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giovedì 21 ottobre 2010

Afghanistan: impantanati li' tra guerra e negoziati

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 21/10/2010

Afghanistan: oltre nove anni dopo, e quasi 2.000 caduti ‘nostri’ dopo (34 gli italiani) –i loro, non li ha mai contati nessuno-, ci ricordiamo ancora perché ci siamo andati?, e, soprattutto, sappiamo perché ci restiamo? Ogni giorno, la confusione aumenta: il New York Times scrive di «trattative segrete ad alto livello» tra governo di Kabul e talebani, con il coinvolgimento della Nato; il ministro Frattini nega il coinvolgimento della Nato, il presidente Obama convoca una riunione strategica alla Casa Bianca con un sacco di facce nuove nel suo staff.

Andiamo con ordine. Ci siamo andati per combattere il terrorismo. E, adesso, ci restiamo per creare le condizioni che ci consentano di venirne via al più presto: iniziare il disimpegno nel 2011, portare via tutte le truppe combattenti entro il 2014, prima è meglio è.

L'attacco parti' il 7 ottobre 2001, meno di un mese dopo gli attacchi terroristici dell’11 Settembre (kamikaze integralisti fecero 3.000 vittime tra New York e Washington). Dallo Studio Ovale, in una domenica d’autunno che la capitale federale era rossa e frusciante di foglie morte, Bush annuncio’ che la guerra al terrorismo era cominciata. Negli stadi di football, la gente d’America in piedi scandi’ ‘Iu-es-ei, Iu-es-ei’. L’Onu non mise in dubbio la legittimità dell’iniziativa; la popolarità del presidente supero’ il 90% : la più alta di tutti i tempi.

In Afghanistan, c'erano i santuari, i campi d'addestramento e le basi di al Qaida, la rete terroristica di Osama bin Laden, che aveva rivendicato gli attacchi dell’11 Settembre. E in Afghanistan c'erano al potere i talebani, complici di al Qaida e lontanissimi dal rispetto di molti valori alla base della nostra civiltà (democrazia, tolleranza, rispetto delle donne, solo per citarne alcuni).

Inizialmente, il conflitto fu rapido e trionfale: rovesciato il regime, distrutti i campi addestramento.Vittoria completa? C’erano due nei: i fattori O2. Non è chimica: nè uccisi, nè catturati, il mullah Omar, il capo dei talebani, e Osama, il capo di al Qaida, crearono, intorno a sè, un alone da primule rosse dell’internazionale integralista.

A quel punto, si doveva badare a riorganizzare e ricostruire uno Stato devastato
da vent’anni di sanguinosi conflitti. Bush punto’ su Hamid Karzai, figura carismatica, ma non indenne al cancro della corruzione, e trascuro’ l’Afghanistan, preso com’era dall’invasione dell’Iraq. E il conflitto afghano, che tra il 2003 e il 2005 pareva chiuso, riprese vigore: la cenere dell’insurrezione covava sotto la neve dei durissimi inverni.

L’Italia ci arrivo’ nel 2004, quando il peggio pareva passato. I militari italiani s’installarono in una zona allora tranquilla, con regole d’ingaggio da missione di pace più che di guerra. Ma, dal 2005, le cose, invece di migliorare, vanno peggiorando. Non è stato un caso: dietro, ci sono scelte (sbagliate) precise. Se la ricostruzione, necessaria come la sicurezza alla democrazia, è la priorità, la comunità internazionale non puo’ impegnarsi a spendere, in 12 anni, meno di quanto gli Stati Uniti spendono in un anno per fare la guerra. Risultato: il livello di vita non sale abbastanza in fretta, fuori da Kabul, e le dinamiche dell’integralismo, della povertà e dell’insurrezione contro lo straniero si sommano e si cementano.

Ora, bisogna restare per favorire la riconciliazione e dare allo Stato, com’é avvenuto in Iraq, la capacità di garantire ai cittadini un livello di sicurezza accettabile. Di qui, l’accento sull’addestramento delle forze afghane, cui l’Italia dà un grosso contributo. La Nato facilita il dialogo fra Karzai e i talebani, che, pero’, negano la trattativa.

Siamo un po’ al gioco delle parti e un po’ alla commedia dell’assurdo. Pero’ -Il Fatto l’ha già scritto- è una tragedia. I capi talebani traversano l’Afghanistan in sicurezza, ‘protetti’ dall’Isaf, mentre i convogli dell’Isaf saltano sulle bombe dei talebani. Pare un 25 Luglio. Sperando che l’8 Settembre afghano sia meno caotico del nostro.

L’Occidente ha fretta di arrivare al punto di potere venire via senza dare l’impressione di scappare, come fecero i russi. Negli Usa e altrove, l’opinione pubblica non è mai stata meno favorevole all’operazione militare, che non è mai stata cosi’ cruenta (600 i caduti, solo quest’anno).

Ma le scadenze sono scritte sulla neve del terribile inverno afghano; e annunciarle rafforza la resistenza. La democrazia è lontana -1,3 milioni i voti non validi nelle elezioni di settembre. La pace è più vicina, dice Karzai. Più che vincere la guerra, ci sono ormai da chiudere i negoziati. Pero’, al tavolo della trattativa mancano i fattori O2: quelli, Omar e Osama, comprarseli dev’essere difficile come trovarli. O no?

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