Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano il 12/02/2015
In ‘Niente di nuovo sul fronte occidentale’, un intenso romanzo
autobiografico contro la guerra scritto da Erich Maria Remarque, il
protagonista, Paul Baumer, è un studente tedesco di 19 anni, che si arruola e
parte per la Prima Guerra Mondiale mosso da idealismo patriottico: Paul scopre,
giorno dopo giorno, l’orrore e l’inutilità del conflitto e viene ucciso, quando
già crede di esserne uscito vivo, alla vigilia dell’armistizio.
Ho pensato a Paul Baumer, quando ho saputo che l’accordo concluso a Minsk
tra Russia e Ucraina, dopo una lunga maratona notturna negoziale, 15 ore quasi
non stop, prevede un cessate il fuoco dalla mezzanotte di sabato, le 22 ora
italiana. Saranno sicuramente decine, forse di più, i Baumer d’Ucraina, soldati
regolari o ribelli filo-russi, o civili senza militanza, che, tra qui e l’attuazione
della tregua, perderanno la vita.
Le ore che precedono l’entrata in vigore di un cessate il fuoco sono sempre
tragiche. C’è chi, contrario alla tregua, cerca di farla saltare. E c’è chi,
esaltato o paranoico, vuole scaricare l’arma prima di riconsegnarla. E c’è chi
usa l’ultimo momento utile per una vendetta, o una rivalsa.
L’accordo di Minsk, per il momento, è essenziale: prevede il ritiro dal fronte delle armi pesanti, ma
lascia margini d’incertezza, ad esempio, su quanto accadrà a Debaltsevo, nodo
ferroviario strategico tra Donetsk e Lugansk. Putin dice: "I
miliziani filorussi s’aspettano che le truppe accerchiate depongano le armi".
Poroshenko resta vago.
Si spera che basti perché le parti in causa fermino il bagno di sangue e
avviino un processo di pace vero e sincero il prima possibile. Nessuno dei
problemi di fondo all’origine del conflitto è stato risolto a Minsk. L'obiettivo
dell’esercizio era del resto limitato: non la pace, ma una tregua che permetta
ora di lavorare a un’intesa stabile e duratura.
Che cosa, dunque, può indurci a credere che questo cessate il fuoco sia più
solido di altri?, di quello di settembre di continuo violato? La mobilitazione
della diplomazia internazionale è stata molto più evidente: i negoziati tra il presidenti russo Putin e Poroshenko,
con il presidente francese Hollande
e la cancelliera tedesca Merkel
nel ruolo di mallevadori, hanno avuto un’enfasi eccezionale.
Ieri, a Minsk, in un palazzo sovietico
nell’architettura e nella ritualità, i colloqui sono cominciati alle 18,30 ora italiane, prima
fra i soli leader, poi con le delegazioni allargate, compresi i leader delle
province secessioniste, e sono proseguiti per tutta la notte praticamente senza
interruzione. Questa mattina, la situazione pareva compromessa; poi s’è
sbloccata.
Dunque, i leader si sono esposti di più. Anche chi non c’era, come Obama, che
s’è speso con Putin in lunghe telefonate. Dei potenziali protagonisti di questo
negoziato, da cui dipende la sicurezza di tutto il continente, militare,
politica, economica, energetica, mancava solo l’Unione europea. Troppo deboli
le sue voci – l’italiana Mogherini – o troppo di parte – il polacco Tusk o la
lettone Straujuma – per stare al tavolo.
L’impegno dei leader è, però, funzione della drammaticità della situazione.
L’Ucraina è stremata dal conflitto; la Russia dalle sanzioni, dal rublo debole,
dal petrolio a metà prezzo. Le alternative all’intesa suonavano minaccia per
Mosca, ma non piacevano all’Ue, pronta a inasprire le sanzioni, ma pure a
subirne ritorsioni, e agli Usa, con Obama riluttante a fornire armi letali agli
ucraini.
Hollande dice che l'accordo i Minsk dà sollievo all'Ue e speranza a Kiev. Forse, la pace
scoppierà davvero. Ma il soldato Baumer non la vedrà.
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