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mercoledì 1 giugno 2016

Iraq: l'incubo delle madri di tutte le battaglie, da Falluja a Mosul

Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 01/06/2016

Alle ‘madri di tutte le battaglie’ ci abbiamo ormai fatto l’abitudine, adesso che è quasi ricorrente fare la guerra in Iraq: 25 anni fa la prima volta, che fu legittima. Il diritto d’autore della formula, che si direbbe porti un po’ di iella – quando la usi, poi perdi -, spetta a Saddam Hussein, che la usò per mobilitare le sue forze e il suo popolo.

Di ‘madri di tutte le battaglie’, gli iracheni ne combatterono – e ne persero - nel 1991 contro l’allora ‘coalizione internazionale’; e, poi, di nuovo, dopo l’invasione del 2003, contro l’allora ‘coalizione dei volenterosi’. Ora, il sedicente Stato islamico dell’autoproclamato Califfato affronta scontri forse decisivi a Falluja e a Mosul, centri cruciali nella geografia bellica di quest’inizio di XXI Secolo.

A Falluja, l’esercito regolare iracheno e miliziani lealisti sciiti con inquadramento iraniano sono impegnati, con l’appoggio dell’aviazione Usa e alleata, a riprendere la città ai miliziani jihadisti, che vi oppongono accanita resistenza, dopo avere già perduto Tikrit e Ramadi. Al Jazira riferisce che gli attaccanti avrebbero subito nelle ultime ore perdite di uomini e mezzi, mentre gli integralisti organizzano sortite e contrattacchi, anche con l’uso di autobomba.

A Falluja, che aveva oltre 400 mila abitanti nel 2003, resterebbero, secondo alcune stime, 50 mila abitanti circa, fra i quali sarà difficile distinguere civili e miliziani: la città, che ha una storia biblica – era sede d’un’accademia ebraica in epoca babilonese –, è nota nel mondo musulmano per le sue 200 moschee” ed è uno dei luoghi di culto più importanti dell’islam sunnita.

Considerata dal comando americano nel 2003/’04 una irriducibile roccaforte degli insorti sunniti e della resistenza irachena, fu teatro di combattimenti urbani fra i più aspri e violenti del conflitto: 20% almeno delle abitazioni distrutte, 40% danneggiate, decine di moschee colpire, un numero mai precisato di vittime civili. Vi si combatté nella primavera del 2004 - operazione Vigilant Resolve -, un anno dopo il rovesciamento del regime di Saddam, e vi si combatté di nuovo in autunno, dall’inizio di novembre alla vigilia di Natale - operazione Phantom Fury – (ad accendere la scintilla furono l'uccisione in un’imboscata e lo scempio di quattro ‘contractors’ dell'agenzia Blackwater).

I militari americani e britannici, impegnati a riprendere il controllo della città con il supporto assolutamente inadeguato dei regolari iracheni mal addestrati e poco determinati, vanno qui incontro alle perdite maggiori di tutto il conflitto. L'utilizzo di ordigni al fosforo suscita polemiche e lascia, gfra i soldati e i civili, una striscia di morte e di malattie.

Per le sue caratteristiche etniche e religiose, Falluja, il 5 gennaio 2014, è fra le prime città irachene ad innalzare le bandiere nere dello Stato islamico: i miliziani non la prendono dall’esterno, ma vi sono già dentro e ne assumono il controllo in capo a sei giorni di scontri e oltre 60 morti. Ora, dopo 27 mesi, la battaglia di Falluja s’è riaccesa.

Poi, toccherà a Mosul, la capitale irachena del Califfato, l’antica Ninive, una città molto più grande – un milione e mezzo di abitanti – ed etnicamente e religiosamente  meno compatta di Falluja. Qui, nel luglio del 2014, il califfo al-Baghdadi apparve in un video – una predica in moschea : l’ultimo suo documento certificato -. E qui, il 22 luglio 2003, militari amerini della 101° Airborne Division, appoggiati da forze speciali, uccisero due figli superstiti e ribelli di Saddam Hussein, Uday e Qusai – con quest’ultimo, c’era il figlio, Mustafa, un ragazzo di 16 anni, rimasto pure ammazzato -. Qusai era una delle anime nere del regime iracheno, capo delle forze di sicurezza, comandante militare, un’aneddotica dell’orrore.

Allertati da un informatore iracheno, i soldati accerchiarono la casa di Mosul, dove i figli di Saddam s’erano asserragliati: con l’aiuto di elicotteri Apache e di un A-10, e dopo tre ore di combattimenti, ogni resistenza fu stroncata. In quel momento, il regime era stato abbattuto, l’ex dittatore era in fuga – sarebbe stato catturato solo a dicembre -, la resistenza pareva stroncata. E, invece, 13 anni dopo, siamo di nuovo a combattere negli stessi luoghi gli strascichi di quella guerra. E le condizioni tutt’intorno, dalla Siria alle tensioni acuite fra Iran e Arabia saudita, sono persino peggiori. 

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