Scritto per Il Fatto Quotidiano del 24/03/2011
Cala la litigiosità nella coalizione dei volenterosi, che da sabato martella le difese libiche, ma non si chiariscono del tutto gli equivoci all’origine dell’azione contro il regime del colonnello dittatore Muammar Gheddafi. Dopo l’affondo del presidente statunitense Barack Obama sui leader francese Nicolas Sarkozy e britannico David Cameron e sugli altri alleati più riluttanti, la Nato è pronta a coordinare le operazioni: dopo il via libera venuto ieri da un consulto a Bruxelles, la prima riunione del gruppo di contatto è in programma martedì a Londra.
Questione di giorni, dunque, proprio come aveva detto Obama, non di settimane. Ma la Nato avrà un ruolo essenzialmente tecnico, di comando e coordinamento militare, senza assumersi la responsabilità politica delle azioni di forza lanciate dopo l’adozione, il 17 marzo, della risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Su questo punto, almeno, Parigi continua a tenere duro: “La Nato avrà solo un ruolo tecnico”.
Insomma, l'Alleanza potrà decidere chi attacca cosa, ma non perché e con quale obiettivo. Resta, dunque, l’ambiguità di una coalizione senza testa e senza fine. Tutti d’accordo, in fondo, che il colonnello Gheddafi deve andarsene, ma non tutti pronti a dargli la spallata definitiva. Tanto più che, avendo lasciato passare il momento della massima debolezza del regime libico, oggi rovesciare i rapporti di forza sul terreno tra lealisti e insorti non è facile, specie se ci si deve limitare ad attuare una no-fly zone e a proteggere le popolazioni civili.
Infatti, le notizie dalla Libia, per quanto approssimative e solo parzialmente attendibili esse siano, danno Gheddafi all’offensiva: bombardamenti a Zenten, combattimenti a Misurata, tiri d’artiglieria a est di Bengasi, mentre il colonnello parla a una folla di fedelissimi dal suo bunker: “Americani ed europei sono i nuovi nazisti, le loro bombe ci fanno ridere, vinceremo noi ed io resto”.
Il domino della libertà nel Grande Medio Oriente contagia anche la Siria, dove l’attacco a una moschea a Daraa fa almeno sei vittime e il regime di Damasco copia quello di Tripoli: “Una banda di terroristi dietro la protesta, usano i bambini per coprirsi”. E a Gerusalemme torna l’incubo del terrorismo: una bomba esplode vicino a una fermata dei bus e fa decine di feriti. In tutta la regione, è un momento d’incertezza e di confusione: facile, per chi voglia pescare nel torbido e diluire speranze di pace già tenui, approfittare dell’occasione.
Per la guerra di Libia, la Nato segue strade diverse da quelle del Kosovo e dell’Afghanistan. Nel 1999, l’Alleanza condusse in modo diretto le operazioni militari per costringere la Serbia di Milosevic a fare un passo indietro nel Kosovo e il suo comandante in capo, il generale americano Wesley Clarck, guidò l’azione. Oggi, in Afghanistan, l’Alleanza è presente in prima linea, ma nel contesto dell’Isaf, cui partecipano pure paese che della Nato non fanno parte e il cui comandante ha un berretto solo americano.
La formula afghana appare la più consona all’intervento in Libia, perché la coalizione dei volenterosi è composta di alcuni paesi Nato, ma anche di paesi come il Qatar e gli Emirati, fuori dell’Alleanza. In Afghanistan, però, ci sono voluti anni per definire lo schema attuale, mentre, questa volta, diplomatici e militari hanno avuto poche settimane, in un contesto di grande volatilità.
Con la Nato pronta ad assumersi responsabilità militari, l’Italia potrà farsi sentire perché, nell’Alleanza, ha posizioni di rilievo: il presidente del Comitato militare è l’ammiraglio Paolo De Palma, un ex capo di Stato Maggiore della Difesa, e il vicesegretario generale è l’ambasciatore Claudio Bisogniero, un diplomatico esperto, figlio a sua volta di un ex capo di Stato Maggiore, il generale Riccardo Bisogniero.
L’Italia giudica irrinunciabile una catena di comando unica nella coalizione. Ma fatica a trovare una posizione unitaria nella propria maggioranza, come dimostra l’intreccio di negoziati nell’imminenza del dibattito di ieri al Senato per definire una mozione comune Pdl-Lega.
Ma per il governo Berlusconi l’accento non è già più sulle operazioni nei cieli di Libia, dove tanto – dice il premier – “non spareremo un colpo”, ma sull’emergenza nel mare di Lampedusa, dove la marina militare, con la San Marco, provvede al trasferimento di centinaia di disperati giunti nelle ultime settimane.
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