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martedì 15 novembre 2016

Usa 2016: Trump persevera, nomina un razzista, telefona a Putin

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 15/11/2016

Altroché cambio di passo, tra il candidato e il presidente: per Donald Trump, nella terra di mezzo tra l’elezione e l’insediamento, è sempre l’ora dei populismi. E l’ipotesi di disimpegno degli Usa dagli accordi sul clima crea ansia e panico a livello planetario, poiché l’Onu diffonde dati allarmanti sul riscaldamento globale.

Preso in un vortice di interviste, il presidente eletto annuncia che il suo stipendio sarà di un dollaro l’anno: roba che i grillini in Italia ci rodono (ma Donald può permetterselo; e poi - diciamola tutta - sui 400 mila dollari che gli sarebbero toccati avrebbe dovuto pagarci le tasse).

"Credo di dovere prendere per legge almeno un dollaro e allora prenderò un dollaro l'anno”: Trump risponde così a Lesley Stahl, di 60 Minutes, che gli chiede se prenderà lo stipendio da presidente degli Stati Uniti. "La risposta è no" dice il magnate, che poi mostra di non sapere neppure quale sia la retribuzione da comandante in capo. Quando la Stahl gli fa notare che sta rinunciando a 400 mila dollari, Trump resta fermo: "Non li prenderò".

Le dichiarazioni del presidente eletto sono ad ampio raggio: dopo avere ribadito l’intenzione d’espellere tre milioni di immigrati illegali e di alzare la barriera al confine con il Messico, conferma di volere nominare alla Corte Suprema un giudice anti-aborto e insiste nel sostenere che le migliaia di manifestanti che dalla sera del 9 sfilano contro di lui sono “attivisti pagati”. Ma Trump invita pure i suoi sostenitori a cessare gli attacchi razzisti, s’impegna a eliminare i lobbisti dal suo ‘transition team’ – ma se li ha appena nominati? – e afferma che tra lui e Barack Obama c’è una buona intesa.

Anche i think tank conservatori s’interrogano sulla fattibilità del muro e sull'efficacia. Nel suo dire e fare post-elezione, Trump oscilla tra la conferma della linea anti-establishment, che lo ha portato al successo, o la ricerca di un compromesso con i moderati del partito repubblicano. Le scelte finora fatte lo confermano: una colomba come capo di gabinetto alla Casa Bianca e un falco come stratega e primo consigliere.

In un'ottica pragmatica e concreta, il presidente eletto inizia a comporre la sua squadra partendo dall'incarico più delicato: il capo di gabinetto (di fatto, una sorta di premier) sarà Reince Priebus, l’attuale presidente del partito repubblicano, tra i pochissimi esponenti dell’establishment che non gli sono stati ostili, capace di fare da ponte tra il magnate e i moderati che l’osteggiavano.

Stephen Bannon, ex patron del sito conservatore Breitbart, ex capo della campagna elettorale, sarà, invece, "capo stratega e consigliere anziano" della Casa Bianca, una carica inventata per lui, che non ha invece buoni rapporti con l’establishment repubblicano.

Bannon ha guidato per quattro anni, dopo la morte del fondatore Andrew Breitbart, il sito populista, rendendolo portavoce "della "piattaforma di alt-right", piccola ma rumorosa frangia legata all'ideologia della destra radicale, suprematista e anti-semita. Sotto la guida di Bannon, il sito è stato palestra per teorici della cospirazione anti-Obama e dell'allarmismo xenofobo: la sua nomina suscita una tempesta anti-razzista.

Mentre il presidente eletto lavora alla sua squadra, il presidente Obama è in arrivo in Europa, dove trova interrogativi cui non saprà rispondere e inquietudini che non potrà stemperare. Fermentano pure ottimismi idealistici, come quelli di Federica Mogherini, che, al neo-isolazionismo di Trump, risponde con propositi di difesa europea. Un po’ fuori dal coro il ministro Gentiloni che trova l’Ue “preoccupata”, anti “troppo preoccupata” dopo il consulto con i colleghi dei 28. Da Washington, per il momento, nessuna risposta alla lettera dei leader europei.


Terrorismo internazionale e questione siriana sono i temi della prima telefonata tra Trump e Putin, di cui danno notizia i russi. La Cina e, a sorpresa, l’Iran aprono alla cooperazione con il magnate. E il turco Erdogan, che forse un po’ come Putin si riconosce in lui, vuole invece incontrarlo presto.

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