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sabato 11 ottobre 2014

Italia/Ue: aspettando Godot, ansia da Def tra promesse e moniti

Scritto per EurActiv.it l'11/10/2014
Aspettando Godot, che nell’Ue sono i 300 miliardi di euro di investimenti del piano Juncker, l’Italia si prepara a vivere il consueto ‘tira e molla’ con la Commissione europea sul Def. Alle avvisaglie d’atteggiamenti negativi da parte delle autorità comunitarie, il ministro Pier Carlo Padoan replica con sicurezza: l’Ue non boccerà l’Italia, perché “abbiamo i numeri giusti e siamo tra i pochi che stanno sotto la soglia del deficit del 3%”.
I prossimi giorni saranno cruciali: la Legge di Stabilità, appunto il Def, va recapitata a Bruxelles entro il 15 ottobre. Di mezzo, ci sono, lunedì e martedì, le riunioni di routine dell’Eurogruppo e dell’Ecofin.
Da Washington, dove partecipa alle riunioni annuali del Fondo monetario internazionale, Padoan azzera lo voci di bocciatura della Legge di Stabilità. "Non c'è alcun negoziato in coso sul Def – dichiara alla Cnn- e non vedo alcuna possibilità che venga respinto".
Le agenzie di rating mollano randellate a destra e a manca, ma, per il momento, risparmiano l’Italia. Che è invece tartassata dalle previsioni economiche dell’Fmi: Pil in calo dello 0,2% quest’anno, unico grande Paese in recessione. L’Italia resta vulnerabile: non sforerà sul deficit, ma non realizzerà il pareggio strutturale.
Padoan parla di una crescita dello 0,5% nel 2015, segnala il persistere dell’incertezza tra deflazione e inflazione, descrive una ripresa in Europa “anemica e disomogenea”, situa allo 0,8% la crescita dell’Eurozona nel 2014. Il dato della produzione industriale, che risale ad agosto, non crea illusioni: resta negativo su base trimestrale ed annua.
Il Fondo ne ha per tutti: taglia le stime di crescita mondiali, avverte che la ripresa è “debole” e “diseguale”. Come fa, la Banca centrale europea a livello europeo: la crescita nell’Eurozona perde slancio, il calo di fiducia maggiore si avverte in Italia – e, senza crescita né fiducia non si creano posti di lavoro -.
Se la Bce resta pronta a ulteriori “misure non convenzionali”, i governi devono fare la loro parte e accelerare sulle riforme: quelli che non lo faranno “saranno cacciati” - dai loro cittadini, è magari sottinteso, ma va chiarito -. Con linguaggio insolito, la Banca afferma che, senza riforme, l’Italia non ha un “futuro radioso”.
E l’Italia sembra prestare ascolto: il premier Renzi legge in positivo gli incoraggiamenti, scontati e persino banali, venuti dalla Conferenza sul Lavoro svoltasi a Milano mercoledì, in contemporanea al dibattito al Senato sul ‘Jobs Act’. I leader dell’Ue presenti, che della riforma del lavoro sanno solo quel che lui dice loro , lo spronano ad andare avanti.
La cancelliera tedesca Angela Merkel, in versione buonista, giudica il ‘Jobs Act’ un passo contro la disoccupazione; e si dice pure fiduciosa, mentre le cresce il naso alla Pinocchio, che Francia e Italia rispetteranno gli impegni presi. Il presidente della Bce Mario Draghi dà il suo avallo, specificando che l’importante non è licenziare, ma assumere. Il presidente della Commissione Manuel Barroso s’aspetta “un grande impatto”. L’Ocse si congratula.
Galvanizzato, Renzi sposta subito l’attenzione su un’altra riforma, quella fiscale, incurante del fatto che nessuna di quelle finora impostate –legge elettorale, Senato, Province, P.A., lavoro- è stata portata a compimento: “Se faremo le scelte giuste –dice-, tra vent’anni saremo un Paese leader”.
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano parla di “passo avanti”, ma aggiunge che “molto resta da fare”. Padoan si mette in scia: “Il ‘Jobs Act’ è solo un pezzo d’un piano di riforme ambizioso. Il lavoro è la priorità, i posti arriveranno”
Tra promesse ostentate, preoccupazioni smorzate e tentazioni di compiacimento, l’Italia s’appresta a presentare la Legge di Stabilità a Bruxelles. In attesa di conoscere i dettagli sulla manovra, pare che il governo intenda spingere il deficit 2015 al limite del 3%, allontanando il pareggio di bilancio fino al 2017. L’impostazione potrebbe dispiacere agli alfieri del rigore della Commissione Juncker.

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