Scritto per Il Fatto Quotidiano del 14/01/2016 e, ieri, per il blog de Il Fatto in altra versione
Obama ‘fa l’americano’, di quelli che, se gli chiedi
come stanno, ti rispondono sempre “great”, che vanno alla grande, anche se
hanno appena perso il lavoro, la moglie li ha piantati, la salute fa acqua e la
loro squadra è stata sconfitta nel Super-Bowl all’ultimo secondo. Il discorso
sullo stato dell’Unione del presidente, l’ultimo della serie, ha un’impronta
ottimista: l’America resta la nazione più forte, l’economia non è in declino e
chi dice il contrario “fantastica”. Alla sua gente, quest’Obama piace: “Non
aveva mai parlato così bene”, dicono i sondaggi a caldo. Altro che l’Amleto
problematico di altri interventi.
Pare un Renzi d’America, a dire il vero con qualche
ragione in più per menare vanto (un esempio: 14 milioni di posti di lavoro
creati). Il presidente sprona i cittadini a non avere paura del nuovo: “Viviamo
in un’epoca di straordinari cambiamenti – dice, in sintesi – e il futuro può
essere nostro, se rafforziamo le nostre politiche”, perché “il progresso non è
inevitabile e si basa su scelte da fare insieme”.
Il ritornello è quello della concordia perduta: la
capacità da ritrovare priorità bipartisan, mentre larga parte della sua
presidenza è rimasta impantanata nella contrapposizione tra Casa Bianca
democratica e Congresso controllato dall’opposizione repubblicana.
Davanti alle massime autorità istituzionali,
politiche, giudiziarie, militari, e ai tanti ospiti – ci sono pure un rifugiato
siriano, un ex immigrato clandestino, una veterana ora homeless e un
testimonial della legalizzazione delle nozze omosessuali -, Obama snocciola
risultati conseguiti: il risanamento dell’economia, la riforma dell’assistenza
sanitaria, quella dell’immigrazione – da completare -. C’è pure una sedia
vuota, fra il pubblico: simbolizza le vittime delle armi da fuoco. E’ l’ultima
battaglia del presidente nero per rendere migliore, e più sicura, l’America:
non la combatte da solo, perché – si scopre – il 60% dei cittadini è con lui.
Tre i punti essenziali di politica estera toccati:
l’Iran, dove Obama è certo che l’intesa sul nucleare raggiunta eviti un rischio
di guerra; Cuba, dove il presidente sollecita il Congresso a togliere
l’embargo, perché – ricorda - la Guerra Fredda è finita; e la lotta contro il
terrorismo. Il sedicente Stato islamico non è una minaccia esistenziale per gli
Stati Uniti e quella contro le milizie jihadiste non è una terza guerra
mondiale, ma bisogna fare di più. Obama cita Papa Francesco, dicendo no
all’odio contro i musulmani; e rinnova l’impegno a chiudere la prigione di
Guantanamo costosa e inutile (è dal 2008 una sua promessa elettorale).
Donald Trump, battistrada fra gli aspiranti
repubblicani alla Casa Bianca, sbadiglia su Twitter: “Uno dei discorsi più
noiosi, sconclusionati e vuoti che abbia mai sentito. Una nuova leadership sta
per arrivare”. Hillary Clinton, battistrada democratica, è garrula su Facebook:
“L’America è migliore grazie alla guida” di Obama.
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