P R O S S I M A M E N T E

Buone Feste - Sereno Natale - Un 2017 Migliore - Buone Feste - Sereno Natale - Un 2017 Migliore - Buone Feste - Sereno Natale - Un 2017 Migliore

giovedì 28 aprile 2016

Usa 2016: Clinton, è fatta; Trump, quasi, ma rivali non mollano

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 28/04/2016, attualizzando il pezzo già scritto per Il Fatto Quotidiano del 28/04/2016

A due mesi dall’inizio delle primarie, il 1° febbraio, con le assemblee nello Iowa, ed a poco meno di 200 giorni dall’Election Day, l’8 Novembre, la corsa alla nomination democratica è praticamente finita, con la vittoria di Hillary Clinton, e quella alla nomination repubblicana è nettamente guidata da Donald Trump (ma non è ancora decisa).

Dopo le sconfitte a New York il 19 aprile e in quattro dei cinque Stati della Costa Est al voto il 26, Bernie Sanders, il rivale della Clinton, ammette di avere perso: non può più avere la maggioranza dei delegati necessaria per ottenere la nomination, né può impedire a Hillary di raggiungerla.

Così, il senatore del Vermont inizia a sfoltire la propria squadra, tagliando centinaia di persone, ma non lascia la corsa: vuole restare in pista fino alla fine per innescare alla convention un dibattito sulla linea del partito e riuscire a modificarla. In un’intervista al NYT, spiega le sue intenzioni: "Voglio vincere il maggior numero di delegati possibile”, concentrando le forze dove necessario, prossima tappa l'Indiana, poi il test della California il 7 giugno.

Invece, gli avversari di Trump, sconfitti a New York e poi in tutti e cinque gli Stati della Costa Est, Connecticut, Rhode Island, Pennsylvania, Delaware, Maryland, non mollano, anzi a partire dall’Indiana coordinano le loro campagne con una sorta di patto di non aggressione Stato per Stato. Ted Cruz, senatore del Texas, e John Kasich, governatore dell’Ohio, sono messi alle corde, ma non ancora al tappeto.

L’obiettivo è d’impedire a Trump di raggiungere la maggioranza dei delegati necessaria a garantirsi la nomination: il duo s’abbarbica alla speranza d’arrivare alla convention di luglio coi giochi ancora aperti, anche se ormai un potenziale elettore repubblicano su due sta con Trump e se il 70% non vuole che manovre di palazzo alterino le indicazioni delle urne.

A conferma che non si sente fuori gioco, Cruz forza i tempi della scelta del suo vice: indica che, se sarà candidato alla presidenza, correrà in tandem con Carly Fiorina, ex ad di Hp, ed ex candidata alla nomination, ritiratasi dopo l’inizio delle primarie. E la Fiorina, alla sua prima sortita nel ruolo, avverte che, se la nomination andrà a Trump, “avremo quattro anni di Hillary alla Casa Bianca”.

Il magnate dell’immobiliare reagisce a modo suo: prende in giro Cruz per la sua scelta –“E’ il primo che si sceglie un vice dopo avere matematicamente perso la nomination”- e, già che c’è, riesuma toni sessisti per attaccare l’ex first lady, suscitando la reazione di Mary Pat, moglie del governatore del New Jersey Chris Christie, che, in un video divenuto virale, sgrana gli occhi ascoltandolo.

Eppure, Trump vorrebbe indossare l’abito presidenziale e prova a presentarsi come “unificatore". E sciorina le linee della sua politica estera ‘muscolare’: l’America prima di tutto, i miliziani jihadisti hanno i giorni contati, l’arsenale nucleare va ammodernato, un mix inquietante d’isolazionismo e interventismo, dove sono tutti nemici, il Califfo, la Russia, la Cina, persino l’Europa che non paga abbastanza per la propria sicurezza.

A intralciare la corsa di Trump, ma anche quella di Hillary, possono sempre essere gli scheletri che escono dall’armadio – in Italia, si parlerebbe di “giustizia ad orologeria” -: sullo showman, s’è già abbattuta una tegola giudiziaria da 40 milioni di dollari (e da miliardi di imbarazzi). Il processo sulla discussa e chiacchierata Trump University si farà e inizierà in autunno: l’imprenditore, il cui ateneo avrebbe truffato gli studenti per sei anni – ma lui nega ogni addebito -, potrebbe dovere testimoniare nel pieno della campagna presidenziale.

In termini di delegati, la Clinton ne ha ora circa 2.170, con Sanders, poco sotto i 1.400: per vincere, ne servono 2.383. Trump ne ha oltre 950, stacca di quasi 400 Cruz e per la prima volta ne ha più della somma dei suoi rivali, ma gliene servono altri 300 per arrivare ai 1.237 necessari (e quelli ancora in palio sono solo 565).

L’ex first lady, favorita dal meccanismo democratico dei ‘super delegati’, i maggiorenti del partito in genere a lei legati, è oltre il 90% del cammino; lo showman oltre i tre quarti. La partita a due dell’8 Novembre è cominciata e durerà sei mesi, Trump University – e altri scheletri - permettendo. (gp)

Nessun commento:

Posta un commento