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venerdì 25 marzo 2016

Terrorismo: Bruxelles, quante e dove sono le Molenbeek d'Europa

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 24/03/2016

Il Francia, il ministero dell’Istruzione le chiama ‘Zep’, zone di educazione prioritaria. Coincidono, spesso, con quelle che il ministero dell’Interno chiama ‘Zus’, zone urbane sensibili: formule ‘soft’, per indicare le aree dove formare i ragazzi è un’impresa per professori ad alta motivazione, pagati pure meglio, e dove il rischio di fondamentalismo è più alto. Al cinema, nel 2008, ne ha raccontata una per tutte, vincendo la Palma d’Oro a Cannes, Laurent Cantet, con La Classe (Entre le Murs): un insegnante, François Bégadeau, che interpreta se stesso, ricostruisce la sua esperienza d’un anno scolastico, fra ragazzi di etnie diverse, che quando parlano fra di loro non si capiscono e quando parlano con l’insegnante lui non li capisce.

In Francia, ce ne sono 751 di Zus: concentrate intorno a Parigi e tra l’Ile-de-France e il Belgio, dense intorno a Lilla, Marsiglia, Grenoble, Bordeaux, presenti anche in Alsazia e Lorena, quasi lungo il confine con la Germania, sono le banlieus e le città dormitorio delle estati violente – la più calda di tutte quella del 2005 -. Ci vivono i tre quarti dei musulmani francesi: 4,5 milioni su circa 6 milioni (la stragrande maggioranza provenienti dal Maghreb ex francese, marocchini, algerini, tunisini, oltre che maliani e sub-sahariani).

Ma i ‘mini-Califfati’, quartieri dove non mettere piede, neppure se sei la polizia, anzi soprattutto se sei la polizia, non sono una prerogativa della Francia e, nemmeno del Belgio, che pure offre ora Molenbeek a paradigma dei ‘belgistan d’Europa’: zone dove la legge è un mix di anarchia e sharia; dove ci si ritrova indifferentemente in una gang o nella jihad e, magari, si passa dall'una all'altra; e da dove si parte per andare a fare i ‘foreign fighters’ e si torna, se si torna, per fare i kamikaze.

Sono il frutto di scelte di ghettizzazione che, per garantire la percezione di sicurezza degli autoctoni, hanno segregato generazioni d’immigrati neri e arabi, favorendone la radicalizzazione. Che s’è poi spesso ‘perfezionata’ nelle carceri, sorta di università della jihad. Accadde anche in Italia: a Torino, più che a Milano, con i ‘meridionali’ negli Anni Cinquanta, quartieri di casermoni tirati su in fretta, dove la sera in famiglia gli operai ritrovavano gli usi ‘del paese’ e dove i torinesi manco provavano ad avventurarsi. Nonostante lingua, religione e nazionale fossero le stesse, ci volle una generazione e la vittoria nei Mondiali dell’ ’82 perché ci si sentisse non solo tutti italiani, ma pure concittadini.

In Europa, ora, il fenomeno è aggravato dalle differenze di etnia, lingua, religione; e dai fallimenti dell’integrazione che  i ‘belgistan’ testimoniano. In Svezia, il Paese più accogliente con i rifugiati, in rapporto alla popolazione, un terzo degli abitanti di Malmoe è islamico. In Danimarca, il Paese fra i Nordici più refrattario all'accoglienza, c’è, nell’hinterland di Copenaghen, una cittadina dove vige la sharia. In Germania, Berlino conserva quartieri turchi, come Neukoelen, dove la polizia avrebbe individuato infiltrazioni di jihadisti – un tempo erano lungo il Muro, ai confini del Mondo -. In Olanda, le zone a rischio sono decine (40, secondo un centro studi sul terrorismo islamico): l’Aja fu la scena dell’assassinio del regista Theo Van Gogh; Amsterdam ha il quartiere Kolenkit.

Diversa la situazione in Inghilterra, se non altro perché diversi sono i percorsi dell’immigrazione dal Commonwealth. Il che non ha però impedito il formarsi di sacche di radicalismo, già tragicamente protagoniste di attentati letali. Molti pakistani hanno la maturità per fare una saga artistica e culturale della propria integrazione, come molti turchi in Germania. E molti musulmani hanno successo in affari, come il proprietario del Leicester, il club di Ranieri in testa al campionato. Ma a Londra e nelle città dell’Inghilterra post industriale i ‘quartieri ghetto’ non mancano.

Pure la Spagna, che fu il primo bersaglio europeo di al Qaeda, ha presenze radical-islamiche. E poi ci sono la Bosnia e tutti i Balcani, dove gli odi etnici e religiosi s’intrecciano e i traffici di droga e d’armi possono servire di copertura e foraggiamento alla causa integralista. Come a Molenbeek.

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