settembre 2008, quando incontrò la ragazza: si dichiarò ebreo e celibe, in cerca di un legame serio, mentre è arabo e sposato e gli interessava solo fare sesso.

Quando scoprì la verità, la sua partner lo denunciò per stupro. I giudici di Gerusalemme ammettono che questo non è “un caso di stupro classico con il ricorso alla violenza”, bensì con il ricorso “all’inganno”: la durezza della pena deriva dalla certezza della Corte che la ragazza non avrebbe mai acconsentito al sesso se avesse saputo che il suo partner non era ebreo.

La legge israeliana non è un’anomalia assoluta. Anche altrove, ad esempio negli Usa, l’uso di una falsa identità per ottenere rapporti sessuali può condurre a una condanna per stupro. Tzvi Segal, uno dei giudici che ha seguito il caso, spiega al Guardian: “Siamo tenuti a proteggere i cittadini dai criminali che ingannano le loro vittime, corrompendone corpo e anima. La Corte deve scherarsi dalla parte degli innocenti. Dobbiamo salvaguardarli ed evitare che siano manipolati e ingannati”.

PENSIERI: Alemanno, i lauri frondosi e i tag corrosivi

Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano il 21/07/2010

Chi l’avrebbe mai detto che un post da domenica di luglio (canicolare, per di più) sui lauri non potati al Colle Oppio –e non dimentichiamoci gli oleandri- diventava l’occasione per un dibattito pro e contro il sindaco Alemanno e se era meglio o peggio chi c’era prima. A mio avviso, ci sono scelte politiche e ci sono questioni di buona amministrazione spicciola: la Formula 1 a Roma mi pare una scelta politica, a mio giudizio inutile e sbagliata (ma io la Formula 1 quasi quasi non la farei correre neppure a Monza, figuratevi all’Eur); la potatura degli alberi è una questione di buona –se viene fatta- amministrazione spicciola, perché gli alberi, a non essere potati, soffrono e magari muoiono, e fanno più resistenza al vento e allora, quando c’è una tempesta, si spezza un ramo, o viene giù un tronco, e diventano un pericolo per la gente –e, per di più, di tanto in tanto, possono anche servire da ‘ascensore’ per i marioli.

E allora, sulla Formula 1 e sulle scelte equivalenti, facciamo un dibattito sulla visione, sull’uso e sulla preservazione della città; sulla potatura degli alberi, così come sul cosiddetto ‘decoro urbano’, facciamo considerazioni di gestione corrente. GiorgioT mi suggerisce di fare ‘un giretto per il parco di Colle Oppio’. Non m’è difficile accontentarlo: lo faccio in pratica ogni giorno, abitando proprio in quel rione –ma se Antonio, il direttore, vuole vado pure a fare un giro negli altri quartieri, uno alla volta-. La sporcizia del parco e dei marciapiedi; lo stato di abbandono presso che perenne d’aree di potenziale richiamo come le Sette Sale e il degrado di strutture da poco risistemate come l’Auditorium di Mecenate -la sera bisogna girarne alla larga, tant’è il tanfo che emana-; la presenza ovunque di scritte sui muri sono purtroppo elementi quasi costanti della mia ormai ventennale frequentazione della zona.

Ci sono state momenti di miglioramento subito seguiti da fasi di riflusso, la cui responsabilità, però, è più dei cittadini che dell’amministrazione, perché pulire può essere compito del Comune, ma tenere pulito è compito di ciascuno di noi. Il che non impedisce l’irritazione, o lo smarrimento, davanti a scelte dell’Amministrazione discutibili o di parte: di scritte sui muri ve ne sono a bizzeffe, di ogni segno e di ogni colore, personali e politiche, di destra –tante- e di sinistra, garbate –poche- e volgari, ma l’unica volta che ho visto sbarcare in tutta fretta una squadra di pulitori comunali è stato quando un cittadino ha segnalato un tag lesivo dell’onore del presidente del Consiglio. Quello è sparito, gli altri sono rimasti e sono ancora lì…

SPIGOLI: auto blu, il fascino perverso degli sprechi italiani

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 22/07/2010

Gli sprechi d’Italia affascinano il Financial Times, che colloca sul sito con foto le 90 mila ‘auto blu’ -molte a loro volta aggravate di scorta- della flotta da vip pubblici nostrani,: costi su costi, spesso ‘gratuiti’. Il giornale narra l’ennesima crociata annunciata del ministro Brunetta: le ‘luxury limos’, come le chiama Guy Dinmore, fanno ribollire agli italiani un sangue già caldissimo di questi tempi, quando Mr B e il suo governo invitano all’austerità e chiedono sacrifici. E siccome un’ ‘auto blu’ in meno non fa primavera, l’ ‘operazione trasparenza’ di Brunetta, che almeno dà le cifre, non frema la caduta “della popolarità del premier ai suoi livelli più bassi” (notizia Bloomberg su San Francisco Chronicle), lasciando spazio all’emergere nell’opposizione di candidature alternative, come quella del governatore della Puglia Nichi Vendola. Alta è l’attenzione sulla Legge Bavaglio: le modifiche sono unanimemente considerate un ‘ammorbidimento’ del contestatissimo testo e una conferma delle difficoltà di Berlusconi (El Pais, NouvelObs, il Guardian e vari altri). Ci si mette pure l’Ue, contro Mr B: FT, WSJ, Bloomberg, la grande stampa economica nota il via libera all’ingresso di Sky Italia sul mercato della tv digitale. Un colpo che Mediaset accusa annunciando ricorso.

mercoledì 21 luglio 2010

Afghanistan: non vinco la guerra, mi compro il talebano

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 21/07/2010

E due. La settimana scorsa, un soldato afgano aveva ucciso tre commilitoni britannici. Ieri, un altro soldato afghano ha ucciso, durante un’esercitazione di tiro, nel Nord del Paese, due civili Usa e un suo compagno d’armi, prima di essere a sua volta abbattuto. E’ accaduto a Camp Shaheen, vicino a Mazar-i-Sharif, dove nell’autunno 2001 ci fu il primo caduto americano in territorio afgano. E’ l’ennesima testimonianza della capacità dei talebani di infiltrare le forze di sicurezza afghane, proprio mentre a Kabul un’ennesima conferenza internazionale dà via libera alla cosiddetta strategia del ‘compra il talebano’: dove le armi non arrivano, e tanto meno la politica, forse avranno successo le lusinghe del potere e del denaro.

Corrompi il nemico, che non riesci a sconfiggere. Nell’imminenza della conferenza, il Guardian scriveva che Washington è ora disposta a negoziare con elementi di spicco dei talebani mediante intermediari, accettando la linea della trattativa portata avanti dal presidente afgano Hamid Karzai e dai governi britannico e pakistano. A Washington s’è capito che “una soluzione militare non esiste” e che bisogna “provare qualcos’altro”.

Le conclusioni della riunione di Kabul avallano le anticipazioni: passa, con qualche distinguo, il programma di pace e di reintegrazione del governo afghano, aperto a tutti gli insorti che rinuncino alla violenza, non abbiano legami coi terroristi e accettino l’obiettivo di “un Afghanistan pacifico”. I negoziati saranno segreti e potrebbero coinvolgere anche l’Arabia Saudita e organizzazioni indirettamente collegate ai talebani: “saranno complicati e potrebbero volerci anni”, avvertono fonti diplomatiche Usa.

Del resto, di anni in armi ne sono passati quasi nove: la fine appare lontana, la vittoria una chimera. E il pallottoliere del conflitto snocciola cifre più dure che mai: il 2010 è finora l’anno più cruento per i soldati stranieri in Afghanistan –ieri, due uomini delle forze internazionali sono stati uccisi nel sud del Paese da ordigni artigianali-; e a tutto giugno i talebani avevano fatto almeno 1.360 vittime civili –fonti Isaf-, il 12% in più dello scorso anno, il peggiore.

La nuova linea è l’ ‘afganizzazione’ del conflitto: entro il 2014, la gestione della sicurezza dovrebbe passare dall’Isaf al governo e alle forze militari e di polizia locali. Ma la Nato non avrà così esaurito la sua missione: resterà come forza di sostegno. Come è già avvenuto in Iraq, dove gli americani hanno da tempo affidato agli iracheni la gestione della sicurezza del Paese e stanno per completare, o quasi, il ritiro. Tutti d’accordo, ieri, a Kabul, nel precisare che il passaggio di consegne non potrà avvenire guardando al calendario, per rispettare scadenze sulla carta, ma solo in base all’evolvere della situazione sul terreno.

La conferenza internazionale, presenti una settantina di delegazioni –per gli Usa, c’era il segretario di Stato Hillary Clinton, per l’Italia il ministro degli esteri Franco Frattini-, s’è svolta in una città dove, nonostante le misure di sicurezza draconiane, vi sono stati incidenti e feriti. Il ritiro delle truppe statunitensi comincerà nel luglio 2011, conferma la Clinton, ma sarà “l’inizio di una nuova fase” dell’impegno americano in Afghanistan (e non della fine di esso).

