Da Obama a Chavez, gli estremi della diplomazia internazionale si muovono nella crisi libica, mentre la Corte penale internazionale apre un'inchiesta contro il colonnello Gheddafi e i suoi figli: "non ci sarà impunità in Libia", assicura Luis Moreno-Ocampo, procuratore all'Aja. Il presidente americano dice che Muammar Gheddafi deve “lasciare il potere” e “andarsene”, perché ha perso ogni legittimità presso il suo popolo. “La storia va contro di lui” e gli Stati Uniti non escludono nessuna opzione, neppure quella militare, che però non viene esplicitamente evocata: “Prenderemo la decisione migliore per il popolo libico e in consultazione con la comunità internazionale e l’Alleanza atlantica”. E da ieri due unità da guerra americane, una portaerei e una nave appoggio, incrociano nel Sud del Mediterraneo, dopo aver traversato il Canale di Suez.
Il presidente venezuelano Hugo Chavez, variabile impazzita degli equilibri internazionali, parla per mezz’ora al telefono con Gheddafi e offre la sua mediazione per una soluzione pacifica del conflitto libico: una proposta che il governo di Tripoli e la Lega araba, per bocca del suo leader Amr Moussa, sembrano inclini a prendere in considerazione, mentre gli Stati Uniti la ignorano e diverse cancellerie europee, con l’eccezione della Spagna, la respingono.
Per il momento, in realtà, non si capisce che cosa stia accadendo in Libia mentre siamo a un altro venerdì che potrebbe essere decisivo (ma già sembrava doverlo essere lo scorso): chi tratta con chi?, chi combatte con chi?, nulla è chiaro.
All’Aja la Corte dell’Onu apre un’inchiesta “sui crimini che sarebbero stati compiuti contro l’umanità in Libia dopo il 15 febbraio”, cioè dopo i prodromi della rivolta a Bengasi. Il procuratore Moreno-Ocampo, che secondo El Pais potrebbe affidare l’indagine al giudice spagnolo Garzon, cita, in una conferenza stampa, numerosi “incidenti” nel corso dei quali manifestanti pacifici sarebbero stati attaccati e uccisi dalle forze di sicurezza.
La mossa della Corte penale internazionale fa seguito alle indicazioni venute nei giorni scorsi dal Consiglio di sicurezza dell’Onu. E’ la prima volta da quando la Corte esiste, dal 2002, che un’indagine viene avviata in tempi così rapidi: sotto inchiesta, oltre ai Gheddafi, il ministro degli Esteri, i responsabili della sicurezza e dell’intelligence.
E la diplomazia moltiplica le consultazioni e dirada le decisioni, mentre l'Ue e l'Italia organizzano missioni umanitarie per aiutare i profughi dalla Libia che raggiungono la frontiera con la Tunisia. Obama dà manforte: “Ci stiamo muovendo per avere piena capacità di agire rapidamente” soprattutto in caso di crisi umanitaria e di “pericolo per i civili inermi”.
Intanto l'emergenza emigrazione non dà tregua, anche se i flussi per ora non evocano certo nelle cifre esodi biblici. L’Italia è pronta a controllare i porti della Tunisia per bloccare le partenze (magari, le motovedette del Colonnello cambiano porto d’attracco), mentre l’Ue resta attiva con la missione Frontex a Lampedusa e coordina l’evacuazione dei cittadini dei 27 che restano in Libia e l’afflusso di viveri e generi di prima necessità per i lavoratori nordafricani che dalla Libia fuggono.
L'Unione europea è molto solerte, ma anche confusa. Da ieri, sono in vigore le sanzioni che congelano i beni dei Gheddafi sul suo territorio. E la Libia sarà sull'agenda d'un Vertice europeo straordinario l'11 marzo a Bruxelles. Bene. Ma Lady Ashton, la responsabile della diplomazia europea, s'accorge che quello stesso giorno i ministri degli Esteri, sotto la sua presidenza, devono vedersi in Ungheria, per una riunione informale. Logico sarebbe spostare a Bruxelles l'informale, ma l’ineffabile baronessa preferisce duplicare gli incontri: ministri degli Esteri il 10 a Bruxelles sulla Libia e l'11 in Ungheria a fare filosofia, mentre capi di Stato e di governo parlano loro di Libia (e speriamo dicano almeno la stessa cosa). Naturalmente, è tutta questione di politica, di umanità e, come dice Obama, “di sostegno a chi lotta per i propri diritti e si batte per la democrazia”, ma è anche un affare di soldi: la Libia “è sull’orlo della guerra civile”, afferma il presidente russo Dmitri Medvedev, ma questa crisi – calcola il responsabile di una grande industria pubblica russa Serguiei Cemezov – “ci costa 4 miliardi di dollari per la mancata vendita di armi” dopo l’embargo Onu sull’export strategico al regime di Tripoli.
E mentre Parigi e Londra vogliono portare “proposte audaci” al vertice dei 27 dell’11 marzo, la Cina, che pure ha sancito all’Onu sanzioni ed embargo, scopre che “la priorità in Libia è il ripristino della stabilità e non certo un intervento militare per rovesciare il regime”: la portavoce del ministero degli Esteri Jiang Yu invita a “tenere conto delle opinioni dei paesi arabi e africani” sulla crisi libica. La libertà, la democrazia, il rispetto dei diritti dell’uomo, a Mosca e a Pechino hanno un prezzo che si calcola in armi vendute e barili di petrolio acquistati.
venerdì 4 marzo 2011
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