Scritto per Il Fatto Quotidiano del 27/07/2010
Ci sono documenti segreti, che, quando vengono resi pubblici, confermano solo quello che già tutti sanno. E l'ultimo scoop di Wikileaks, il sito di Julian Assange che dal 2006 s’impegna a diffondere materiale riservato, prova che il conflitto in Afghanistan va male e che la guerra contro il terrorismo - la più lunga mai combattuta dagli Stati Uniti ed anche la più costosa mai combattuta in assoluta - e' densa di errori ed e' un fiasco.
Nulla di nuovo, penserà che segue le cronache del conflitto. Ma un conto è che lo dicano analisti e commentatori. E un conto è vederlo nero su bianco sui rapporti ‘top secret’ destinati a quanti, tra Casa Bianca e Pentagono, decidono strategie e tattiche. L’effetto dello scoop e' devastante: 92mila documenti militari Usa che, dal 2004 al 2009, descrivono stragi di civili, morti per fuoco amico e pure il doppiogioco dei servizi segreti pachistani a sostegno dell'insurrezione talebana, che riceve pure aiuti dall’Iran.
Però, come spesso accade, la cronaca si rivela più devastante dei documenti, su carta o su web che siano. Così, mentre i governi coinvolti cercano di schivare il ‘colpo’ di Assange, diventa ufficiale che un razzo della Nato, la scorsa settimana, ha colpito un'abitazione nel villaggio di Rigi, distretto di Salgin provincia di Helmand, uccidendo 52 civili "fra cui donne e bambini". I contorni dell'episodio restano incerti, ma l'accusa è ufficiale: viene dal governo afghano, che è stato informato dei risultati dell’inchiesta sulla strage. Kabul condanna l'episodio nei termini più duri; e la notizia va ben oltre il dibattito di chiacchiere suscitato dalla valanga di documenti su Wikileaks.
Assange, un australiano di 39 anni, un hacker e un attivista per i diritti umani, difende il suo scoop, condiviso con New York Times, The Guardian e Der Spiegel, in una sorta di “nuova alleanza” tra stampa tradizionale e new media, come un esempio di "buon giornalismo": le rivelazioni mettono a nudo lo squallore della guerra senza mettere a repentaglio le truppe al fronte. Ma la Casa Bianca e il Pentagono non la pensano così: i portavoce del presidente Obama dicono che la pubblicazione “può fare danni” e difendono l’operato del Pakistan; i militari parlano di “atto criminale” che può compromettere la sicurezza dei soldati e degli agenti in prima linea e persino la sicurezza nazionale.
In Europa, i Paesi chiamati in causa sono più cauti. Londra nega pericoli per i soldati sul campo, Parigi e Berlino si riservano di esaminare la massa di materiale. Per l’Italia, il ministro degli esteri Franco Frattini giudica “molto preoccupanti” le informazioni filtrate, aggiungendo, però, che servono verifiche per accertarne l’affidabilità. Nessuna conferma che fonti Usa a Roma definiscano “insopportabile” l’atteggiamento di una Ong italiana, che potrebbe essere Emergency, come si deduce da dichiarazioni di Assange riferite dal Tg3.
Il presidente afghano Hamid Karzai afferma che nei documenti "non c'e' nulla di nuovo", ma sottolinea gli episodi di fuoco amico e il ruolo da mestatore dell'Isi, l'intelligence pachistana. Invece, il governo di Islamabad parla di materiale "equivoco e fuorviante".
Che la guerra vada male militari e politici lo sapevano, prima dei documenti su Wikileaks, la cui fonte potrebbe essere un soldato analista di 22 anni, Bradley Manning. Il capo di Stato Maggiore statunitense, ammiraglio Michael Mullen, ammonisce le truppe che "il conflitto e' a un momento cruciale" e ammette che otto anni sono andati sprecati. E il senatore John Kerry, presidente della Commissione Esteri, chiede di "ricalibrare" l'intervento.
I soldati al fronte subiscono i contraccolpi dell’incertezza: fra di loro, i suicidi sono sempre più numerosi. A giugno, 21 soldati Usa impegnati in Iraq e in Afghanistan si sono uccisi. E domenica un militare italiano appena tornato a Kabul da una licenza s’è tolto la vita: è la 26.a perdita della missione.
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