Non è stata, come altre volte, una sorta di gara di beneficienza a chi offre di più per la ricostruzione. Ma, in contemporanea, a Washington, l’Fmi apriva la strada a un prestito da 125 milioni di dollari al governo afgano. Briciole: dati dell’Oxfam indicano che, ad oggi, la comunità internazionale ha speso 40 miliardi di dollari per lo sviluppo dell’Afghanistan (meno dei 50 miliardi di dollari spesi l’anno scorso solo dagli Stati Uniti per fare la guerra).

A conferenza conclusa, Frattini s’è detto soddisfatto. E oggi la Camera a Roma voterà il decreto che rifinanzia le missioni militari internazionali italiane: oltre all’Afghanistan, Libano, Kosovo, Haiti ed altre. Sono 364 milioni di euro, 55 milioni in più che nel primo semestre, proprio per l’aumento dell’impegno in Afghanistan, dove ora l’Italia ha 3790 uomini, 777 mezzi terrestri e 32 aeromobili.

SPIGOLI: Mr B canta sul Duomo, il governo si sbriciola

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 21/07/2010

‘O mia bela Madunina’ non è famosa nel mondo come ‘O sole mio’ o ‘Arrivederci Roma’ e ben che vada se la batte con ‘Ma se ghe pensu’ e ‘Piemontesina bella’. Ma quando la canta, o la accenna, il presidente del Consiglio sulle guglie del Duomo di Milano e la fa pure recitare con qualche stento al sindaco Moratti, l’evento attira subito l’attenzione della stampa internazionale. Caustico, l’FT scrive che “Berlusconi canta, mentre il governo si sbriciola”, mentre il Times è più cronistico: Mr B non prova risentimenti e torna sulla piazza dove, a dicembre, venne aggredito, impegnandosi a riprendere i finanziamenti alla Fabbrica della Cattedrale. Più che le prestazioni canore di Mr B, che Charles Aznavour ha gratificato lunedì sera di un eccessivo, o ironico, “Lei è l’artista più prestigioso che abbia mai aperto un mio spettacolo”, o le sue gaffe, sono, però gli sviluppi politici italiani a interessare i media stranieri. Les Echos cita in breve il ministro Tremonti, secondo cui non c’è "alternativa" a Berlusconi, mentre il sito di Le Monde racconta la “guerra di nervi” tra il premier e i media. Quanto a El Pais, evoca una "berlusconizzazione" iberica narrando i traffici di spazzatura ad Alicante, "Mondezza all'italiana".

martedì 20 luglio 2010

SPIGOLI: Mafia, Borsellino e Falcone cittadini del Mondo

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 20/07/2010

Se davvero il popolo delle Agende Rosse era ridotto a cento persone, per ricordare, domenica, a Palermo, Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, viene da pensare, a scorrere la grande stampa internazionale, che mafia, ‘ndrangheta, camorra, la criminalità organizzata ‘doc’ italiana in genere, interessino più all’estero che da noi. E se ieri le Istituzioni nazionali e la città di Palermo hanno un po’ riscattato l’assenteismo domenicale, l’attenzione dei media europei è stata alta per tutti e tre i giorni: le foto delle statue spezzate, il punto sulle indagini, l’apatia dei siciliani. Certo, non sempre le cronache sono accurate e i distinguo tra l’una e l’altra ‘mafia’ precisi, ma la determinazione contro è indiscutibile. Il Telegraph dà spazio a un incontro con Ilda Boccassini, “la lady che spaventa la mafia”, annunciando che “l'impavida giudice ha lanciato una nuova offensiva”. El Pais pubblica un reportage e un’intervista a Petra Resky, giornalista e scrittrice tedesca, secondo cui “la mafia è un problema europeo”. Le Monde si sofferma sul cartone animato dedicato ai due giudici uccisi, sotto il titolo “parodia all’italiana”. E il Guardian racconta, nella scia dell’attualità, una storia di ‘ndrangheta. L’anno prossimo, se Palermo latita, ed è troppo calda di questa stagione, l’anniversario di via d’Amelio celebriamolo a Madrid o a Parigi: magari, ci sarà più gente.

lunedì 19 luglio 2010

PENSIERI: Roma, i lauri frondosi e la sicurezza dei cittadini

Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano del 19/07/2010

Colle Oppio, Roma, 18 luglio, domenica mattina ore 11.00 – Gli alberi lungo le vie che s’incrociano alle Sette Sale, oleandri da una parte, lauri dall’altra, sono più rigogliosi e frondosi che mai: causa risparmi, da anni il Comune non li fa potare. Nel 2008, ai cittadini che sollecitavano l’intervento, i servizi avevano risposto: “E’ programmato”. Ma poi non è successo nulla. E’ festa, fa un caldo pesante, c’è poca gente in giro. Al primo piano di un palazzo d’angolo, un appartamento senza aria condizionata: finestre aperte, per fare circolare un refolo d’aria, persiane neppure accostate. Qualcuno, dalla strada, sbircia in su, nota le finestre aperte, s’arrampica sull’albero lì davanti, s’intrufola nell’appartamento, pensando, probabilmente, che sia vuoto. Invece, le due donne che ci vivono sono dentro: sentono tramestio, si accorgono dell’incursione, gridano ‘allarme’ e ‘aiuto’. I furfanti chiudono a chiave dall’interno la porta della stanza dove si sono introdotti. Un vicino chiama il 112, “Stranieri?” chiede l’operatore. Ma che c’entra? Stranieri o italiani sono persone abusivamente infilatesi in un appartamento. “Venite, prego”. “Certo, veniamo”. Venti minuti dopo, arriva una pattuglia di carabinieri: cortesi, efficienti. Ma qualcuno ha visto due giovani allontanarsi in fretta dal palazzo, gli intrusi un po’ acrobati se la sono svignata per la stessa via da cui erano entrati, il lauro frondoso. Non c’è più nulla da fare, per i carabinieri, se non tranquillizzare le signore e aiutarle a riprendere possesso della stanza chiusa: non c’è stato danno, né furto. Certo, qualcosa da fare ci sarebbe: potare gli alberi per evitare che, nei giorni dell’afa, facciano da ‘ascensore’ a malintenzionati attratti dalle finestre aperte. Sindaco Alemanno, ma la sicurezza dei cittadini non è la sua priorità?

domenica 18 luglio 2010

SPIGOLI: Vaticano e pari opportunità, donne preti = pedofili

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 18/07/2010

Le donne, se preti, trattate alla stregua dei pedofili: il giro di vite del Vaticano contro le ordinazioni di donne sacedoti, come contro chi commette abusi sessuali su minori e handicappati, non passa inosservato nel Mondo. L’approccio è critico: dal Guardian all’Independent al Telegraph, i titoli britannici insistono sul fatto che “le donne, se preti, sono un pericolo proprio come i pedofili” e costituiscono “un crimine contro la fede”. I media americani e francesi, Cnn e NYT, WSJ e LAT, e ancora Le Monde e Le Figaro, NouvelObs e Les Echos, puntano, invece, sull’irrigidimento delle regole contro i ‘predatori sessuali’ da confessionale. Ma non sono solo gli strali contro le donne e i pedofili a portare, in questi giorni, il Vaticano sulla stampa internazionale. La Bbc come l’Independent dedica un servizio al rapporto tra le antenne del Papa e la leucemia: i trasmettitori della Città del Vaticano –dice la tv pubblica britannica, citando esperti italiano- "pongono rischi di cancro", specie per i bambini. Times e Telegraph, invece, seguono le tracce di Emanuela Orlandi e raccontano, a mo’ di feuilleton, riprendendo i giornali italiani, che la riapertura della tomba di un boss della banda della Magliana potrebbe chiarire il mistero del rapimento di 27 anni or dono.

sabato 17 luglio 2010

USA: finanza, passa riforma Obama. mai più Lehman Brothers

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 17/07/2010

Di solito sono le cattive notizie ad essere come le ciliegie: una tira l’altra, e non ci si fermano mai. E, invece, questa volta, per il presidente statunitense Barack Obama, la buona notizia non arriva sola: giovedì, il Senato ha dato via libera alla riforma della finanza; e ieri la Bp avrebbe constatato che la fuga di petrolio sul fondo del Golfo del Messico sarebbe stata bloccata, per la prima volta dal 20 aprile, quasi tre mesi. Il presidente saluta l’annuncio con soddisfazione, ma invita alla prudenza, perché la falla ha già riservato molte delusioni: il condizionale, per il momento, resta d’obbligo.

Tutto all’indicativo, invece, il voto del Senato, che ha consegnato alla firma del presidente Obama la più vasta riforma finanziaria negli Stati Uniti dagli Anni Trenta, cioè dall’epoca rooseveltiana dell’uscita dalla Grande Depressione. Per Barack il riformista, è la seconda vittoria legislativa molto importante in pochi mesi, dopo il varo della riforma sanitaria. La campagna democratica in vista delle elezioni di midterm del 2 novembre, quando gli americani rinnoveranno tutta la Camera e circa un terzo del Senato, può ripartire di qui.

Commentando l’adozione del testo Dodd-Franck, dai nomi del senatore Chris Dodd e del deputato Barney Franck che l’hanno concordato, il presidente Obama ha detto che l’attuazione della riforma porrà fine “agli affari loschi” che hanno portato il sistema finanziario americano alla crisi globale dell’autunno 2008 e hanno precipitato l’economia statunitense in uno stato di confusione e d’incertezza da cui fatica a uscire (gli indicatori restano contraddittori).

Il presidente, però, ha fiducia che il testo che firmerà la prossima settimana faciliterà il rilancio d’un’economia “innovativa, creativa e competitiva”, meno esposta al panico delle Borse e in grado di mettere i consumatori e i contribuenti al riparo dagli errori degli speculatori di Wall Street.

Non è però scontato che il presidente e il suo partito intaschino il dividendo delle riforme ora approvate nelle consultazioni di novembre, perché i cittadini percepiranno l’impatto delle novità nella sanità e nella finanza solo fra qualche tempo. Gli ultimi sondaggi indicano che Obama, impotente di fronte alla marea nera e finora incapace di individuare una via d’uscita in Afghanistan, non gode della fiducia di sei americani su dieci (e oltre quattro su dieci non approvano la gestione del conflitto). Ce n’è abbastanza per prevedere che il voto di midterm faccia perdere ai democratici il controllo di almeno uno dei rami del Congresso.

In Senato, giovedì sera, tutto era filato liscio: il testo legislativo di oltre 2.300 pagine è stato approvato con 60 sì e 39 no (tra i sì, pure tre repubblicani, con il no ’da sinistra’ del senatore Russ Feingold). La Camera aveva già licenziato lo stesso testo il 30 giugno con 237 sì e 192 no.

Feingold ha motivato il voto contrario con l’insufficienza del provvedimento, che si limita –dice- alla “vigilanza prudenziale”. I repubblicani hanno invece spiegato il loro no con “l’eccesso di potere” conferito agli enti regolatori: nell’opposizione, c’è chi invoca l’abrogazione della riforma prima ancora che sia promulgata, perché sarebbe “solo un modo di estendere la burocrazia dello Stato federale e il controllo dell’Amministrazione sulle attività del settore privato”, afferma Richard Shelby, portavoce repubblicano nella commissione bancaria. Fra i tre repubblicani ‘dissenzienti’ e favorevoli, c’è il senatore del Massachussetts Scott Brown, che dopo avere sottratto ai democratici il seggio che fu di Ted Kennedy mostra indipendenza di giudizio dal suo partito.

La riforma estende il controllo degli organismi regolatori su interi settori finanziari finora sottratti ad ogni regola e prevede la creazione di uno strumento di protezione dei consumatori in particolare di prodotti finanziari, in seno alla Banca centrale degli Stati Uniti, la Federal Riserve. Inoltre, non potrà più ripetersi quanto avvenuto nell’autunno/inverno 2008/2009, cioè il salvataggio di grandi istituzioni finanziarie a spese dei contribuenti.

Fra le misure adottate, un maggiore controllo dell’immenso mercato dei prodotti derivati, strumenti speculativi all’origine della crisi finanziaria. C’è pure la cosiddetta ‘clausola di Volcker’, dal nome del consigliere economico del presidente, Paul Volcker, che mira a far sì che le banche commerciali si concentrino sull’attività di prestito. Il passaggio à stato però edulcorato in extremis, consentendo, così, alle banche commerciali di continuare a vendere prodotti d’investimento a certe condizioni.

Volcker, alla fine, non era proprio soddisfattto. Mentre il presidente della Fed Ben Bernanke, che vede i poteri della sua istituzione aumentare, parla di “un passo avanti importante”. In Europa, i banchieri più progressisti stanno con Volcker: il problema non è quello di fissare nuovi requisiti per capitale e liquidità, ma di reintrodurre segmentazioni per tipo di intermediario, di cliente e di prodotto, magari fino a una separazione tra banche commerciali e banche di investimento.

SPIGOLI: l'equazione Sarko = Mr B non convince i francesi

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 17/07/2010

Berlusconi = Sarkozy: a suggerire l’equazione era stata –ricordate?- la stampa anglosassone, per primo il Guardian. E quella italiana le era poi andata dietro: Guillaume Delacroix, il corrispondente di Les Echos da Roma, testimonia come il confronto sia “soggetto di conversazione nelle cene d’estate in città”, riconoscendo che “ci sono tutti gli ingredienti per un facile paragone”. Ma, mentre se El Pais il politologo Giovanni Sartori dice che l’Italia sta vivendo “il peggior periodo della sua storia”, Les Echos si ribella all’ ‘equazione dello sputtanamento’: “No, Sarkozy non è Berlusconi”, titola. E scrive: “Se non fosse per la gravità del tema, si potrebbe fare buon viso a cattivo gioco e sorridere. Ma il confronto non regge dieci secondi”, anche a volerlo limitare ai guai d’oggi, senza stare a rinvangare “i processi per corruzione, frode fiscale, falso in bilancio, abuso di beni sociali e riciclaggio o le tresche sessuali” di Mr B. Il giornale economico francese ci si mette di buzzo buono a elencare le magagne di casa nostra: il governo che perde i pezzi (già tre, contro due di quello francese), la P3, la Legge Bavaglio… Tutto –aihnoi!- vero: siamo messi male, cari amici francesi, ma non al punto da invidiarvi Sarko…

venerdì 16 luglio 2010

SPIGOLI: l'Italia dei banditi argento dietro gli Usa

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 16/07/2010

Questa volta, gli italiani restano giù dal podio. Ma nella classifica a squadre l’Italia è seconda solo agli Stati Uniti. Piano, però, a festeggiare: la classifica è quella dei peggiori banditi di tutti i tempi. Di storico, e di serio, c’è poco o nulla: è uno dei periodici alleggerimenti del settimanale Time. Allora, nella ‘top ten’ dei grandi fuorilegge (quasi tutti con tocco romantico), dietro, manco a dirlo, tre americani, ecco al quarto posto Salvatore Giuliano, il “Robin Hood siciliano”, figura controversa del dopoguerra italiano, mentre al decimo spunta a sorpresa Vincenzo Per uggia. Chi era costui? Ma come, non vi ricordate?, nel 1911 rubò la Gioconda al Louvre, ma poi non seppe che farsene. Forse, il 10.o posto è ‘rubato’: abile come ladro, ma come criminale un disastro. La classifica è molto cinematografica: dietro un protagonista delle cronache recenti, il ‘bandito a piedi nudi’, cioè Colton Harris-Moore, fresco di arresto, ecco spuntare Jesse James e Billy the Kid; e poi ancora Bonnie and Clyde e Butch Cassidy. Cinque americani, due italiani e omaggi sparsi a leggende banditesche come Ned Kelly (Australia, 19.o Secolo), Claude Du Val (Francia, 17.o Secolo) e Dick Turpin (Inghilterra, 18.o Secolo). Vale quel che vale: ciascuno di noi, ne sono sicuro, ha in mente almeno un bandito più bandito di molti di questi.

giovedì 15 luglio 2010

PENSIERI: 14 Luglio, i diritti dell'uomo francesi e africani

Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano

Campi Elisi, 14 Luglio – Nell’Anniversario della presa della Bastiglia, festa nazionale francese, sfilano sui Campi Elisi i soldati di 13 Paesi africani, ex colonie francesi che cinquant’anni or sono divennero indipendenti: plotoni di 30 uomini ciascuno, inseriti nella tradizionale parata militare dall’Arco di Trionfo alla Concordia. Sulla tribuna presidenziale, accanto al capo dello Stato francese Nicolas Sarkozy, i presidenti africani di Benin, Burkina Faso, Camerun, Ciad, Congo, Gabon, Madagascar, Malì, Mauritania, Niger, Repubblica Centrafricana, Senegal e Togo. Applausi, ma anche polemiche: quei soldati sono lì per ricordare e onorare –afferma Sarkozy- “le migliaia di soldati venuti dall’Africa morti per la Francia nelle due guerre mondiali”. Ma c’è chi storce il naso: le organizzazioni che si battono per la difesa dei diritti dell’uomo denunciano il rischio che tra gli ospiti vi siano “criminali di guerra”. L’Eliseo assicura di avere fatto diligenti controlli: nessuno dei militari che ha sfilato sui Campi Elisi è oggetto di procedimenti giudiziari … Ma si sa come vanno le cose in Africa, tra cambi di regime bruschi e giustizia non sempre determinata verso i potenti (mentre in Francia…). Il problema, però, mi sembra un altro: i francesi che guardano di traverso quei soldati africani non hanno mai contestato la presenza sui Campi Elisi della Legione Straniera –tradizionalmente, fra i reparti più applauditi- o delle insegne dei corpi protagonisti delle guerre dell’Era Coloniale, quando il rispetto dei diritti umani da parte delle truppe d’occupazione era molto aleatorio (e noi italiani non stiamo certo a fare la morale, tra Libia ed Etiopia)… Senza contare che, fattine salvi tutti i meriti storici, la Rivoluzione francese che derivò dalla presa della Bastiglia non fu proprio il trionfo del rispetto dei diritti dell’uomo, affermazioni di principio a parte… E, allora, non sarà mica che dei diritti dell’uomo ci ricordiamo solo quando non li rispettano gli altri?

SPIGOLI: 'Made in Italy' e mafia, prodotti da export

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 15/10/2010

Il ‘made in Italy’ che si vende bene all’estero non è sempre motivo d’orgoglio: il Bel Paese, l’arte e la cultura, la moda, il calcio e la Ferrari (ma non è questo l’anno buono), la buona cucina e il vino; però, ci sono pure Mr B, gli scandali, la criminalità organizzata, che, dovunque sia e comunque sia, diventa subito ‘mafia’. E, infatti, l’operazione di polizia contro la ‘ndrangheta fa colpo sulla stampa del Mondo intero, che parla unanime di “mafia calabrese”: da Le Monde (“ampia retata contro la mafia in Italia”) a Le Figaro, da El Pais (in home page) a El Mundo, da Les Echos ad Abc, i dispacci delle agenzie di stampa internazionali Afp, Reuters e Ap conquistano i siti europei ed americani. Ma anche storie meno clamorose piaccono ai media stranieri, se c’entra la mafia: il Guardian, ad esempio, s’è interessato al sequestro del lago di Averno finito nelle mani delle cosche; e il Telegraph alla lotta contro la mafia delle contraffazioni, la cosiddetta “mafia cinese” (per Les Echos, che cita i produttori danneggiati, è un mercato da 18 miliardi di euro l’anno). E non mancano gli approfondimenti: Le Figaro ha recentemente intervistato Piero Grasso, "La mafia non ha più direzione strategica".

mercoledì 14 luglio 2010

Bavaglio: missione Onu per la libertà di stampa in Italia

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 14/07/2010

“Sorpreso” dalla virulenza delle reazioni del governo italiano, ma “aperto al dialogo”. Il Fatto mette Franck La Rue, responsabile dell’Onu per la libertà d’espressione, a conoscenza delle dichiarazioni del ministro degli esteri Franco Frattini e di molti esponenti pdl. Frattini è “sconcertato” perché, secondo La Rue, il disegno di legge sulle intercettazioni va “abolito o rivisto”: “se adottato così com’è può compromettere la libertà di espressione in Italia”.

Il Fatto raggiunge al telefono La Rue in Guatemala: “Non mi aspettavo reazioni così forti”, dice, anche se i commenti negativi governativi non erano mancati alle sortite di altre organizzazioni internazionali sulla cosiddetta ‘legge bavaglio’.

A metà giugno, Dunja Mijatovic, responsabile dell’Osce per la libertà dei media, aveva detto, anche in un’intervista a Il Fatto, che il provvedimento “potenzialmente criminalizza il lavoro dei giornalisti” in Italia. La Commissione europea segue da vicino la vicenda, anche se evita d’esprimersi a processo legislativo aperto. La Corte di Strasburgo dei diritti dell’uomo è pronta a esaminare eventuali ricorsi, quando tutte le possibilità di ricorso nazionali saranno state esaurite. L’Amministrazione statunitense ha già manifestato preoccupazioni per l’impatto delle limitazioni alle intercettazioni sulla lotta contro la criminalità organizzata.

Il relatore speciale del Consiglio dell’Onu per i diritti umani afferma: “Sono sorpreso, ma resto aperto al dialogo con il ministro, con il governo, con il Parlamento: molti Paesi ci chiedono pareri tecnici”, prima di varare provvedimenti che toccano la libertà di stampa e di espressione, e “noi siamo pronti a fornirla”.

Ci sono stati, ci saranno ancora contatti con le autorità italiane? “Tramite la rappresentanza presso l’Onu a Ginevra, il governo italiano mi ha già invitato a recarmi a Roma e io ho già accettato”. Si pensava a una missione di studio l’anno prossimo, ma “ora considero la mia visita urgente, spero di poterla compiere entro ottobre e auspico che l’adozione del provvedimento non avvenga prima del nostro dialogo”.

Perché giudica il disegno di legge negativamente? “E’ una sconfitta per la libertà di stampa e per la libertà di espressione”, due fronti su cui “non bigogna fare passi indietro”, specie in Paesi come l’Italia che hanno una tradizione di libertà e di democrazia. “La legge penale –spiega La Rue- non può essere usata per limitare il diritto di una persona a esprimersi”.

Certo, e purtroppo, l’Italia non è un caso isolato. “Tragicamente, in molti Paesi emergono tendenze a limitare la libertà di stampa lungo tre assi principali: nel segno della sicurezza nazionale e della lotta al terrorismo, che è legittima, ma che deve rispettare le libertà fondamentali; sotto il peso dell’eccessiva sensibilità di alcuni governi alle critiche, che non possono divenire un reato - ed è il caso dell’Italia -; nel nome della religione”.

Frank La Rue è relatore speciale dall’agosto 2008 e agisce indipendentemente da ogni governo od organizzazione. La carica esiste dal 1993 e il mandato prevede un rapporto annuale al Consiglio dell’Onu per i diritti umani.

A irritare la maggioranza, in una giornata di cruciali trattative nel Parlamento italianio, è stato l’invito pubblico di La Rue al governo Berlusconi “ad abolire o a rivedere” il provvedimento. Sott’accusa, in particolare, la durezza delle pene “sproporzionate alle colpe”, specie per editori e giornalisti, e in contrasto con gli impegni internazionali presi dall’Italia. Se adottata, la legge “comprometterebbe le inchieste giornalistiche su temi d’interesse pubblico, come la corruzione, data l’eccessiva lentezza dei procedimenti giudiziari in Italia, come ripetutamente stigmatizzato dal Consiglio d’Europa. E quanto alla tutela della privacy, nella pubblicazione d’intercettazioni, per La Rue il disegno di legge, così com’è, “non dà una risposta adeguata alle preoccupazioni e minaccia il diritto alla libertà d’espressione”.

Considerata l’ampiezza delle proteste, la raccomandazione di La Rue al governo è “di non adottare il provvedimento” e di “avviare un dialogo significativo … con i giornalisti e con i media”, in modo “da prenderne in considerazione le preoccupazioni”.

SPIGOLI: potere, sesso, sport, Mr B non nega mai una gag

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 14/07/2010

Serve una gag da mettere in pagina per rendere il giornale un po’ estivo? Mr B ‘ghe pensi mi’ ci pensa lui, giorno dopo giorno. Oddio, ci pensa anche d’inverno e nelle altre stagioni, ma questa è un’altra storia. Dunque, il gioco di parole tentato dal premier a Milano in un improponibile inglese tra ‘play boy’ e ‘play old’ piace alla stampa britannica e francese: il Daily Mail riferisce che Berlusconi annuncia di rinunciare a fare il Casanova.e Le Figaro ci ricama pure su. Il Telegraph definisce Mr B “master della diplomazia del cucù”, per la ‘sorpresa’ che fece a un Vertice a Trieste al cancelliere tedesco Angela Merkel. El Mundo ed Abc, puntano, invece, sull’affermazione secondo cui "il trionfo della Spagna è anche dell'Italia", mentre El Pais pubblica, sotto il titolo “Abbeccedario: Italia", un testo di Andrea Camilleri, dove si sostiene che “Unità d'Italia e italiani sono come le particelle, positive / negative, materia e antimateria”. Proprio El Pais, giorni fa, sentiva levarsi dall’Italia “un fetore intollerabile”, tra scandali, cene, corruzione, ed auspicava che “il susseguirsi degli scandali e le divisioni nella maggioranza” abbiano “fatto breccia nell’elettorato”.

martedì 13 luglio 2010

Francia: Affaire Bettencourt, Sarko assolve e si autoassolve

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 13/07/2010

La Francia che s’appresta a scendere oggi in piazza contro la riforma delle pensioni e a celebrare domani il 14 Luglio sui Campi Elisi voleva risposte chiare. E il presidente Nicholas Sarkozy l’ha illusa di volerle avere, andando in televisione ieri sera. Ma chi s’aspettava ammissioni e passi indietro è rimasto deluso: piena fiducia ad Eric Woerth, il ministro sotto accusa, un uomo “profondamente onesto”, nelle cui mani Sarkozy lascia pure la gestione della riforma delle pensioni che il Consiglio dei Ministri varerà: l’età minima per lasciare il lavoro sale da 60 a 62 anni. Quanto alle accuse mosse a lui personalmente, sono “una vergogna”: La Francia “non è un Paese corrotto”..

L’opposizione socialista, ma anche la maggioranza volevano spiegazioni sugli scandali che minano il governo da giorni, a partire dai sospetti che gravano sul ministro del lavoro. Quasi tre francesi su cinque non credono che Woerth sia innocente. Il presidente, che non mostra disagio, lo invita solo a dimettersi da tesoriere del partito al potere, l’Ump, mentre s’impegna a lottare contro i conflitti d’interesse (creerà una commissione ad hoc).

Le dichiarazioni in tv sono state le prime in pubblico di Sarkozy dallo scoppio dello scandalo politico-fiscale legato alla figura di Liliane Bettencourt, Madame l’Oreal, la donna più ricca di Francia: è l’ ‘affaire’ più grave da quando Sarkozy è all’Eliseo, cioè dalla primavera del 2007. I sospetti che gravano su Woerth e che lambiscono lo stesso presidente, tra accuse e parziali smentite, è di conflitto d’interessi e finanziamenti illeciti alla campagna 2007.

Il presidente è al minimo storico della sua popolarità (30%) e la credibilità del suo governo era già scossa da scandali e da dimissioni, proprio mentre i francesi sono chiamati a ‘stringere la cinghia’ per ridurre i deficit pubblici. Domenica, l’Ump ha pagato con una sconfitta elettorale in una sua roccaforte, a Rambouillet, nella regione parigina, l’insoddisfazione del Paese.

Nelle ultime ore, prima la ritrattazione, parziale e controversa, della principale accusatrice, poi un rapporto dell’ispezione generale delle finanze avevano in qualche misura alleggerito la posizione del presidente e di Woerth. Ma l’opposizione socialista chiede che la giustizia faccia il suo corso; e i magistrati potrebbero presto ascoltare il ministro. Poco prima della sortita televisiva di Sarkozy,
la polizia aveva compiuto perquisizioni a casa della Bettencourt e di un suo amico e collaboratore.

Europa: 30 anni dopo Coccodrillo, rinasce Gruppo Spinelli

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 13/07/2010

Un liberale e un verde faranno rinascere, in settembre, a Strasburgo, il Club del Coccodrillo, sotto l’insegna di Gruppo Spinelli. L’iniziativa, ancora carbonara, fa vibrare pulsioni europeiste, trent’anni dopo che, il 9 luglio 1980, Altiero Spinelli, l’autore del Manifesto di Ventotene, allora parlamentare europeo, riunì a cena al Crocodil, un ristorante di Strasburgo, altri otto eurodeputati che avevano accolto il suo invito. Nasceva il Club del Coccodrillo, destinato ad allargarsi fino a comprendere 180 parlamentari europei e a influenzare il cammino dell’integrazione europea, che, alla metà degli Anni Ottanta, sarebbe uscita dagli stalli successivi delle crisi energetiche e del ‘problema britannico’ e avrebbe imboccato la via del completamento del mercato unico, del Trattato di Maastricht e della moneta unica.

Oggi come allora, l’europeismo spinelliano germoglia più facilmente fuori dalle grandi famiglie politiche continentali, il Partito popolare e il Partito socialista. L’idea del Gruppo Spinelli, infatti, è di Guy Verhofstadt, 57 anni, liberale, ex premier belga per quasi dieci anni (1999-2008), ora capogruppo dei liberal-democratici, e di Daniel Cohn-Bendit, 65 anni, ‘cittadino europeo’, il Danny il Rosso del Maggio Francese divenuto Danny il verde, capogruppo degli ecologisti a Strasburgo.

Il Club del Coccodrillo condusse il Parlamento a varare nell’inverno 1984, alla fine della sua prima legislatura eletta a suffragio universale, un progetto di Trattato che istituiva l’Unione europea: i governi degli allora Dieci non fecero proprio il Progetto Spinelli, ma, meno di dieci anni più tardi, l’Unione era cosa fatta. L’anniversario è passato un po’ in sordina, in giorni in cui l’europeismo è desueto, il federalismo ha risonanze solo padane e l’Unione attraversa un’altra crisi ed è alla prese con la riforma della governance dell’economia europea e mondiale.

Ma nel Parlamento europeo, l’istituzione che ha preso più sul serio le novità del Trattato di Lisbona in vigore dal 1.o dicembre, ci sono fermenti spinelliani. In attesa che l’iniziativa di Verhofstadt e Cohn-Bendit faccia proseliti, i capigruppo dei quattro maggiori gruppi parlamentari europei si sono mossi insieme, alla vigilia del Consiglio europeo di metà giugno, per dissotterrare l’ascia di guerra sul bilancio Ue 2011: Consiglio dei Ministri dei 27 e Commissione europea sono avvisati, l’Assemblea di Strasburgo è sul piede di guerra; e, come nei primi Anni Ottanta, sceglie il bilancio come terreno di scontro. Ma, da allora, il Parlamento ha di molto accresciuto i suoi poteri.

I processi decisionali dell’Unione sono più complessi, ora che il Parlamento “è salito di tono” con poteri di co-decisione maggiori. Dal primo dicembre 2009, il Consiglio europeo ha consolidato ruolo e prestigio e il suo nuovo presidente stabile, il belga Herman van Rompuy, ha mostrato doti di mediazione ed equilibrio preziose. Invece, il nuovo assetto della politica estera e di difesa comune affidata a Lady Ashton resta embrionale e poco efficiente.

L’agenda dell’Unione resta dominata dalla crisi economica e dai suoi contraccolpi finanziari e monetari. Ma dopo una primavera insidiosa l’Ue s’è compattata su rigore e controlli sulle banche. Nel buio di questa fase in cui s’è addirittura riaperto il dibattito sull’irreversibilità dell’Unione, i neo-spinelliani fanno sperare che possa aprirsi una stagione di approfondimento dell’integrazione: obiettivo, non più la Federazione europea del progetto Spinelli, ma gli Stati Uniti d’Europa evocati il 1° giugno da Joschka Fischer ex ministro degli esteri tedesco, come obiettivo da perseguire senza timidezza e senza compromessi per uscire dalla crisi globale.

SPIGOLI: scandali, cene, corruzione, il fetore d'Italia

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 13/07/2010, non pubblicato

“Il susseguirsi degli scandali e le divisioni nella maggioranza paiono avere fatto breccia nell’elettorato”: lo scrive El Pais, il grande giornale europeo più attento alla politica italiana. Il prestigioso quotidiano spagnolo cita il Corriere della Sera e Il Fatto e mette in fila sondaggi, cene e fatti di cronaca recenti per concludere che “e Berlusconi non s’è ancora sbarazzato di Fini è perché non può”, avendo bisogno dei suoi voti; e che se il governo cade, o meglio cadesse, il presidente della Repubblica non indirebbe nuove elezioni, ma potrebbe varare un governo costituente formato da tutte le forze politiche, ma senza Mr B. Il premier, però, avverte il giornale, non si arrenderà facilmente perché “perdere il potere equivale a perdere l’immunità”. El Pais sente levarsi dall’Italia “un fetore intollerabile”, scandali e corruzione. Le Monde racconta storie “di ministri di un giorno”, mentre le battute di Mr B sulla libertà di stampa destano più reazioni all’estero che in Italia: “Vacillano i templi della libertà”, commenta il Guardian, osservando che “siamo così abituati a Berlusconi che a malapena alziamo il sopracciglio”. Ne scrivono pure Liberation ed El Mundo, ma El Pais si espone di più: “lo sciopero dei giornalisti è l'ultimo sintomo della soffocante situazione che vive l'Italia di fronte alla deriva del governo Berlusconi”.

lunedì 12 luglio 2010

PENSIERI: dal pallone al globo il calcio è breve

Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano del 12/07/2010

Con la vittoria della Spagna, i Mondiali del SudAfrica sanciscono il pieno successo dell’Europa e dell’Ue (tutto suo il podio, con Olanda e Germania) e creano un G8 della governance calcistica nuovo di zecca: cinque Paesi europei con dieci titoli, Italia, Germania, Francia, Inghilterra, Spagna; e tre latino-americani con nove titoli, Brasile, Argentina, Uruguay. Intanto, le formule vecchie e nuove della governance mondiale politica ed economica, il solito G8, l’effimero G14, il deludente G20, l’ipotetico G2, gli anchilosati Consiglio di Sicurezza dell’Onu ed Fmi, appaiono tutti in crisi d’efficacia e di credibilità. Dal calcio un’idea per il mondo? Un G8 senza Usa e senza Russia, ‘super-potenze’ nucleari, e senza Cina e senza India, ‘super-potenze’ demografiche, senza Africa e senza Islam appare oggettivamente bislacco. Ma è un G8 fatto di Paesi che sanno tutti come fare girare la palla; e di lì a sapere come fare girare il mondo, che è in fondo un pallone, senza prenderlo malamente a calci, il passo, anzi il piede, è breve.

domenica 11 luglio 2010

SPIGOLI: le magagne della Magic Italy di Mr B

Scritto per Il Fatto Quotidiano dell'11/07/2010, non pubblicato

D’estate, la stampa internazionale diventa una vera e propria guida turistica d’Italia: segnala mostre e curiosità artistico-culturali (la star 2010 è il Caravaggio: mostra alle Scuderie del Quirinale chiusa, ma resti esposti e polemiche sull’autenticità ovunque); punta su Roma, Firenze, Venezia, ma anche su località meno note (il blog del NYT scopre la tipoteca di Cornuda, un museo sulla storia della stampa e dei caratteri tipografici). Certo, del Bel Paese non si può sempre parlare bene: questa settimana, il NYT ha suscitato stizzite reazioni ufficiali, constatando quel che è sotto gli occhi di tutto, la rovina delle rovine di Roma. E Le Monde ed El Pais raccontano com’è difficile “salvare Venezia”. Insomma, meglio diffidare dei media stranieri per il marketing nostrano: Mr B ‘ghe pensi mi’ ci pensa lui con uno spot su Magic Italy che impressiona poco gli italiani e molto gli stranieri. Ne parlano in successione un po’ tutti, in Europa e in America: minimo comune denominatore, l’ironia, che pure la Reuters, ripresa dal sito del WP, si permette: Berlusconi "dice agli italiani di fare le vacanze a casa”. Eppure, nonostante gaffe e pateracchi, l’Italia piace e il Daily Mail spiega come comprasene un lotto facendo un affare: “Nella battaglia contro il debito, puoi acquistare un pezzo d’Italia dal demanio per pochi soldi”.

sabato 10 luglio 2010

Spie: scambio di mezze figure chiude nuova Guerra Fredda

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 10/07/2010

La scena e la musica di sottofondo possono benissimo essere quelle del Il Terzo Uomo, noir 1949 targato Guerra Fredda: Carol Reed, Graham Greene e Orson Welles vi hanno lasciato il segno del loro genio. Ma questa storia e questi personaggi hanno meno spessore e meno mistero: finisce con uno scambio di mezze figure, sulla pista dell’aeroporto di Vienna, aeroplani affiancati in modo da coprire la scena a cameraman e fotografi. Gli Stati Uniti riconsegnano ai russi dieci agenti arrestati a fine giugno con molto clamore e la Russia dà loro in cambio quattro russi di cui tre condannati per attività a favore dell’Occidente.

Lo scambio è senza precedenti dalla fine della Guerra Fredda, cioè da quando lo spionaggio Usa - Russia ha perso fascino e importanza (allora, i prigionieri venivano barattati sul ponte di Glienicke, che a Berlino univa l’Est e l’Ovest). La rapida fine a tarallucci e vino della vicenda, drammatizzata da taluni, quando era scoppiata, come la soglia di un ritorno al gelo tra Washington e Mosca, prova, invece, la volontà dei due Paesi di non mettere a repentaglio, per qualche segreto mal custodito e qualche informatore maldestro, il ‘reset’ delle loro relazioni. I presidenti Obama e Medvedev avrebbero avuto un ruolo diretto in questa soluzione: una via d’uscita indolore, dopo che l’Fbi aveva ‘sganciato’ la sua ‘bomba’ –malizia?, o imperizia?-.

Verso le 11.30, ora locale, un aereo usa, decollato dal La Guardia, nel Queens, a New York, s’è posato accanto a un aereo russo, già lì da un po’ di tempo. Il passaggio da un velivolo all’altro è avvenuto con una vetturetta dai finestrini ambrati. Un ‘revival’ del ruolo di Vienna, la ‘capitale delle spie’ durante l’Impero austro-ungarico e ancora nella prima metà del XX Secolo, dopo la fine dell’Impero, tra le due guerre.

Nella serata di giovedì –ora della Costa Est-, i dieci agenti russi erano stati espulsi dagli Stati Uniti, dopo essersi tutti riconosciuti colpevoli davanti al tribunale federale di Manhattan ed avere rivelato la propria vera identità -sette operavano sotto falso nome, tutti sono russi tranne un’americana-. Kimba Wood, una giudice divenuta famosa nel 1990 condannando a 10 anni Michael Milken, il re dei ‘junk bond’, annunciava “l’espulsione immediata”, in cambio dell’impegno, da parte loro, a “non tentare di tornare mai più in America”. La decisione veniva motivata con ragioni di sicurezza nazionale e umanitarie: l’Fbi riconosceva che gli agenti presi non avevano “un interesse strategico” per gli Usa. Più o meno contemporaneamente, Medvedev firmava la grazia per quattro russi già condannati.

Fra tutti, il personaggio è Anna Chapman, ‘Anna la Rossa’, le cui foto intime e la cui vita sessuale più o meno spiattellata come elemento forte dell’inchiesta condotta dall’Fbi hanno fatto per giorni le prime pagine in mezzo mondo. Irina Kutchennko, la mamma di Anna, non ha però vacillato: “Mia figlia non ha fatto nulla di male: spero di poterla riabbracciare presto”.

Tre dei russi liberati sono Igor Sutyagin, esperto in armamenti strategici, condannato a 15 anni, e Alexandre Zaporojski, un ex responsabile del Svr, condannato a 18 anni –entrambi lavoravano per gli americani- e Serguei Skripan, ex colonnello dei servizi d’informazione militari, condannato a 13 anni –lavorava per i britannici-. Il quarto è Guennadi Vassilenko, un ex agente del Kgb, condannato a tre anni nel 2006 per delitti non di spionaggio.

Anche loro hanno dovuto riconoscere la loro colpevolezza: documenti che soddisfano gli inquirenti, ma che non significano nulla, perché ciascuno s’è così garantito la libertà. La ‘spy story’ lascia i più perplessi: nove russi su dieci pensano a una montatura della propaganda occidentale. I fantasmi della Guerra Fredda non muoiono, anche se pochi temono che torni (e pochissimi lo vogliono).

SPIGOLI: fa rumore nel mondo la giornata del silenzio

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 10/07/2010

“Gag law”, “Loi baillon”, “Ley mordaza.: fa rumore nei media del mondo la giornata del silenzio della stampa italiana contro la Legge Bavaglio. Ne parlano proprio tutti, dalla Bbc al Financial Times, dall’Economist (“Una legge controversa, che dovrebbe preoccupare più gli inquirenti dei giornalisti”) al Guardian, da Le Monde a Le Figaro a Les Echos, da El Pais (“La tensione politica si scatena in Italia”) a El Mundo, dal WSJ (che si chiede perché mai “il governo italiano voglia indebolire i poteri di polizia contro la criminalità organizzata”) a tutta la grande stampa
statunitense ‘foraggiata’ da un dispaccio dell’Ap (WP, Chicago Tribune, LAT, SFC, etc.). Molte le letture dui quanto sta avvenendo in Italia in chiave politica. FT afferma che “il senso di appartenenza al governo è nel caos”; e NouvelObs rileva che “Berlusconi continua a calare nei sondaggi”. La stampa francese si diverte a confrontare le magagne della sua casta con quelle della casta nostrana e Les Echos sostiene che “viste dall’Italia le accuse del governo francese contro Mediapart nell’ ‘affaire Bettencourt’ fanno sorridere”. In realtà, fanno piangere, perché non è mica il calcio che “mal comune mezzo danno”.

venerdì 9 luglio 2010

PENSIERI: Mondiali, Forza Europa, ri-vinci tu

Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano del 08/07/2010

Lungo la riva del fiume, Roma, un momento qualsiasi. A metà giugno, ci era stato anticipato che questi erano i Mondiali della fine della Vecchia Europa e dell’avvento dell’America latina, come se gli insuccessi di squadre vecchie sfatte nel fisico e nel morale - l’Italia e la Francia, finaliste 2006 ancorate alla loro immagine – fossero una sorpresa e come se la brillantezza di Argentina e Brasile fosse una novità.

