Scritto per Il Fatto Quotidiano del 28/05/2010
ROMA – All’alba di martedì 18 maggio, alpini paracadutisti, insieme a marines e a commandos afgani, attaccarono un accampamento talebano non lontano da Bala Murghab, nella stessa zona dove, meno di 24 ore prima, era scattata la trappola letale contro il convoglio alleato in cui c’era il blindato Lince del sergente Massimiliano Ramadù e del caporalmaggiore Luigi Pascazio. Poi intervenne l'aviazione statunitense, che colpì gli insorti ormai in rotta.
L’operazione militare del 18 maggio è così ricostruita dal settimanale L'Espresso oggi in edicola: una normale azione anti-talebani, magari quella per cui la colonna di Ramadù e Pascazio era in movimento?, o una rappresaglia, per fare capire ai talebani che anche gli italiani sanno rispondere colpo su colpo? Per L’Espresso, l'autorizzazione all’attacco venne direttamente dal ministro della Difesa Ignazio La Russa, che replica e precisa che quel tipo di operazioni "non vengono concordate con il ministro della Difesa, ma sono iniziative dei capi dell'Isaf, iniziative che, tra l'altro, si svolgono quasi tutti i giorni e tutte le settimane".
Il settimanale riscontra una traccia dell’operazione nel bollettino del comando Usa che coordina le operazioni aeree in Afghanistan: "Un bombardiere B1 Lancer ha sganciato ordigni di precisione contro postazioni nemiche... L'azione e' stata dichiarata un successo dagli osservatori sul terreno quando è cessato il fuoco nemico". Il blitz avrebbe seguito una tattica standard: gli incursori prendono posizione nel buio e attaccano al sorgere del sole; l’offensiva spinge i talebani verso passaggi obbligati, dove altre unità Nato, dotate di puntatori laser, dirigono sui bersagli le bombe dal cielo.
Che l’attacco fosse previsto da tempo o che sia stato deciso a caldo, dopo l’uccisione di Ramadù e Pascazio e il ferimento di altri due alpini, cambia, in fondo, poco: il fatto à che, in Afghanistan, si combatte una guerra, anche se c’è chi si ostina a parlare di "missione di pace". Ma le affermazioni de L’Espresso suscitano subito reazioni politiche: Rosa Calipari, vice-presidente dei deputati del Pd e vedova di un caduto in Iraq, chiede a La Russa di smentire; e l’Idv chiede al Governo di riferire in aula, perché l’episodio fa cadere, è la tesi, la foglia di fico della missione di pace.
Le notizie de L’Espresso arrivano in un giornata afgana di consueta violenza: lo scoppio d’un Ied (un ordigno come quello su cui saltarono Ramadù e Pascazio) costa la vita a un militare della Nato nel Sud –e fanno 219 nel 2010, in tragica media coi 520 del 2009, l’anno più cruento dall’intervento nel 2001-; e fonti di stampa segnalano che 400 famiglie hanno abbandonato distretti della provincia di Helmand, sottraendosi alla recrudescenza degli scontri nella zona. Eppure, tre mesi or sono l’offensiva Mushtarak, Insieme, avrebbe dovuto ripulire l’area dai talebani.
L’Afghanistan è stato uno dei temi della missione a Washington del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che –mercoledì sera, prima di ripartire per Roma- aveva detto di avere avuto “conferma di quanto il contributo italiano sia apprezzato negli Stati Uniti”. Richard Holbrooke, rappresentante speciale di Barack Obama per Afghanistan e Pakistan, ci torna su: è “impressionato” dallo sforzo “non solo militare” dell’Italia, “determinante pure nella ricostruzione”. Gli americani vogliono che gli italiani “assumano un ruolo politico nell’Ovest”, come i tedeschi nel Nord e loro nel Sud. Ma, sul terreno, Holbrooke dice: “Non sono sicuro che abbiamo fermato i talebani”.
L’Afghanistan è fra i temi obbligati della nuova strategia di sicurezza nazionale presentata ieri, che cancella la formula bushiana della ‘guerra al terrorismo’, ma non rinnega la guerra: “Non siamo in guerra contro una tattica, il terrorismo, né contro una religione, l'Islam. Siamo in guerra contro un gruppo specifico, al Qaida, ed i suoi affiliati”. La guerra per l'America continua; e per l'Italia anche.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento