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mercoledì 23 marzo 2011

Libia: pasticciaccio bellico, voglia di litigio fra i volenterosi

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 23/03/2011

Nella coalizione dei volenterosi, la voglia di litigare non manca di sicuro: si continua a discutere della leadership delle operazioni in Libia che l’Italia vuole sia della Nato, mentre la Francia non ci sta; e anche, e forse soprattutto, dell’obiettivo delle stesse. Intanto, le missioni belliche sono affidate soprattutto ai mezzi americani, nonostante la dichiarata volontà degli Stati Uniti di disimpegnarsi il più presto possibile e lasciare gli alleati europei a sbrogliarsela nel Mare Loro, il Mediterraneo. La cronaca segnala pure le prime perdite della coalizione improvvisata: solo mezzi, per fortuna, non uomini. Un caccia F15 Usa precipita –guasto, non abbattimento, indicano le fonti militari-, ma i due piloti si salvano eiettandosi e vengono raccolti dagli insorti.

Dopo una pausa, gli attacchi dei volenterosi, che con le tenebre sfruttano a pieno la superiorità tecnologica, sono ripresi la scorsa notte, contro radar e basi aeree. Ma, sul terreno, le forze di Gheddafi sono all’offensiva a Zenten e a Misurata, dove obici dei lealisti fanno 40 vittime, fra cui dei bambini. Il ‘cessate-il-fuoco’ proclamato dal colonnello Gheddafi non è rispettato, nonostante gli auspici delle Nazioni Unite e della Lega araba.

All’interno della coalizione, le riunioni sono più concitate che le missioni militari: la Nato tiene consulto a Bruxelles (e la Turchia frena l’impegno dell’Alleanza, anche di coordinamento); il presidente francese Nicolas Sarkozy recita da ‘mattatore’; il segretario alla difesa americano Robert Gates conclude una visita a Mosca; la Lega araba si avviluppa nelle sue contraddizioni (sì alla ‘no fly zone’, ma no all’uso della forza per attuarla: e, allora, come farla rispettare?). Mentre il domino della libertà tiene sempre sul chi vive tutto il Grande Medio Oriente: nello Yemen, si profila, come in Libia, un rischio di guerra civile, con scontri, vittime e defezioni ‘anti-regime’ anche nell’amministrazione e nella diplomazia.

Quella dell’Onu in Libia sembra proprio la prima guerra del ‘dopo Bush’, quando l’illegalità internazionale non era un ostacolo a scatenare un conflitto, anzi un’invasione (quella dell’Iraq), perché gli obiettivi erano chiaramente dichiarati –e poco importava che fossero assurdi e, comunque, mai centrati: eliminare armi di distruzione di massa che non c’erano; esportare la democrazia con le torrette dei carrarmati; distruggere al Qaida e fare fuori Osama bin Laden, che dieci anni dopo sono ancora vivi e vegeti. Adesso, la guerra si fa nella legalità internazionale, ma senza alcun obiettivo netto: proteggere i civili?, aiutare gli insorti?, cacciare Gheddafi?

Le crepe tattiche e strategiche nella coalizione sono in primo piano su tutta la stampa internazionale, che segnala “le reticenze” dell’Italia a un impegno militare effettivo ‘anti-Gheddafi’. “Il comando Nato è la soluzione più appropriata”, dice pure il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ancora prima che arrivino da Bruxelles segnali positivi in tal senso. E il ministro degli esteri Franco Frattini riformula l’equivoco italiano: “Non è missione di guerra”, dice, richiamando i paletti dell’Onu all’uso della forza e invocandone il rispetto “scrupoloso”. Il governo insiste sul comando unificato Nato –altrimenti, “metteremo condizioni rigorose per l’uso delle nostre basi”- e sull’immigrazione come problema Ue.

Una spinta, forse decisiva, in senso Nato sarebbe venuta in queste ore da Washington: il presidente Usa Barack Obama, preoccupato dello sfaldamento della coalizione, avrebbe chiesto alla Francia, ostile, e alla Gran Bretagna, possibilista, che l’Alleanza assuma il comando, e non solo il coordinamento, delle operazioni, così da meglio garantirne l’efficacia. Dalle consultazioni di Bruxelles, emergono indicazioni di un ammorbidimento delle resistenze della Francia e dell’opposizione alla Turchia: si cerca una formula che consenta alla Nato di gestire le operazioni senza, però, coinvolgervi i Paesi dell’Alleanza che non partecipano alla coalizione. Ma l’intesa non c’è ancora e diplomatici e militari temono ne venga fuori “un pastrocchio”.

Su due punti, però, la Nato si muove tutta insieme, lasciando, per il momento, in sospeso la questione del comando delle operazioni: decide di entrare in azione per rendere effettivo l’embargo sulle armi alla Libia e stila piani per garantire il rispetto della ‘no fly zone’. Navi ed aerei dell’Alleanza atlantica controlleranno, seguiranno e, se necessario, intercetteranno navi sospettate di trasportare armi o mercenari verso le coste tripolitane. In un comunicato, la Nato afferma di volere “dare il suo contributo all’ampio sforzo internazionale per proteggere la gente di Libia della violenza del regime di Gheddafi”.

Parole che mascherano i dissensi. Del resto, le contraddizioni sono spesso interne a ogni Paese. Basta scorrere una nota della Farnesina per spiegare la posizione italiana: “L’Italia partecipa a pieno titolo alla coalizione dei volenterosi, con sette basi e con otto aerei, e ha notificato il proprio ruolo attivo alle Nazioni Unite e alla Lega araba”, ma –precisa- non ha fn qui sparato un colpo e non lo farà. L'obiettivo e' “la protezione dei civili”, ma “e' chiaro e inderogabile che Gheddafi se ne deve andare, che non puo' essere più un interlocutore politico, come stabilito dal Consiglio europeo”. Un colpo al cerchio e uno alla botte. Ma piano, per carità: forza, sì, ma poca; niente, se possibile. E, comunque, non nostra.

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