Dopo il 20 giugno, ci era stato sentenziato che questi erano i Mondiali dell’America latina: sei squadre negli ottavi, tutte; quasi la certezza – poi confermatasi – di averne quattro nei quarti, mentre delle sei europee, tutte impegnate in scontri diretti, ne potevano andare avanti al massimo tre. Giunti ai quarti, ecco il vaticinio di chi legge le interiora dello Jabulani: avremmo forse avuto semifinali tutte latino-americane, per la prima volta nella storia dei Mondiali, a conferma del fatto che, fuori dall’Europa, l’Europa s’affloscia, mentre le sudamericane sono imbattibili sul loro continente e capaci di conquista, almeno il Brasile, corsaro in Svezia nel 1958 e in Giappone nel 2002. Sta andando a finire come sapete: che stiamo qui ad aspettare una finale tutta europea, la seconda consecutiva e per di più ‘fuori Europa’.

E, allora, come la mettiamo con tutte le lezioni di geo-calcio che ci sono state impartite cammin facendo?, dove stanno tutti i maestri dimentichi che la palla è rotonda? L’importante è non andare a rileggere le puntate precedenti… Oddio, sarebbe pure importante fare più cronaca e meno chiacchiere, ma con gli esempi che ci sono in giro come si fa…E, allora, me ne sto lungo la riva del fiume, che porta al mare le scorie dei Mondiali: l’orrido – come uomo – Maradona, l’orribile - come giocatore – Felipe Melo, quel ragazzo un po’ smarrito di Muslera scoperto portiere una notte che gli tirarono addosso due rigori…Forza Europa, questa volta (ri)vinci tu: per la prima volta, due titoli consecutivi dal doppio azzurro ’34 e ’38 di Vittorio Pozzo.

giovedì 8 luglio 2010

SPIGOLI: Mr B in acque pericolose, crisi forse decisiva

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 08/07/2010

Analisi politica o lettura della mano all’insegna della buona fortuna? Sotto il titolo “Berlusconi entra in acque pericolose”, il Financial Times dedica un editoriale alla situazione politica italiana. E il sommario recita: “Il premier forse s’avvicina a una crisi decisiva”. Il quotidiano economico europeo non è il solo a puntare l’attenzione sul difficile momento politico italiano. Nouvel Obs e Les Echos notano, via Reuters, che la scelta dell’austerità mette in pericolo la coalizione al potere. El Pais intervista l’editore e scrittore Carlo Alberto Brioschi, secondo cui “l’era di Berlusconi è la più corrotta della storia”. Quanto al Telegraph, sostiene che “ci sono limiti alla faccia tosta” di Mr B (il caso Brancher lo dimostrerebbe). Sul FT, l’anonimo fondista s’interroga se Berlusconi non s’avvicini al capolinea della sua leadership: “Molti si chiedono se possa sopravvivere. L’interrogativo di fondo è se Fini colpirà quest'autunno e reclamerà la successione, spazzando via un uomo che avrà 75 anni alle prossime elezioni. Tanti s’augurano che lo faccia –e l’articolista è tra questi, si direbbe, ndr-: con Berlusconi, l'Italia dalle molte eccellenze è al di sotto delle sue potenzialità; con un nuovo leader, potrebbe essere capace di un nuovo inizio”.

mercoledì 7 luglio 2010

Afghanistan: preso il mullah, guerra, frottole e caduti

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 07/07/2010

Ci sono bugie che hanno le gambe corte e altre che le hanno cortissime, Questa che vi raccontiamo oggi manco le aveva le gambe: viaggiava su zampette da formica e non è andata lontano, dopo che la stampa pakistana ha rilanciato, per l’ennesima volta, voci di cattura del capo del talebani afgani, il mullah Omar, alla macchia da quasi nove anni, esattamente come l’altro ‘nemico pubblico n. 1’ della guerra al terrorismo, il capo e ispiratore di al Qaida Osama bin Laden.

Succede che un quotidiano di Islamabad, The Nation, riprende la ‘notizia’ dell’arresto del mullah data da Brad Thor, un blogger statunitense, il 10 maggio: Omar sarebbe finito nelle mani dell’Isi,
il servizio di intelligence pachistano, il 27 marzo, a Karachi, dove magari era andato a farsi un giro
in città.

E già qui si capisce che la storia è una balla. Perché, da maggio a oggi, nonostante Thor l’abbia più volte riproposta sul suo blog, che fin dal titolo ‘biggovernment.com’ tradisce radici qualunquistico-conservatrici, né il Dipartimento di Stato né il Pentagono, né la Cia né l’Isi, né le autorità afgane né quelle pakistane l’hanno mai commentata e tanto meno confermata.

I talebani non si scompongono e smentiscono, come si farebbe in una democrazia occidentale. Il loro portavoce, Zabihullah Mujadid, va in televisione e bolla la frottola come “un’operazione di propaganda degli Usa e della Nato”: il mullah Omar –assicura- è in Afghanistan e continua a lottare e a chiedere alle truppe straniere di lasciare il suo Paese. Da Kabul, un portavoce del presidente Hamid Karzai avvalora, nella sostanza, la smentita di Mujadid: “della cattura di Omar non sappiamo nulla e non abbiamo avuto nessuna comunicazione dalle autorità pakistane”.

La storia finisce di rimbalzare qui. Anche perché, ad esempio, agenzie mondiali come la Reuters e l’Afp non le dedicano una riga, valutandola subito per quel che è: una panzana. Basta dare una letta alla biografia di Thor per averne il sospetto e persino la certezza: ex analista del Dipartimento Usa per la sicurezza nazionale –il ministero creato dopo l’11 Settembre-, autore di thriller di successo e blogger, Thor, 41 anni, passò per qualche tempo per essere il “nuovo Rushdie” per le minacce –vere o presunte- ricevute da integralisti musulmani.

Dunque, la voce della cattura del mullah è una balla, come lo sono state finora le analoghe storie della cattura o dell’uccisione di Osama bin Laden, che, se fosse stato malato come otto anni fa lo descrivevano i servizi d’intelligence americani, a quest’ora sarebbe bell’e defunto. Va a finire che quando la notizia sarà vera, e prima o poi magari lo sarà, perché anche le Primule Rosse vengono catturate e persino i miti muoiono, non ce ne accorgeremo o non ci crederemo.

Dietro la frottola, c’è però un intreccio di verità scomode (e, magari, giochi di rivalità fra ‘spioni’ dalla dubbia lealtà). Una è che la guerra in Afghanistan continua, s’intensifica e si estende. Ieri, sono caduti quattro soldati delle forze internazionali: dall’inizio dell’anno, fanno 335 (l’ultimo è
un sottufficiale francese). Il record di perdite del 2009 –521- pare destinato a essere tragicamente battuto. Negli ultimi due anni, l’insurrezione dei combattenti islamici, cacciati dal potere nel 2001, s’è inasprita e il loro campo d’azione, che era limitato al Sud, copre ormai quasi tutto il Paese e zone del Pakistan confinanti, nonostante i rinforzi ricevuti dalle forze internazionali (oggi, quasi 142 mila uomini).

Che il Pakistan occidentale sia santuario dei talebani e rifugio di al Qaida, lo prova una volta di più l’appello, lanciato proprio ieri da Kabul a Islamabad, perché le autorità pachistane “prendano misure serie” contro “i gruppi terroristi” che fanno il bello e il cattivo tempo nelle regioni tribali transfrontaliere. Come punto sul vivo, il Pakistan replica annunciando l’eliminazione di 23 insorti. Eppure, i talebani pachistani si sentono così sicuri da creare un’autorità di vigilanza su stampa e media, con tanto di pena di morte per chi diffonde notizie false sull’islam più di una volta. Chi sa che cosa farebbero a noi, con tutti ‘sti annunci della cattura del Mullah Omar.

Francia: l' 'affaire Bettencourt' inzacchera Eliseo e politica

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 07/07/2010

L’acqua sporca dello scandalo Bettencourt, che saliva da giorni, inzacchera l’Eliseo. Il presidente Nicolas Sarkozy respinge l’accusa che il suo partito abbia ricevuto finanziamenti elettorali illeciti dalla più ricca donna di Francia, tramite l’attuale ministro del lavoro Eric Woerth. Ma Claire T, la gola profonda di questa vicenda, lo chiama in causa direttamente: quand’era sindaco di Neuilly, negli Anni 80 e 90, anche ‘Sarko’ passava di persona all’incasso. L’Eliseo replica: “tutto falso”.

L’accusatrice è una ex contabile di Liliane Bettencourt, donna anziana e oggi fragile, principale azionista del gigante della cosmesi L’Oreal. Secondo il sito Mediapart, Claire T. ha raccontato, lunedì, alla polizia di avere ritirato 150mila euro da consegnare cash a Woerth in buste senza contrassegno come donazioni per la campagna presidenziale di Sarkozy nel 2007.

La vicenda accresce le pressioni su Sarkozy perché attui un rimpasto di governo: diversi suoi ministri sono ‘chiacchierati’ –due si sono dimessi domenica, perchè avrebbero sperperato il denaro dei contribuenti- e la sua popolarità è al minimo storico del 26%. La tempesta di scandali e inefficienza, nella tradizione repubblicana d’Oltralpe, avvicina la politica francese a quella italiana: non è più tempo di ironie su quanto avviene a Roma, perché –dice all’ANSA il politologo e sociologo Marc Lazar- “è ora di spazzare l’uscio di casa nostra”.

La storia, per ora, è contorta e parte da faide familiari oscure. L’avvocato della contabile conferma che la sua cliente ha parlato alla polizia; l’avvocato della Bettencourt non commenta. Sarkozy respinge l’accusa e difende il ministro, vittima di calunnie “senza fondamento”: il presidente vuole che la gente s’interessi alla riforma della sanità o delle pensioni, più che a scandali “creati ad arte”.

Woerth, il tesoriere del partito di Sarkozy e della campagna 2007, nega d’avere avuto un solo euro in donazioni illecite. “Non intendo assolutamente dimettermi, perché sarebbe una vittoria per quanti m’insultano ogni giorno: non se ne parla nemmeno”. Sua moglie fino a un mese fa lavorava per l’amministratore dei beni della Bettencourt.

Il premier Francois Fillon considera le accuse “un tentativo di destabilizzazione sistematico”: il governo –dice- “non si lascerà intimidire”. Ma esponenti della maggioranza sollecitano Sarkozy ad anticipare un rimpasto in programma per ottobre e ad annunciarlo in televisione prima di partire in vacanza il 14 Luglio, il giorno della presa della Bastiglia.

L’opposizione socialista e comunista, rimasta prudente al profilarsi dello scandalo, lascia i banchi del Parlamento, quando viene accusata di “fare il gioco dell’estrema destra” perché pone domande durante un ‘question time’ in diretta tv. La leader socialista Martine Aubry invita il presidente “a dire la verità”; e il suo ex compagno di partito e ora nemico giurato Dominique de Villepin gli chiede di reagire.

Per legge, le donazioni ai partiti non possono superare i 7.500 euro l’anno per persona (150 cash). Claire T. non consegnò il denaro a Woerth, ma lo diede – racconta - all’amministratore di famiglia, che si sarebbe incaricato della consegna. Le accuse risalgono ben più indietro del 2007: il sindaco Sarkozy, come numerosi altri politici, sarebbe stato regolarmente ospite a casa Bettencourt. Invito
a pranzo con –al momento del caffè, in salotto- bustarella, da 100mila e persino 200mila euro.

SPIGOLI 'Sarkozconi, o la 'berlusconizzazione' di Sarkozy

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 07/07/2010

Berlusconi = Sarkozy: a suggerire l’equazione è la stampa anglosassone. Ma, attenzione!, non c’è né da illudersi né da ‘ringalluzzirsi’ (notare, prego, il riferimento ai ‘galletti’ bleus d’Oltralpe finiti lessi ai Mondiali come i polli azzurri nostrani): non è Mr B che s’ispira a M. le Président dell’Eliseo –e anche così, non ci sarebbe da impazzire di gioia-, ma è il marito di Carlà che scopiazza il (quasi) ex marito di Veronica. Seguendo le vicende più o meno recenti di Le Monde, Afp e tv, il Guardian analizza come Sarkozy influenza i media ed evidenzia i timori in Francia d’una “berlusconizzazione dei media”, anche se restano –precisa- “fondamentali differenze”. Il NYT, invece, affronta il tema della giustizia: la riforma di Sarkozy incontra ostacoli come quella di Berlusconi. E poi ci sono gli scandali finanziari, i ministri che si dimettono: la Francia è nel vortice del ciclone, l’Italia non ne esce mai. L’uscita di scena di Brancher fa titolo su FT e su WSJ, in Francia e in Spagna, in Europa e in America. Ma le letture divergono: per FT, è un “colpo a Berlusconi”, che è ora –Le Monde- “più fragile”; il WSJ, invece, sostiene che il premier “va a nozze di fronte all’agitazione politica” e Les Echos nota che Berlusconi scampa alla mozione di sfiducia.

martedì 6 luglio 2010

Eritrei esuli: sos via sms dal deserto di Libia, Roma tace

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 06/07/2010

Gli sos via sms dal deserto di Libia non fanno suonare le sirene d’allarme né a Palazzo Chigi nè alla Farnesina. L’Italia della gente di buona volontà, l’Italia delle organizzazioni non governative rilancia le richieste d’aiuto disperate che arrivano dal centro di detenzione di Braq, vicino a Sebah, nel mezzo del Sahara, dove attualmente la temperature raggiungono i 50 gradi: lì, nudi da giorni, molti coperti del proprio sangue, pestati, feriti, 245 rifugiati eritrei, fra cui 18 donne e bambini, rischiano la vita, in condizioni di detenzione durissime, dopo essere stati trasferiti per punizione dal campo di Misurata

La vicenda è stata segnalata e seguita, in questi giorni, con particolare attenzione dell’Unità. Le voci da Braq sono frammentarie, ma tutte danno un quadro allucinante di maltrattamenti e precarietà: alcuni detenuti per la disperazione avrebbero tentato il suicidio bevendo acido.

Il Cir, il Consiglio italiano dei rifugiati, e altre sigle si fanno megafono dei disperati appelli all’intervento internazionale dei rifugiati eritrei, in particolare “dopo i maltrattamenti subiti negli ultimi giorni”. Ma dai palazzi del Potere, fedeli alla consegna dell’amicizia con il regime del dittatore libico Muhammar Gheddafi e rispettosi del principio di non ingerenza, non vengono echi.

Intendiamoci, un casi come questi la discrezione può essere la scelta giusta: proprio il Cir dichiara di “avere motivo di pensare che il governo italiano si stia muovendo”, dopo una telefonata del ministro degli esteri Franco Frattini al presidente del Cir Savino Pezzotta. E alla Farnesina non si esclude una presa di posizione europea.

Ma non c’è tempo da perdere. Amnesty International denuncia i pericoli cui i rifugiati eritrei andrebbero incontro se fossero ‘deportati’ in patria: “la tortura, la punizione riservata ai colpevoli di ‘tradimento’ e ‘diserzione’” e la vita. Per loro, la cosa più sicura sarebbe il trasferimento in Italia e un’accoglienza nel nostro Paese. Ma siamo ben lontani da una prospettiva del genere: da quando la Libia ha chiuso l’ufficio dell’Onu per i rifugiati a Tripoli, le prospettive di quanti vogliono fuggire a regimi repressivi o semplicemente alla povertà sono peggiorate.

Nell’immediato, le organizzazioni umanitarie chiedono di potere rendere visita al centro di Braq e di potere prestare cure di emergenza agli eritrei feriti e a quanti hanno contratto malattie infettive. Poi c’è la preoccupazione di evitare che siano rimpatriati, nel rispetto del principio internazionale del ‘non respingimento’ verso Paesi a rischio tortura e di maltrattamenti. Un’annunciata visita dell’ambasciata di Eritrea a Tripoli nel centro di Braq è considerata una minaccia di deportazione,
o di rappresaglia contro le famiglie dei rifugiati rimaste in Eritrea: dei contatti diplomatici in corso danno notizia fonti dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni a Tripoli.

Dal Parlamento, vengono richieste di spiegazioni al ministro Frattini e al ministro dell’interno Alberto Maroni, che, più della situazione in Libia, s’interessa del rischio d’immigrazione via Malpensa: “E’ la nuova Lampedusa”, dice, in base a uno studio secondo cui con 15mila euro si compra un passaggio aereo da un Paese extracomunitario a un grande scalo Ue –una cifra da capogiro, per i disperati delle carrette del mare’-.

“Dobbiamo risolvere il dramma degli eritrei in Libia e dobbiamo anche evitare che casi del genere si ripetano”, afferma il senatore Pd Roberto Di GiovanPaolo. Sotto accusa è l’accordo con la libia, fiore all’occhiello del Governo Berlusconi, perché riduce il flusso dei clandestini, a detrimento, però, dei principi umanitari. “L’intesa con Tripoli non funziona –denuncia Di GiovanPaolo-: quando venne firmata, perché non si parlò anche di diritti umani?”.

La fase più tragica dell’odissea dei 245 rifugiati eritrei cominciò il 30 giugno: dopo un tentativo di fuga la sera prima, un centinaio di soldati e poliziotti libici, pesantemente armati, fecero irruzione nel centro di detenzione di Misurata. Dopo un pestaggio seguito dal ricovero di 14 detenuti, tutti i malcapitati furono caricati su due container e trasferiti con un viaggio blindato di 12 ore a Sabha. Lì, le condizioni di detenzione sono drammatiche: sovraffollamento, acqua e cibo insufficienti, servizi igienici inadeguati.