Scritto per Il Fatto Quotidiano del 23/08/2011
Se parla persino Mr B, vuol dire che, per il colonnello Gheddafi e il suo regime, è proprio finita. Ieri, il presidente del Consiglio italiano ha fatto sentire la propria voce sulla vicenda libica dopo lungo silenzio, quando l’epilogo del conflitto è ormai tracciato: Silbio Berlusconi rivendica il posto dell’Italia accanto ai vincitori: “Il Consiglio nazionale transitorio –ha detto- e tutti i combattenti libici impegnati a Tripoli stanno coronando la loro aspirazione a una nuova Libia democratica e unita. Il governo italiano è al loro fianco”.
Da migliore amico del dittatore sconfitto a candidato migliore amico del ribelle vincitore, il passo può essere breve, quando uno ha la faccia tosta giusta. Al Cnt, Mr B rivolge pure un appello: “Esortiamo gli insorti ad astenersi da ogni vendetta e ad affrontare con coraggio la transizione verso la democrazia con spirito di apertura nei confronti di tutte le componenti della popolazione. Al tempo stesso, chiediamo al colonnello Gheddafi di porre fine a ogni inutile resistenza, risparmiando, in tal modo, al suo popolo ulteriori sofferenze”.
Una dichiarazione compitino, dopo avere seguito sostanzialmente in silenzio il crollo di un dittatore verso cui aveva mostrato eccessiva inclinazione. Chè, se uno gli amici se li sceglie pericolosamente fra i ceffi meno raccomandabili di questo mondo, dal bielorusso Lukashenko al kazako Nazarbayev, per non parlare del’ ‘amico Vladi’, il russo Putin, poi qualche incidente di percorso deve pure metterlo in conto.
In tutta questa evoluzione libica, il silenzio di Berlusconi doveva probabilmente servire a rendere meno stridente l’inversione a U dell’Italia, qualificatasi prima dell’insurrezione come la migliore amica del regime libico e che, dopo l’esplosione della rivolta, quando cambiare cavallo diventa inevitabile, cerca di riciclarsi come migliore amica della nuova Libia.
A quel punto, è meglio che Berlusconi, l’uomo che s’è inginocchiato di fronte a Gheddafi e che lo ha accolto due volte a Roma con onori straordinari, facendogli piantare la tenda a Villa Pamphili e lasciandogli predicare il Corano a centinaia di ‘vergini’, parli il meno possibile. Tanto più che, all’inizio della crisi, le dichiarazioni del premier avevano spesso causato imbarazzo alla diplomazia italiana già chiamata a barcamenarsi in una situazione oggettivamente difficile.
Il !9 febbraio, alla domanda se avesse chiamato l’amico Gheddafi dopo i primi scontri a Bengasi, Mr B risponde: “No, non l’ho sentito. La situazione è in evoluzione e, quindi, non mi permetto di disturbare nessuno”. Però, aveva aggiunto, “stiamo seguendo con il cuore in gola la situazione dell’arrivo di immigrati nel nostro Paese”, contro cui il regime di Gheddafi era un gendarme molto efficace, anche grazie alle motovedette fornitegli dall’Italia.
Il 22 febbraio, poi, quando Gheddafi accusa l’Italia, e l’America, di avere “dato dei razzi ai ragazzi di Bengasi”, Berlusconi gli telefona per smentire: “L’Italia non ha fornito armi ai manifestanti”. Ed il giorno dopo il premier dice sì basta “all’inaccettabile violenza libica che ha superato ogni limite”, ma esprime pure “massima allerta per un quadro imprevedibile che potrebbe degenerare in una deriva fondamentalista ad alto rischio per chi, come l’Italia, è esposto a potenziali e biblici flussi di emigranti e dovrà comunque fare tornare i propri conti energetici”. Insomma, la solfa di Mr B è stata a lungo quella di ‘chi lascia la vecchia via per la nuova sa cosa lascia e non sa cosa trova’.
A un certo punto, Francesco Verderami, sul Corriere della Sera, scrive che Berlusconi avrebbe paura della vendetta del rais: «Lui me l' ha giurata. Lo so da fonti certe». Il premier sarebbe più nervoso e del solito e apparirebbe scosso, perché «Gheddafi mi vuole morto». La rivelazione è seguita da puntuale smentita, ma è chiaro che un’amicizia s’è ormai rotta, mentre un’alternativa deve ancora essere costruita per salvaguardare gli interessi economici ed energetici dell’Italia. Più che di essere ‘fatto fuori’ dal colonnello dittatore, Mr B teme, forse, che vengano fuori i retroscena di un’amicizia improbabile quanto imbarazzante: intrecci d’affari che giustifichino il rapporto altrimenti improbabile fra un uomo d’affari milanese messosi in politica e un ufficiale tripolino radicale e rivoluzionario divenuto dittatore.
A puntellare un’ipotesi di alternativa post-Gheddafi, Berlusconi ci ha ieri provato con una telefonata al leader del Cnt Mahmud Jibril, di cui Palazzo Chigi ha dato un rendiconto molto positivo. “Nel colloquio, il presidente del Consiglio italiano s’è complimentato per la rapida avanzata delle forze del Cnt, riconfermando l’impegno dell’Italia a sostegno della nuova Autorità per la costruzione di una Libia democratica e unita. Il premier ha inoltre manifestato apprezzamento per la volontà del Cnt di evitare qualsiasi vendetta e ha auspicato che la Libia possa presto avere un governo che rappresenti tutte le componenti del Paese”. Jibril, dal canto suo, avrebbe “ringraziato calorosamente l’Italia per l’appoggio dato”, sottolineando in particolare che “la vicinanza dell’Italia al popolo libico ha radici profonde” –e chissà se pensava al passato coloniale o al Trattato d’Amicizia firmato d Gheddafi e Berlusconi bel 2008, quasi tre anni fa giusti giusti-. Il premier e il capo del Cnt avranno modo di approfondire la discussione in un incontro in Italia nei prossimi giorni. Nella certezza che Jibril non si porterà dietro tende da montare e non pretenderà ‘vergini’ da imbonire. Almeno per ora.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento