Scritto per Il Fatto Quotidiano del 30/03/2011
Nel 1494, Carlo VIII di Francia aveva invaso l’Italia ed era entrato con il suo esercito a Firenze, che aveva cacciato i Medici e si era proclamata repubblica. Il re voleva imporre condizioni molto dure ai fiorentini, pena il saccheggio della città da parte dei suoi soldati al suono delle sue trombe. Allora, Pier Capponi, a capo della Repubblica, respinse le richieste e rispose al re: "Se voi suonerete le vostre trombe, noi suoneremo le nostre campane", che avrebbero chiamato alle armi il popolo e sollevato una rivolta contro l'invasore.
A Pier Capponi, andò bene: l'intimidazione, che poteva anche essere un bluff, ebbe successo e Carlo VIII, senza manco vedere, rinunciò alle sue pretese. Al ministro degli esteri Franco Frattini, invece, non è andata altrettanto bene: a Francia e Gran Bretagna, che avevano annunciato una loro iniziativa sulla Libia, ha risposto ipotizzando una mossa italo-tedesca. Ma, al momento di vedere le carte, l’Italia non aveva in mano neppure una scartina tedesca, mentre Sarkozy e Cameron facevano poker d’assi con Obama e –toh!- la Merkel.
Ora, sarà anche vero, come sostiene Frattini, che il pre-vertice telefonico a quattro di lunedì sera, prima del consulto di ieri a Londra, non era un esercizio d’esclusione dell’Italia. C’è stata tutta una lunga stagione diplomatica, ad esempio, in cui ogni Vertice Nato e ogni riunione ministeriale del Consiglio atlantico erano preceduti da una ‘cena delle potenze di Berlino’ (Usa, Gb, Francia e Germania), che aveva una sua logica –allora, c’era il Muro-, ma che spesso consentiva di mettere i puntini sulle i dei temi all’ordine del giorno; e, per venire ai giorni nostri, Obama da circa un anno ha inaugurato una video-conferenza mensile con Parigi, Londra e Berlino per fare il punto con i partner europei sulle questioni delicate.
Ma è pure vero che dai tempi delle ‘cene delle potenze di Berlino’ a quelli delle video-conferenze (sempre a quattro), l’Italia di Mr B non pare avere conquistato affidabilità internazionale: anzi, sta sperperando un capitale di credibilità costruito con il sacrificio dell’impegno militare dal Libano degli Anni Ottanta al Libano attuale, con scelte quasi tutte fatte nella legalità internazionale –dalla Guerra del Golfo del 1991, alla ex Jugoslavia, e ancora all’Afghanistan-, ma anche, almeno una volta, nel caso dell’invasione dell’Iraq nel 2003, in palese violazione di essa pur di compiacere l’alleato americano.
Gli insuccessi più recenti sono funzione della inaffidabilità percepita di Mr B e della sua équipe. Certo, nel caso della rivolta in Libia, l’Italia partiva con un handicap probabilmente impossibile da sormontare: troppo amica di Muammar Gheddafi, per essere considerata un’interlocutrice credibile dagli interpreti del ‘dopo Gheddafi’. Ma, proprio per questo, Roma doveva muoversi con prudenza, magari senza pretese di protagonismo, ma piuttosto con un’attenzione all’efficacia della sua azione, politica ed economica, militare ed umanitaria. La politica estera, anche la politica estera, richiede misura e professionalità: l’Italia ha una diplomazia di qualità che merita una guida politica migliore di quella offerta da Mr B e da quello che i cablo di Wikileaks definiscono “il fattorino”.
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