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venerdì 13 marzo 2015

Usa: razzismo; Ferguson, il ritorno delle Pantere Nere

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 13/03/2015

Spari contro la polizia a Ferguson, il sobborgo di St.Louis nel Missouri epicentro, dall'estate scorsa, delle tensioni razziali negli Stati Uniti: due agenti vengono feriti, uno al volto, l’altro alla spalla; non sono gravi. Accade durante una manifestazione anti-razzista: quasi una festa dopo le dimissioni del capo della polizia locale, sollecitate da tempo dagli attivisti per i diritti civili.

L’episodio riaccende la febbre razziale in tutta l’Unione, di nuovo alta dalla scorsa settimana. Quegli spari non sono l’eco della protesta non violenta del movimento di Martin Luther King, di cui sabato scorso il presidente Obama ha celebrato il 50° anniversario della marcia di Selma, ma piuttosto della lotta dura delle Pantere Nere, storica organizzazione rivoluzionaria afro-americana.

Dalla Casa Bianca, Obama interviene: "La violenza contro la polizia è inaccettabile”, afferma, condannando il ferimento dei due agenti. "Le nostre preghiere vanno a loro. La via per la giustizia è una, dobbiamo percorrerla tutti insieme", scrive in un messaggio sull'account Twitter ufficiale.

A Ferguson, la situazione non s’è mai completamente normalizzata, dopo l’uccisione, il 9 agosto, d’un ragazzo nero di 18 anni, Michael Brown, disarmato, a opera di un poliziotto, Darren Wilson.

La scorsa settimana, la pubblicazione di un rapporto del Dipartimento di Giustizia federale aveva rinfocolato asti e polemiche: l’agente che sparò resta non perseguibile, ma la polizia del sobborgo viene aspramente criticata, per le discriminazioni e le vessazioni compiute contro cittadini afro-americani, per le strade, in commissariato, in tribunale.

Il rapporto innesca le dimissioni del sindaco John Shaw, in carica dal 2007, del giudice municipale Ronald J. Brockmeyer e, infine, del capo della polizia Thomas Jackson, bersaglio delle critiche più dure.

La manifestazione di mercoledì notte, cui partecipavano decine di persone, era cominciata pacifica. Poi, c'è stato qualche disordine e una ventina di poliziotti in tenuta antisommossa sono intervenuti e hanno fermato due persone. Intorno a mezzanotte, quando molti manifestanti se ne erano già andati, si sono sentiti dei colpi d'arma da fuoco, non è chiaro quanti.

Gli agenti feriti non prestavano servizio a Ferguson: quello colpito al volto, 32 anni, è di stanza altrove nella contea; quello ferito alla spalla, 41 anni, è della polizia della contea. Le ferite, inizialmente definite "molto gravi", si sono rivelate leggere: entrambi sono sempre rimasti vigili e, dopo qualche ora, sono stati dimessi.

Contrastanti le prime versioni di quanto accaduto, di cui esiste pure un video amatoriale, che non fa però luce sulla dinamica. Jon Belmar, nuovo capo della polizia, parla di un agguato e dice che chi ha sparato era fra i protestatari. DeRay McKesson, uno degli organizzatori della manifestazione, che era sul posto sostiene, invece, che "chi ha sparato non era tra noi, era in cima alla collina”. Ci sono stati dei fermi, degli interrogatori, ma nessuna incriminazione.

Le manifestazioni davanti al commissariato di South Florissant Road sono ormai divenute routine. Il rapporto federale nota che, negli ultimi due anni, a Ferguson, i cittadini neri, che sono il 67% della popolazione, sono stati oggetto dell'85% dei controlli di traffico, del 93% degli arresti e dell'88% dei casi in cui la polizia ha usato la forza.

Ma il problema non è solo Ferguson. La scorsa settimana, subito prima delle celebrazioni di Selma, a Madison in Wisconsin un poliziotto uccideva un ragazzo nero di 19 anni, sospettato d’aggressione, ma non armato. E nelle stesse ore un altro nero era freddato da un agente ad Aurora, un sobborgo di Denver in Colorado: la vittima aveva 37 anni, era ricercato, ma era disarmato.

Episodi la cui frequenza nel tempo e distribuzione sul territorio dell’Unione dimostrano che l’America deve ancora fare i conti con il razzismo, anche se ha eletto un nero presidente. Anzi, Obama, che vinse le elezioni nel 2008 dichiarando l'obiettivo di unire il Paese, è in realtà percepito come il presidente più divisivo degli ultimi 60 anni. Le sue scelte, e forse la sua stessa presenza, hanno polarizzato l’opinione pubblica: progressisti contro conservatori, sostenitori di una nuova frontiera dei diritti civili contro razzisti e bigotti.

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