P R O S S I M A M E N T E

Buone Feste - Sereno Natale - Un 2017 Migliore - Buone Feste - Sereno Natale - Un 2017 Migliore - Buone Feste - Sereno Natale - Un 2017 Migliore

mercoledì 19 ottobre 2016

Renzi in Usa: la serenata, interessata, di Barack a Matteo

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 19/10/2016

Il ‘tappeto rosso’ metaforico – e non solo - della diplomazia americana per gli amici che contano, o almeno che servono, è stato srotolato per intero: una visita tutta ‘latte e miele’ per Matteo Renzi, che non è la solita visita ‘tarallucci e vino’ spesso toccata ai leader italiani, pacca sulle spalle (che c’è stata) e “vai, che siamo amici, ma io ho da fare”. Qui, invece, Obama sostiene di avere tenuto “il meglio” per la fine del suo mandato, cioè l’ultima cena di Stato con l’amico Matteo e l’italica cucina.

Il programma non potrebbe essere più carico: l’incontro nello Studio Ovale, una colazione al Dipartimento di Stato con il vice-presidente Biden e il segretario di Stato Kerry e molti ospiti italiani, la cena di Stato alla Casa Bianca, che diventa il clou della giornata. Perché, nel colloquio di lavoro, non ci sono contenziosi, ma solo affinità.

E, poi, in Europa, dopo la Brexit, che è stata uno schiaffo anche per lui, Obama ha bisogno di lasciare in eredita al suo clone Hillary Clinton un amico fidato, se non proprio solido e trasparente a tutto tondo (leggi Russia, dove Roma è meno rigida di Washington). E l’Italia oggi è meglio della Germania, che frena la spinta alla crescita di cui gli Usa hanno bisogno, e della Francia, con il cui presidente Hollande non c’è mai stata una buona sintonia. Sul piano personale, Angela Merkel s’è pure legata al dito il fatto che l’intelligence americana spionasse il suo cellulare.

Il trattamento per Renzi è quello speciale, che i presidenti statunitensi riservano agli ospiti alleati con cui sono particolarmente in sintonia – per Ronald Reagan, era Margaret Thatcher – o di cui hanno particolarmente bisogno; oppure agli ospiti che alleati non sono, ma con cui c’è bisogno di stabilire una relazione speciale – George W. Bush ci provò con Vladimir Putin, senza però riuscirci -. Capita, anche, se la diplomazia americana prenda topiche colossali, come quando celebrò l’alleanza in funzione anti-terrorismo con il presidente Salah, destinato a diventare di lì a poco – e a restarlo fino ad oggi - un ‘guastafeste’ nella regione.

Con Renzi e con l’Italia, Obama, e gli Usa, rischiano di meno: la stretta di mano calorosa, le parole dolci sull’amicizia e il referendum – “il sì può aiutare l’Italia”, il passaggio su cui Palazzo Chigi aveva più lavorato – e quelle di prammatica sul “grande contributo” in Libia e altrove, il ‘darsi del tu’ che in americano significa chiamarsi per nome.

Dal linguaggio del corpo alle affinità familiari, con la presenza di Michelle e di Agnese: “Abbiamo avuto la fortuna di avere sposato due donne fantastiche, che hanno dedicato gran parte della loro vita a educare i nostri figli”, che sono pure i loro: una cosa del genere, quando l’ospite era Silvio Berlusconi, che al G20’ di Pittsburgh s’incanto a scrutare la scollatura di Michelle, Obama non poteva certo immaginarsi di dirla.

Il presidente non ha lesinato gli omaggi all’Italia, politici, storici, convenzionali: il ruolo della Resistenza e quello degli immigrati nel ‘fare grande’ l’America, la cultura e la moda, il cibo e il vino, fino a Sofia Loren e al rammarico di non avere – e nessuno glieli presterebbe – avi italiani, ma con il sentimento di sentirsi “italiano onorario”. E l’omaggio è anche personale e politico, per Renzi, “una nuiva generazione di leader nel Mondo”, e per le “riforme coraggiose” che servono a sfidare lo ‘statu quo’.

Il premier gioca di sponda, ricambia sullo stesso tono. Lui chiude “Viva gli Stati Uniti, via l’Italia, viva la libertà”, e sembra la replica di un berlusconi a Camp David nel 2004. Obama sfoggia un italiano di cortesia: apre con ‘buongiorno’, fa strada con un ‘benvenuti, amici italiani’, dopo essere passato per il proverbio ‘patti chiari amicizia lunga’. In realtà, l’amicizia, per lui, è questione di mesi: fra meno di cento giorni, il presidente passerà la mano al suo successore e Renzi, se toccherà ancora a lui, dovrà aprire un altro capitolo ‘americano’. Ma con Hillary, ripetere una sceneggiata del genere gli sarà difficile. Verrebbe meglio caratterialmente con Trump, ma lui fa il tifo per la Clinton e non perde occasione per ricordarlo. A Barack, Matteo dà appuntamento in Italia, per “mangiare l’amatriciana” da ex: dall’Aquila nel 2009 al 2016, c’è sempre un terremoto nell’Italia di Obama.

Nessun commento:

Posta un commento