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martedì 24 novembre 2015

Terrorismo: amici/nemici, gli alleati instabili della strana guerra

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 24/11/2015

Sono un classico della geo-politica di tutti i tempi: i nemici che diventano amici quando c’è da combattere un nemico comune; salvo poi tornare ad essere nemici, una volta compiuta la missione congiunta. E, a volte, te li ritrovi contro galvanizzati dal successo ottenuto e resi più pericolosi e più minacciosi dagli armamenti e dagli equipaggiamenti che proprio tu hai fornito loro.

In questa guerra anomala ‘al terrorismo’, poi, gli intrecci sono molteplici su piani diversi: etnico, religioso, d’egemonia regionale, d’interessi economici. Tutti i più o meno convinti componenti dell’eterogenea galassia anti-jihadista vedono il Califfo come un nemico; ma alcuni non lo vedono come il nemico peggiore. E, talora, sembrano condividerne i valori, più di quanto non condividano quelli dell’alleato.

A Teheran, la condanna della carneficina di Parigi si accompagna alla condanna di chi non mostra rispetto per l’Islam. E la tolleranza per ‘l’altro’, o il rispetto dei diritti umani, non è un punto di forza a Riad come non lo è a Mosul o a Raqqa.

A volte, le acrobazie ‘nemico – amico’ funzionano: nella Seconda Guerra Mondiale, l’alleanza tra le democrazie capitaliste e l’assolutismo comunista seppe sconfiggere Nazismo e totalitarismi suoi sodali, salvo poi restituire a un antagonismo persino più profondo di prima Usa e Urss, divenute con il conflitto Super-Potenze.

Altre volte sono deleterie. Negli Anni Ottanta, gli americani armarono i talebani e li spinsero a cacciare i russi dall’Afghanistan: loro lo fecero, instaurando, però, nel Paese, subito dopo, un regime integralista, che diede santuari e protezione ai terroristi di al Qaida. Nello stesso periodo, in funzione anti-iraniana, gli Stati Uniti sostennero ed armarono l’Iraq di Saddam Hussein, dandogli la sicumera militare per invadere e annettersi il Kuwait, nell’estate 1990.

Nella coalizione anti-Califfo, ci sono l’Arabia saudita e le altre monarchie sunnite del Golfo, che vedono negli jihaidsti una minaccia, ma che guardano con diffidenza almeno pari all’Iran, potenza regionale sciita. Riad e le altre capitali sunnite non sono del resto allineate su tutti i punti: alcune, in passato, hanno armato e foraggiato le milizie integraliste, in funzione anti-sciita in Iraq ed anti-Assad in Siria.

L’Iran gioca nel conflitto la carta della ritrovata legittimità internazionale, dopo l’accordo sul nucleare: combattendo il Califfo, Teheran tutela gli sciiti della Regione e, in Siria, il regime del presidente alauita Assad, mobilitando pasdaran ‘volontari’ o gli Hezbollah. Resta da vedere come l’Iran, dopo il conflitto, vorrà giocarsi le posizioni, o i crediti, acquisiti.

La Turchia ha certo fornito armi agli jihadisti, in funzione anti-Assad, o almeno alle milizie di al-Nusra. Poi, s’è scoperta nemica del Califfo e ha iniziato a bombardarne le postazioni, solo per ottenere la patente di nemica del terrorismo e potersene fregiare contro i curdi. Che, con i loro peshmerga, sono sul terreno l’incubo peggiore delle unità integraliste, battendosi per conservare l’integrità e l’autonomia dei loro territori e sperando di poterne, alla fine, ricavare un’indipendenza che nessuno vuole concedere loro.

E poi c’è la Russia, tenutasi a lungo fuori dai giochi militari, con Putin in veste di protettore di Assad. Adesso, invece, la Russia è in campo, più a fianco di Assad che contro il Califfo. Ma l’impressione è che senza un ravvicinamento trra Washington e Mosca non si uscirà dal pantano siriano: un passo avanti è stato fatto con la risoluzione votata venerdì notte alle Nazioni Unite.

Nei contatti intrapresi per la sua ‘diplomazia di guerra’, il presidente Hollande scoprirà che alcuni amici fidatissimi, come la Germania e l’Italia, gli danno, per la lotta al terrorismo, meno soddisfazione militare di Russia, Usa e Gran Bretagna. Anche se nessuno è pronto a mandare sul terreno i propri uomini e tutti preferiscono affidare il lavoro cruento ad altri, che siano pasdaran o pershmerga.

E gli intrecci di rapporti diventano ancora più paradossali quando si parla d’armamenti e d’interessi economici. Nessuno compra il petrolio del Califfo, ma lui ne vende – si dice – un milione di dollari al giorno. E nessuno arma il Califfo, ma i percorsi delle forniture militari sono tortuosi e spesso indecifrabili persino all’intelligence: dalla Sardegna, è stata recentemente documentata la partenza di armi per Riad, che non servivano a combattere il Califfo, ma l’insurrezione sciita nello Yemen sunnita. Nello stesso filone, il Pentagono – scrive il Washington Post - s’è perso mezzo milione di armamenti inviati nello Yemen, dopo avere già visto volatizzarsi buona parte di quelli forniti ai ‘lealisti’ iracheni.

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