Scene da bivacco e partite di ruzzle per un accordo al ribasso. Di
meglio, forse, non si poteva proprio fare, al Vertice di Bruxelles, con quel
Cameron che pare la Thatcher e la Merkel che non pare Kohl. Ma non è che
Hollande faccia il Mitterrand e Monti –beh, bisogna risalire indietro!- il De
Gasperi. Dal negoziato maratona sul bilancio Ue atto secondo –gli stessi leader
ci avevano già provato a novembre, andando in bianco-, l’Unione europea esce
con la programmazione finanziaria per i prossimi sette anni, dal 2014 al 2020.
Il Vertice dei capi di Stato o di governo dei
28 - c’è pure la Croazia, che entrerà il 1.o luglio – si conclude così con
quello che i leader e i diplomatici possono definire “un successo”. E l’Italia
ne esce perdendoci un po’ di meno di quanto rischiava: il premier –professore –
candidato calcola d’avere ottenuto fondi aggiuntivi
per 3,5 miliardi e d’avere ridotto il deficit netto a 3,8 miliardi; e dichiara
iniziata “l’inversione di tendenza”.
La riunione decisiva, 25 ore, è fatta,
soprattutto, di pause e di confessionali bisbigliati a due a due o a gruppetti.
L'intesa si trova su una bozza di compromesso presentata all’alba dal
presidente Herman Van Rompuy e poi rivista, lasciando invariate le cifre che
contano: 960 miliardi di impegni e 908 di pagamenti; tagli netti rispetto alle
proposte della Commissione (oltre 100 miliardi in meno); ma qualcosa in più di
quanto Londra e Berlino parevano disposte a scucire.
L’accordo non è però blindato: il Parlamento
europeo deve dire ancora la sua. Il presidente
dell’Assemblea, Martin Schulz, giudica il pacchetto “un inganno incredibile”. Senza il sì di Strasburgo l’intesa salta. Scatterebbe la formula
d’emergenza dell’ ‘esercizio provvisorio’: ci sarebbero più soldi a
disposizione; però, i capitoli di spesa sarebbero bloccati. E c’è chi
s’immagina una toppa: una clausola di revisione nel
2017, quando la crisi –si spera- sarà un ricordo.
La notte tra giovedì e venerdì è stata lunga e
scomoda, per i leader e le loro delegazioni. Chi c’era racconta di Monti che riposa su un sofà, della Merkel accasciata su una poltrona e
ancora di Cameron chiuso in una stanza buia –a dormire, e che altro?-. Il
premier italo-belga Elio Di Rupo, impeccabile col suo papillon, compare verso
le 4 al bar della stampa: cerca un panino. Il ministro finlandese Alexander
Stub si autotwitta in versione 'dorme-in-piedi’. E la presidente lituana Dalia
Grybauskaite, una ex commissaria al bilancio, passa il tempo spiegando ai
giornalisti come stanno le cose.
Che si decidano così i destini dell’Unione, non
ci crede nessuno: il braccio di ferro tra il Consiglio e il Parlamento; lo
scontro tra Nord e Sud e pure tra Est e Ovest; la battaglia aerea tra falchi
del rigore e colombe della crescita; tutto appare ridimensionato e
‘umanizzato’. Altro che tragedia greca, che pure c’è; piuttosto, una commedia
di de Filippo.
All'alba, arriva la bozza di compromesso della
presidenza del Vertice. Ma non ci siamo ancora: tira e molla, una pausa, la
ripresa del negoziato. Quando arriva il tweet di van Rompuy sono
le 16.22: “Deal done”, accordo fatto. Molti non ci credevano più: la ritualità comunitaria
vuole che, se l’intesa maturata la notte non si concretizza subito, poi
prevalgano passi indietro e ripensamenti; e, alla fine, ci si ritrova con un
nulla di fatto, o con un’altra notte di trattative davanti.
Invece, stavolta, è andata bene. O,
almeno, è andata in porto. Nel suo tweet, il presidente del Vertice fa un
commento positivo. “Valeva la pensa di aspettare”. Ma, in realtà, le dieci ore trascorse
dalla presentazione della nuova bozza all'accordo finale hanno cambiato ben poco
o nulla. Però, era prendere o lasciare: una volta constatato che la soluzione
non poteva essere “un assegno tedesco”, di alternative ne restavano poche.
La Francia e l’Italia ci guadagnano
qualcosa, o ci perdono un po’ meno, per agricoltura e coesione. E i leader
possono andarsene esprimendo soddisfazione, magari con una punta di rammarico
–si poteva fare meglio-. Ma qui bisognava decidere all'unanimità, tra minacce
di veto da parte di chi ne ha l’abitudine -la Gran Bretagna- e pure di chi ne è
refrattario –l’Italia- e persino di piccoli come la Repubblica ceca. Pochi e
subito, per tirare intanto avanti. Poi si vedrà.
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