Scritto per Il Fatto Quotidiano del 17/07/2010
Di solito sono le cattive notizie ad essere come le ciliegie: una tira l’altra, e non ci si fermano mai. E, invece, questa volta, per il presidente statunitense Barack Obama, la buona notizia non arriva sola: giovedì, il Senato ha dato via libera alla riforma della finanza; e ieri la Bp avrebbe constatato che la fuga di petrolio sul fondo del Golfo del Messico sarebbe stata bloccata, per la prima volta dal 20 aprile, quasi tre mesi. Il presidente saluta l’annuncio con soddisfazione, ma invita alla prudenza, perché la falla ha già riservato molte delusioni: il condizionale, per il momento, resta d’obbligo.
Tutto all’indicativo, invece, il voto del Senato, che ha consegnato alla firma del presidente Obama la più vasta riforma finanziaria negli Stati Uniti dagli Anni Trenta, cioè dall’epoca rooseveltiana dell’uscita dalla Grande Depressione. Per Barack il riformista, è la seconda vittoria legislativa molto importante in pochi mesi, dopo il varo della riforma sanitaria. La campagna democratica in vista delle elezioni di midterm del 2 novembre, quando gli americani rinnoveranno tutta la Camera e circa un terzo del Senato, può ripartire di qui.
Commentando l’adozione del testo Dodd-Franck, dai nomi del senatore Chris Dodd e del deputato Barney Franck che l’hanno concordato, il presidente Obama ha detto che l’attuazione della riforma porrà fine “agli affari loschi” che hanno portato il sistema finanziario americano alla crisi globale dell’autunno 2008 e hanno precipitato l’economia statunitense in uno stato di confusione e d’incertezza da cui fatica a uscire (gli indicatori restano contraddittori).
Il presidente, però, ha fiducia che il testo che firmerà la prossima settimana faciliterà il rilancio d’un’economia “innovativa, creativa e competitiva”, meno esposta al panico delle Borse e in grado di mettere i consumatori e i contribuenti al riparo dagli errori degli speculatori di Wall Street.
Non è però scontato che il presidente e il suo partito intaschino il dividendo delle riforme ora approvate nelle consultazioni di novembre, perché i cittadini percepiranno l’impatto delle novità nella sanità e nella finanza solo fra qualche tempo. Gli ultimi sondaggi indicano che Obama, impotente di fronte alla marea nera e finora incapace di individuare una via d’uscita in Afghanistan, non gode della fiducia di sei americani su dieci (e oltre quattro su dieci non approvano la gestione del conflitto). Ce n’è abbastanza per prevedere che il voto di midterm faccia perdere ai democratici il controllo di almeno uno dei rami del Congresso.
In Senato, giovedì sera, tutto era filato liscio: il testo legislativo di oltre 2.300 pagine è stato approvato con 60 sì e 39 no (tra i sì, pure tre repubblicani, con il no ’da sinistra’ del senatore Russ Feingold). La Camera aveva già licenziato lo stesso testo il 30 giugno con 237 sì e 192 no.
Feingold ha motivato il voto contrario con l’insufficienza del provvedimento, che si limita –dice- alla “vigilanza prudenziale”. I repubblicani hanno invece spiegato il loro no con “l’eccesso di potere” conferito agli enti regolatori: nell’opposizione, c’è chi invoca l’abrogazione della riforma prima ancora che sia promulgata, perché sarebbe “solo un modo di estendere la burocrazia dello Stato federale e il controllo dell’Amministrazione sulle attività del settore privato”, afferma Richard Shelby, portavoce repubblicano nella commissione bancaria. Fra i tre repubblicani ‘dissenzienti’ e favorevoli, c’è il senatore del Massachussetts Scott Brown, che dopo avere sottratto ai democratici il seggio che fu di Ted Kennedy mostra indipendenza di giudizio dal suo partito.
La riforma estende il controllo degli organismi regolatori su interi settori finanziari finora sottratti ad ogni regola e prevede la creazione di uno strumento di protezione dei consumatori in particolare di prodotti finanziari, in seno alla Banca centrale degli Stati Uniti, la Federal Riserve. Inoltre, non potrà più ripetersi quanto avvenuto nell’autunno/inverno 2008/2009, cioè il salvataggio di grandi istituzioni finanziarie a spese dei contribuenti.
Fra le misure adottate, un maggiore controllo dell’immenso mercato dei prodotti derivati, strumenti speculativi all’origine della crisi finanziaria. C’è pure la cosiddetta ‘clausola di Volcker’, dal nome del consigliere economico del presidente, Paul Volcker, che mira a far sì che le banche commerciali si concentrino sull’attività di prestito. Il passaggio à stato però edulcorato in extremis, consentendo, così, alle banche commerciali di continuare a vendere prodotti d’investimento a certe condizioni.
Volcker, alla fine, non era proprio soddisfattto. Mentre il presidente della Fed Ben Bernanke, che vede i poteri della sua istituzione aumentare, parla di “un passo avanti importante”. In Europa, i banchieri più progressisti stanno con Volcker: il problema non è quello di fissare nuovi requisiti per capitale e liquidità, ma di reintrodurre segmentazioni per tipo di intermediario, di cliente e di prodotto, magari fino a una separazione tra banche commerciali e banche di investimento.
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