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domenica 10 gennaio 2016

Narcos: 'el Chapo' preso, ma gli Usa non si fidano del Messico e lo voglionio

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 10/01/2016

Due anni or sono, nel febbraio 2014, quando Joaquin ‘el Chapo’ Guzman, re dei narcos, fu arrestato per la seconda volta, le dichiarazioni di Phil Jordan crearono notevole imbarazzo tra Stati Uniti e Messico. Jordan, un ex responsabile dell'intelligence della Dea, l’agenzia anti-droga Usa, a El Paso, città di confine che solo un ponte sul rio Grande – o rio Bravo – separa da Ciudad Juarez, raccontò alla Univision che il boss super-ricercato aveva finanziato la campagna elettorale del presidente Enrique Pena Nieto, eletto nel 2012. Jordan era già in pensione: l’ambasciata di Washington a Città del Messico e la stessa Dea s’affrettarono a precisare che le sue dichiarazioni non rispecchiavano il punto di vista ufficiale degli Stati Uniti.

Ma qualche dubbio, sull'affidabilità dei messicani, gli agenti nord-americani dovevano avercelo. E ce l’hanno tuttora, a giudicare dalla fretta che hanno di mettere ‘el Chapo’ in una loro prigione: “Devono darcelo”, dicono concordi sulla stampa Usa candidati alla presidenza come Marco Rubio, un ispanico, e docenti di diritto. Anche se il presidente Pena Nieto, ha ricordato, dopo l’arresto, che 98 dei 122 criminali più ricercati del Messico sono stati catturati, a riprova dell’impegno profuso dalla sua Amministrazione contro il crimine organizzato.

Però, se ‘el Chapo’ finisce dietro le sbarre per la terza volta, vuole dire che due volte ne è evaso, usando corruzione e connivenze. Ed è stato ora riportato nella prigione de Altiplano, le cui vie d’uscita ha già dimostrato di conoscere bene. Per di più, in carcere ha sempre avuto un trattamento di favore, che gli consentiva di continuare a gestire gli affari del Cartello di Sinaloa. Né i suoi averi, stimati dalla rivista Forbes a un miliardo di dollari, sono mai stati posti sotto sequestro.

L’ultima volta che gli Stati Uniti ne avevano chiesto l’estradizione era stata il 25 giugno 2015, pochi giorni prima della sua seconda evasione –e non è escluso vi sia un nessu tra l’una cosa e l’altra -. L’Ap scrive che venerdì le telefonate da Washington a Città del Messico sono arrivate quando le armi usate per la cattura di ‘el Chapo’ erano ancora calde: “Estradatelo negli Usa”.

I responsabili messicani riconoscono che se ne parla e non escludono che la richiesta possa essere accettata, ma non prima della metà dell’anno. Gli Stati Uniti intendono processare il re dei narcos per traffico di droga ed altre accuse correlate.

E’ evidente che i nord-americani non si fidano fino in fondo dei loro partner latino-americani, quando si tratta di narco-traffico – così come non si fidano dei loro alleati medio-orientali e mediterranei quando si tratta di terrorismo -. I precedenti a Panama e in Colombia lo dimostrano, senza contare che le cronache del Messico sono fitte di casi di combutta tra la politica, nazionale e locale, e la criminalità organizzata. Fonti messicane, che non hanno potuto essere verificate, snocciolano dati attribuiti al Dipartimento del Tesoro Usa , secondo cui ‘el Chapo’ avrebbe creato in Messico una rete di 95 imprese, 14 delle quali avrebbero avuto rapporti commerciali - contratti o appalti - con l’Amministrazione Pena Nieto.

Nel 1989, per estradare Manuel Antonio Noriega, che, oltre che gestire un traffico di droga, era pure presidente di Panama, gli Stati Uniti lanciarono una vera e propria operazione militare, denominata Giusta Causa: Noriega, un generale che aveva pure goduto dell’appoggio della Cia, trovò rifugio nella Nunziatura, ma l’anno dopo si consegnò agli Usa, dove fu processato e condannato. Il capo del Cartello di Medellin, invece, Pablo Emilio Escobar Gaviria, a un certo punto della sua carriera criminale, conclusasi nel 1993 con la sua uccisione, si costituì ai colombiani in cambio dell’impegno a non estradarlo negli Stati Uniti. Poi, dopo una prigionia dorata, evase.

Intanto, s’è appreso che a tradire ‘el Chapo’ sarebbe stata la sua vanità: s’era, infatti, impegnato nella realizzazione di un film autobiografico, la cui trama aveva come punto forte la sua ultima evasione, e per prendere contatto con produttori e attori (e soprattutto attrici) ha fatto passi falsi.

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