Scritto per Il Fatto Quotidiano del 26/03/2011
A conti fatti, la coalizione dei volenterosi non sarà durata più di dieci giorni. Di qui a lunedì, l’Alleanza atlantica assumerà il comando delle operazioni militari in Libia, almeno per ‘no-fly zone’ ed embargo sul trasporto di armi. Ma l’iniziativa politica per cacciare il dittatore libico Muammar Gheddafi resta nelle mani della coalizione che –presenti anche alcuni Paesi arabi-si riunirà martedì a Londra, a livello di ministri degli esteri.
E la Francia, che era contraria al comando Nato, rilancia: il presidente Nicolas Sarkozy annuncia che, d’intesa con la Gran Bretagna, Parigi prepara una “soluzione diplomatica”. L’Italia, che si sente esclusa, si picca. Mentre il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi esprime una laconica “soddisfazione” per l’intesa nell’Alleanza, il ministro degli esteri Franco Frattini fa sapere: “Abbiamo anche noi proposte e le faremo valere”.
Il match tra chi vuole agire per cacciare Gheddafi, o almeno per indurlo ad andarsene, magari distruggendo carri armati e aiutando militarmente i ribelli, e chi vuole usare la mano leggera si svolgerà, dunque, martedì a Londra. Intanto, le operazioni militari vanno avanti: tra giovedì e venerdì, il Pentagono conta 153 missioni aeree statunitensi; e proseguono i raid francesi contro postazioni delle forze di Gheddafi. Per la prima volta, anche aerei arabi, del Qatar, solcano i cieli libici, mentre 12 aerei degli Emirati arabi Uniti entreranno in azione a giorni. Giordania e Kuwait, invece, danno supporto logistico.
I consulti bruxellesi –un Vertice europeo sulla Libia, ma anche sul rafforzamento della governance economica nell’ area euro, e un Consiglio atlantico- producono mezze decisioni, mezze vittorie e mezze sconfitte. Il cancelliere tedesco Angela Merkel, che è fortemente condizionata dalle scadenze elettorali regionali in Germania, riceve un corso di consensi alla proposta di blocco dei ricavati delle vendite di gas e petrolio libici, ma si sente pure dire che, per farlo, ci vuole una decisione dell’Onu.
Sul terreno, pochi i punti certi su cui basare future decisioni politiche: Tripoli resta sotto il tiro degli alleati, Misurata resta assediata dai lealisti. Ma il regime e gli insorti combattono anche una guerra di disinformazione: Gheddafi denuncia le vittime civile dei bombardamenti –la Nato nega, ma non può garantire che i tiri non abbiano fatto “danni collaterali”-, i ribelli parlano di 8000 morti dall’inizio della rivolta, 40 giorni or sono.
I “danni collaterali” della guerra libica sono pure politici e sociali. In Canada, il governo conservatore del premier Stephen Harper cade proprio mentre sei suoi caccia-bombardieri F16 sono impegnati nei cieli della Libia –e un generale canadese guiderà le operazioni Nato-. E, sul fronte dell’immigrazione, i leader dei 27 s’impegnano a mostrare “solidarietà concreta” nei confronti dell’Italia: all’Onu, il segretario generale Ban Ky-moon calcola che i migranti sospinti dai sussulti nell’Africa del Nord possano essere 250 mila; 15 mila sono quelli giunti a Lampedusa dall’inizio dell’anno. In missione a Tunisi, Frattini e il ministro dell’interno Roberto Maroni ottengono impegni per frenare le partenze verso l’Italia, in cambio di mezzi, addestramento e fondi. A Bengasi, l’Organizzazione internazionale per le Migrazioni riavvia le operazioni di evacuazione dei lavoratori stranieri che vogliono lasciare la Libia e tornare a casa: sono 367mila quelli già usciti dal Paese.
sabato 26 marzo 2011
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